Capitolo 1 -Ritorno a casa-

Il vento gemeva tra le colline rosse di Tirija, alzava la polvere amaranto, scuoteva tristemente le fronde degli abeti secchi. Il legno del passaggio scricchiolava, ma il torrione era vuoto: la porta spalancata, le scale diroccate, il tetto crollato. Sembrava che tutto trattenesse il respiro. Tra le mani la terra era arida e sabbiosa, lo scalpiccio degli stivali echeggiava nell'aria, il respiro si perdeva nelle folate. L'alito freddo che proveniva dalle montagne le pungeva il naso.
Quel luogo non era mai stato così deserto.

Ricordava quando il terreno era umido e il cielo nero, quando i ribelli ne avevano fatto il loro rifugio e gli arcieri ne bloccavano l'avanzata ogni giorno. Ora le nubi erano verdastre e non c'era l'ombra di creatura vivente in quella landa sperduta. Era vicina, così vicina a casa...

Si diresse verso il sentiero che s'inerpicava dietro al cimitero, giù verso quella grande depressione del terreno dove avevano tante volte difeso la cittadella. La rocca era un fantasma. Un tempo i mercanti dalle voci profonde attiravano l'attenzione dei passanti e la musica proveniva dagli ostelli vicini.
Camminava lentamente, trascinando il peso del suo corpo stanco, di ritorno da un viaggio lungo e solitario. Svoltò verso la montagna, l'aria fredda la fiaccava e le feriva il viso. Una grande pietra tombale, con la superficie graffiata, recava una scritta appena leggibile:

" Evandrus

Gutta cavat lapidem ".

Chiuse gli occhi e sospirò un momento. Guardò l'orizzonte, doveva andare ma ancora non poteva lasciare quel sepolcro.

Le stelle si accesero sulla sua testa mentre un fiume di pensieri le investiva la mente. Lasciò che l'attraversasse, che i ricordi avessero la meglio per qualche momento: i suoi occhi ancora si riflettevano in lei, ancora la rassicuravano e le sorridevano, ancora le era compagno e fedele amico. Ora correvano sull'erba fresca, ora nuotavano nel lago, ora affrontavano assieme l'addestramento, per poi scagliarsi sul nemico come fossero una sola cosa. Di tutto ciò rimaneva una pietra fredda, nella quale i resti di Evandrus giacevano dimenticati, faccia a faccia, assieme a quelli di molti altri combattenti.

Raccolse qualche ramo secco e delle erbe profumate, eresse una piccola pira alla maniera degli orientali e sussurrò qualche richiesta al monaco.

Il crepitio delle fiamme la ridestò dai suoi pensieri, così si rialzò e si diresse verso il passaggio. Lo guardò a lungo cercando un segno di vita dall'altra parte ma nessun rumore si sentiva; talvolta i nemici si erano arrampicati su per le colline tentando l'invasione, ma non c'era anima viva nemmeno sulle alture.

S'issò su uno di quegli alberi enormi che spesso venivano abbattuti per costruire i carri.
Da lassù riuscì a scorgere con chiarezza come il paesaggio fosse mutato: vedeva il fuoco che aveva piegato la rocca, i fumi tossici della palude provenire dall'orizzonte e la gente scappare diretta verso est al sicuro. Le sembrava di sentire il pianto dei bambini, gli attacchi dei ribelli per coloro che avevano scelto di attraversare le cave e le paludi. Poteva immaginare la carovana di quelli che, scortati da pochi cavalieri attraverso il territorio di guerra, avevano preferito raggiungere il castello di Irdia.
Percepiva ogni lacrima, ogni battito, ogni caduta e ogni sussulto. Scese dall'albero con l'animo fortemente scosso.

Si diresse verso la palude, doveva giungere al confine con la zona di guerra. Lì, nascosto tra gli arbusti, un piccolo sentiero scendeva quasi in verticale nelle profondità del terreno. La nebbia era densa e l'aria irrespirabile, la calura della palude, per come la ricordava, a confronto con il confine con la gelida Nirel, era insostenibile e si ansimava ad ogni passo.

Ma quando giunse al confine non poté che notare l'assenza della nebbia e del caldo. Guardando giù poteva chiaramente scorgere l'entrata alle cave, il lastricato semi-sommerso dalla melma.
Si voltò verso il ramo del viottolo che portava a nord, da dove spirava una dolce brezza fresca e da dove non giungeva suono, né di zoccoli di cavalli, né il clangore delle armi. Come tutto era cambiato.

Procedette verso le cave, ma a metà strada, scivolando quasi verso il basso, si fermò voltandosi verso destra per frenare. Gettò un pezzo di legno nel pantano e mentre questo veniva risucchiato, si accovacciò aspettandosi di vedere un'arpia emergere dal limo per attaccarla. Ma non venne. Non c'erano più nemmeno quelle bestie.

La cosa la lasciò talmente basita che per molti minuti non fu in grado di rialzarsi. Salì le scale ascoltando il suono metallico degli stivali sul marmo. Di fronte a lei vi era la grande parete muraria dell'antica fortezza, nel cui seno molti anni prima la guerra era incominciata. Penetrò attraverso una fessura nel muro e si addentrò a tentoni nella semioscurità di quel dedalo di corridoi. Spesso si udivano tonfi e sgocciolii, ma la cosa non la disturbava. Il palazzo fatiscente era abbandonato ormai da molte lune e creature selvagge ne avevano fatto la propria dimora.

Giunse in un'ampia sala con il tetto crollato e si accampò per passare la notte, stringendosi nell'unica coperta che aveva. La svegliò l'alba umida e gelata. Si rimise in piedi e continuò a camminare fino all'ingresso. Spalancò un grande portone e ne uscì su di un'enorme strada in discesa. Ora poteva sentire quasi ad ogni passo il villaggio più vicino. 

Il colpo non tardò ad arrivare, un sibilo sinistro fendette l'aria appena sopra al suo orecchio. Ella si abbassò e schivò, mentre un grosso centauro riprendeva l'equilibrio dall'aver appena mancato il bersaglio. La bestia si ergeva imponente davanti ai suoi occhi con l'ascia stretta in mano pronta a calare su di lei. Ella attese, scartò di lato e si lanciò su di lui, ficcandogli le dita negli occhi. I centauri erano lenti e Awryn non perse l'occasione. Un forte schiaffo sulle orecchie e la creatura perse l'equilibrio e cadde, dandole modo di fuggire. Aveva il fiato corto e si dovette fermare mentre un sapore metallico le riempiva la bocca, ma se non altro ora sapeva di non essere sola in quel luogo.

Dopo alcune ore di cammino ritrovò la via principale, ma ancora un'altra notte dovette accamparsi prima di raggiungere la meta. Appena i primi raggi del mattino la svegliarono riprese il viaggio, quasi ubriaca della voglia di ritornare a casa. E ancora più lo fu quando conobbe le nuvole nere, quando la pioggia bagnò le piastre dell'armatura creando quella musica così familiare.

Continuava a ripetersi che mancava poco e il cuore le esplose quando vide la porta di Tirija, la salita, la grande curva. Sapeva che lì dietro, tra le rocce avrebbe visto spuntare i fili d'erba e li avrebbe visti moltiplicarsi a milioni, avrebbe sentito il ronzio degli insetti nei fiori, lo scrosciare della cascata. Era lì ferma quasi incapace di proseguire.

*****

Curioso come a distanza di anni ricordiamo perfettamente la strada che ci ha portato ad una tappa importante della nostra vita, ma facciamo difficoltà a trovare quella di casa. Curioso, come il nostro istinto ci guidi nell'oscurità verso una flebile luce, anche se lontana.

Ella aveva seguito quella forza primordiale dentro di sé e si era allontanata. Aveva conosciuto diverse ere di sé stessa, ma nessuna ora le apparteneva più. Awryn sapeva che c'era stata un'era in cui era caduta, una di ghiaccio in cui si era allontanata, perdendosi nelle tenebre della sua anima. Ed ora? In che epoca si trovava? Era tornata nella terra natia, sospinta dalle correnti del caso e forse era proprio questa l'era che stava vivendo... dunque qual'era ora la sua natura?

La pioggia cessò, le nubi si diradarono ed era ancora lì ferma. I capelli bagnati le gocciolavano sul viso. Non sapeva come avrebbe reagito se avesse trovato il villaggio distrutto, o se anche un filo d'erba fosse cambiato. Ma doveva vedere, doveva sapere.

Aprì gli occhi, aspettò che si abituassero alla luce e poi la vide, la sua terra: la brezza muoveva dolcemente quel mare verde, gli alberi gettavano una piacevole ombra sulla strada, i coleotteri s'inseguivano tra le fronde. Il grande fiume della sua giovinezza scorreva placido, lontano dai tumulti della guerra. 

Attraversò il ponte con calma e raggiunse le porte della città. Due guardie la fermarono:

-dichiaratevi!- intimò uno di loro.

-Awryn di Archlorves, disertore- rispose lei rassegnata. Il destino che le spettava sarebbe stato tutt'altro che piacevole, ma continuare a fuggire le era impossibile.

Ella aveva perduto Evandrus per la sua scarsa cautela. Lui l'aveva seguita in quel suo dibattersi spasmodico, nella ricerca di sé sul campo di battaglia. Awryn aveva saputo di non essere pronta, ma si era lanciata, disposta a morire per un'idea, ma lui, lui era morto e con lui la sua intera infanzia era sparita.

Tutte le idee che aveva avuto sulla guerra erano sbagliate, non c'era onore, né gloria nella morte e nel sangue versato. Il desiderio di tenere alto il nome della famiglia era scemato. Era rimasta da sola e per lunghi anni aveva vagato senza meta tra lande desolate. Infine quel dolore e quella paura si erano cicatrizzati: di nuovo più forte in lei si era fatto quel senso di ingiustizia, di ribellione e di lotta che giaceva latente al fondo delle sue pene.

A cosa serviva morire? A cosa vivere? In giovane età aveva quasi desiderato una morte che fosse giusta e onorevole, come se tutta la sua intera esistenza potesse essere purificata da quell'unico atto finale. Ora combattere non era più la ricerca di una morte giusta, ma di una vita giusta.

Le guardie le legarono i polsi e la scortarono attraverso le vie del borgo. Kimia non era cambiata: i fabbri battevano i martelli nelle loro fucine, i mercanti trattavano con i paesani e con i fattori, i carretti si affrettavano sulla strada. La fontana nel centro della piazza zampillava e richiamava i bambini.

Awryn pensò a suo fratello Moem, lontano e solo... doveva esser cresciuto. Le sembrò che i suoi pensieri le premessero contro le tempie dal centro del cranio, come a voler bucarle le ossa per uscire. La corda le segava i polsi ma continuò a camminare senza emettere un suono.

Arrivarono di fronte ad un grande palazzo squadrato e Awryn fu spinta in una stanza male illuminata e puzzolente di fumo. La scrivania, uno dei pochi pezzi di mobilia dell'intera sala, era invasa da carte e mozziconi di sigari, il cui odore nauseante permeava l'aria, rendendola irrespirabile. La porta alle sue spalle si aprì ed entrò un uomo con corti baffi canuti e l'aria di chi viene interrotto nel momento sbagliato. L'uomo sorrise maligno:

-così hai la faccia tosta di farti rivedere qui, sciocca ragazza? Dopo che ti sei cagata addosso solo perché il tuo stupido amichetto è morto? Cosa ci fai qui? Spiegamelo. Ti aspetta una picca, lo sai, vero?- le disse ghignando.

-Evandrus era un valoroso guerriero, sergente Roin- rispose lei tranquilla.

-Dimmi, stupida, cos'hai intenzione di fare? Sei così vigliacca da non riuscire a toglierti la vita da sola? Una nullità come te- proseguì lui, allargando le braccia in segno di disprezzo –dovrebbe essere in strada a battere!-

-Ripongo il giudizio della mia causa in mani più eque delle vostre- rispose lei ferma, valutando le sue possibilità -chiedo il reintegro nell'esercito-. Una nota di disgusto attraversò lo sguardo di Roin.

-Quindi ti appelli al codice?- disse a denti stretti. Vi fu un lungo silenzio mentre i due si squadravano, poi infine Roin annuì.

-Bene, vedrai cosa ti aspetterà se la tua richiesta verrà accolta. Guardie! Sbattete la signorina in gattabuia! I disertori restano tali fino al momento in cui non diventano pedine- concluse Roin soddisfatto.

Le corde furono sostituite da manette di metallo, Awryn fu condotta lungo una scala a chiocciola nei locali sottostanti il palazzo e rinchiusa in una cella angusta, umida e fredda.

Di tanto in tanto udiva lo squittio di topi e si sentiva profondamente disgustata da quelle bestie, così come da Roin.

Era stato suo maestro d'armi all'accademia. L'aveva costantemente vessata, perché donna, perché bassa e appesantita da un seno non trascurabile. Era stata denigrata, ma era andata avanti, convinta di voler portare alto il nome della sua casata.

Le capitava talvolta di pensare ai suoi genitori, sapeva che in parte gli somigliava. Camminava sicura, la schiena dritta, le mani lungo i fianchi che ondeggiavano, lo sguardo alto e fiero. La camminata l'aveva presa da sua madre, una delle poche cose che ricordava di lei. Ricordava poco il suo aspetto, ma gli occhi, quelli era impossibile dimenticarli. Due occhi sicuri, di quello che vedevano e di quello che volevano, eppure benevoli. Ricordava la sua ninnananna e la sua lunga treccia, che anche lei portava.

Da suo padre aveva preso il sorriso mesto e sincero ma trattenuto, come se al fondo vi fosse sempre qualche amarezza, l'idea che i momenti felici prima o poi finiscano. Per il resto rammentava poco di entrambi, ma molto l'aveva appreso dai racconti dei nonni e degli abitanti del villaggio.

Quel ricordo melanconico la investì come un onda di calore. Troppo presto avevano lasciato lei e Moem. Lei stessa troppo prontamente aveva lasciato il fratello, convinta di voler essere un modello per lui, come i loro genitori lo erano stati per lei.

La schiena le doleva sul pavimento gelido e le dita perdevano sensibilità. Sentì improvvisamente tutta la stanchezza di quel lungo viaggio. Un viaggio fuori e dentro di sé, che l'aveva portata in una cella buia e silenziosa. I suoi sensi si ottenebrarono e infine si addormentò.

*****

Awryn trascorse dietro quelle sbarre una settimana. Vedeva solo la figura coperta di cenci che le allungava una brodaglia indefinita contenuta in ciotole di latta. Non parlava, non la guardava, non respirava quasi.

Arrivò poi il giorno in cui sentì l'avvicinarsi delle guardie cittadine dal rumore dei loro passi pesanti. Roin le si pose davanti.

-La tua richiesta è stata accolta favorevolmente dal consiglio. Sarai reintegrata nell'unità di cui io sarò a capo, assieme ad altra feccia come te- le disse con un'espressione a metà tra rabbia e ribrezzo.
-Per ora sarai trasferita a Xanj, dove attenderai l'ordine per la partenza. È tutto- concluse seccamente.

Se Kimia era un avamposto quasi esclusivamente militare, Xanj era il vero villaggio della regione di Yeser. Si trattava di una grande cittadina, stretta fra le colline verdeggianti che si addossavano al fiume e che prendeva corpo proprio dal punto in cui queste colline si interrompevano, consentendole di avere un piccolo porto fluviale e un discreto commercio. Vi erano pescatori, sarti, artigiani di ogni tipo. L'unico contingente militare presente era quello in licenza alla base di Lolindir. Entrando nella caserma la puzza di aria consumata la investì. Non erano molte le donne arruolate e l'odore tradiva quest'aspetto.

Lolindir era un uomo di mezz'età, con lunghi capelli già bianchi e spessi occhiali tondi. Il suo volto rivelava una bellezza accartocciata dal tempo sotto uno sguardo sicuro di sé. Era stato un mentore ai tempi delle prime battaglie e quando la vide il suo volto non mostrava segni di sorpresa.

-Così sei tornata- le disse tranquillamente –me l'aspettavo anche se, francamente, non ho capito perché sei andata via-.

-Vuole la verità, immagino. Senso di solitudine... e paura- disse lei abbassando lo sguardo.

-Paura per te?-

-Paura di essere fuori posto- rispose lei sospirando.

-Ed ora?-

-Ora non ho nessun posto da cui essere fuori e niente da perdere ormai- rispose lei stringendosi nelle spalle.

-Dimostra il tuo valore Awryn. Lo intravidi nella tua determinazione quando eri poco più che una bambina, ora dimostra quello che vali- le disse lui congedandosi.

Il contingente di riposo a Xanj non era un contingente qualsiasi. Si trattava di una squadra di alcuni elementi scelti, guidati da un giovane capitano. Questi aveva un forte accento del sud, un perenne sorriso ebete sulla faccia e un grosso baule di raccomandazioni sotto al sedere. Il suo nome era Onji e ad Awryn diede subito una pessima sensazione.

Vedendolo la prima volta ella non poté non pensare che aveva qualcosa di furtivo nel modo di fare, come di chi colto sul fatto, tenta di dissimulare con una falsa pacatezza. Benché egli fosse evidentemente ricco di nascita, come testimoniava la decorazione sulla sua veste, si pavoneggiava delle sue doti in battaglia, attribuendo a queste la sua posizione, piuttosto che alle sue origini. Si avvicinò ad Awryn, appena lei uscì dall'ufficio di Lolindir. Evidentemente doveva aver origliato la conversazione dietro la porta aperta. 

-Una disertrice...- disse con aria di sufficienza -sì il fronte non è posto per tutti chiaramente, ma se ti riammettessero, questo vorrebbe dire che avresti bisogno di una spalla, di una guida, per così dire di un'ala che ti offra protezione.-

-Non credo di aver bisogno di protezione, mi difendo da sola e non voglio dover dire grazie a chicchessia- tagliò corto lei.

La infastidiva esser considerata una "donna" in quell'ambiente, un essere fragile e volubile, un qualcosa che doveva essere aiutato, non rispettato, né tanto meno temuto.

Si allontanò seccata e si mosse in cerca della sua stanza. Chiese informazioni e le dissero che avrebbe potuto condividerla con l'unica donna presente alla base. 

Questi non era in camera quando Awryn entrò, così lei si sedette sul letto più sgombro dagli indumenti. Sembrava che ci fosse più polvere che aria in quella stanza, volteggiava nella luce che penetrava dalla finestra semi interrata, oscurando con la sua patina ogni oggetto, eccettuato per un ceppo, nel quale erano infilzate lame di varia misura.

-Si tanto ne hai di strada da fare prima di arrivare al mio record, imbecille- disse una voce nasale dal corridoio.

-Credici pure Corse, non sai nemmeno tener su la spada- gli rispose un'altra voce, profonda e spaccona.

I due si stavano evidentemente sbeffeggiando mentre si avvicinavano alla porta, quando poi si fermarono sulla soglia, Awryn li poté scorgere: uno era alto e sottile, con un lungo naso e lineamenti delicati. L'altro era più basso, con baffetti neri e una bocca larga, intenta in una sonora risata, che si arrestò bruscamente quando la notò. La sua mano rimase chiusa in un pugno a mezz'aria, a pochi centimetri dallo stipite della porta. 

-Ehi là nuova?- disse il più basso dei due.

-No, o forse sì... sono nell'unità del sergente Roin- rispose lei mestamente.

-Oh beh come la tua compagna di stanza d'altra parte, sarai mica una violenta come lei?-

-Che cosa vai blaterando idiota di un miornista? Credi di essere tanto superiore con quell'accento orientale? Ma va, tra un po' ti useremo come palla per le catapulte!- gli rispose una voce femminile dal corridoio.

Apparve dietro i due una ragazza in armatura di pelle. Aveva occhi sottili a mandorla e il viso contratto in una smorfia, ma era giovane, poco più che una bambina. Ella li spinse via ed entrò con fare deciso, tese poi la mano ad Awryn e gliela strinse tanto quasi da stritolargliela.

-Soldato semplice Farkas, piacere. Loro sono due idioti, non ci badare.-

-Io sono Naraas signorina, molto piacere- disse il baffuto sorridendo.

-Caporale Corse- disse il ragazzo alto con la voce nasale sollevando una mano nel saluto militare. Awryn, che nel frattempo si era alzata in piedi, rispose al saluto.

-Dovrai guardarti da questi zucconi- commentò la ragazza. I due si guardarono con aria a metà divertita a metà sconsolata.

-Ma anche dalle poppanti. È inutile Farkas non imparerà mai a portare rispetto a chi è più alto in grado di lei- commentò ridendo Naraas.
Iniziarono a bisticciare tra di loro, ma sembrava che si divertissero piuttosto che si stessero effettivamente provocando, come se quel copione fosse stato già interpretato diverse volte.

-Forse farei meglio a farti conoscere gli altri idioti di questa caserma, almeno saprai con cosa avrai a che fare- disse Farkas. -Seguimi!-

Awryn salutò gli altri due, che nel frattempo avevano ripreso il discorso, lì sulla soglia e seguì la sua camerata. Entrarono in una specie di salottino, dove ragazzi e uomini di diverse età stavano giocando a carte e discutendo animatamente.

-Nunir sta resistendo strenuamente, ma non ce la faranno per molto ancora- diceva un ragazzino calmo e serio. Era evidentemente più piccolo di molti dei presenti, aveva forse diciassette anni e capelli lunghi e disordinati.

-Ho sentito che arriverà anche per loro un contingente da Niraen, anche se il Consiglio di Miorn non sembra interessato a difendere il confine con Catyra. È la zona meno popolata del regno e probabilmente preferiscono concentrare gli sforzi più a nord- rispose un tipo alto con la faccia lunga, gettando una carta sul tavolino.

-Tre! Mi spiace per tutti ragazzi, ho vinto! Comunque la trovo una cosa stupida. Ovviamente da Nunir sarà semplice raggiungere Yeser, e una volta presa Yeser avranno la possibilità di muoversi come vogliono. Staranno di certo puntando a quello. Non sono passati da Tirija perché è una regione troppo impervia. Paludi a sud e monti a nord- sentenziò un ragazzo dalle occhiaie profonde.

-Penso anch'io che ci stiano tenendo impegnati sul fronte di Baillor, per passare inosservati a sud, stiamo correndo un rischio troppo grande. Fischetta?- chiese il ragazzo allampanato. Farkas gli allungò una bottiglietta ambrata, attirando l'attenzione sulle due ragazze.

-Farkas! Bellezza, chi ci hai portato?-

-Lei è Awryn, è nell'unità del sergente Roin con me. E loro sono Okksel, -disse indicando il ragazzo dai capelli lunghi -Aner,- fece un cenno verso il ragazzo con le occhiaie, che le rispose con un gran sorriso, -e Syas- concluse alludendo al ragazzo alto che le restituì l'alcolico.

Awryn si sentì osservata, eppure non era troppo a disagio. La sua attenzione era stata carpita dal discorso interrotto poco prima, quindi si limitò a fare un gesto di saluto e a chiedere:

-Avete idea di dove ci manderanno?-

-Andremo tutti a nord, Baillor riesce solo a tenere il confine ormai. Hanno bisogno di noi e da quel che ne so anche Roin sarà mandato lì- sentenziò Aner, prendendo la boccetta che gli veniva offerta.

-E a sud basterà un'unità?- chiese lei dubbiosa –ho passato gli ultimi due anni a Catyra. Ultimamente notavo i segni della presenza di esploratori.-

-Questa è decisamente un'informazione utile!- esclamò Syas alzandosi di scatto dal divanetto e prendendo qualcosa da una libreria. Il ragazzo spazzò via le carte con una mano dal tavolino e vi aprì sopra una mappa.

-Mostraci dove le hai viste!-

Awryn indicò alcuni punti sulla mappa, poco dopo la sorgente del Grande Fiume e altri più a nord, tra i monti al confine con Tirija.

-Bene, mando subito un comunicato al capitano.-

-Onji?- chiese Awryn, stupita. Infondo era solo al piano di sopra, che bisogno c'era di un comunicato?

-No di certo! Onji non sa distinguere il calzare destro dal sinistro, figurarsi capire qualcosa di strategia- rispose Aner ridendo sonoramente, seguito a ruota dagli altri.

Continuarono a discutere tutta la sera, vollero conoscere la storia di Awryn ma non giudicarono. Ella stessa, che dapprima era stata un po' intimorita dall'affiatamento che sembrava regnare nel distaccamento, iniziò a sentirsi inaspettatamente a proprio agio. Forse perché c'era nei loro atteggiamenti un senso di familiarità che non trovava da molto tempo, non percepì quello stordimento e quell'imbarazzo che in genere sottende situazioni simili.

Lentamente il calore delle loro risate la coinvolse, trascinandola di nuovo ai margini di una quasi vita, facendole dimenticare per un attimo quella sua tremenda abitudine di non ridere. 


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