Capitolo XXIV - Un'ombra Terrificante
New York, Presbyterian Hospital, 16 Gennaio 1989
Pov Juliet:
Ieri Adam è stato arrestato per l'omicidio della sua ex fidanzata, Victoria; accoltellamento, dicono...
Ma non ci è dato sapere altro.
Troppi problemi arrovellano la mia mente in questo periodo e tutto ciò è solo la punta dell'iceberg.
Adam era un amico, un ragazzo sensibile che amava alla follia Vicky; mi sembra impossibile che lui sia l'assassino di Victoria e, come se ciò non bastasse, Rush è in coma farmacologico da ben dodici ore.
Dodici logoranti ore che sembravano non passare mai.
Stranamente siamo qui, io e mio padre, in attesa di sapere se il soffio della vita si è spento nel ragazzo che un tempo abbiamo odiato.
Mai in vita mia, mi sarei aspettata di ritrovare il mio genitore qui; così impettito e avezzo di perfezione, ha concesso a questo ambiente - pervaso dal dolore - di godere della sua eccezionale e onirica presenza.
Sua maestà si è abbassata al mio stesso livello.
Non posso far a meno di pensarlo; mentre i miei occhi seguitano a essere catturati dalla sua figura che, così elegante e longilinea, adesso siede accanto a me in una posizione composta.
Il tessuto pregiato dei suoi pantaloni è macchiato dalla polvere della sedia nera, ma a lui sembra non importare.
Mi mordicchio le labbra in una mera espressione di questo stato d'animo inquieto; proprio nel momento in cui sbatto nervosamente la suola delle scarpe sul pavimento lucido e scivoloso.
Getto un'occhiata alle pareti sempre maledettamente uguali, avvolte in un biancore impersonale e asettico; e mi agito per l'ennesima volta, trattenendo a stento uno sbuffo mentre stringo rudemente la stoffa della camicia ormai sgualcita.
<< Perchè? >>, un sussurro flebile viene emesso dalla mia bocca così avida di conoscenza.
<< In questi giorni ho riflettuto molto, Juliet... quel ragazzo è qui da due settimane... due settimane di dolore per te, di insonnia, attacchi di panico. Trascorri la maggior parte del tempo in questa sala di attesa, attonita al solo pensiero che il soffio della vita possa abbandonarlo... >>, si dilunga nel dirmi, sospirando pesantemente << Nonostante quello che ti ha fatto, un sentimento malsano seguita a legarti a lui, - o forse - è solo il ricordo di qualcosa che non c'è più... ho sempre cercato di proteggerti, di ergere intorno a te una muraglia che potesse impedire alle brutture della vita di lederti. L'ho fatto in modo ossessivo privandoti di qualsiasi cosa. E guardati ora... sei qui, lacrimevole e vittima di questo languire, a causa del tuo ex fidanzato finito in overdose. >>.
<< Ho sbagliato tutto. >>, ed eccola quell'ammissione di colpa che ha faticato a uscire per ben 22 anni << Non ho mai voluto comprendere te e neanche lui, desideroso com'ero di costruire per te una vita perfetta e impossibile. Quel ragazzo è pieno di problemi... si è trovato invischiato in situazioni pericolose... è uno squinternato, ma... se ti struggi così tanto per lui, se eri arrivata a metterti contro tutta la famiglia per lui, prima che cadesse schiavo di quella sostanza, qualcosa di buono in lui doveva esserci. >>.
Lo sgomento più vivo si palesa sul mio viso, nella voce ansante: << Mi stai dicendo che approveresti se io decidessi di tornare con lui dopo tutte le terrificanti vicende che lo hanno coinvolto con Emily Valentine? >>.
<< Non credo di poterlo dire, ma se dovesse salvarsi e volesse tentare una disintossicazione, per poi provare a riconquistare la tua fiducia, io non mi opporrei. Sono disposto anche ad assicurarmi la sua permanenza in una prestigiosa Clinica di disintossicazione, ad assicurarmi che abbia la sorveglianza che necessita per evitare di cadere schiavo di nuovo. >>, mi confessa in un sussurro mesto e leggermente rabbioso.
Tutto ciò è incredibile.
<< Adesso vorresti diventare il suo angelo protettore? >>, la vena di sarcasmo nelle mie parole elettrizza l'aria di una tensione che ci irrigidisce entrambi.
<< Se non lo facessi, tu cercheresti a tuo modo di aiutarlo cacciandoti nei guai, quindi tra i due mali scelgo il male minore che possa tutelarti. Anche se questo significa andare contro ai miei principi. >>, si prodiga in una lunga spiegazione con una punta di rassegnazione << D'altronde, quando hai avuto quella sottospecie di relazione con quel ragazzo, hai detto addio a ogni mio principio, al pudore, all'equilibrio. Lui... >>.
<< Mi ha stravolto la vita in bene e in male, anche se adesso ricordo solo il male. >>, concludo abbassando il tono di un'ottava; e in questo istante, questo discorso così malinconico mi catapulta nuovamente nel momento in cui seppi che Rush era uscito di prigione, circa due anni fa.
Si costituì per espiare le sue colpe, ma lo rilasciarono dopo un paio di settimane; e sebbene fosse tutto ciò che non desiderava per qualche arcano motivo, si beò dell'abbraccio dei suoi baldanzosi compagni e dell'adrenalina impressa nella musica.
Tuttavia, malgrado mi ostinassi a negarlo, qualcosa di terrificante serpeggiava in me: il pensiero di quel che potesse essergli accaduto in quella fetida cella.
Rush non aveva permesso, neanche a una singola sillaba, di tradire il patto di silenzio suggellato nelle settimane a seguire; non voleva che nessuno ne venisse a conoscenza, quindi terminarono quel disco a porte chiuse, senza che nessuno a parte il produttore e il manager potesse saperne nulla.
Io, dal mio canto, non desideravo entrare a contatto con la Band; la paura, che i miei occhi potessero incontrare nuovamente il blu cupo e tormentato dei suoi, ottenebrava il mio animo.
In compenso, in quel difficile periodo, avevo legato con Adrianna: dopo aver ricevuto una lettera di scuse da lei, avevo accettato di incontrarla al Bar, e mi aveva confessato di essere rimasta piacevolmente colpita dal mio coraggio.
La realtà è che, quando mi lanciai in quella rocambolesca avventura alla ricerca di qualche traccia che potesse salvarla, provai pena per lei.
In seguito mi confessò del suo passato di prostituzione con Irwin, e scorsi in lei una stilla di speranza.
Speranza che la sua vita potesse cambiare.
Mi raccontò dei suoi sogni di pittrice e del suo desiderio di accompagnare la Band alla prima Tournée, come se la loro musica potesse portare ispirazione per i suoi dipinti.
Quelle settimane passarono, incalzanti e intense, così cariche di eccitazione e fermento nel preludio di quel giorno in cui avrebbero finito di incidere il CD.
Io impegnavo ogni singola cellula del mio corpo in un forsennato desiderio di abbandono verso le dolci note che coloravano le mie giornate, come se potessero alleviare ogni dolore, sanare ogni ferita; il tutto sotto l'oppressiva supervisione di mio padre.
Tutto scorreva rapidamente sino all'arrivo di quella notte in cui la vita di Rush prese una virata improvvisa.
Una virata verso l'abisso più oscuro.
* * *
22 Febbraio 1987, New York
Scorgo le pozze nere nello sguardo disteso di Adrianna.
I capelli, cotonati e ribelli, le cadono sulla spalla coperta da una larga camicia a quadri blu, che a sua volta cela la vita sottile e parte dei jeans strappati.
Porta avidamente alle labbra un bicchiere d'acqua, il terzo per la precisione.
Lo posa sul tavolo bianco del suo angolo cottura.
<< Quel cazzone di Rush si è interstardito a denunciare Irwin per rapimento e induzione a prostituzione forzata. >>, mi informa << Sembra che gli interessi far provare il lusso della cella anche a quel mentecatto. >>.
<< Non capisco però il motivo per cui quell'uomo ti abbia rapita... >>, esterno i miei dubbi in un timbro di voce basso e ricco di tensione.
<< Affari. >>, mi risponde e, lasciando che un sospiro vibri via dalla sua bocca, continua << Irwin e Jim - il mio capo- avevano fatto affari, - o meglio - Irwin era al servizio di alcuni mafiosi, per traffici di droga e prostitute. Da anni. Ma, poi Irwin ha avuto la brillante idea di fregarli, e da un po' di tempo gli uomini dell'Organizzazione vogliono fargli saltare il cervello. >>.
Spalanco la bocca e aggrotto la fronte, tingendo sul viso un'espressione di sconcerto.
<< E quindi, Irwin ha deciso di rapire me e altre donne al servizio di Jim, per ottenere, non so... una sorta di patteggiamento con il mio capo che forse è l'unico che potrebbe intercedere e proteggerlo contro la Mafia di New York. Anche se non credo che Jim lo farebbe, perché sicuramente non calcolerebbero un verme come lui. E lo farebbero fuori. >>, conclude con un velo di mera rassegnazione.
Mi concedo un sospiro carico di frustrazione a causa del carico di notizie.
Un calpestio deciso rumoreggia dal pianerottolo al di fuori del portone in legno; mi fa trasalire.
Balzo dalla sedia bruscamente, quando riconosco la chioma riccia di Rush sbucare dall'ingresso; chiude il portone in un tonfo, e gli basta uno sguardo, un solo sguardo, per pietrificare la mascella.
Si limita a scrutare una me inebetita e sgomenta dalla sua presenza, perchè Adrianna mi aveva assicurato che non ci sarebbe stato.
Non riesco a far a meno di notare il giubbotto di pelle nero, i pantaloni strappati, il cipiglio sul suo volto, la barba leggermente incolta e i capelli più lunghi che gli conferiscono un'aria leggermente selvaggia.
Gli smeraldi sono vividi nelle sue iridi ora incatenate sulla mia figura, come se fossi una visione onirica o qualcosa di simile.
Non distoglie lo sguardo rovente neanche quando la mia ex coinquilina afferra le buste portate - probabilmente la spesa - per poi allontanarsi da noi.
<< Ciao. >>, le parole restano incastonate nelle corde vocali impedendomi di articolare una frase di senso compito.
<< Cosa ci fai tu qui? Non dovresti essere qui, ragazzina. >>, acuisce i toni in un chiaro intento intimiditorio.
<< Non credo tu sia nella posizione di proibirmi di venire qui, dal momento che questa è casa di Adrianna e non tua. >>, scatto velenosa nella sua direzione.
Issa l'angolo della bocca in un sorriso derisorio e, contrariamente alle altre volte, assume una sfumatura sprezzante.
<< Non credo tu sia nella posizione di decidere autonomamente cosa fare, Juliet. >>, sillaba con sufficienza << Insomma, credevo che avessi appreso che questo non è il posto per una principessina viziata come te. Inoltre spiegami... cosa cerchi ancora qui? Non hai fatto amicizia con nessuno. >>.
Digrigno i denti in un'espressione che ha i colori della rabbia più intensa, e affino la vista.
<< Io sono qui, perchè ho legato con Adry. Non di certo per vedere te, tranquillo! >>, ribatto indicando la ragazza che, del tutto ignara di questo acceso diverbio, è andata in camera.
Standosene a braccia conserte, mi scruta in un aperto ghigno che in seguito scompare per lasciare spazio a un'espressione penetrante.
<< Anche se venissi qui per altre persone, non sarebbero interessate, Juliet. >>, mai come ora il mio nome pronunciato dalla sua bocca mi disgusta.
A un soffio dal mio viso, lascia che l'irritazione nei miei confronti serpeggi via da lui; trattengo a stento un sussulto che avverte comunque, e infatti ghigna apertamente intento a fissarmi da capo a piedi.
<< Quelle come te non saranno mai amiche di quelle come Adrianna. >>, pronuncia con un'irritante lentezza.
Con nonchalance mi oltrepassa per uscire da casa.
Pov Rush:
Mi chiedo perché diavolo sia ancora qui.
Non è un luogo che si addice a una perfettina e snob come lei, eppure non molla il covo.
Spero non venga mai per me; devo già salvaguardare la Band in piena incisione, non posso gestire anche una bimba che si è presa una cotta per me; non devo distrarmi con altri problemi e fare gli stessi errori del passato.
Stringo le mani al volante e la macchina parte.
L'autovettura sfreccia nelle ombre cupe della notte, tra le alte palazzine bianche, in queste stradine diroccate, producendo dei bruschi movimenti oscillatori per tutto il viaggio.
Accarezzati dal lume dei lampioni, intravedo dei bambini neri correre sul marciapiede, indossano una canotta bianca e pantaloni neri a vita alta che scendono morbidamente.
Appoggiati a dei palazzetti color mattone, c'è la medesima famiglia dell'altra volta: una donna dai capelli cotonati con un largo cappotto a righe blu e bianche che la copre sino alle ginocchia, dalle quali si intravede una gonna anch'essa rigata; un uomo al suo fianco dai capelli perfettamente curati, in un completo grigio.
La scritta "Hard Rock Club" lampeggia in un viola sfavillante, sulla struttura bianca.
Accosto di fronte alla scalinata; uscito dalla macchina, mi sgranchisco i muscoli delle gambe in preda a uno fastidioso formicolio, poi entro.
Un turbinio di colori mi attraversa intanto che mi faccio strada tra la gente, vestita in chiodi e abiti succinti.
Arraffo rapidamente tre bicchieri di alcol che avevo già intimato di preparare in vista del mio arrivo; li trangugio, degusto.
Poi altri sette.
Inavvertitamente la percezione di un sapore estraneo mi assale.
Tiro il corpo in posizione eretta, perchè è come se ci fossero delle forze estranee che si oppongono.
Nel sordo brusio di pensieri martellanti, arranco verso l'uscita.
Gli scalini appaiono più grandi di quanto ricordassi, inducendomi quasi a rozzolare giù.
Un malessere asfissiante mi aggroviglia lo stomaco, causando a sua volta delle fitte sottopelle che si propagano sino alla schiena.
Quest'ultima è dolorante, portatrice di un respiro sempre meno mio che segna ogni singola parte del mio corpo.
Ma c'è qualcosa...
Giunto al termine della schialinata, mi avvio verso il pandino bianco, in passi sempre più scordinati, lenti, confusi.
Le gambe, animate dal desiderio viscerale di abbandonare questo luogo dai contorni confusi, si muovono in una deambulazione sofferta.
Ciondolo con il fiato corto e il cuore in gola: ogni passo è sconnesso; l'infrangersi delle mie scarpe sul terreno grava come un macigno.
Nel penetrante e vivo suono dei miei ansimi, cammino, cammino e cammino.
Tutto oscilla intorno a me, ruota incessantemente; poggio la schiena alla portiera e caccio fuori un profondo respiro.
Qualcosa di freddo sulla fronte, mi costringe a sgranare bruscamente gli occhi.
La canna di una pistola è puntata alla mia tempia; le iridi scure di Irwin mi trafiggono, impegnato com'è a schioccarmi un sorriso sinistro.
<< Piaciuto il cocktail di miorilassanti e alcol? Ti senti immobilizzato, vero? Hai voluto impicciarti di faccende che non ti riguardano denunciandomi, e adesso la pagherai, miserabile! >>, carica la pistola e...
Una spinta rapida e violenta lo discosta da me.
Un uomo dalle spalle ampie, un lungo cappotto nero, con un distinto cappello sulla testa, si frappone tra noi.
La sagoma è poco nitida, ma - nel contrasto delle luci dei lampioni con le ombre cupe della notte - riesco a discernere altri uomini vestiti allo stesso modo di fianco a me.
Il primo di loro, rivestito di un'aria di autorevolezza e fredda crudeltà, cinge le dita - nei guanti neri - intorno al collo di Irwin, che inizia ad annaspare.
Lo scaraventa contro il muro, allenando la morsa serpentina intorno al collo.
La vittima si lascia cadere a terra, strisciando la schiena contro il muro, nella sinfonia di un tossire frenetico.
Il nuovo arrivato resta impassibile; ma una voce roca e impenetrabile gela l'ambiente: << Hai ormai esaurito il tuo scopo, Irwin. Sarai eliminato, cane! >>.
A grosse falcate colma la distanza tra loro precisamente mentre Irwin riversa a terra, a pancia in giù, e inizia strillare.
L'uomo si pone davanti a lui, e posso scorgere le sue spalle ampie; solleva una gamba e schiaccia, con la suola lucida delle scarpe, la mano del miserabile.
<< No-no! Ti prego lasciami! Lascia-a-mi la mano! >>, mugula di dolore, cercando di sottrarsi, ma è impossibile.
Aumenta la forza con cui lacera la mano dell'uomo che ora è agonizzante sul terreno.
<< La vita di quel ragazzo mi appartiene, e hai cercato di prenderla. Hai fregato molti soldi all'organizzazione. >>, enumera tutti gli errori commessi.
A terra gronda una chiazza di sangue dall'odore del ferro e della morte più crudele.
I battiti del mio cuore accelerano, in un brusìo terrificante che stona anche le orecchie.
-È morto? -
No, non lo è, perché odo in quelle urla uno stato di agonia sempre più opprimente, sempre più massacrante, sempre più vivido e terrificante.
Altro sangue sgorga.
In seguito, finalmente arresta la tortura e, infatti, l'uomo ne approfitta per fuggire, trascinandosi di peso lontano con una braccio immobilizzato e sanguinante.
Il suo polso è storto, così privo di vita.
Con fatica cerca di ritornare in piedi.
Il misterioso individuo estrae la pistola dal cappotto, e un colpo secco gli trafora il cranio; grava a terra ormai privo di vita.
Senza alcuna pietà o esitazione lo ha fatto fuori dopo averlo torturato, e una serie di brividi pervadono la schiena di fronte a una tale dimostrazione di crudeltà.
-La vita di questo ragazzo mi appartiene, ha detto! Cosa significa? Sembrava una regolazione di conti! -
Gli uomini al suo seguito prendono di peso il cadavere tumefatto e lo posano all'interno di un'auto che, nella confusione di colori che attraversa la vista, appare nera.
Dopo averlo sistemato sul sedile, retrocedono nella nostra direzione.
Un altro di loro rilascia tanta benzina sull'auto e intorno a essa.
Con un accendino appicca un incendio e la macchina brucia.
Nel fumo di queste fiamme e il mix di sostanze che mi sono state date a mia insaputa, un senso di oppressione al petto e di stordimento mi risucchia in una dimensione lontana.
Una dimensione in cui tutto è scuro e io sono libero di serrare le palpebre.
La superficie fredda di qualcosa di ruvido sulla fronte produce in me una smorfia di dolore.
E in un attimo cala il buio.
NOTE:
Per chi non lo ricordasse, essendo passato molto tempo, Jim è il padrone dello Strip-Club dove lavoravano Juliet e Adrianna che, però, gestisce in segreto spacci e induzione a prostituzione (all'inizio l'aveva drogata per assicurarsi che adempiesse ai suoi scopi).
Irwin è colui che ha rapito Adrianna, un tempo amico dei suoi genitori, che fece credere a loro di volerle dare un lavoro dignitoso che la sottraesse alla miseria, ma in realtà tentò di inserirla in un giro di prostituzione minorile. Lei si oppose a lui, ma i genitori la ripudiarono.
Ha quindi drogato Rush per via della denuncia; le compresse solubili di mioriassante sono farmaci che distendono la muscolatura - sia quella volontaria sia quella involontaria -, ma a contatto con l'alcol creano "sedazione" (Rush iniziava a sentirsi sedato), "abbassamento della pressione sanguigna", "abbassamento del tono muscolare" sino a una "paralisi muscolare e inibizione del cervello"; in parole povere il miorilassante amplifica gli effetti dell'alcol se assunti in contemporanea.
Se assunti in dosi massicce possono causare anche morte.
La scena della combustione in seguito a strangolamento è ispirata a Gomorra.
Ho ripreso la narrazione al passato il 22 Febbraio 1987, poche settimane dopo, perchè dopo il rilascio di Rush non potevo sprecare pagine a descrivere l'incisione del disco... e si sa, considerando che ci lavoravano da tempo e mancavano dei pezzi, si necessitavano altre settimane dopo il rilascio di Rush per terminarlo. Non è che il giorno prima esco di prigione e il giorno dopo termino un disco.
Chiarimenti sulle date.
22Febbraio perchè, se ricordate, il flashback (inizio del racconto del passato) incomincia il 1 Gennaio 1987, nei vari capitoli inerenti al passato è trascorso un mese, adesso ci agganciamo a settimane dopo; quindi è trascorso poco più di un mese e mezzo dal "capitolo 1" in cui Juliet è arrivata a casa di Adrianna.
Per quanto concerne la narrazione nel presente, sono passate poco più di due settimane dal ricovero di Rush; 16 Gennaio 1989, perchè il giorno prima è stato arrestato Adam per l'omicidio di VIctoria, se andate al capitolo troverete scritto 15 Gennaio 1989.
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