Capitolo 13 -Polvere e fango-

Syas era partito il giorno seguente, non appena i primi, deboli raggi di luce si erano arrampicati sul declivio meridionale di Niraen. L'aria frizzante dell'alba aveva accolto il suo galoppare con lo scroscio ritmato del torrente, lì dove era basso tra le alture che in coronavano la capitale. Il ragazzo non si era guardato indietro, anzi aveva puntato gli occhi all'orizzonte. Aveva inspirato profondamente, per poi spronare la bella bestia dal pelo nero che lo accompagnava.

Per giorni aveva guardato il paesaggio mutare con gradualità, il torrente farsi asciutto, arso. Una grigia linea d'acqua che a tratti spariva, s'inabissava nelle sabbie di Noume, riemergeva sotto le rocce, facendo fiorire di verde le piante spinose della sua terra. Aveva sentito i granelli portati dal vento graffiargli le gote, aveva stretto gli occhi e avvolto un panno umido attorno alla testa per sopportare meglio il rifiuto che la sua terra gli opponeva.

Più avanzava più si sentiva traditore delle sue radici, colpevole di aver voluto vedere il mondo. Quel deserto roccioso che era la sua casa, vuota e vasta, gli era sempre sembrata troppo stretta. E ora tornava in patria, solo, implorante, col peso delle battaglie sulle linee del suo giovanissimo viso. Sporco delle nefandezze della guerra, portatore di conflitti.

Parte di lui avrebbe voluto ancora essere quell'innocente ragazzino. Parte di lui voleva non provare la vergogna del figliol prodigo. Eppure il desiderio di riabbracciare per un istante sua madre era troppo forte. L'avrebbe affrontato, pregando nelle carezzevoli note del perdono, supplicando il conforto di cui aveva bisogno.

Syas sollevò il viso sulla parete grigia ed impervia che gli si parava dinanzi agli occhi. Ne vide le familiari orbite infinite aprirsi come le celle di un alveare. Legò con cura le briglie del cavallo al tronco di uno dei pochi alberi dell'oasi e iniziò la scalata.

Il suo fiato si fece ben presto corto, le mani doloranti e il peso del suo corpo eccessivo da sostenere. Era fuori allenamento e lo sapeva bene, ma non avrebbe ceduto, non ora che aveva trovato il coraggio di fronteggiare i suoi natali. S'issò con fatica oltre le porte del villaggio. Una folata di vento sembrò spingerlo quasi all'interno, mentre due guardie lo soccorsero.

Si sentì quasi frastornato, che ci faceva infondo un cavaliere in arme in mezzo ad un villaggio celato al cielo, i cui abitanti si aggiravano nell'ombra, coperti di stoffe da capo a piedi? Afferrò qualche boccata d'aria e una manciata di minuti per rimettersi in piedi. Si fece riconoscere col tradizionale saluto della sua terra, portando la punta dell'anulare al mento e facendola scorrere fino al cuore.

Qualcuno gli chiese qualcosa nel suo dialetto, parole arcane che lui non comprese. Aveva dimenticato quell'inflessione, ricordava solo la lingua ufficiale, o almeno così credeva. Rispose di esser tornato a casa, ma il suono stesso della voce non fu caldo come avrebbe dovuto essere. Incespicò e cadde sull'ultimo vocabolo. Si liberò delle domande insistenti che gli venivano rivolte e s'incamminò.

Gli oscuri cunicoli riverberavano la tremula luce delle fiaccole, guidandolo attraverso una pioggia di ricordi. Un bambino dai capelli scuri, magro come la fame, che correva e si nascondeva con un libro sotto braccio. In quanti di quei vicoli si era rifugiato a leggere? Quante pagine aveva consumato il suo indice, scorrendo sul verbo scritto? Aveva divorato ogni cosa: ogni storia di Noume, per poi passare a quelle di altri paesi.

Dror aveva catturato il suo interesse più di ogni altro: una terra dove gli alberi crescevano alti, facendo scudo ai fiumi che la scavavano, alle genti libere di correre all'aria aperta, senza l'incubo delle tempeste di sabbia. Una terra dove l'acqua sorgeva dal suolo, non moriva in esso, dove il sole scaldava la pelle senza ustionarla, dove il freddo feroce era addolcito dall'incanto della neve.

Con quelle immagini negli occhi aveva impugnato la strada che lo aveva portato oltre il confine. Ora i suoi passi stanchi si erano invertiti, il suo animo si era disilluso. Non c'era perfezione nella bellezza di Dror, non più di quanta ce ne fosse a Noume stessa.

Syas imboccò l'ultimo passaggio a destra, bussò lentamente sul muro di casa e attese. Una donna curva si avvicinò con lentezza, sollevò il capo, mostrando un viso ricamato dal tempo. La donna socchiuse gli occhi, fissandolo per qualche istante. Un lampo di giovinezza percorse le sue iridi, colmandone le risa di pianti, mentre stringeva il figlio al petto.

Syas ricambiò l'abbraccio prima con incertezza, poi aggrappandosi ai singhiozzi a sua volta. La donna lo fece entrare in casa, trascinandolo per un braccio. Quando finalmente si fu quietata, l'osservò con un sorriso mesto, dietro agli occhi chiari.

-Sapevo che saresti tornato da me un giorno.-

-Non sono...- tentò il ragazzo, scuotendo la testa. No, non gliel'avrebbe detto. -Sono venuto a vedere come stavi- mentì.

La donna intercettò i suoi pensieri, -no, non saresti venuto così bardato se fosse come dici- disse indicando le sue spade al fianco. -Non mentirmi Syas. Sono tua madre, non mi vedi da anni, puoi almeno farmi questa cortesia?- sorrise lei tristemente. Lui annuì deglutendo, ma rimase in silenzio.

-Potresti essere il miglior bugiardo della terra, ma sei pur sempre germogliato dal mio ventre. Sono io che ti ho cullato, io che ti ho accudito, che ho giocato con te, incoraggiandoti e consolandoti. Non dimenticarlo- proseguì lei. Il suo tono non era di rimprovero, era di preghiera.

-Non l'ho mai fatto madre- disse lui scoppiando a piangere. Sembrò che un peso lo facesse accartocciare su sé stesso, ma lei ancora una volta posò una mano sulla sua schiena, come faceva quando lo trovava addormentato in qualche nascondiglio. Lo accarezzò con dolcezza e lo cinse tra le braccia.

***

Gorn si portò una mano all'attaccatura del naso e chiuse gli occhi. Massaggiò con cura la pelle, portando le dita sottili e tremanti alle tempie, con movimenti circolari. Non l'aveva presa, sapeva che lei doveva centrare qualcosa col fallimento delle Hannya. Stava rapidamente perdendo tutto: Lydartan era stata sottratta al suo controllo, ma ancora non se ne capacitava.

Il suo respiro s'imbizzarrì, mentre il petto si alzava e si abbassava freneticamente. Tentò di domarlo ma il sudore freddo che gli colava dalla fronte contratta sfuggì, solleticandogli il viso con scherno.

Doveva riflettere, con calma. Lasciare fuori tutto il resto, gettandolo col fiato fuori dai polmoni. Eppure il cuore rimbombava ancora nella sua cassa armonica, furioso, incontrollabile, costringendolo a stendersi. I suoi occhi si riversarono al soffitto. Allargò le mani sul lenzuolo di seta, percorrendone le pieghe.

Cosa poteva salvarlo da quella situazione? Non vedeva via d'uscita, si sentiva come fosse stato bloccato davanti ad una montagna minacciosa. La voce della sua coscienza sussurrò in lui rimproveri e rimorsi, avrebbe dovuto essere più cauto, informarsi meglio, insinuare spie ovunque ad Est. Invece si era creduto invincibile.

Per quanti nemici avesse inviato contro il nemico, quello non demordeva. Resisteva alla tormenta come un faro, finché alla fine non vinceva, una battaglia dopo l'altra. I morsi della paura ad un tratto si spensero, affievolendosi fino a sparire, soppressi da una voce ben più profonda, ben più ferma. No, ora avrebbe dimostrato tutta la sua potenza ai Tarkir. Basta giocare.

Infondo l'attacco non era sempre la migliore difesa. Ora avrebbe chiuso le sue linee tra Acasti, Raleb, Kufir ed Herod. E sarebbe sceso in campo.

Gorn sorrise e si leccò il labbro superiore. No, non avrebbero avuto nessuna possibilità contro la sua potenza. Non c'era esercito che potesse contrastarlo, quando levate le mani al cielo...

-Ogni uomo è una bestia feroce, basta solo stuzzicarlo un po'- disse tra sé portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Giusto il tempo di organizzare la difesa, poi l'Est avrebbe dovuto arrendersi.

***

Rhyg osservò le mura coperte di muschio di Zeghr. Erano passate diverse settimane dalla partenza di Syas. Si chiese che fine avesse fatto il ragazzo. Spostò il peso sulla gamba sinistra, abbassò la mano e diede il fuoco con un gesto sbrigativo. Il meccanismo dell'onagro scattò con uno schiocco violento, la pietra fischiò alta nel cielo oltrepassando le mura. Un rumore sordo, qualcosa che andava in frantumi, un boato e un'eco di morte.

Non era stato difficile entrare a Telar. Una giovanissima recluta, proveniente da Miorn, gli aveva riferito la situazione con voce trafelata, appena qualche giorno dopo che l'ultimo avamposto di Dydesh era caduto. L'aveva mandata con la sua squadra di ricognitori e lei era tornata rapidamente alla base. La ragazza era arrossita violentemente, aveva balbettato, stretto i pugni e preso coraggio.

-Il territorio di Telar è semi-paludoso, ha colline coperte da alberi con la chioma ampia che rendono oscuro il passaggio, liane che pendono dai loro rami e pochi villaggi. Zeghr è il più grande, è fortificato da ampie mura merlate e circondato da un grande spiazzo. Le case sono probabilmente di legno e mattoni di fango, come nel resto della regione. Sembra che ci siano poche truppe Sunek inspiegabilmente, ma la cosa gioca a nostro favore.-

-Pochi? Siete sicura?- aveva chiesto lui accigliato.

-S-sì colonnello- la ragazza era sembrata arrossire ancor di più. Rhyg l'aveva guardata con tutto il disprezzo di cui era capace. Ecco perché non dovrebbero esserci donne nell'esercito. S'imbarazzano di qualsiasi cosa queste insulse incapaci.

La ragazza l'aveva fissato d'improvviso, aveva colto la sfumatura di astio nei suoi confronti e si era riscossa.

-Compio con cura e meticolosità il mio dovere- aveva affermato con determinazione. Il colonnello non sembrava averlo notato.

L'esercito Tarkir era scemato in Telar come uno stormo di uccelli migratori, una nuvola nera che cavalcava la terra come se fosse l'aria. Avevano predato, saccheggiato, distrutto ogni villaggio tra loro e la grande cittadina di Zeghr. La popolazione era scappata, rifugiandosi tra le sue mura protettrici. L'assedio era cominciato quasi subito.

Rhyg aveva notato la scarsa resistenza che opponevano gli assediati. C'era qualcosa d'indolente, di subdolo, nel modo che avevano di rispondere. Due erano le possibili spiegazioni: o erano solo cittadini, non addestrati, né preparati alla guerra, oppure stavano ordendo qualcosa. Delle due propendeva più per la seconda ipotesi.

Quindi aveva preferito esser cauto: niente fuoco, avrebbe distrutto l'intera città avviluppandola tra le sue spire, impedendo all'Est di avanzare liberamente. Niente colpi sulle mura: meglio se le catapulte, che aveva fatto arrivare dagli artigiani di Catyra e di Nunir, avessero colpito all'interno, più per mettere pressione che altro.

Una grande palizzata era stata eretta attorno alla città, tagliando fuori i rifornimenti ad essa. Era stato tentato di ordinare la scalata delle mura di notte, ma una cattiva sensazione l'aveva dissuaso. C'era come un presagio, un fremito alle caviglie che gli diceva che sarebbe stata una pessima idea.

***

Syas aveva abbandonato con riluttanza le mura domestiche. Aveva stretto le mani gelide della madre tra le sue, le aveva baciate, portandole poi al di sopra della sua fronte. Con occhi colmi di lacrime le aveva annunciato la sua partenza imminente, per riallontanarsi poi con il suo dolce sorriso nella mente e la frescura del suo tocco sulle guance. Le labbra di lei avevano tremato, mentre gli raccomandava di stare attento e di tornare per darle un ultimo saluto, quando la guerra fosse finita.

Il freddo pungente della notte gli fece battere i denti, si rese conto che non era più avvezzo nemmeno a quello. Syas spronò il cavallo sotto la languida luce della luna, accompagnato dal galoppare frenetico della bestia. Non mancava molto a Saegun, la capitale di Noume.

La perla del cielo andava sbiadendo, mentre un fuoco dorato accendeva l'orizzonte di mille riflessi. I tetti tondi e colorati spargevano già le prime voci nel mercato cittadino. Syas entrò nelle imponenti mura: metri e metri di pietre azzurre si estendevano in altezza e in lunghezza, decorate da motivi aurei. Foglie, frutti, simboli di prosperità e di buon auspicio, in una terra desertica e inospitale.

Il chiasso si fece gradatamente più consistente, mentre mercanti assonnati cercavano di attirare l'attenzione del condottiero.

-Questi tappeti sono della migliore lana, intrecciati dalle ancelle di Orah! Vi faccio un buon prezzo!- tentò disperatamente uno di loro, agitando la mano dietro alle sue spalle. L'uomo, notando che Syas proseguiva imperterrito, lo mandò per la sua via con un gesto molto eloquente, ma il giovane non ci fece caso.

Finalmente giunse al palazzo del Khalifa. Gli edifici della città si affastellavano gli uni sugli altri, ma il palazzo era unico e grandioso nella sua bianca solitudine. Il candore delle sue pareti era abbacinante, l'altezza delle sue cupole impressionante. Syas entrò, passando sotto l'ennesimo grande arco. I suoi passi echeggiarono sul pavimento a mosaico, il mantello frusciò nel caldo odore d'incenso. Chiese di poter avere udienza col Khalifa.

Lo fecero aspettare in una sala ottagonale, con una piccola vasca centrale e numerosi cuscini dai colori vivaci. Le palme poste agli angoli della sala si ripetevano uguali per tutta la lunghezza del giardino nel quale la camera si apriva.

Il Khalifa entrò con un'espressione sorniona sul volto. Syas notò che era abbastanza giovane, non doveva avere più di cinquant'anni. Era un bell'uomo, con baffi folti e neri. Uno sguardo cupo e bestiale lo ferì. Il suo sorriso è finto.

Il Khalifa parlò:

-un giovane musshim che torna in patria dopo aver "visitato" la bella Dror mi dicono. Eppure siete entrato con delle armi in casa mia.- L'uomo aveva pronunciato quella frase con evidente ironia.

-Armi che mi sono state tolte- ribatté Syas, -e lo comprendo sommo Khalifa- si affrettò ad aggiungere.

-Come mai siete qui? Mi hanno accennato che non si tratta di una visita di piacere- proseguì l'altro ignorando la sua risposta e pungolandolo ancora.

-No, non lo è. Sono qui in veste di ambasciatore ufficiale di Dror. Come ben saprete il paese è al tracollo, una sanguinosa guerra civile lo sconvolge da più di otto anni ormai. Il Consiglio di Niraen ha recentemente ottenuto delle importanti vittorie, ma non resisterà a lungo. Gli uomini a loro disposizione sono sempre meno e l'avversario è arduo da battere.-

-Sì, la fama di Gorn è giunta fino qui. Ma quello che non capisco è cosa voglia il Consiglio da questo deserto inospitale- disse il Khalifa, allargando le braccia. Ciò che indicava però era tutt'altro che un deserto.

-Chiedono che siano inviati uomini a sostegno delle loro truppe. Invocano aiuto in ottemperanza agli antichi patti tra Dror e Noume.-

Il Khalifa scoppiò in una sonora risata. Si piegò in due, asciugandosi gli angoli degli occhi. Poi riprese la calma e guardò intensamente Syas. Il giovane fu scosso da un sentimento di astio istantaneo e fece fatica a trattenersi dal mettere le mani attorno al collo dell'uomo.

-Stai scherzando spero! Dror vuole che ci immischiamo nei suoi affari? Questi sono problemi tra il Consiglio e Gorn, noi non c'entriamo nulla- disse quest'ultimo mostrando le palme con indifferenza.

Syas espirò rumorosamente e fremette. -No, Dror ha bisogno di aiuto e la cosa riguarda anche Noume. Credete forse che, se Gorn sconfiggesse il Consiglio, Noume sarebbe salva solo perché non siete intervenuti? Non è così. Non conoscete ciò di cui è capace. Egli si chiama "Dio", ma ha ragione di farlo. È dotato di poteri straordinari, può asservire al suo volere ogni uomo con semplici parole, tramutarlo poi in una creatura ributtante e distorta, instillando in lui i suoi pensieri. Cosa pensate di fare quando ogni musshim sarà sotto alla sua leva? Voi che siete così giovane per essere un Khalifa, che conoscenza avete del mondo?- disse rabbiosamente.

-Più di quella che credete. Guardie!- rispose l'altro indignato.

Syas aprì la bocca, ma nessun suono ne scaturì. Abbassò le braccia e scosse la testa. Due uomini entrarono e si avvicinarono a lui, lo presero per le braccia.

-Cosa si dirà della fedeltà di Noume? Dror c'è sempre stata per aiutare Noume a costruire il suo potere, ergendola anche sulle proprie spalle, se necessario. Cosa si dirà del Khalifa che ha tradito l'onore dei musshim?- urlò il giovane mentre lo spingevano verso l'uscita. Le sue parole colpirono il bersaglio. Il Khalifa s'irrigidì. Levò una mano fermando le guardie.

I suoi occhi trapassarono Syas come stiletti. Non parlò per molti minuti.

-Forse aiuterò Dror, forse no. Te ne andrai senza la certezza della mia risposta- disse infine, per poi voltarsi e sparire oltre le colonne del giardino.

***

Le frecce sibilavano da ore ormai tra le due parti della barricata. Rhyg finalmente aveva avuto la soddisfazione di vedere una risposta un po' più tenace dagli assediati. Nugoli di spilli si abbattevano tra i suoi balestrieri e gli arcieri appostati sulle mura, fischiando e stridendo l'aria col loro taglio. Gli arcieri erano a tiro, ma anche i balestrieri lo erano. Dei due chi aveva il vantaggio in altezza erano gli assediati. Per questo Rhyg li stava lasciando fare. Avrebbero presto finito le frecce di questo passo. E le risorse.

I lancieri alle sue spalle fremevano d'impazienza, ma Rhyg non si scompose. La schermaglia sembrò scemare, così com'era venuta, con il posarsi delle prime nubi sull'orizzonte. Il sole si abbassò lentamente, mentre il silenzio sospinto dal vento giungeva all'accampamento dei Tarkir.

La luce del tramonto immerse una piccola folla che sembrò materializzarsi fuori dalle porte della città. Le "bocche inutili" venivano cacciate: donne e bambini, che si nutrivano a spese delle scorte cittadine, ma che nulla potevano fare per difendere Zeghr. Sperano che, così facendo, saranno un peso a nostro carico.

Poi una vibrazione ritmica percorse il suolo. Rhyg fu scosso da un brivido. Lo stesso suono l'aveva udito tra i crepacci di Dydesh, quando le donne-ragno li avevano attaccati. Guardò meglio la piccola folla in avvicinamento. Il sole tramontava alle loro spalle, quindi la luce non permetteva di scorgerli adeguatamente. Eppure Rhyg ci avrebbe giurato, si muovevano a ritmo. Avanzavano inesorabili, con movimenti ritmati e ondeggianti, sinuosi, come serpenti.

Rhyg mise a fuoco, non c'erano bambini. Erano solo donne. La loro pelle candida riluceva nuda, bagnata dagli araldi del sole. Le sottili vesti trasparenti si adagiavano sui loro fianchi danzanti, i capezzoli turgidi si lasciavano ammirare tra le vesti, mentre l'oscillare delle loro gambe incantava i Tarkir. Le donne si abbassavano, mostrando il sedere prosperoso, si voltavano con le bocche umide di desiderio, ancheggiavano pronte a farsi prendere.

Rhyg percepì un movimento nei suoi calzoni. Accolse l'idea che si faceva strada in lui di conquistarne una per sé. Erano così belle, l'avrebbero fatto stare così bene. Tutte, le voleva tutte con sé. Era il colonnello dopo tutto e poteva permetterselo. Già le vedeva nude addosso al suo corpo, gementi e imploranti. Il ritmo del tamburo si fece più forte, pompando il sangue nelle sue vene verso il basso.

Rhyg allungò la mano, sfiorando quasi le dita di una di loro che lo chiamava con movimenti lenti e cadenzati. Poi, improvvisamente, un viso attraversò la mente di Rhyg. Un nome, un solo nome sarebbe stato inciso sul suo corpo per sempre, l'aveva giurato. Aki.

Il suo cuore si fermò nel ricordare quel dolce viso incorniciato da capelli corvini. Il sorriso largo e luminoso, la porpora sulle guance nei momenti di rabbia o felicità. Le sue braccia attorno alla vita, la risata argentina con la quale lo accoglieva. Aki.

Il pallore cinereo della malattia, il freddo delle labbra spente in quella fredda giornata di fine autunno. Aki.

Rhyg si riscosse. Portò la mano all'elsa della spada. Indietreggiò lentamente: molti dei suoi uomini erano già caduti, pietrificati al tocco delle odalische. Sguainò la lama e fronteggiò la donna che gli stava davanti. Quella non si scompose, sollevò un sopracciglio, quasi divertita, e continuò a ballare con ritmo più serrato, avvicinandosi ad ogni passo. Rhyg tremò, non poteva colpire una donna.

Con l'angolo esterno dell'occhio colse un movimento. Qualcosa stava strisciando ai piedi della ballerina. Un grosso serpente bianco, enorme. Come ho fatto a non vederlo prima, dannazione!

Rhyg si sbilanciò nel tentativo di vedere se ce ne fossero degli altri. Il campo di battaglia ne era disseminato. Qualcosa gli sfiorò il viso. Istintivamente indietreggiò, schivando il mortale tocco della sua tentatrice. Rhyg spazzò l'aria senza nemmeno accorgersene, ferendola al fianco. La donna abbassò lo sguardo sul ventre leso, poi lo rialzò sul colonnello. Urlò, tanto forte da spaventarlo. I suoi lineamenti sensuali si distorsero in una maschera orrenda, percorsa da disegni tribali che solo ora erano visibili. I capelli si animarono, ondeggiando minacciosi e mordaci. Le gambe si tramutarono in una coda coperta di scaglie.

La creatura si scagliò contro Rhyg, atterrandolo. Egli riuscì appena in tempo a mettere la spada di traverso, sfruttandola per tenersi a distanza dalle letali dita della medusa. Il colonnello portò le ginocchia al petto e le usò per far leva sul corpo di lei. La scagliò lontano, rimettendosi in piedi con un unico colpo di reni. Quella non tardò a ricomporsi, tentando di nuovo l'assalto, sta volta assieme alla serpe bianca che l'accompagnava. Rhyg ruotò su sé stesso caricando il corpo. Le teste della creatura e del pitone rotolarono ai suoi piedi.

Le altre odalische si voltarono, tramutate dallo stesso urlo disumano in bestie. L'incanto si ruppe e anche gli altri uomini le videro per quello che erano.

-Tagliate le teste di tutti i serpenti!- urlò il colonnello con foga.

Lo scontro si protrasse ancora per un paio d'ore dopo che il sole era calato. Zeghr fu imbrattata dal sangue delle donne e dei loro uomini.

Spazio autrice:

Eccoci qui ragazzi! Il fronte si sposta sempre più a Ovest, ma Gorn ha sempre degli assi nella manica. Ce l'avrà fatta Syas a convincere il Khalifa? E ce la faranno i nostri eroi a trovare l'Aina?

Intanto volevo rinnovarvi i miei ringraziamenti. Ho visto che ci sono nuovi lettori, lettori silenziosi ma che apprezzano. Grazie over 9000! <3 vi voglio bene.

Poi ne approfitto per dedicare questo capitolo a Giona (visto che nessuno ha colto la mia piccola sfida, sigh). Le mie odalische non sono sexy come la tua Islalisk, ma ci ho provato u.u grazie anche a te, di tutto il supporto :D

La sfida resta valida per questo capitolo: che corruzione è questa?? Su questo vizio è facile u.u

Ci vediamo presto :*

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