In my head
Reginald
Un litigio, era bastato questo a dare vita a una catena di eventi nefasti, culminati con l'incidente della sorella. Avevano nuovamente discusso, in seguito ad un'altra sconfitta di Rio, dopo uno dei tanti duelli combattuti per stabilire chi avesse ragione e chi torto. Si era lasciato sfuggire un commento sprezzante, guidato anche dalla rabbia e dall'adrenalina, e lei, anziché rispondergli allo stesso modo, aveva proferito un laconico
"Ti dimostrerò che ti sbagli" prima di voltarsi e sparire tra i vicoli della città. L'avrebbe rivista in ospedale, ricoperta di ustioni, a malapena cosciente.
Riuscì a mormorargli solo qualche parola prima di entrare in coma
"Promettimi che vincerai..."
Fece quella promessa senza avere idea di quanto lo avrebbe logorato, dell'immensa pressione a cui lo avrebbe sottoposto.
Raggiunse facilmente la finale e iniziò a tentare di autoconvincersi che ce l'avrebbe fatta, che non c'era nulla di cui preoccuparsi. E poi lo vide, sparpagliato per terra giaceva il deck del suo avversario. Cercò di trattenersi, di non cedere all'impellente bisogno di guardarlo, ma nella sua testa sentiva ancora la voce della sorella e un'altra, altrettanto familiare ma subdola, che lo convinse che quello era l'unico modo per vincere. Si avvicinò alle carte e iniziò a studiarle, nella speranza di metterle finalmente a tacere.
Thomas
Un ordine, semplice e diretto ricevuto da Tron, così era cominciato il suo calvario. Da quando Tron era tornato si era rifiutato di chiamarlo padre e, d'altro canto, anche lui aveva iniziato a considerarlo uno strumento, immeritevole persino di un nome e, dopo quanto accaduto, si sentiva quasi di dargli ragione.
"Usa questa carta nel duello contro quella ragazza" gli aveva detto con la sua solita irritante vocetta infantile, che contrastava con la perentorietà presente in quelle parole. Gli aveva obbedito, come sempre d'altronde, senza farsi domande, ma sentendo il familiare bruciore di stomaco causato dalla rabbia repressa.
Soffocò senza troppa fatica la vocetta della sua coscienza, o del suo istinto, difficile a dirsi, era troppo abituato a non ascoltarle per essere in grado di identificarne l'origine.
Duellò come aveva sempre fatto, quella ragazza era solo l'ennesimo ostacolo sul suo cammino ma, quando usò la carta datogli da Tron, si sentì investire dalla gravità di quanto aveva appena commesso. La ragazza era avvolta dalle fiamme e urlava, in preda al dolore. Rimase bloccato sul posto per qualche interminabile secondo, dopodiché si gettò nel fuoco, sperando di poterla salvare.
Si allontanò di qualche isolato, coprendosi con un lembo strappato dalla sua camicia l'occhio ferito, chiamò meccanicamente i soccorsi e tornò a casa.
Tron lo accolse con uno sguardo gelido e poche semplici parole
"Lo hai fatto?"
Si limitò ad annuire in risposta.
"Ottimo, a quanto pare sei meno inutile di quanto pensassi"
Quella frase fu solo l'ennesima pugnalata ricevuta in quella giornata. Continuò a sentirla initterrottamente, ogni giorno, intervallata dalle terribili urla di quella ragazza.
Aveva commesso numerose nefandezze, per colui che una volta chiamava padre, ma sentiva di aver toccato il fondo, di non poter scendere più in basso di così. Si sbagliava.
Quando Tron gli spiegò approssimativamente il suo piano non poteva credere alle sue orecchie
"Cosa ti ha fatto quel ragazzo per meritare tutto questo?"
"Né più né meno di quello che hanno fatto i membri del tuo fan club per meritarsi il tuo trattamento speciale. Se non sbaglio anche lui ne fa parte, per te non dovrebbe essere difficile annientare anche lui."
Aveva ragione, non si era mai fatto scrupoli in passato, per quale motivo avrebbe dovuto iniziare ora?
Soppresse le voci nella sua testa, che tentavano di alimentare il suo senso di colpa, di riportarlo alla ragione ed eseguì nuovamente gli ordini, come un bravo soldato.
"Campione d'Asia", vincere quel titolo non gli diede alcuna soddisfazione. Per la prima volta nella sua vita avvertiva una profonda inquietudine e sentiva, più forte che mai, il peso delle sue azioni.
Da quel giorno le voci nella sua testa non lo abbandonarono più, rendendolo ancora più cinico, distaccato, a tratti crudele. Lo fece nella speranza di un riconoscimento mai ricevuto e nella speranza che, diventando ciò che le voci descrivevano, lo avrebbero finalmente lasciato in pace.
Reginald
Squalificato, nonostante in cuor suo sapesse sarebbe successo quella parola scavò una voragine dentro di lui.
Aveva fatto una promessa e non era stato in grado di mantenerla, e questo gli pesava più della sconfitta in sé.
"Hai fallito come persona e come duellante"
"Sei inutile"
"Non sei riuscito a proteggere tua sorella"
"Non hai mantenuto la tua promessa"
Queste parole risuonavano ciclicamente nella sua testa, creando una cacofonia di voci, ormai impossibili da zittire.
La sua reazione fu tuttavia differente, divenne freddo e distante, rifugiandosi in un angolo della sua mente inaccessibile a chiunque, e coprendo ogni emozione con un manto di rabbia
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