Capitolo XVII - Il chiaro e il torbido

PREMESSE: A causa di aggiunte dell'ultimo capitolo caricato (il precedente) invito chi ha già letto il capitolo precedente a rileggere la scena tra Jul e Rush, l'ultima scena. Altrimenti non capirete molto di questo capitolo, mi scuso ma è stata una dimenticanza.

***

Pov Juliet:

_"La musica si fonda sull'armonia fra cielo e terra, sulla concordanza fra il torbido e il chiaro"_

Così affermava Hermann Hesse; uno scrittore, poeta e pittore tedesco che vinse il premio nobel della letteratura nel 1946.

Nei miei pensieri si annida un dubbio riguardante la realtà che si cela dietro questa apparente condizione: raggomitolata su me stessa con le gambe al petto, osservo il braccio di Rush cingermi la vita, a sua volta coperta dalla seta bianca della camicia da notte; avverto il suo respiro caldo solleticarmi il collo, e innumerevoli brividi mi attraversano.

Mi giro nel tentativo di distendere le gambe sulla morbidezza del materasso, la mia vista viene catturata da lui; il suo petto nudo fa su e giù, segno della sua respirazione mentre un piccolo raggio di sole accarezza il suo addome ben definito e quella piccola aquila su di esso.

Mi chiedo cosa possa significare, avrei sempre voluto chiederglielo ma non ne ho mai avuta la possibilità.

Molti avvenimenti della vita di Rush mi sono del tutto ignoti; ci conosciamo da pochissimo tempo, eppure...

Eppure eccoci qui, accoccolati su un letto, intenti a respirare la stessa aria scaricando in essa un'elettricità a titolo indefinito.

La stessa elettricità che mi pervade ogni qualvolta lui mi si avvicina e mi provoca; la stessa tensione che mi pervade ora.

Con lui è come se superassi ogni freno inibitorio, come se diventassi un'altra persona.

Un insieme di sensazioni mi accompagnano allo scopo di dare una definizione a questo nostro fare incomprensibile: libertà, brivido, provocazione, passione, impeto, irrazionalità; un dibattersi continuo in cui ciascuno desidera prevaricare sull'altro, in cui nessuno nessuno dei due vuole dare la resa. Ma ciò che rende confusa questa nostra attitudine è quel velo apparente di sicurezza in noi stessi che ci ostiniamo a mostrare agli altri e, per quanto mi dolga ammetterlo, ci somigliamo in questo.

Tuttavia, in un certo qual modo, siamo il chiaro e il torbido; destinati a collidere e completarci; ci sarà sempre quella sfumatura nel chiaro che richiama il torbido e ci sarà sempre quella sfumatura nel torbido che richiama il chiaro.

Lui, questo diavolo tentatore dalla scarmigliata chioma riccia, coperto miseramente da un paio di jeans, che adesso dorme così teneramente, è l'unico capace di farmi perdere ogni controllo, l'unico capace di spronarmi a essere migliore per non gettare bandiera bianca e combattere le mie insicurezze.

Ricordo ancora quando, sette giorni fa, la sua falsa arroganza mi ha sollecitato a intrappolare le paure nell'angolo più recondito di me stessa per suonare al Club quella canzone; qualcosa che non avrei mai fatto in passato.

-Chi sei in realtà Rush? Salvezza o dannazione? Dolcezza o rudezza? Luce o buio? -

Il mio sguardo è calamitato dalle sue labbra serrate che ritraggono una dolce fanciullezza sul suo viso; espressione di innocenza in questo momento.

-Sembra così tenero mentre dorme... tanto tenero, tanto sexy... oddio! L'ho pensato davvero! -

Si sposta in modo tale da consentire alla schiena di aderire al letto; le gambe, precedentemente contratte, si distendono.

-Come sarebbe la mia vita se provassi ad aprirmi a te, se togliessi quel velo di autocontrollo che sono solita a indossare, se provassi a vedere la luce che sembri emanare in alcuni momenti ?-, vago, persa in un garbuglio di pensieri che si rivelano essere segno del mio divagare.

Mi tendo come una corda di violino alla vista delle sue labbra che si schiudono nel rilasciare un sospiro.

<< Attenta a non guardarmi troppo che mi sciupi. >>, la sua voce arrochita, piena di un sarcasmo pungente, infrange la bolla di silenzio e contemplazione in cui ero intrappolata.

<< Co-cosa... io non ti stavo guardando! Pensavo... >>, boccheggio in un sussurro incerto chinando il capo verso le lenzuola bianche.

I suoi risolini riempiono la stanza dandomi l'ennesima sensazione di beffa; scoccandogli uno sguardo in tralice, mi sembra di scorgere un ghigno.

<< Ah... no? Allora dimmi, a cosa pensavi nel momento in cui i tuoi occhi erano calamitati da me? >>, virgoletta sul verbo calamitare.

<< Pensavo a ieri, a quel che ha combinato Stevie, era completamente fuori di sé >>, mi invento su due piedi, ma lui non se la beve dal momento che il suo volto si tinge di un fastidioso sorriso sardonico.

Questo non sopporto di lui: la saccenza di chi ha la verità in tasca, la saccenza di colui che pensa di sapere tutto dell'altro; quando fa sfoggio di tale dote, riesce a leggermi dentro.

Ciò in un certo qual modo mi irrita, perchè sabota ogni mio tentativo di celare le mie reali emozioni, ma... al contempo mi attrae, perchè mi dà prova - ancora una volta - di quanto sia profondamente intelligente e attento.

Si sporge all'improvviso verso di me inducendomi ad assumere una postura sempre più rigida, chiara espressione di un'ansia che non voglio palesare. Ma i miei occhi tradiscono le mie intenzioni evitando accuratamente il suo sguardo bruciante e magnetico.

<< Ti confesso un segreto... Juliet >>, mi sussurra pregno di ironia, alzandomi delicatamente il mento, << Sei una pessima bugiarda. >>, mi schiocca un occhiolino per poi allontanarsi.

<< Rush ti confesso un segreto... non sei il centro del mondo, non il mio. >>, non gli lascio l'ultima parola con una punta di acredine.

Lui ridacchia scuotendo la testa.

<< Mai pensato, però quando eri imbambolata non stavi contando i mattoni del pavimento, non stavi pensando a Stevie. >>, ironizza nuovamente per indurmi a confessare; sbuffo, ancora spazientita e accaldata.

In un balzo che ha ben poco della mia solita grazia, mi tiro su; gesto non dissimile a quello di una corda saltata. Non sopporto che mi prenda in giro, non adesso, non dopo avermi ribadito che non sono il suo tipo, non dopo le parole di ieri.

<< Sei assurdo, Rush! Cosa vuoi da me? >>, irrompo in un tono accusatorio a cui lui reagisce in modo impensabile: un'ombra attraversa il suo viso serrando le sue labbra in un cipiglio teso; sgrana gli occhi, chiaramente spaesato per poi puntarli verso la parete blu di fronte a sè, sviando accuratamente la mia occhiata raggelante.

<< Cosa voglio da te... nulla Juliet, proprio nulla! >>, pronuncia seriamente in timbro basso, quasi stesse cercando di convincere sè stesso.

<< Ieri sei stato molto chiaro, mi hai detto che non cerchi una relazione, che non desideri costruire nulla con me. Mi hai lasciato intendere che quel che è accaduto è stato uno sbaglio dettato dal tuo stato di ebbrezza. Quindi adesso te lo chiedo... cosa vuoi da me? >>, analizzo a mente fredda allo scopo di razionalizzare la sua attitudine irrazionale.

<< Cosa ti fa pensare che io voglia qualcosa da te? >>, ribatte con una punta di leggera sfrontatezza, ma il modo in cui si mordicchia il labbro malcela una tensione in lui.

<< Forse il fatto che mi metti in imbarazzo continuamente, alludi a qual-lcosa che io provo per te >>, gli confesso senza peli sulla lingua, con voce tremante << Non puoi prima dirmi che non provi nulla per me e poi spingermi a confessare che ti sbavo dietro come se fossi una tua groupie. Voglio sapere il perché! >>.

Lui seguita a osservare il blu notte della parete.

Esalo un sospiro carico di frustazione di fronte al muro che erge tra noi.

<< Come non detto... Forse lo fai solo per dimostrare a me che, se lo volessi, potresti rendermi una tua groupie. >>, concludo con insofferenza; mi avvio verso la porta desiderosa di porre distanza tra noi, ma lui chiude in un tonfo la porta.

Mi afferra dalle spalle per spintonarmi leggermente contro di essa; sbatto le palpebre istintivamente.

<< Tu non sei una mia Groupie e, neanche se usassi le mie migliori doti di seduzione, lo diventeresti... sei una petulante moralista, perfettina e bigotta, Juliet. Non sei e non sarai mai il mio tipo. >>, mi ribadisce sottolineando le ultime parole con aria decisa.

Tento di scrollarmelo di dosso, ma la mia forza fisica è praticamente quella di un moscerino se equiparata alla sua.

- Perchè avverto lo stomaco aggrovigliarsi al suono di queste parole? Mi ferisce l'idea di non essere il tipo ideale di questo pazzo? Non dovrei esserne sollevata? -

Come se fosse la cosa più normale di questo mondo, mi sta accollato intento a sfiatarmi sul viso; chiudo in un pugno i palmi sul suo petto.

-Se noi due ci mettessimo insieme sarebbe un disastro, allora perchè mi infastidisce l'idea di non essere il suo tipo? -

<< Bene, hai espresso ancora una volta cosa pensi di me, adesso lasciami! >>, scatto velenosa, verso di lui, rilasciando l'ennesimo spintone che si rivela vano << Lasciami! >>.

<< Tu sei tutto questo, ma questa cosa che c'è tra di noi, questa elettricità la senti? >>, mi risponde sorprendentemente e, senza darmi il tempo di reagire, mi spinge verso di sè costringendo la mia schiena a collidere contro il suo petto.

<< Quando ti ho vista per la prima volta, sapevo che saresti stata un problema per noi, per il nostro stile di vita, ma mi divertiva farti arrabbiare. Mi diverte vedere la timidezza colorare le tue guance mentre balbetti o sentire la tua lingua biforcuta ribattermi ogni volta >>, mormora con voce suadente e virile nel momento in cui la sua mano vaga dalla mia spalla allo stomaco.

Ci disegna dei cerchi immaginari e, mentre mi si mozza il fiato, lui continua questa dolce tortura.

<< Mi elettrizza sentire il tuo respiro accelerato quando mi avvicino a te, sentire il tuo cuore galoppare a ogni mio sfioramento, come in questo istante >>, pronuncia lievemente.

<< Mi elettrizza avvertire la passione con cui mi baci quando ci provo. >>, mormora in un tono caldo e soave, stringendomi in un abbraccio che fa strisciare la mia schiena contro di lui, ancora una volta; socchiudo gli occhi per un istante assaporando questa magia creata da ogni suo sfioramento, da ogni parola cautamente pronunciata. La sua bocca protende sulla mia guancia lasciando una scia infuocata di baci su di essa.

<< Non so cosa sia tutto questo... se un capriccio dettato dal tuo essere così diversa, non so se sia soltanto il desiderio di un momento, o peggio... qualcos'altro... ma sarebbe tutto così facile ora, baciarti come se non ci fosse un domani, averti... >>, continua totalmente perso nei suoi vaneggi incomprensibili accentuati dalla sua voce vellutata << Ma poi? >>, mi volta verso di sé e disserro gli occhi.

<< Poi tu vorresti qualcosa che io non posso e non potrò mai darti. Non importa quanto tu mi piaccia Juliet, ma non riesco, non riesco ad andare oltre rapporti meramente fisici con una donna. Non riesco perché mi hanno insegnato a temerle, le donne. >>, in questo suo logorante monologo mi rivela una verità che mai avrei potuto anche solo captare.

- Temere le donne, lui? Perchè? -

<< Mi hanno insegnato ad avere paura dell'amore in ogni sua forma. Non riesco a lasciarmi andare quando si tratta di sentimenti. È come se avessi un blocco emotivo o qualcosa del genere, perché in me c'è ancora quel bambino spaventato di allora. >>, mi confessa mentre, a un millimetro di distanza dal mio viso, mi fissa.

<< Bambino spaventato? A cosa alludi? >>, domando in un sussurro ansante, ma lui sembra voler ignorare ogni mio tentativo di farmi spazio nella sua mente: << A niente, Juliet. A niente che ti riguardi. >>, conclude in un tono che non ammette repliche, poi si discosta da me quasi fosse scottato dal mio contatto.

<< Andiamo da Stevie >>, mi sollecita a seguirlo aprendo la porta; ci inoltriamo nel lungo e asettico corridoio giallo della Pensione.

Ma il mio pensiero resta ancorato a lei, ad Adrianna.

-Dove sarà ora? Starà bene? -

***

Pov Adrianna:

Ogni giorno è uguale.

Ogni secondo dura un'eternità.

Ogni attimo potrebbe essere l'ultimo, perché lui - da un momento all'altro - può comparire e farmi fuori.

-Non si vede un cazzo a causa di questa benda sugli occhi! -

Quell'odiosa goccia continua a cadere su quella pendola, producendo l'usuale suono continuo e logorante.

Tutto tace in un silenzio inquietante capace di accapponarmi la pelle, causandomi non pochi tremolii.

Solamente quella goccia cade, ancora e ancora; mi stride nelle orecchie.

Riverso tuttora in uno stato di immobilità; mi dimeno nel tentativo di liberarmi da questa fottuta corda alle braccia.

Inizio a sfregare le mani le une nelle altre allo scopo di liberarmi, ma non ne vuole sapere di mollarmi, ma il dolore marchia i miei polsi permettendo a questo bruciore di tormentare le mani.

Sobbalzo al rumore del riecheggiare di passi che avverto sempre più vicini; provengono da quella porta sopra la scala.

Con il cuore in gola e il fiato corto, continuo l'azione: devo liberarmi.

Come in ogni film thriller, se sanguinerò potrò liberarmi.

Il calore sui miei polsi si confonde con il bruciore.

<< Cazzo! In quei fottuti film funziona sempre! Mi devo sbrigare! >>, borbotto a me stessa per spronarmi a dare il massimo, frattanto il calpestio è sempre più vicino.

Una scarica di brividi mi scuote sempre di più, e un odore ferroso viene inalato dalle mie narici.

Finalmente quel liquido schifoso si è degnato di uscire; comincio ad avvertire l'allentarsi della stretta maledetta.

Emetto dei mugugni a causa dell'insopportabile sensazione che sto provando.

Proprio come qualche giorno fa, un palpitare si estende al lato sinistro del mio collo, improvviso e incontrollabile.

Nel momento in cui i puledri galoppano nel petto, i rivoli di sangue escono dalle mie braccia.

Vorrei fuggire, ma non riesco.

-Devo sbrigarmi! Devo sbrigarmi! Devo muovermi! -

Al rumore dello spalancarsi della porta, vengo colta dall'ennesimo tremito che mi spinge ad aumentare lo sfregamento delle mani dietro la schiena.

Le scende lentamente nel suono di perenni scricchiolii.

Ogni suo singolo scricchiolino è un brivido per me.

-Non mi libererò mai! Morirò! -

Al termine della scalinata, mi si avvicina lentamente.

Riesco finalmente a liberarmi da quella fottuta maledetta.

I polsi restano uniti dietro la schiena, perché non deve capire che sono riuscita a togliere la corda.

Devo agire diversamente.

-Sono libera ma lui è qui! -

Mi sfiata sul collo, deve essersi chinato su di me.

Le sue dita callose percorrono il braccio sino al collo con il loro tocco disgustoso.

Avverto il tatto di esse sul mio stomaco, sulla mia gamba, sul mio seno.

Lo stringe e ciò mi causa un conato di vomito, sempre più intenso.

Ma stranamente, all'improvviso, la pressione della benda sui miei occhi scompare, permettendomi di vedere chi ho di fronte.

La figura dei miei incubi è dinanzi a me: un imponente e muscoloso uomo toreggia e mi osserva dall'alto.

Una maglia nera fascia il suo ampio petto; i pantaloni verde militare sono stropicciati.

Non ha volto a causa del passamontagna nero che indossa; dunque sono in grado di vedere solo i suoi occhi: neri, cupi, penetrati, sono fissi nei miei.

E un tremolio mi sveglia improvvisamente: conosco quegli occhi.

-Sono gli occhi del terrore puro, il terrore dei miei incubi! Non può essere lui! -

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