Compiti per casa.
La campanella che suona mentre sono ancora in piedi, al lato destro della cattedra, mentre la professoressa Girolami mi guarda con aria interrogativa, mi salva anche questa volta.
Le rivolgo un sorriso di circostanza, roteando il dito in aria come a dire "ha sentito anche lei?".
Lei mi lancia mille occhiate di fuoco, rotea gli occhi e mormora infastidita un «Sì. Vai.»
Non posso manco biasimarla.
Ad essere onesti, pure io, fossi professore, me lancerei proprio i libri, mica solo le occhiate.
Ma mica è colpa mia se di matematica proprio non ce capisco niente.
Negli ultimi periodi, anzi, ho raggiunto perfino una stentatissima sufficienza.
Tutto merito di Simone, ovviamente.
A casa, mi lascia copiare tutti gli esercizi, alcuni riesce pure a spiegarmeli talmente tante volte che alla fine sono convinti d'averli capiti- poi magari ce provo da solo e m'accorgo che non è così!- ma in quell'istante in cui credo d'aver capito come funziona la matematica, giuro, me sento in pace con il mondo.
Azzardo un secondo sorriso e «Quanto ho preso?»
Sento i nervi della professoressa scricciolare già a questa distanza.
Immagino la scena: una matassa di filamenti nervosi che si sgretolano pian piano dentro la sua testa.
Cerco di trattenere una risata, mordendomi le labbra fino a farmi male.
«Cinque?»
«Sei. Voglio premiarti per-» racimola quanta più aria possibile con un grande respiro, forse per calmare i nervi «l'impegno che stai mostrando. Quindi sei. Puoi andare a posto.»
Ringrazio con un cenno del capo, mentre raccolgo il mio quaderno dalla cattedra e torno a posto, sedendomi accanto a Simone.
«Sei stato bravo» mi dice, girandosi a guardarmi giusto un secondo.
Quel secondo che io colgo per stampargli un bacio sulle labbra, che tanto che c'amiamo ormai lo sanno anche i muri e i nostri baci non fanno più scalpore.
Per fortuna.
«L'ho sfangata anche 'sta volta, ma se conosco 'ste quattro cose è merito tuo.» ammetto, prima di lasciare un secondo bacio.
Vorrei spingere la lingua oltre quelle labbra, ad incontrare la sua, ma cerco de mantenere un po' di contegno.
Mi tiro sù, prima de fà danno.
«Come mai non arriva ancora nessuno? Un ce stava Lombardi?»
«Lombardi è malato, torna lunedì prossimo.» risponde Matteo, che intanto si è avvicinato a noi.
«Uuuh mannaggia, che peccato!»
La voce è quella più teatrale e fintamente melanconica che riesco a fare, so che diverte Simone e infatti, puntuale come sempre, Simone scoppia a ridere.
Simone ride.
Dio mio, che risata meravigliosa che c'ha.
Quanto lo amo.
Quanto lo voglio sposà.
Vabbè, prima magari me sistemo e poi ce sposiamo.
Prima me sistemo, poi me compro una macchina e poi ce sposiamo.
Me sistemo, compro una macchina, compro 'na casa e poi ce sposiamo.
Vabbè, 'nsomma, prima o poi ce sposiamo.
Questo è sicuro.
«Amore, ma tu me vorresti sposà?» chiedo, completamente sovrappensiero.
Strabuzzo gli occhi mentre lo vedo tossire nervosamente, quasi strozzato dalla sua stessa saliva.
«Te prego, non me morì adesso!» dico, tra le risate.
Gli do qualche pacca sulla schiena, prima di cercare tra i libri dello zaino, una bottiglietta d'acqua che sono sicuro ci sia.
« Te vorrei portà all'altare possibilmente da vivo»
«Ma te pare il momento pe' farme la proposta!?» tenta di dire, tra un colpo di tosse e l'altro.
É ancora paonazzo in volto ma con qualche colpetto sul petto, il respiro si regolarizza e torna a parlare normalmente.
«Sei proprio un cretino!»
Ecco, forse era meglio che tossiva.
«Non te sto a fà 'a proposta! Sto ipotizzando! » mi giustifico, sbracciandomi come ad indicare un futuro molto lontano che si prospetti di fronte a noi.
Simone ride di nuovo, abbassando lo sguardo e scuotendo la testa com'è suo solito fare quando proprio non sa che dire.
Alza la testa qualche istante dopo, mi guarda e «Comunque sì. Io ti voglio sposare.»
Mi abbasso a baciarlo ancora una volta, forse sono stato un po' troppo avventato nel gettarmi su di lui.
Me ne accorgo perchè barcolla un attimo sotto il mio peso, spingendosi contro lo schienale della sedia.
«Core mio!»
Mi guarda, con quegli occhioni giganti e mi sorride.
Tuffo una mano tra i suoi ricci, portandoli indietro, a scoprire la fronte e quasi mi riavvicino per baciarlo quando mi accorgo dell'orario che lampeggia sul display del cellulare acceso.
Mancano meno di venti minuti al nuovo cambio dell'ora.
Lascio un rapido bacio sulla sua fronte e mi tiro sù, controllando le tasche alla ricerca di spicci.
«Me vado a prende 'n caffè, che me serve pe' sopravvive.» dico, strappandogli un sorriso.
Lui annuisce e io mi avvio verso l'esterno dell'aula per raggiungere quei distributori che c'avranno pure l'età della pietra e funzioneranno pure a forza de cazzotti, ma fanno ancora il loro dovere.
Recuperato un caffè, torno in classe.
Simone è ancora seduto al suo banco, me infastidisce un po' vederlo restare solo ma ormai ce sò quasi abituato. E purtroppo, anche lui.
Mi avvicino piano, lo vedo scrivere sul diario aperto.
L'espressione concentrata, le sopracciglia lievemente aggrottate e quegli occhi profondi nei quali sembrano viaggiare miliardi di pensieri, lo rendono ancora più bello.
I ricci cadono scomposti sulla fronte e quasi sembrano illuminati dalla luce riflessa dagli anelli che porta alle dita.
«Ma te stai ancora a scrive i compiti per casa?»
«Mh mh.»
«Non te va de uscì un po' con me, mh?»
Scuote la testa, in senso di diniego.
«Te va 'n goccio de caffè?»
Non mi risponde nemmeno, tanto è concentrato.
Allora me metto seduto accanto a lui, butto giù l'ultimo sorso di caffè e allungo un po' lo sguardo per capire cosa stia scrivendo su quel piccolo foglio che si riempie vorticosamente di parole.
«Sò tanti 'sti compiti.» faccio notare.
Smette di scrivere per qualche istante, giocherellando nervosamente con la penna.
«Non sono proprio- compiti.» mi dice.
«Eh. E che sò?»
«Sono- compiti, sì. Ma che mi ha lasciato da fare la psicologa.»
Torno subito serio.
Simone sta facendo un lungo percorso con la psicologa, ogni tanto torna a casa sfiancato da quegli incontri.
Me se butta tra le braccia e inizia a piangere.
Il mio cuore va in frantumi ma m'hanno detto che, per il suo bene, devo restare lucido e quasi impassibile.
Lasciarlo sfogare, ascoltarlo, stringerlo e aspettare che quel dolore, com'è arrivato, sedimenti per un po' e poi vada via.
«Mh. E che consegna c'hanno sti compiti?» gli chiedo, dando ancora qualche rapida occhiata a quelle parole.
«Cosa vorrei accadesse da qui a dieci anni.»
«Mh, bello tosto! Dieci anni sò tanti, che hai scritto?»
«Ho scritto varie versioni.» mi spiega, spostando il braccio dal banco per permettermi di leggere.
Con il dito indica la prima delle righe riempite.
«Un lavoro, dei bambini, tu con me. »
Poi, la seconda.
«Un vita itinerante, un cane a farci compagnia, tu con me. »
Poi ancora, la terza.
«Una piccola casa in campagna, tanto silenzio, tu con me. »
Leggo rapidamente quel mucchio di parole e d'un tratto, sento pizzicare gli occhi che si fanno lucidi.
Non volevo piangere.
Ma l'amore di Simone è così grande che, a volte, me sento piccolo.
Talmente piccolo che 'sto amore mi travolge, mi scombussola, mi lascia a terra, con gli occhi lucidi e la voglia di stringerlo tra le mie braccia e far finta che tutto il resto del mondo non esista.
Allungo le mie braccia verso le sue spalle e lo abbraccio forte. Più forte che posso.
«Anche nei miei ideali di futuro, sai, tu sei con me. »
«Tu con me.» ripete, e la sua voce mi culla.
E tutto sembra sparire.
Io con te, Simò. Io con te.
______
NOTE AUTRICE: Ciao! Questa storia nasce di getto, dopo aver visto quella foto che ora fa da copertina. Quindi.. eccola qui!
Spero vi sia piaciuta, vi abbia fatto ridere e magari anche emozionare.
Vi ringrazio come sempre d'aver letto e vi abbraccio forte.
PS. Seconda storia che scrivo in prima persona, questa volta dal pov di Manuel. Che ne pensate?
Vi aspetto nei commenti come sempre e vi mando un grande bacio.
Vostra, G.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top