Capitolo 15 -La sete dell'odio-
Hitl irrigidì la schiena e sollevò il mento.
Ogni muscolo era contratto, trattenuto in quella posa rispettosa, ma gli occhi lasciavano intravedere la sua soddisfazione e Gorn non mancò di notarlo. Il giovane ufficiale al suo cospetto aveva lisci capelli biondi, che incorniciavano il viso arrivando a lambire le spalle, stretti in un codino. Il mento era affilato e glabro, il portamento orgoglioso e pieno di sé in qualche modo. Non c'era fluidità nei movimenti, solo un'inflessibile disciplina votata all'ambizione, era evidente. Per questo l'aveva scelto. Quel ragazzo era tanto determinato a raggiungere i suoi scopi, da essere disposto a qualunque cosa e per questo ancora più malleabile.
-Che informazioni mi porta, capitano? Chi abbiamo davanti?- gli chiese con voce affabile.
-Il colonnello Rhyg, generale. La corruzione delle donne di Telar non ha trattenuto a lungo i suoi uomini, a quanto pare. Ma è stato sufficiente per carpire qualche informazione- prese una pausa, quel tanto che gli bastava per valutare se ci sarebbero state ripercussioni su di lui.
Gorn l'osservò, divertito: Hitl non tremava, ma i suoi occhi mostravano il dubbio di chi sa di poter essere schiacciato in ogni istante. Il movimento del suo pomo d'Adamo scatenò nel generale un sorriso genuino e lusingato. Sì, quel ragazzo lo stimava e lo temeva al tempo stesso, ma la cosa più importante era che gli somigliava.
-Egli è a capo di un migliaio di uomini. Non è particolarmente amato, ma di sicuro è rispettato. Nessuno di loro si azzarderebbe a tradirlo- continuò Hitl, tenendo gli occhi chiari fissi sul generale.
Gorn fissò un punto oltre la testa del ragazzo, quasi avesse voluto bucarla con lo sguardo. -Ma noi non vogliamo che lo tradiscano, noi vogliamo che lo seguano, Hitl. Che siano con lui nel momento migliore, quello della sua rinascita- gli rispose sornione dopo qualche secondo. L'espressione interrogativa di Hitl parlò al posto della sua voce.
-Dimmi, ragazzo, su cosa possiamo far leva?-
***
Il suolo si crepava, aprendosi in mille crepacci, squarciato dall'arsura. Invocava le nuvole, che ora si ammassavano vorticando su di esso, pregandole di placare quella sete. Eppure non erano foriere di pioggia le ombre che lo ricoprivano, ma inghiottivano l'orizzonte, privandolo dell'ossigeno, schiacciandolo col loro peso. La coltre nera, il carbone di Raleb. Rhyg osservava quella landa polverosa dall'alto del colle su cui erano accampati, col viso contratto in una smorfia di sufficienza. Gli occhi verdi percorsero ogni spaccatura della terra, scivolandovi quasi sopra, già proiettati verso Kufir. Poteva schiacciare i Sunek, l'obiettivo era a poche miglia di distanza, spazzare via quel popolo inferiore. I fieri Tarkir, gli antichi signori della guerra, avrebbero trionfato su quei contadini.
Rhyg rammentava ancora quando il padre gli raccontava dell'arrivo dei Tarkir a Dror. I suoi avi discendevano direttamente dai primi predoni che si erano stanziati ad Est del grande fiume, prima che le ostilità avessero inizio. "I Tarkir erano in origine un popolo nomade, fiero e bellicoso. Il fermarsi a Dror fu la loro rovina, il fondersi con i Sunek sporcò il loro sangue. Ma la nostra stirpe no, Rhyg, noi discendiamo da quei primi arditi e il nostro sangue non si è mescolato con quella feccia."
Con l'eco paterna nella mente, l'uomo serrò le labbra. Riaffioravano dietro ai suoi occhi le ire e l'odio di centinaia di uomini e donne, che nelle ere del mondo non avevano fatto altro che disprezzarsi per la loro imprescindibile diversità. E quelle iridi si accendevano come tizzoni, mutando quasi quella che era la loro natura. Si offuscava il sottobosco che le incrinava, diveniva sempre più grigio e spento, opaco e pieno solo dell'obiettivo che volevano raggiungere: Nihil, avvolta dalle pire dei morti, con l'odore della carne nei cieli e Dror finalmente libera dalla presenza infamante dei Sunek. I Tarkir, come una fenice, si sarebbero levati dalle ceneri di quella landa, tornando ad essere i signori incontrastati della nobile arte della guerra.
-Preparatevi a partire. Non appena il nuovo sole sarà sorto, assalteremo Raleb- ingiunse agli uomini, cui dava le spalle. La giovane ricognitrice che lo aveva ragguagliato a Telar fece un passo in avanti.
-Ma, signore, siamo troppo pochi. Dobbiamo aspettare i rinforzi da Noume!- Il suo viso era paonazzo e la voce tremava appena, rivelandone l'incredulità.
Rhyg la fissò, torcendo la bocca in una smorfia, -qual è il tuo nome?- le chiese ghignando poi.
-Martia, signore.-
-Chi è il più in alto in grado qui Martia?-
-Lei, signore.-
-E sai perché?-
Martia abbassò lo sguardo e sospirò impercettibilmente, -perché siete un esperto di tattica, avete molta esperienza e...-
-Quindi se io do un ordine, hai qualche diritto di replica?-
-No, signore. Mi spiace.-
Rhyg la vide quasi rimpicciolirsi davanti ai suoi occhi compiaciuti, poi osservò gli altri. C'era sicuramente del dissenso negli sguardi di alcuni, ma sapevano bene com'egli fosse ormai un veterano. Avrebbe punito la ragazza? No, certo che no. Aveva bisogno della fedeltà di ogni singolo uomo, non se la sarebbe giocata per un motivo tanto futile.
-Dunque avanzeremo, c'è un passaggio a sud, poco conosciuto, un sentiero antico, che ormai i Sunek non usano più. Eppure ci sarà utile, cavalcheremo non visti e li assaliremo,- Rhyg osservò la ragazza e sorrise -i nostri esploratori faranno da avanguardia, mentre noi attenderemo notizie più indietro.-
Lei non mosse un solo muscolo, ancora intenta a fissare un punto imprecisato del suolo. -Il numero non influirà, perché agiremo prendendoli di sorpresa e sbricioleremo le loro insulse forze- proseguì il colonnello. -Ditemi uomini, non vi schifa il proliferare di una razza tanto abbietta? Non vi rigetta l'idea che la vostra fiera schiatta si sia servita al banchetto del loro "fratricidio", sfruttata e privata del suo nerbo, per essere poi assoggettata alla loro? Non vi sdegna che abbiano rubato i segreti delle arti Tarkir e ora stiano tentando di usare ricchezze a noi sottratte, contro i loro legittimi possessori? Questi vermi, questi parassiti immondi hanno insozzato la nostra reputazione. No, chi li chiama fratelli è degno di morire delle più atroci sofferenze, più di loro stessi. E se noi pure abbracciassimo la morte nel tentativo di debellare la loro infettiva presenza da questa parte di mondo, non sarebbe, forse, una morte ben più che onorevole? Non sarebbero i nostri avi stessi fieri di noi, che rispettiamo oggi le antiche usanze? Bruceremo ognuna di quelle viscide sanguisughe col sorriso di chi sa di compiere l'azione più meritevole!-
Rhyg sputò in terra, poi fissò ad uno ad uno i volti di coloro che aveva davanti. Qualcuno era stupito, forse perfino nauseato da quelle parole. I soliti inetti, si cullano nell'utopia che si possa realmente vivere tutti in pace e armonia col cosmo. Idioti, aberrazioni che dovrebbero essere calpestate. Ma mi servono ancora, queste piccole pecorelle. Guarda come tremano. Forse solo prima di chiudere gli occhi per sempre capiranno che l'uomo nasce lupo e non c'è posto per i deboli di cuore. Eppure sono certo che mi seguiranno e d'altra parte non sono l'unico ad essere cosciente della natura umana. Bisogna solo accettarla.
Il colonnello posò gli occhi su Martia. Le ciocche lunghe che sfuggivano alla presa dello chignon le arrivavano alla vita, il volto era ancora abbassato. Nemmeno lei avrebbe fiatato.
***
L'orizzonte si rischiarò appena, annunciando che il nuovo giorno era venuto. Eppure non era possibile vedere la sfera fiammeggiante nel cielo, tanto dense e oscure erano le nubi.
Rhyg dispose le truppe, -avanguardia avanti! Cavalleria corazzata e fanteria al centro! Cavalleria leggera in retroguardia!- la sua voce decisa non ammetteva imperfezioni di alcun tipo.
La colonna si mosse con passo ferreo e cadenzato, rullando e intonando cori di guerra. Cori antichi, quasi dimenticati. Eppure alcuni iniziarono quel lamento basso e profondo, seguiti pian piano da altri più incerti, fino a diventare sempre più violenti, tanto da incoraggiare e infervorare gli animi, inneggiando allo spargimento di sangue. Si lasciarono alle spalle le basse pendici dei monti di Telar, avventurandosi sull'altopiano. Una ripida discesa rocciosa si faceva strada incuneandosi nel terreno, torcendosi come un serpente che avesse voluto mordere la propria coda, mentre le pareti le si stringevano ai fianchi, dita attorno ad un collo sottile. Fiaccole furono accese, mentre i cavalieri erano costretti a smontare per fronteggiare quel passaggio difficoltoso. I cori si spensero dietro ai passi leggeri degli esploratori, che distanziarono la formazione lungo la via. Rhyg ordinò agli altri di fermarsi, avrebbero atteso sul pendio le informazioni per preparare l'assalto.
Sederono dunque innanzi a fuochi, bevendo e narrandosi storie di tempi perduti, quando ancora i Tarkir vagavano peregrini in cerca del loro posto nel mondo, mai saturi del sangue versato. E le voci di quelli che parlavano tremavano emozionate e galvanizzate da quei ricordi non propri, gli occhi risplendevano dell'oro predato in quei racconti, sognando la grandezza delle ere del mondo antico. Rhyg se ne compiaceva, l'ardire dei Tarkir non era ancora sopito. Gli anni di apparente pace coi Sunek non avevano infiacchito del tutto i valenti spiriti guerrafondai degli uomini dell'Est e i padri non avrebbero pianto invano nelle tombe...
Un mormorio si levò non appena, nel cuore della notte, gli esploratori fecero ritorno nei loro manti scuri. Martia, a capo della squadra, fu presa sotto custodia da due cavalieri. Un brivido la colse nel comprendere il perché di tanta premura, ma procedette cercando di nascondere la sua reazione.
-Allora, ricognitrice Martia,- disse lui sollevando un lembo del labbro superiore -che informazioni ci porti?-
-Ab-abbiamo percorso la via nella sua interezza, spi-spingendoci fino a sud-ovest. C'è un grosso accampamento Sunek a quattro leghe da qui, sembra non abbiano catapulte o macchine di sorta. Ma sono molti più di noi, co-colonnello. A-almeno duemila uomini- concluse la ragazza con la fronte imperlata di sudore. Tacque, sulla restante parte del discorso. Se il colonnello avesse saputo che qualcuno li aveva notati, loro due non si sarebbero salvati...
-Duemila eh?- Rhyg rise, -non sono poi così tanti. Abbiamo abbattuto cose peggiori sulla nostra strada.-
Il colonnello si strinse nelle spalle, -che siano disposti in linea i battaglioni non appena avremo oltrepassato il valico. Non ci scapperanno.-
La ragazza sussultò a quel punto, l'espressione si fece titubante. Scosse la testa e arcuò le sopracciglia.
-Non avete dato il tempo ai vostri uomini neppure di compiangere i caduti, che già volete spargere sul campo di battaglia altro cibo per i corvi. Non avete guardato in faccia a nessuno, tutto per arrivare qui, è così? È un suicidio, uno stupido suicidio!-
Il colpo fu violento. Martia si ritrovò scaraventata in terra, con la guancia che bruciava e pulsava martellante. Il respiro riprese con fatica a fuoriuscire. I capelli si spostarono lentamente, sospinti dal suo fiato rotto. Le lacrime le inondarono il viso, ma levò lo sguardo sul colonnello, ancora chino su di lei. Lo fissò, gemendo e tremando.
-La morte ha un valore immane se porti nella tomba con te ciò che infanga l'onore dei tuoi padri. No, non morirai per mano mia. Non ti concederò questo lusso, sergente. Da questo momento sei retrocessa. Ti voglio in prima fila tra i fanti. Forse potrai redimere la tua codardia.-
***
Le squadre si affiancarono non appena le rocce spalancarono il loro sipario, vomitandole nella vallata cinerea. Avanzarono a passo, roboanti e ruggenti come una tempesta, percuotendo il suolo con le lance acuminate. Sterminare, distruggere.
-Tutto ciò che è Sunek dev'essere debellato. Tutto ciò che non è Tarkir soppresso!- abbaiò Rhyg. L'uomo inspirò profondamente, le palpebre abbassate e l'aria fredda sul viso lo corroborarono. Si beò di quella scossa adrenalinica, ormai sua unica fonte di vita. Si lasciò attraversare dalla bellezza di quell'attimo di sublime potenza. Aprì gli occhi: lo stendardo dei tiratori sventolò davanti a lui. A qualche decina di metri un'imponente armata, nera come la notte, li attendeva paziente. Rhyg inspirò e sgranò gli occhi, deglutì. Avevano perso l'effetto sorpresa.
Il colonnello strinse i pugni fino a lasciare i segni nei suoi guanti, tirò le redini del cavallo, mentre con sguardo truce percorreva le sue esigue schiere.
-Arcieri! Mirare!- attese che fossero a distanza e proseguì -Fuoco!- Il cielo divenne ancora più oscuro, mentre frecce affilate lo attraversavano come uno stormo di rapaci predatori. Un nugolo di avvoltoi si abbatté sugli avversari, ma quelli levarono gli scudi, formando una struttura compatta e protetta anche dall'alto. Fu il loro turno: le balestre già cariche schioccarono prepotentemente, le prime file furono falcidiate.
Martia rotolò a terra, miracolosamente illesa. Si ruotò sulla pancia, a carponi raggiunse una postazione più sicura più indietro. Non posso fare nulla, moriremo qui. Oggi sarà il giorno della nostra sconfitta. Quel pensiero le agguantò il ventre, appena appena teso. Lo strinse a sé e pianse. Il bambino dell'uomo che aveva amato non avrebbe mai visto la luce del sole. Quel pensiero la cullò un po', si sarebbero presto rivisti tutti e tre.
I dardi continuarono a crivellare i tiratori Tarkir, troppo esposti per potersi riparare in qualche modo. Rhyg ordinò di allargare le fila: i fanti passarono tra di loro per far fronte comune e proteggerli con i loro scudi. Eppure si trattava di piccoli scudi medi, non di certo paragonabili a quelli a torre o a goccia degli avversari.
-Cavalleria a cuneo!- ordinò Rhyg. Il battaglione si dispose sui lati di un triangolo e caricò. Galopparono furiosi verso la fanteria avversaria, sollevando grandi nuvole aride dagli zoccoli possenti. Dall'altro lato delle picche furono calate tra gli scudi. Le aste prominenti si conficcarono nelle carni dei cavalli, che caddero a terra agonizzanti. I cavalieri furono schiacciati, sbalzati dalle selle, impalati nelle viscere senza possibilità alcuna di salvezza. Rhyg ordinò la carica della fanteria. Eppure non uno di loro si mosse. A quel punto furono gli avversari a muovere. Marciarono inesorabili, consci della vittoria già scritta. Con passo fermo raggiunsero gli uomini dell'Est, paralizzati dalla paura. L'ingaggio fu subitaneo, ma altrettanto chiara apparve quella che sarebbe stata la fine di quello scontro.
-Resistete, sciocchi! Gli scudi li rendono lenti e poco agili, non datevi per vinti!- urlò Rhyg sguainando lo spadone. Non furono in molti ad udire le sue parole: un gran numero di loro di già ricopriva il suolo, cibo per i vermi e per gli spiriti. Gli altri iniziarono una ritirata disordinata: volsero le spalle al nemico e ai compagni, messi in rotta dalla paura. Invano suonò il corno del trombettiere, muto appello al loro aiuto. Ma non ci fu scampo che per pochi di loro, altri dardi si riversarono nelle loro schiene, abbattendoli al suolo.
Martia fuggì, il fiato non le bastava, ma in lei c'era più di una singola forza di volontà. Schivò le saette sibilanti e non si guardò più indietro.
***
Rhyg osservò i suoi uomini con ira mista a disgusto. Smontò da cavallo e caricò egli stesso il nemico, che si batteva con i pochi rimasti a lui fedeli. Spazzò l'aria, disintegrando alcuni di quelli con colpi così potenti da incrinare i loro scudi. La sua muscolatura sviluppata si contrasse sotto alle piastre dell'armatura, convogliando tutto il suo peso nei fendenti pieni di odio che vibrava. Un giovane biondo gli si parò di fronte, esile come lo era la sua lama. Il colonnello lo vide scattare, né avrebbe potuto più vederlo da quell'occhio. Urlò, come mai prima d'allora nella vita, mentre un fiotto di sangue gli imbrattava il viso e le mani. Il ragazzo si leccò il labbro superiore e sorrise.
-Allora come ci si sente ad essere schiacciato da un Sunek, grande colonnello Rhyg? Non ti fai schifo da solo? Un fiero condottiero come te, battuto da ciò che più disprezza.-
Rhyg portò la mano alla spada e si scagliò sul suo oppositore ribollendo di collera. Gli avrebbe tolto per sempre quel ghigno dalla faccia. Mancò il bersaglio, perse l'equilibrio e cadde in ginocchio. Sentì una pressione sulla sua schiena.
-È così che devi stare, mio illustre ufficiale dei ranghi dell'Est, col volto a terra, in ginocchio davanti a un popolo che ti è superiore. Inchinati e forse ti daremo la possibilità di essere schiavo.-
Rhyg si rialzò, mandando disteso l'avversario. Si volse verso di lui e lo sputò. Quello scoppiò in una fragorosa risata, mentre il colonnello sollevava la spada per calarla su di lui. Qualcosa negli occhi del ragazzo, però, lo bloccò: erano due laghi di sangue. Rhyg perse la cognizione del tempo e dello spazio. Avrebbe giurato che quegli occhi fossero azzurri un istante prima, ma ora s'inabissava in quelle pozze, annegando ogni pensiero, spogliandosi della rabbia e della volontà di rivalsa. Restava in lui solo il disgusto. Poi lo sentì, crebbe dentro di lui fino a colmarlo, traboccando quasi: odio misto a paura per ciò che era sempre stato diverso da lui. Un brivido gli percorse la schiena. Quel popolo stolto, di agricoltori, ora si era trasformato, divenendo lo specchio dei Tarkir, se non peggio. Chi era dunque meritevole del suo disprezzo, se non quegli stessi uomini dell'Est, che avevano perduto il nerbo di un tempo? Non erano forse stati loro stessi a farsi scompaginare poco prima? La spada cadde dalle sue mani, affondando nella polvere e offuscando il suo brillio.
Affianco a lui qualcosa accadde, ma Rhyg ormai era perduto. Egli percepì un cambiamento, un silenzio fatto di sibili ovattati, ansanti e bramosi d'aria. Percepì dei movimenti lenti e la terra che lo chiamava. Le sue energie si spensero mano a mano, mentre la pelle si tendeva sulle ossa sempre più sporgenti. Fissò la sua mano con l'occhio integro: era ormai secca come un ramo d'autunno. Il suo avambraccio si costringeva, risucchiato dall'interno, si prosciugava privato dei suoi fluidi. Spostò lo sguardo verso il basso: la terra era pregna di un liquido denso e viscoso, l'aria puzzava di ferro. Eppure il sangue in terra andava sparendo, divorato da una terra che fino a un attimo prima gli era sembrata ostile e che ora lo accoglieva affamata. Raleb lo stava inaridendo, riarsa dalla sete perpetua dell'odio tra genti dissimili. L'ultima cosa su cui fu in grado di spostare lo sguardo volontariamente fu il giovane che gli stava di fronte: si era rimesso in piedi e lo guardava compiaciuto e sprezzante, ma anche il suo volto si asciugò, accartocciandosi e incavandosi, mummificandolo in quell'espressione di ripugnanza.
Hitl diede un ordine muto a tutti quelli che erano stati corrotti: con lentezza si trascinarono indietro verso le retrovie Sunek. Ben pochi riuscirono a scampare quel destino, fuggendo oltre il valico a sud. La terra ora riappariva muta e secca come prima, seppure avesse ingoiato tutto quel sangue. Gli scheletri dei corrotti si mossero all'unisono, rientrando all'accampamento, con le pelli tese sugli zigomi e sulle orbite cave. Hitl sollevò un arto: la polvere si levò altissima nel cielo, oscurando la vista a coloro che ancora si voltavano indietro colmi di disperazione per quanto accaduto. E i loro gridi squarciavano affranti quella distanza, mentre l'orrore s'imprimeva nelle loro menti sconvolte.
Spazio autrice:
eccoci.. il capitolo è un po' cortino lo so. Penso che in una revisione successiva lo aggiusterò, quindi se avete suggerimenti su cose alle quali pensate avrei dovuto dare più spazio, sono più che ben accetti.
Resta valida la "challenge", che oltre ad essere carina mi fa capire quanto si capisca cosa ho voluto dire e quanto invece io sia stata confusionaria. ?.?
Spero ci vedremo presto, ma purtroppo non assicuro nulla ;(
Un bacio,
Wendy
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