.prologo
Percepì il suo tocco delicato sulla testa, le dita che scendevano sinuose sul collo, con gesti sensuali, scivolando lentamente sul suo petto, mentre accostava il proprio alle sue spalle, e il tessuto leggero e impalpabile della camicia che indossava lo sfiorò a malapena, facendolo rabbrividire.
Scese ad accarezzargli l'addome, le sue braccia si strinsero intorno al suo busto, mentre gli depositava un bacio morbido sotto un orecchio. Con la punta della lingua risalì verso l'alto, lambendogli il lobo, che strinse delicatamente tra i denti.
«Sei sicuro?» chiese e Keith si morse le labbra, cercando di non urlare.
No, pensò, ma tenne per sé quell'unica, piccola parola, limitandosi ad annuire.
L'altro riprese a baciargli la base del collo, scendendo piano sulla sua spina dorsale, sino a inginocchiarsi dietro di lui, intrufolando le dita dentro il bordo superiore dei suoi pantaloni. Continuò ad accarezzarlo, arrivando piano sulle sue cosce, aumentando a dismisura il desiderio di Keith, facendolo fremere di aspettative.
Non era programmato e Keith aveva sperato davvero, fino a un istante prima, che niente di tutto quello sarebbe mai successo.
Percepiva i battiti frenetici del proprio cuore azzerare ogni altro suono, riempiendogli le orecchie del loro ritmo violento. Ansimò e l'altro abbassò lentamente la zip dei suoi pantaloni.
Di nuovo venne sopraffatto dal desiderio di urlare e fuggire via da lì prima che fosse troppo tardi.
Lui non lo aveva obbligato a fare nulla che non volesse, non gli aveva mai detto che la serata si sarebbe conclusa a quel modo, non lo aveva neanche programmato: era evidente. Si era comportato come un perfetto gentiluomo, senza rischiarsi a mettere in scena uno dei suoi soliti tentativi di seduzione, che tanto lo avevano infastidito e lo avevano messo a disagio, in precedenza.
Sin dal loro primo incontro, Keith aveva sospettato che si fosse creata una strana alchimia tra di loro, cercando di giustificare ogni più piccola, casuale carezza con qualcosa che fosse totalmente innocente e privo di malizia.
Lo aveva sempre rifiutato, ponendo dei limiti invalicabili all'interno del loro rapporto, comportandosi sempre con un certo distacco. Aveva alimentato la loro frequentazione tentando di convincersi che fosse una semplice amicizia, fatta di rispetto reciproco, complicità.
Ogni volta che l'altro aveva tentato un approccio più diretto con lui, Keith si era assicurato di rimarcare i confini della loro relazione, rimettendolo al suo posto, a volte sparendo per giorni, dopo un'accesa discussione.
I litigi erano andati sprecati in quei mesi, scaturiti sempre dalle cose più stupide e insignificanti, ma di cui Keith si era approfittato proprio nella speranza di trovare, prima o poi, una scusa che fosse abbastanza valida da troncare ogni ambiguità, finanche sparire dalla sua vita, tagliando di netto tutte le tentazioni.
Non era mai riuscito ad accettarsi, senza potersi fornire una motivazione esaustiva per quell'odio viscerale che provava nei confronti di se stesso e delle proprie inclinazioni sessuali.
Aveva deciso di essere in un modo e non accettava che la natura, il destino, forse persino un dio, potesse indirizzarlo su una strada differente da quella che lui aveva scelto per sé.
Nonostante tutto, si trovava lì, tra le sue braccia. Proprio a conclusione di una serata tranquilla, una cena tra amici. Avevano parlato di tante cose, discusso senza mai punzecchiarsi, neanche una volta. Non si era presentata loro nemmeno la più piccola scusa per litigare e Lui si era comportato davvero come se fosse il migliore amico che si potesse desiderare di avere al proprio fianco.
Avevano riso tanto, scherzando amabilmente. Lui non aveva assunto neppure per sbaglio quel suo solito atteggiamento provocatorio. Non lo aveva sfiorato accidentalmente, non aveva fatto battutine sceme. Niente occhiate languide, né sorrisini maliziosi.
Sembrava che avesse gettato la spugna, comportandosi come Keith aveva sempre desiderato, lasciandolo libero di illudersi che fossero solo amici.
Ansimò ancora una volta, trovandosi a interrompere bruscamente i propri pensieri, nel percepire il proprio corpo nudo, esposto ai suoi occhi.
Lui tornò ad alzarsi, stringendogli la vita, facendo in modo che le loro pelli entrassero in contatto. Era caldo, aveva un profumo intenso, sconvolgente, in grado di inebriargli i sensi.
«Sei sicuro?» chiese di nuovo e Keith sbuffò indispettito.
«Se me lo domandi ancora rischio di mettermi ad urlare.»
L'altro sorrise e gli accarezzò il labbro inferiore con un pollice. «Sei bellissimo.» mormorò.
Keith si sentì arrossire ancora di più. Distolse lo sguardo da lui, non sentendosi più in grado di sostenerlo, fissando la propria attenzione oltre la finestra che si apriva sulla sua sinistra e dalla quale si poteva scorgere il profilo notturno della città, tempestata di miliardi di luci artificiali che restituivano alle sagome nere dei grattacieli un aspetto quasi magico, mentre si stagliavano immensi, altissimi, contro il cielo scuro, dai riflessi rossastri, violacei, sino a tramutarsi nel più intenso blu, poi il nero, il buio più completo che si perdeva a vista d'occhio sopra Los Angeles.
«Guardami.» disse lui, invitandolo a girarsi nella sua direzione, stringendogli delicatamente il mento in una mano.
Lo baciò con dolcezza, esplorando la sua bocca con estrema attenzione, cercando di trasmettergli, attraverso quel loro, intimo contatto, tutta la tensione, il desiderio, l'impellente bisogno in cui si era trasformata la snervante attesa in cui Keith lo aveva costretto nei mesi precedenti e che, finalmente, sembrava si fossero lasciati alle spalle in modo definitivo.
Lui lo sentì tentare di ricambiare il suo abbraccio, con quella delicata incertezza che spesso sfociava in un'esilarante goffaggine, ma che, in quel momento, sembrò tingersi di una sensualità del tutto inaspettata, carica di una tenerezza che non si sarebbe mai sognato di leggere in lui.
Sempre così distante, sgarbato, per certi versi, stronzo. Pareva che si fosse finalmente deciso a spogliarsi non solo dei suoi vestiti, ma a rimuovere del tutto la propria corazza, permettendogli di vedere cosa custodiva con tanta gelosia dentro di sé.
«Ho paura...» ammise Keith.
Lui poggiò la fronte contro la sua. «Ci fermiamo quando vuoi tu.» tentò di rassicurarlo. Tutto quello che gli aveva mostrato fino a quell'istante era stato già così incredibile che, davvero, lui sarebbe stato in grado di fermarsi, nonostante l'eccitazione gli rendesse la voce roca, il corpo bollente, mentre il suo cuore si colmava di ansia e di un desiderio sempre più ruggente.
«È questo che mi spaventa di più. Temo che... non riuscirò a fermarmi.» mormorò Keith e Lui comprese che sì, quella volta niente avrebbe potuto impedirgli di amarlo.
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