Capitolo XII - Desideri inespressi
Pov Juliet:
L'abat-jour variopinto di lilla e nero, dalla forma tronco-conica, coperchia parzialmente la lampadina che irradia una luce flebile. Essa, di fianco al mio letto, si infrange nell'oscurità della mia spoglia stanza, creando dei sottili riflessi sul muro bianco.
Questo contrasto si riverbera sulle mattonelle bianche e sulla sedia in legno a fianco del materasso che porta il peso della lampada, sul legno dell'armadio a sinistra.
Il lume, soffocato dalle ombre, accarezza fiocamente le lenzuola, che risplendono di una luce giallastra.
Il resto della stanza e il pavimento sono avvolti dal buio a causa delle tapparelle.
La serata precedente mi sono premurata di tirarle giù, in vista dei raggi solari che l'indomani avrebbero potuto accompagnare il sorgere di un nuovo giorno, arrecando non poco fastidio ai miei bulbi oculari.
Questa sorta di isolamento mi impedisce - tuttora - di cogliere lo scorrere del tempo.
E un senso di disorientamento, per quanto concerne l'orario, si fa sempre più persistente.
Le gocce della grandine crepitano sui muri esterni della casa, inducendomi a poggiare le mani sulle orecchie.
Dai piccoli buchi delle tapparelle posso discernere chiaramente la luce di un lampo che squarcia il suolo.
Al rimbombo del tuono sussulto, perché produce lo scricchiolio dei muri.
Il tonfo del portone mi fa sobbalzare e rizzare immediatamente all'impiedi.
Il freddo del pavimento attraversa le piante dei miei piedi nudi; quindi provvedo ad infilarli nelle ciabatte blu.
A causa di questa frescura, non abbandono la coperta che avvolge il mio corpo debole e inerme.
I rumori, seppur flebili, sono durevoli e agghiaccianti.
Al terzo singulto scarsamente represso, la coperta gialla cade a terra, lasciando in bella vista i ricami sul lembo della mia lunga camicia da notte.
Dei passi lenti e cadenzati segnalano l'arrivo di una persona.
A giudicare dall'assenza di tacchettio nell'andatura, non può trattarsi di Adrianna.
Ogni qualvolta ritorna in piena notte, produce rumori ben più assordanti.
Questi, invece, sono flebili e agghiaccianti, come se tentassero di non farsi individuare, come se volessero coglierti di sorpresa e farti fuori.
Il buio, congiunto a questi suoni, assume il significato della notte più tetra, nella mia mente.
Alcuni brividi mi pervadono, scuotendo inesorabilmente ogni singolo centimetro di pelle.
Convulsamente inizio a dondolarmi, attonita da una realtà difficile.
Stufa del sordo brusio che logora la mia mente e porta il nome dei dubbi più martellanti, inizio a girovagare nella stanza alla ricerca di qualcosa.
Qualsiasi cosa che mi possa aiutare a difendermi da chiunque lui sia.
Con il cuore in gola e il fiato sempre più lieve, abbranco un vaso di vetro, portandomelo al petto per custodirlo quasi gelosamente.
Desidero difendermi da lui, ma avverto il suo respirare troppo vicino, precisamente fuori da quella porta.
Il cigolio di quest'ultima, causa l'ennesimo sobbalzo da parte mia, più rumoroso e incontrollabile dei precedenti; segna un balzo quasi felino dei miei arti, proprio nella sua direzione.
Ma il mio assalto non va a buon fine, ovviamente: le sue mani afferrano le mie; il vaso resta a mezz'aria, intrappolato tra le mie dita, incapaci di scagliarlo contro di lui; il mio petto si ritrova ad aderire al suo, marmoreo e pericoloso; la seta dei suoi lunghi capelli mi solletica le spalle e il collo; il suo respiro si infrange sul mio, sempre più forsennato.
La mano dell'intruso, prontamente, agisce sull'interruttore, per permettermi di scorgere la persona che ho di fronte.
Lo riconosco all'istante: due pozze color caramello fisse nei miei occhi cerulei; i lineamenti marcati, parzialmente celati dalla sua folta e liscia chioma castana; Il naso lievemente pronunciato, si arriccia nel constatare cosa io racchiuda tra le dita tremolanti; le labbra sottili si schiudono nell'emettere qualcosa, ma all'improvviso pare vogliano abbandonare l'idea iniziale.
Neil, il tastierista di Rush, è in casa mia, nel cuore della notte.
<< Neil, ma cosa ci fai qui? >>, esordisco alzando la voce di un'ottava.
<< Ti ho portato questi, così farai presto per andare a lavoro. Oggi ti accompagno io. Ah... e ovviamente, ho le chiavi >>, mi informa placidamente, indicando dei cornetti.
Isso le sopracciglia e sgrano gli occhi, visibilmente scossa e disorientata da questa strana e bizzarra intrusione.
Mi affretto ad attraversare il corridoio, lasciando che il blu dei muri scorra velocemente alla mia vista.
Il soggiorno, illuminato dalla lampada in legno a forma di elica, non è mutato: il sofà nero in pelle a sinistra, l'altro viola a destra, la poltrona fucsia di fianco al secondo divano, il tavolino in legno al centro; il cucinino bianco risiede, nel medesimo ordine, a qualche metro di distanza.
Getto un'occhiata all'orologio placcato in oro sul polso e, con assoluto sgomento, constato che sono le sei del mattino.
-Alle 6 del mattino questo Tipo pensa a portare, a me, la colazione? Cos'è che vuole da me? -
<< Non ce n'è alcun bisogno, davvero. Prendo l'autobus >>, rispondo con diffidenza.
<< Ma è molto lontano... insisto! >>, persiste la sua gentilezza così mellifluamente eccessiva e inquietante.
<< E va bene, accetto. Ti ringrazio >>, acconsento, desiderosa di saperne di più.
Mi fiondo in stanza per svestirmi e indossare dei jeans a vita alta, una camicetta giallo canarino e dei tacchi scuri.
Esco fuori, non prima di aver afferrato - in tutta fretta - la mia borsa, del medesimo colore della maglia.
L'oscurità viene ottenebrata dal lume del primo mattino, e il firmamento rischiara tra i raggi crepuscolari.
Entro nel suo pandino nero.
-Ma possibile che abbiano, tutti, la fissazione con questi pandini? -
Mi accomodo, pur restando in una posizione rigida, ampiamente espressa dalla schiena in tensione.
<< E' da un po' che non ti si vede da queste parti. Rush e Stevie hanno lamentato la tua assenza >>, interrompo il silenzio imbarazzante.
<< Sì, lo so. Necessitavo di stare solo per meditare >>, mi degna di una spiegazione che suscita sgomento.
<< Meditare? >>, indago in un timbro di voce basso.
<< Sì, meditare. Meditare in solitudine mi aiuta a riorganizzare i pensieri e a trovare ispirazione per i nostri pezzi >>, indugia nel rispondermi, criptico e imperscrutabile.
<< Mi sembrava di aver capito che fosse Rush il song-writer >>, inquisisco con aria pensierosa.
<< Lo è, ma io dò un contributo considerevole... diciamo che trasmetto un tocco di misticismo ai nostri pezzi. Li rendo più profondi, Rush si concentra sul resto e sul lato psicologico >>, si dilunga ma continuo a non capire cosa lui intenda.
Poi, quasi avesse percepito il mio turbamento, mi lancia una lunga occhiata, abbastanza penetrante e intensa, che non riesco a definire.
<< E a tal proposito, Juliet... sei riuscita a convincere Rush sull'aggiunta del pianoforte alla strumentazione della Band? >>, prende parola, nuovamente.
La macchina, con il suo perenne dondolio, induce il mio corpo ad oscillare lievemente.
<< No, nada. E credo che dovresti rassegnarti anche tu >>, tento di farlo ragionare.
<< Mai! Lui non capisce! Necessitiamo di ampliare la parte strumentale e aumentare la complessità! Lui vuole ingabbiarci! >>, esclama velenoso, stringendo in modo smodato lo sterno.
Digrigna i denti, ritraendo sul suo volto l'espressione dell'ira più funesta.
<< Sì, ma credo che dovremmo rassegnarci >>, concludo, non appena la sua macchina inchioda ed entrambi usciamo da essa.
Mi sbarra la strada, precisamente nel momento in cui mi avvio per salire le larghe scale ai piedi della scritta:
_"Hard Rock Club"_
Si avventa su di me per cingermi le braccia e strattonarmi a sé.
Continua a strattonarmi, livido in volto: labbra serrate, pupille dilatate e fronte aggrottata.
<< Cosa fai Ne-Neil! Lasciami-mi! Mi fai male! >>, mi oppongo a gran voce, nel tentativo di divincolarmi dalla sua morsa serpentina.
<< No! Ti prego Juliet! Promettimi che ci proverai! Noi ne abbiamo bisogno, io ne ho bisogno per i miei pezzi! >>, graffia con voce agitata e ansiogena.
Giunge l'ennesimo strattone che mi spinge verso di lui, contro un muretto poco distante dalla gradinata.
Ma all'improvviso, il suo viso si dipinge di sgomento e dispiacere; dilata le pupille.
Mi molla bruscamente, retrocedendo di quattro passi.
Inizia a fissarmi con la mascella protesa verso il basso, figurativa di qualcosa che forse neanche lui è in grado di comprendere.
<< Scusami davvero, ma per la Band è importante >>, squittisce lentamente, lasciando trapelare una nota di disperazione.
In seguito, nel più assoluto mutismo, va via ritornando nell'utilitaria e sgommando via.
Dopo aver oltrepassato l'ingresso, vengo catapultata in un'altra frenetica giornata di lavoro.
È proprio come lo rammentavo: un connubio di fasci tra il giallo, il fucsia, il blu e il viola, che si infrangono sugli alti muri blu dal colore della notte più cupa; le sedie e i tavoli in legno riportano il riflesso di questa luminosità; l'enorme palla sfavillante inchiodata al soffitto pare quasi che mi osservi; le mattonelle multicolori del palco, che a sua volta sono circoscritte dalla linea viola luminosa, attendono il momento in cui ospiteranno il peso di tanti musicisti.
Seduto sullo sgabello nero di fronte al bancone, intravedo un Rush alquanto concentrato, con il capo totalmente immerso in un quadernino, che a sua volta è invaso dalla cascata di ricci castani.
Questa volta è completamente vestito in pelle nera, da avere le fattezze di una figura funerea.
Mi posiziono proprio dinanzi a lui, dietro il pianobar.
<< Ciao Rush >>, esordisco pimpante, inarcando il labbro superiore.
Lui alza leggermente la testa per scoccarmi uno sguardo furtivo e apatico.
<< Juliet >>, e con assoluta indifferenza torna a contemplare il suo quaderno.
-Mah... -
Lucido i primi bicchieri che mi capitano a tiro, per non starmene con le mani in mano.
Lo guardo di traverso, perché non posso evitarlo.
Finalmente, forse captando il mio interesse, mi degna della sua attenzione.
<< Juliet... >>, incomincia, probabilmente desideroso di comunicarmi qualcosa.
<< Sì? >>, incalzo, ansante.
Il mio sorriso si allarga diventando sempre più radioso.
<< Un bicchiere di Whisky, grazie >>, afferma, imperativo e indifferente.
-Ah... -
Prendo la bottiglia e verso l'alcolico, per poi renderlo a Rush, che lo trangugia come se fosse acqua.
<< Cosa fai? >>, domando dopo una manciata di minuti.
<< Sto lavorando ad un nuovo pezzo >>, mi informa privo di qualsiasi inclinazione nella voce.
Non ha alcun desiderio di conversare, ma io non demordo, perchè devo convincerlo come mi ha detto Neil.
<< Ah... e immagino tu sia stressato, d'altronde dovete finire il cd che, se non erro, deve essere composto da ben dieci pezzi! >>, mi afferro a qualsiasi appiglio pur di prolungare questo dialogo.
<< Già, dieci pezzi. >>, conferma con nonchalance, stando ben attento a non alzare lo sguardo, anche solo per un secondo.
-Tutto ciò è esasperante! Perchè diavolo mi parla senza guardarmi? Scostumato! Mantieni la calma, Jul! Sì educata! E cerca di farlo ragionare! -
<< Ehm... perchè componi qui? >>, chiedo, visibilmente a disagio.
<< Perchè ci hanno chiamati per suonare tra 40 minuti e dobbiamo ultimare il disco entro un mese, non c'è tempo, senza contare i lavori che fanno i ragazzi... E Juliet... ho bisogno di scrivere, non posso conversare >>, chiarifica in modo alquanto seccato.
-Come se non si fosse capito! Scostumato e muto! -
<< Ah... ok, ho recepito il messaggio, vado a lucidare questi bicchieri >>, rendo noto il suo più grande desiderio.
<< Bene >>, acconsente nella più assoluta indifferenza.
- No non posso! Deve dirmelo! -
<< Di cosa parla la canzone? >>, ritento per l'ultima volta e lui sbuffa rumorosamente roteando gli occhi al cielo, per poi scoccarmi un'occhiata di fuoco.
<< Da quanto in qua ti interessa il Rock? Non eri tu quella che ha frignato per sei giorni all'idea di dover fare una cover sui Led Zeppelin? >>, punzecchia col suo usuale sarcarmo che quasi, e sottolineo quasi, mi era mancato.
<< Beh... forse avevi ragione, dovrei ampliare i miei orizzonti musicali. Per tale ragione, sono curiosa, adesso! >>, colgo la palla al balzo.
-Chissà che non ceda ora... -
<< Mh... e questa tua irrefrenabile curiosità devi riversarla proprio su di me? Tra poco arriveranno tanti Rocker e potrai soddisfare tutte le tue curiosità >>, ribatte, imperturbabile.
<< Beh... ma io e te ci conosciamo, e poi... mi-mi interessa sapere cosa scrivi t-tu >>, la frase termina in un sussurro per via del significato che si cela dietro determinate parole.
Ghigna apertamente, in modo decisamente sfacciato, palesando una particolare tracotanza.
<< Ma davvero? >>, esprime in un tono di beffa e malizia.
La stessa malizia che gli si legge in faccia, dipinta su quel suo maledetto ghigno, proprio nel secondo in cui mi circuisce, venendomi dietro.
Avverto il suo petto sfiorare la mia schiena, il respiro nelle mie orecchie che genera un brivido elettrizzante.
<< Ti interessa sapere cosa scrivo nei miei testi? Oppure... >>, fomenta un qualcosa dentro di me che che non sono in grado di definire.
Appoggia le braccia sul bancone; il mio corpo resta intrappolato tra esso e il corpo di Rush che appare sempre più imponente.
Imponente è il modo in cui mi fissa: gli smeraldi bruciano sulla mia pelle come brace ardente in un camino, come se a loro tutto fosse dovuto.
Mi trasmette un senso di impotenza e insicurezza, come se non fossi in grado di reagire e allontanarlo, allontanare questi suoi occhi verdi, così vivi e penetranti.
Un secondo tremito mi percuote quando le sue dita si posano sui palmi delle mie mani; si muovono con estrema lentezza, come se temessero che possano sfuggirgli, come se volessero conoscere ogni singolo millimetro della mia pelle.
<< O-Op-pure? >>, farfuglio in un timbro basso.
Accarezza interamente il mio braccio, e un secondo brivido mi scuote, mozzandomi il fiato.
Si spinge sino al mio collo, producendo su di esso una carezza ripetitiva che percorre ogni singolo millimetro di esso.
E tutto ciò è assurdo.
Assurdo che lui faccia tutto questo con nonchalance.
Assurdo che io glielo stia permettendo.
Assurdo che io sia in sua balia.
<< Oppure ti interessa altro? >>, frantuma la bolla di pensieri che si era creata nella mia testa, con parole provocatorie, enigmatiche e impudenti.
<< Ma co-cosa stai facendo! E poi, mi interessa la canzone sì, perciò... >>, provo a prendere il comando della situazione, per ristabilire l'autocontrollo che sono solita a indossare in ogni situazione, anche la più critica.
La sua bocca si schiude per lasciare spazio a un sogghigno.
<< Mh... >>, mormora soavemente.
Il mio petto inizia a fare su e giù avvertendo il suo soffio al mio orecchio, nel tentativo di dare voce a ciò che gli sta balenando in testa:
<< Cosa scrivo nei miei testi sono fatti miei, Monachella >>.
Si discosta da una me ancora scossa, o quantomeno tenta di farlo dal momento che gli cingo il polso.
<< Non vuoi dirmi neanche il motivo per cui non voglia inserire il piano nella strumentazione? >>, non demordo ma so che qualcosa sta accadendo, e parlare di un'altra questione mi aiuta a dominare quella strana tensione.
<< Juliet, per l'ultima volta, sono. affari. miei. >>, sentenzia con decisione.
<< Ma Neil, lui stamattina mi ha detto che è giusto inserirlo. Dunque mi ha chiesto di convincerti >>, mi ostino.
<< E sentiamo, come pensi di convincermi? >>, mi provoca, concedendosi un riso beffardo.
<< Beh... come lui, penso che... >>, boccheggio in difficoltà.
<< Risparmia il fiato, e dimmi... cosa mi darai per convincermi? >>, ribatte prontamente.
-Cosa mi darai? -
<< Beh... posso imparare a suonare qualche canzone Rock, o posso offrirti da bere >>
<< Banali. E poi cosa ci guadagnerei io, da una canzone che impari tu? >>, mi fa presente.
Un fremito permea sulla pelle della schiena mentre Rush si appressa sempre più a me.
Le sue labbra carnose, a un soffio dalle mie, si disserrano, e il mio petto si anima di una galoppata improvvisa e forsennata.
<< Sai, ho una mezza idea >>, sillaba, intento a disegnare, con quelle dita tentatrici, dei cerchi immaginari sulla maglia che copre il mio stomaco.
<< Di quello che... >>, seguita a dirmi intervallando la frase, troppo preso com'è dal toccarmi.
Mi beo del suo tocco sulla schiena; così delicato, deciso e ardente.
Arde interamente sul dorso, sulle spalle, sul collo per poi giungere al mio labbro superiore.
Ne traccia il contorno tra una palpitazione e l'altra, l'una più intensa dell'altra.
La stilla di un desiderio sconosciuto ad entrambi, permane dalle sue pupille verdi e brucia sull'oggetto del suo interesse: la mia bocca.
<< Di quello che potresti darmi per convincermi, Juliet >>, sibila maliziosamente, sempre più vicino, sempre più presente, sempre più potente, sempre più irresistibile.
Azzera ulteriormente le distanze tra noi e posso sentirlo, il suo respirare, che è irregolare come il mio e si confonde in una mutua necessità, quasi impellente, dominante e inevitabile.
Ma un urlo sgraziato ci distoglie l'uno dall'altra, catapultandoci nuovamente nel mondo reale, appartiene a quel nanetto biondo di Stevie.
<< Adrianna è scomparsa! E non si sa dove sia! >>
-Cosa? -
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