Capitolo XV - Il buio (Prima parte)
Pov Juliet:
Quartiere del South Bronx 1987
Abbiamo terminato di parlare con i genitori di Adrianna che sono andati via da poco, ed eccoci in questo spiazzale desolato, sul ciglio di una strada.
Rush se ne sta appoggiato alla sua panda, impegnato a fumare la sigaretta; i suoi ricci svolazzano al soffio della brezza mattutina e, sebbene lui indossi dei jeans strappati sulle ginocchia, resta in una corazza di imperturbabilità di fronte alla frescura.
Io, essendo accanto a lui, mi sforzo di non tossire, ma delle smorfie di fastidio seguitano a essere dipinte sulla pelle diafana; mi stringo nel lungo cappotto rosso e batto le scarpette sull'asfalto.
A sinistra della nostra auto, si trova una struttura gialla con le tapparelle calate giù, su cui lampeggia una scritta:
_"Mattress Factory"_
Nella zona circostante vige la desolazione: altri edifici chiusi, "Rider"; negozi con vetrine distrutte; macerie retrostanti adornano il terreno diroccato; dei muretti, costituiti da pietruzze grigie, circoscrivono il perimetro circostante.
Poco più in alto campeggia un binario su cui passa un treno.
-Che luogo degradante, Dio mio! -
Una coltre di fumo aleggia intorno a noi, mentre Rush porta ripetutamente il filtro alla bocca, dopo essersi spostato su una scalinata, a fianco di una colonna bianca. Io , invece, sono rimasta vicino all'auto. Forse desidera porre distanza tra noi e ciò mi fa sentire un'appestata.
Le parole del padre di Adrianna attanagliano la mia mente in un circolo di domande senza fine:
" Che se ne vada al diavolo! Dopo quello che ha combinato in passato!"
-Combinato cosa? -, adombra i miei pensieri.
"Sicuramente sarà andata in giro con alcuni amici, tra un paio di giorni ritornerà, come ha sempre fatto in passato", ha detto sua madre con assoluta indifferenza.
-Come può, una madre, essere così indifferente?-
"Lo avrà inventato, in passato per attirare l'attenzione inventava di tutto! Ha combinato cazzate su cazzate, per questo poi ha mollato casa, adesso che vada a farsi fottere", le parole di suo padre si sono iniettate nell'aria come veleno, così cariche di risentimento e ignoranza.
Dopo aver fatto la spiacevole conoscenza dei suoi genitori, credo di poter comprendere maggiormente la sua stravagante attitudine.
<< A cosa pensi? >>, Rush infrange la bolla di silenzio che ci aveva intrappolati con voce atona.
Finito il filtro, lo getta a terra, per poi calpestarlo con la suola dei suoi anfibi neri.
Mi fa cenno di rientrare in auto e ci accomodiamo; avverto nuovamente l'oscillazione fastidiosa dell'auto.
Intravedo una donna nera camminare tra le macerie: indossa un vestitino a fiori giallo, i capelli biondi le ricadono fastidiosamente sul seno abbondante.
<< Sono allibita dalla loro strafottenza, come possono essere dei genitori quelli? Neanche i miei sono così! Neanche mio padre è così. Non mi è sembrata una famiglia normale. >>, gli confesso pacatamente.
L'autovettura sfreccia tra le alte palazzine bianche, in queste stradine diroccate, cospargendo questo ambiente malfamato di un impellente desiderio di allontanamento.
Una struttura marrone con pietrine del medesimo colore campeggia in questo luogo abbandonato da Dio, dinanzi alla quale sosta una macchina della polizia.
<< Non c'è nulla di normale in quella famiglia totalmente incasinata! Lei è incasinata per questo. Sono dei cazzoni! >>, mi conferma in un sussurro, concentrato sulla strada di fronte a sé.
<< Io non capisco di cosa parlassero, non capisco a cosa facessero riferimento quando hanno menzionato cosa lei ha fatto. Di cosa parlavano Rush? >>
Aumenta inaspettatamente la presa sullo sterno nero, quasi stesse tentando - con scarsi risultati - di celare la rabbia che monta dentro di sè; i denti digrignati disegnano sul viso una morsa rabbiosa.
<< Non posso dirtelo, Juliet. Adrianna è mia amica. >>, mi rammenta, custode di un segreto inconfessabile e, a giudicare dalla sua espressione grave, deduco sia anche molto doloroso.
***
Pov Adrianna:
In questo postaccio il tempo sembra non giungere mai ad una fottuta fine, ogni giorno è uguale.
In uno stato di immobilità, mi trovo su questo letto: questa corda pare voglia segarmi i polsi e le caviglie.
Gli occhi, serrati da questa maledetta benda, mi impediscono di vedere quello che mi circonda; sono intrappolata nel biancore di un luogo che figura nella mia mente e, nonostante io sia coperta, so già che il luogo è rimasto immutato da ieri: il solito schifo colorato da quelle pareti grigie.
Quell'odiosa goccia continua a cadere su quella pendola, producendo un suono continuo e logorante.
Tutto tace in un silenzio inquietante capace di accapponarmi la pelle, causandomi non pochi tremolii.
Solamente quella goccia cade, ancora e ancora; mi stride nelle orecchie.
Dei passi riecheggiano, sono lenti.
Provengono dall'esterno, da quella porta.
Sobbalzo al rumore dello spalancarsi di quest'ultima e vengo colta dall'ennesimo tremolio udendo lui.
L'incidere degli stessi scarponi sulle scale mi paralizza: le scende lentamente nel suono di perenni scricchiolii.
Quando le mie orecchie festeggiano dal non doverli più udire, avverto il suo fiato irregolare.
È vicino, sempre più vicino ad una me inerme e fottutamente debole.
Una stupida che giace qui sopra, incapace di fare qualsiasi cosa.
Mi sottrae il respiro; di conseguenza il petto si muove freneticamente alla ricerca di ossigeno.
Quello stesso ossigeno che sento sempre meno mio.
Non sono in grado di controllare questa sensazione opprimente.
Altri brividi mi percorrono le braccia, le spalle, la schiena e le gambe.
Non ho mai avvertito questo senso di impotenza e paura, neanche la roba migliore ha mai potuto darmeli.
Mi sfiata sul collo, deve essersi chinato su di me.
Le sue dita callose percorrono il braccio sino al collo con il loro tocco disgustoso.
Vorrei urlargli di mollarmi, ma non posso farlo per via dello scotch sulla bocca che blocca ogni parola.
Un conato di vomito mi assale, al pensiero di quello che accadrà ora.
Mi chiedo cosa io abbia fatto per meritarmi una vita così miserabile, costernata da fetidi casini.
Avverto il tatto di esse, si artigliano intorno ai capelli tirandomi a sedere, con violenza, sul materasso.
Dopo una manciata di secondi la stretta si fa leggera, quasi delicata: lascia delle carezze sulla mia chioma cotonata.
Sento un pettine insinuarsi nella mia chioma per pettinarla.
Alcuni spasmi creano una scarica incontrollabile sul mio corpo, quando una punta raschia sul mio braccio.
Emetto dei mugugni confusi a causa del bruciore che sto provando.
Sicuramente è la punta di una forbice.
Tremo quando mi sfiata sul collo.
Tremo sempre di più mentre un palpitare - improvviso e incontrollabile - si estende al lato sinistro del mio collo.
-Cosa cazzo è? Sono scariche elettriche dettate dall'ansia? -
Questo stesso palpitare scuote, in modo impercettibile e altrettanto improvviso, anche la gamba destra, poco sopra il ginocchio.
-Cosa diavolo mi accade? Sono scariche che non controllo, come quando assunsi ecstasy! -
Per fortuna lo psicopatico smette, e un rivolo di sangue attraversa il braccio; inalo il suo odore ferroso.
Ma ecco che la sfiga - ancora una volta - mi fa toc toc: quella stessa punta si insinua sul mio collo; inizio ad agitarmi in altri mugolii sommessi, tento di divincolarmi e liberarmi da questa corda.
Vorrei fuggire, ma non riesco.
Inizia a premere leggermente su di esso.
Dei puledri galoppano come forsennati nel petto, ogni secondo sempre di più, iniziando a formulare il pensiero che questo figlio di puttana voglia sgozzarmi.
Ma stranamente, senza che io potessi prevederlo, mi taglia un ciocca.
Mi sta tagliando i capelli.
Avverto il suo fischiettio.
Sembra il motivetto di un carillon, dolce e allegro.
-Mio Dio, questo è un pazzo! -
***
Pov Juliet:
Muri bianchi circondano la stanza; me ne sto seduta sul divano marrone, ai lati del quale sono situati un tavolino rotondo in plastica e una sedia nel medesimo materiale.
Su di esso c'è un abat-jour dalla forma tronco- conica che coperchia la lampadina spenta.
Scorgo, distante di un paio di metri da me, la porta in legno.
Questo è uno piccolo spazio che precede la camera comunicante, in cui è collocato il letto.
-Accipicchia! Siamo in questa pensione da ieri per raggiungere il luogo nativo di Adrianna e incontrare i suoi genitori, ma di lei non si sa ancora nulla! -
Al suono di urla sgraziate mi tendo come una corda di violino; balzo all'impiedi e oltrepasso la porta, per giungere nel corridoio: pareti gialle e spoglie di qualsiasi quadro; spazio ristretto e sviluppato in lunghezza.
Al fondo del corridoio, tra tanti cocci di lampade e bottiglie sul pavimento, se ne sta il biondino Stevie.
Gli occhi del Nanetto incrociano i miei e pare emettano delle saette che mi paralizzano dalla paura: un oceano si staglia di fronte a me; un mare in tempesta che porta con sé tante sofferenze inenarrabili.
Esso è screziato da delle striature rossastre che rendono lo sguardo infuocato e, al contempo, vuoto.
Avverto il vuoto che lo rattrappisce in un mondo sconosciuto e doloroso, una stanza di cui nessuno possiede la chiave d'accesso.
Ciondolando si dirige verso la sua stanza.
Lo strisciare furioso di una poltrona in pelle nera dissona dentro di me, provocandomi per un attimo la distorsione dell'udito.
Viene scagliata malamente all'esterno.
Altre lampade fanno la stessa misera fine delle precedenti.
Quadri, bottiglie, bicchieri, libri riversano sul pavimento, vittime della furia del ragazzo.
Afferra il suo basso e, nel rumore stridente e volgare di grida dissennate, inizia a correre verso il muro del corridoio.
Con il basso tra le mani, strilla in un suono gutturale, primitivo e graffiante:
<< Quel fottuto Bastardo! Lui... adesso ce l'ha! >>.
Flette le gambe per esplodere in risa sguaiate.
In seguito ritorna in posizione eretta, e lo strumento si abbatte violentemente sul muro.
<< Lui ce l'ha! Que-quel maledetto! >>, farfuglia parole confuse a gran voce.
I colpi si susseguono rapidi e sempre più violenti.
La gente, animata dal terrore e dallo sconcerto, esce dalle proprie stanze: una signora anziana e bassina, dai capelli bianchi e il viso rigato dai segni del tempo, lo guarda come sbigottita; un altro anziano, probabilmente suo consorte, le posa una mano sulla spalla.
Stevie si volta per scoccare loro un'occhiata feroce.
Altrettanto ferocemente tuona nella loro direzione: << E voi cosa cazzo vi guardate, coglioni! Sparite! Siete d'accordo con lui, eh! >>.
Si piega in due dal ridere smodato che abbonda sulla sua bocca.
Rientra dentro, per poi uscire nuovamente e scaraventare un bicchiere verso i due malcapitati che, per fortuna, hanno l'accortezza di scansarsi.
Si frantuma contro il muro; i due poveretti tremano, poi fuggono a gambe levate mentre lui si crogiola in risate becere.
Retrocedo nell'istante in cui stacca l'estintore dal muro.
-Oddio! Non vorrà... -
Toglie la spina di sicurezza e impugna il tubo di scarica.
Le mie gambe si fanno portatrici di un prominente desiderio di allontanamento e, prima che io sia in grado di realizzarlo, mi sono già data alla fuga.
Per un soffio non mi ha beccato.
-Mio Dio... ma è completamente impazzito! -
Guidata dall'impeto, spalanco la porta in legno oltrepassando la soglia della stanza di Rush che, con le ginocchia al petto, seduto sul pavimento tra due bottiglie di Jack Daniels vuote, si crogiola in un velo di dolore sempre più visibile a occhio nudo.
Alza il capo permettendo alle pupille cristalline di incontrare le mie.
Inarca il labbro superiore in un ghigno sfrontato e, con altrettanta sfrontatezza, si impone dopo aver socchiuso le labbra: << July! Vi-vuoi unirti al party? >>.
<< Ma cosa diavolo fai qui? Mentre tu sei qui a sbronzarti, Stevie ha perso la ragione! >>, lo informo con una punta di irritazione, a causa dello stato pietoso in cui riversa.
Si alza con gambe tremolanti.
Oscillando da una parte all'altra, compie piccoli passi per ritornare nel punto del corridoio dove troviamo Stevie, precisamente inchiodato a una colonna da una corda intorno al corpo.
Si divincola da essa come se fosse un posseduto, sotto le occhiate sconcertate e attonite del vecchietto di prima che ci degna di una spiegazione: << Abbiamo dovuto legarlo! Era completamente impazzito! Una bestia furiosa! >>.
<< Ti avevo detto che dovevamo chiamare la polizia! >>, scatta la moglie, con una punta di risentimento verso l'uomo.
Rush volta le spalle a tutti e si allontana sotto i miei sguardi increduli.
Sbatto le ciglia, perché non riesco a credere a tutto quello che è successo, ma dò voce ai pensieri che mi balenano in testa: << Lo lasciamo qui? >>.
Lo seguo dentro la stanza, lui a penzoloni si appoggia allo stipite della porta.
Successivamente la chiude in un tonfo facendomi saltare.
<< Si sarà fatto di coca, forse! Che ne so! Quell'id-diota! >>, farfuglia in un timbro basso, offuscato dai fumi dell'alcol.
Come se fossero incapaci di reggerne il peso, le sue gambe cedono; crolla a terra.
Isso le sopracciglia nel momento in cui lo vedo su quel pavimento logoro e sporco, incapace di reagire, incapace di rialzarsi e prendere di petto la sua vita e la situazione.
La schiena aderisce al letto spoglio, poi si sporge con il mezzo busto all'indietro e caccia fuori una chitarra acustica.
Inizia a strimpellarla, e una melodia dolce e lenta mi inebria.
<< Ma ti sembra questo il momento di suonare? Stevie sta... >>, gli faccio presente palesando la mia costernazione.
<< Lasciamolo lì, superata l'euforia, arriverà la disforia, sicuro si è fatto, quell'idiota! Domani sta-rà bene. >>, mi dice con nonchalance << È solo preo-c-cupato per Adry, co-come tutti >>, i toni crollano sull'ultima frase in una sinfonia malinconica.
La stessa malinconia che pervade questo pezzo.
Ma smette immediatamente, per poi fissare un punto fisso nel vuoto, la parete giallo canarino di fronte a sè.
E per un attimo tutto scompare: i dolori, le preoccupazioni, l'indignazione.
Tutto perde di significato in questo istante.
Esito e boccheggio nel tentativo di pronunciare qualcosa, ma ogni singola sillaba resta incastonata sulla lingua, preda di un'emozione sconosciuta.
Tutto di lui mi parla: la sua musica, il suo sarcasmo, la dolcezza con cui ha alleviato il mio dolore quella volta, la passione con cui mi ha baciato, il modo in cui quegli smeraldi bruciano nei miei.
Stagliano nell'oceano che giace nei miei.
E prima che io possa realizzarlo, mi ritrovo sul pavimento con lui, a causa della forza impressa sul mio braccio.
Si avventa sulle mie labbra: si impongono sulle mie in modo rude e impetuoso, come l'altra volta
I polpastrelli della sua mano si insinuano sul mio fondo schiena e rendono impossibili ipotetici miei spostamenti, con il braccio sulle spalle mi spinge ancora più rudemente a sé, per poi spintonarmi sul letto.
Si china su di me, intento a suggellare questo patto infuocato tra noi.
La mia bocca si infervora ai colpi decisi e non eccessivamente invasivi della sua lingua.
Preso dalla foga della passione, mi spinge sempre di più contro il letto producendo dei cigolii su di esso e, mentre le sue labbra divorano ogni centimetro delle mie, il palmo della sua mano indugia in una carezza frenetica sul fianco, sollevando leggermente la maglia beige.
Ad un suo semplice tocco sulla mia pelle, rabbrividisco.
Sono brividi di eccitazione.
Il suo sfioramento sale su, lungo la pancia disegnando dei cerchi immaginari.
Le mie mani vorrebbero fermarlo, ma restano sul materasso.
Insinua una gamba tra le mie e un gemito strozzato vibra via dalla mia bocca impegnata con la sua, piena del suo desiderio.
Tra gli scocchi di questa danza frenetica, lambisce i pantaloni delle mie gambe, per arrivare alla coscia e, in questo continuo dibattersi di labbra e corpi struscianti, due note si intrecciano, producendo un'armonia di suoni che infiamma ogni cosa.
Gli ansimi persistono, prova innegabile di quello che Rush scatena in me, prova del modo in cui mi sta piegando alla sua volontà.
- Ma la mia volontà qual'é? Può, la sua dannazione, plasmarmi a suo piacimento? -, domande a cui non sono capace di dare una risposta ora come ora, mentre lui si è chinato per mordere il mio collo.
Non è eccessivamente rude, questo suo gesto malcela una discreta delicatezza e sensualità.
Le fiamme, racchiuse nella sua bocca tentatrice, espresse dalla sua lingua avvolgente, lambiscono ogni singolo millimetro della mia pelle.
-Come può, il desiderio di preservarsi nella propria essenza di donna, sopperire di fronte ad un ragazzo che si conosce da sole due settimane? -, ennesimo quesito che si rivela inestricabile, nel momento in cui sono avvolta dalle spire brucianti di questo serpente.
Ma qualcosa dentro di me scatta come una molla, accende un interruttore e pulsa di vita dentro di me, pulsa di una luce vivida che rischiara in questo buio di perdizione.
La sua mano ha preso a toccare e stimolare la parte interna della mia coscia, ancora coperta dalla stoffa dei pantaloni.
Nel preludio di qualcosa che accadrà, agisco esercitando una pressione sul suo petto per allontanare il diavolo tentatore via da me. Ancora ansimante e con le labbra gonfie, portatrici dei segni di quella passione incontrollabile, sguscio via da lui.
Nuovamente padrona di me stessa, a tentoni, provo ad abbandonare questo luogo, ma mi cinge il polso per voltarmi verso di sé.
<< Crede-e-vo ci stes-simo diver-rtendo >>, il respirare affannoso incaglia la fluidità della frase.
<< Io non sono una tua Groupie! >>, gli rammento nel tentativo di redarguirlo.
Uno schiaffo sulla sua guancia lo induce ad arretrare.
Aggrotta la fronte e delle linee visibili solcano la sua cute proprio lì.
Lo sgomento, causato dal mio comportamento incoerente, lo rende privo di stabilità; il suo peso grava sul letto nuovamente.
<< Ma che diavolo! Cos'è, un terremoto? >>, gli sento pronunciare, intenta a porre distanza da lui.
Distanza da colui che è stato capace di farmi superare ogni freno inibitorio.
Con lui ho scoperto qualcosa in me che non deve esistere.
NOTE:
Nel prossimo capitolo conosceremo la terza voce narrante, ADAM il batterista. Tenetevi pronti ad una sua lunghissima introspezione per iniziare a conoscere questo personaggio sino ad ora in ombra XD. E presto arriverà anche quello di Rush! Lo so, avrei dovuto inserirlo prima, ma ho preferito evitare per una mera ragione di suspence.
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