Capitolo VIII - Adagio (Prima parte)
La luce, irradiata dalle lampadine interne, si infrange fiocamente nel buio di questo spazio ristretto; l'auto appare più cupa e scura.
Rush se ne sta comodamente seduto al volante, sebbene abbiamo stazionato da un po' sul ciglio della strada.
La sua chioma riccia cade caoticamente sul suo viso, coprendogli parzialmente la fronte; non sono in grado di scorgere i suoi occhi.
Fissa un punto indefinito di fronte a sé, attendendo che io ponga fine a questo mio lamento.
Con le mani al grembo e gli occhi lacrimevoli, seguito a sedere su questo sedile.
Tiro su col naso per l'ennesima volta.
Mi sento come una stupida bambina che non può far a meno di piangere.
Bambina che, per di più, piange di fronte ad un ragazzo verso cui non ripone la minima fiducia.
Da circa un'ora fiumi di lacrime sgorgano ininterrottamente sul mio viso, e lui - nel più assoluto mutismo - ascolta ogni mio singhiozzo.
Non ho idea di cosa lui stia pensando e, sebbene io non desideri palesare questa fragilità, non riesco a trattenermi.
Questa storia di Adrianna ha toccato le corde più profonde della mia sensibilità.
Non mi capacito di come sia possibile che una ragazza debba essere a costretta a vendere il suo corpo per sopravvivere.
-Davvero è stata una scelta costretta? Come può, il desiderio di preservarsi nella propria essenza di donna, sopperire di fronte alla mera necessità di sppravvivenza?-
La mano di Rush, intenta a porgermi una manciata di fazzoletti di carta, interrompe il flusso dei miei pensieri, costringendomi a voltare il capo verso il suo.
Un'assenza di espressività permane su quel volto dai lineamenti delicati, e ciò mi fa rabbrividire.
Mi scruta attentamente.
Le sue labbra carnose, serrate in un cipiglio serioso, si schiudono.
<< Tieni >>, emette un sussurro pervarso da una gentilezza gelida.
<< Grazie >>, la mia voce roca, bassa e debole , finisce di frantumare la bolla di silenzio in cui eravamo stati relegati.
<< Figurati! Anche se questo è l'ultimo pacco di fazzoletti >>, mi informa con apatia.
Poc'anzi si è mostrato quasi dolce, impegnato a lasciarmi delle lievi carezze di consolazione, e ora...
Sembra totalmente distaccato, quasi come se non fosse qui, ma mi sento in dovere di ringraziarlo:
<< Ti rin-grazio per questo >>.
Flette le labbra in una linea curva, permettendo ad un sorriso abbozzato di spuntare sul suo viso.
<< Non devi ringraziarmi >>, mi dice con una serietà innaturale.
<< Non mi sarei mai aspettata che io e te saremmo finiti così >>, gli confesso in un sussurro pregno di incertezza.
<< Perché? >>, mi domanda, seriamente incuriosito.
<< Beh, perché... guardaci... siamo opposti >>, gli faccio notare, distendendo le braccia allo scopo di indicarci.
La serietà precedente viene soppiantata completamente da dei risolini che riscaldano il gelo di questa atmosfera, i suoi.
<< Perché siamo opposti, Juliet? Perché sono troppo spregiudicato, audace, disinibito, troppo Rock per una bigotta, repressa come te? >>, pone quella che mi sembra una domanda retorica.
E il guscio vuoto, che era il suo volto, si anima nuovamente di un lato provocatorio, in un linguaggio che oserei definire tracotante.
<< Beh... s-sì, tu sei proprio l'opposto della persona che potrebbe capirmi >>, gli dico in una convinzione sorda, seppur io non lo conosca bene.
Di colpo, senza alcun preavviso, apre la portiera bianca per uscire e chiuderla alle sue spalle.
Lo seguo a ruota, tentando di dare una spiegazione all'anomalia di questo suo atteggiamento.
Siamo sul ciglio di una strada di campagna, circondati nell'immensità di una natura selvaggia: erbacce incolte e buche, alberi robusti.
-Cos'è? Vuole uccidermi adesso? -
All'improvviso, contrariamente a quello che credevo facesse, riempie con grosse falcate lo spazio che intercorre tra noi.
<< Ma-ma co-cosa stai facendo? Senti Rush, allo-lontana-ti, altrimenti ti dò un colpo negli stinchi! Non permetterti di toccarmi con quelle mani che hanno toccato chissà quante altre! >>, gli intimo con fin troppa enfasi e il respiro accellerato.
Ridacchia apertamente scuotendo il capo, seppur mantenga imperscrutabilità.
<< Sai una cosa, Juliet? Mi aspettavo di più dalla tua risposta su cosa ci rende diversi. E invece sei alquanto banale >> sentenzia - impassibile - con saccenza << Forse si percepirà anche nella tua musica, la tua banalità >>.
Una voce così mellifluamente dolce, carezzevole e soave.
Privandomi di ulteriori spiegazioni, si avvia per ritornare in macchina, con nonchalance.
Io faccio lo stesso, non avendo altra scelta.
Tuttavia, i miei occhi cerulei sono calamitati dai suoi, senza che questi ultimi lo stiano desiderando davvero.
In questo momento, intenti a fissare la strada di fronte a sé, sono privi di vitalità; si tingono di una striatura verde ebano; esternano una totale perdita di interesse nel conversare.
L'oscurità viene ottenebrata dal lume del primo mattino che eclissa totalmente le ombre, aprendo il firmamento.
Ma non riesco a reggere questo interesse per troppo tempo, perché la mia vista si posa di nuovo sul ragazzo che, indisturbato, sta guidando.
<< Vuoi una fotografia? >>, mi chiede di punto in bianco, placidamente.
<< Come scusa? Io non ti stavo fissando! >>, il mio tono è infastidito.
Un'occhiata raggelante si scontra con la sua impassibile.
<< Ma davvero? >>, replica con quello che mi sembra sarcasmo.
<< Sì. Fi-fissavo la vegetazione, ha delle forme molto singolari! >>, invento su due piedi, distogliendo lo sguardo sotto il suo ghigno.
<< Uh, non sapevo che tu riuscissi a soffermarti sulla vegetazione con questo buio. Ma ok, hai dei poteri paranormali >>, si prende chiaramente beffa di me.
In questa nostra conversazione delirante, Rush - ancora una volta - è riuscito a mettermi con le spalle al muro.
Ma stranamente, non mi suscita fastidio, anzi è come se - nei nostri battibecchi ironici e strani - sentissi una strana adrenalina che mi percuote e mi spinge a controbatterlo. Voglio avere il dominio.
Entrambi vogliamo averlo; nessuno dei due vuole cedere.
Orbene sia così, l'ombra di un leggero malessere si insinua lentamente in me, e porta il nome delle insicurezze che mi ha suscitato con quel suo definirmi banale.
Nessuno prima d'ora mi aveva mai definito tale. Fatta eccezione per mio padre, si intende.
Lui criticava ogni singola cosa io facessi, per indurmi a fare quel che voleva quando prendevo una posizione contraria alla sua.
Ma in qualsiasi altro momento, momento in cui trovavamo un mutuo accordo, mio padre - omologato a mia madre, mio fratello, mio nonno e ai miei compagni della Juilliard - tesseva le mie lodi.
E lui, un pazzo - probabilmente un drogato - si è permesso di ingabbiarmi in questo giudizio avvilente e demigrante.
Traggo un profondo sospiro e finalmente proferisco parola:
<< Senti, io non so il perché tu mi abbia definito banale, potresti spiegarmelo? >>.
<< Perché lo sei, Juliet. Banale la tua risposta. Banale tu >>, emette la sua sentenza, in un suono che trasuda decisione e sicurezza, privo di qualsiasi sospensione verbale.
<< Sì, ma non capisco il perché tu lo dica >>, arranco senza fiato.
Non mi degna di alcuna risposta. Nonostante ci sia un dondolio continuo, la sonnolenza è schiacciata da questa rabbia opprimente.
Questa rabbia porta il segno delle insicurezze che soltanto mio padre riusciva a tirare a galla, spronandomi a fare di più.
Le prime luci dell'alba risplendono nel firmamento, creando un connubio di sfumature tra il giallo e il rosso sulla mia abitazione.
Usciti dall'auto, si arresta e mi si avvicina, inducendomi ad arretrare.
-Ma è una fissazione questo suo fare altalenante tra il "mi avvicino e mi allontano"? -
La bocca carnosa, ricoperta da un sottile filo di barba, è serrata in un silenzio soffocante e gli dipinge in volto un aspetto di impenetrabilità.
I lineamenti delicati sono rilassati in un'espressione distesa: zigomi non contratti; mascella disserrata.
Gli occhi vengono pervasi da una strana luce, una luce sconosciuta.
Inchiodano nei miei come se volessero denudarmi nell'animo, come se volessero prendersi tutto quello che racchiudo. Voraci di conoscenza e avvolti in un un chiarore che ha le sfumature di uno smeraldo, bruciano su di me come brace ardente in un camino.
Mi sussurra: << Ci tieni ad apparire originale ai miei occhi, vero? Sono così originale, stravagante e strano che ti confondo, vero? >>, in un timbro basso e suadente.
Boccheggio non sapendo cosa dire: questo ragazzo, con le sue stranezze, è la prima persona che riesce a zittirmi e a mettermi nel sacco.
<< Beh... mi hai dato della persona banale, ovvio che desidero sapere cosa tu "intenda dire"! Ma solo questo! Dopo averlo saputo, puoi anche andartene al diavolo per me, perché avrò perso interesse nel conversare con un arrogante come te! >>, scatto, velenosa.
<< Per avere risposta, vieni con me >>, sentenzia con sicurezza, tirandomi a sé in un'andatura forzata.
Attraversiamo la strada e svoltiamo in una stradina in aperta campagna.
In un calpestio ai danni delle povere erbacce, sgomitando sulla prolifera vegetazione degli alberi imponenti, ci incamminiamo.
Giunti a destinazione, la mia mascella si tende verso il basso, figurativa del mio essere estasiata di fronte alla magnificenza imponente di questo spettacolo naturale.
Il sole, in un contrasto di colorazioni tra il fucsia, il viola e il rosso, bagna il mare, dipingendo una scia luminosa sulle limpide distese d'acqua.
<< Perché siamo qui? >>, lo incalzo con una punta di impazienza.
<< Per la tua risposta >>, risposta secca ed ermetica.
<< Senti Rush, sono le 07:16, precisamente l'ora dell'Alba. E' tardi e ho passato l'intera notte stando sveglia. Non sto capendo. Potresti smetterla con questi indovinelli e parlare >>, gli espongo con cortesia, perché vorrei che me lo dicesse e la finissimo con questa assurda conversazione.
<< Guarda di fronte a te e dimmi cosa vedi? >>, mi intima in un tono che non ammette repliche.
<< Cosa? >>, paleso il mio sbigottimento << Ehm, vedo... il crepuscolo, il sole nascere e riflettersi sul mare >>.
-Per rispondere alla mia domanda sulla sua definizione di banale, mi fa un'altra domanda attraverso cui dovrei capire? Capire cosa? Questo ragazzo è indecifrabile! -
<< E cos'altro ti trasmette? >>, seguita nel suo indovinello privo di senso.
-Siamo sicuri che non abbia sniffato qualcosa? Non mi sorprenderebbe! -
<< Ehm... non saprei... >>, ammetto a braccia conserte, del tutto sconfitta, chinando il capo.
<< Non pensi che esso porti con sé la premessa di un nuovo tramonto, che profumi di vita, di speranza, di determinazione nell'affrontare una nuova giornata che incide un altro tassello nel tuo percorso personale e formativo? E non ti fa sentire viva, questo? Viva al pensiero che sarai quello che vuoi essere, un giorno >>, mi elenca con assoluta fluidità in un timbro basso, lasciando spazio anche ad una stilla di appagamento e determinazione.
<< Beh, non ho pensato a tutto questo. Ho visto il sole battere e... >>
<< Non lo hai pensato, perché guardavi ma non vedevi. Questo intendevo con banale. Perdi i dettagli, Juliet. Quei dettagli che fanno la differenza e ti permettono di scorgere le sfumature occulte di una persona. Probabilmente perché il bigottismo e i pregiudizi offuscano la tua visione >>, mi spiega lentamente con aria di saccenza da professorino.
La cosa, che più mi infastidisce, origina dalla consapevolezza che in questo frangente ha ragione.
Mi fa cenno col capo invitandomi a seguirlo in un capanno.
La porta si apre e ci consente di scorgere cosa si cela oltre questa soglia: pavimenti consumati, un tavolo in legno, un letto spoglio di qualsiasi comfort e un pianoforte situato al centro.
Sbatto le ciglia nel constatare che Rush si sta accomodando su di esso. Posa lievemente il piede sul pedale senza premere.
-Questo pianoforte è suo? -
Le sue dita delicatamente premono sui tasti, inebriando la stanza di una melodia lenta e raffinata.
L'andamento, lento e ripetivo, scandisce lo scorrere del tempo; decreta una lenta agonia.
Riconosco i suoni malinconici e sinistri del celebre pezzo di Sebastian Bach.
_"Adagio"_
Le note si susseguono in modo cauto, creando una sinfonia di suoni dal significato logorante.
Vedere la sicurezza, con cui le sue mani sono in grado di toccare i tasti giusti di quel piano, è incredibile.
In modo impensabile riesce a prendere ogni nota.
La sta suonando in Do minore.
Il maggiore lavoro, lo sta facendo la mano destra nell'esecuzione di un registro solistico.
La mano sinistra riproduce la ripetitività del brano in un dolore lacerante.
Il medesimo dolore lancinante che serra la sua mascella in una morsa di marmo e inchioda le sue pupille al vuoto.
I suoi occhi, nuovamente spenti, si sposano perfettamente con lo strumento in un connubio di dolore e adrenalina.
Un connubio che mi mette i brividi, a causa della tristezza inespressa a parole.
Prima che io possa realizzarlo, tutto finisce.
Rush si alza e ripone gli spartiti nel suo quadernetto, ma qualcosa non va.
Il suo petto si muove affannosamente, esternando il suo annaspare.
-Che sta succedendo? Non l'ho mai visto così! -
<< Non mi aspettavo suonassi Bach >>, esordisco, al fine di spezzare la tensione di questo istante.
<< Perché mai non avrei dovuto suonarlo? >>, il suo timbro è privo di qualsiasi elevazione, privo di qualsiasi emozione.
<< Beh, perché lui era una persona singolare, musicista ecclettico e sinistro >>
<< Questo vi insegnano alla Juilliard? >>, mi incalza con un velo di acredine.
<< Beh, mio padre mi ha sempre insegnato questo >>
<< E perché lo era? Ah, sì, ti dico io il perché... >>, i suoi toni si elevano, graffiando su ogni singola parola << Perché affermava il Luteranesimo in molti suoi pezzi, perché era a favore della chiesa Protestante, a favore della libertà, dell'uguaglianza, perché aborrava l'eccesso di privilegi nel Papato e nella chiesa Cristiana >>.
Lui è sicuro di quel che dice.
Quello che mi sorprende, a cui non riesco a dare una spiegazione, è il perché prenda così a cuore la questione di Bach.
<< Lui era contro la Chiesa e il Papa, non aveva una coscienza religiosa >>, pronuncio meccanicamente.
Stringe le mani in un pugno furioso, scoccandomi uno sguardo adirato.
Infiamma sulla mia figura, del tutto ingrugnito.
<< Perché? Perché era contro gli abusi di potere del Papato che, da ipocrita quale è sempre stato, si è servito del suo ruolo di portatore della voce di Dio, per fare quello che più gli aggradava a discapito della gente impotente! Non è giusto che qualsiasi persona, anche un esponente della chiesa, se ha sbagliato, paghi? È giusto vedere in quale modo la chiesa abbia permesso tanti reati? È giusto vedere in che modo essa si sia posta in una condizione di superiorità rispetto al popolo? >>, si prodiga in un lungo discorso volto ad esporre il suo desiderio di sovversione politica e religiosa.
Non mi sarei mai aspettata da lui un discorso così profondo e sensibile.
Non mi aspettavo fosse così acculturato.
<< Beh... no, chiaramente non lo è >>, concordo a mani basse.
<< Beh... molte volte il marciume risiede proprio nell'impensabile. A volte, la vera pietra grezza è proprio quella sfolgorante >>
<< Non l'ho mai pensata così, però hai ragione, l'apparenza è fallace >>, concludo, pienamente, disorientata dalla direzione presa dal nostro dialogo.
<< Brava, vedo che impari. Ma tu questo lo sai meglio di me, Juliet. Hai solo problemi ad ammetterlo >>, riprende a stuzzicarmi con il suo abituale sarcasmo e saccenza.
Mi tiro su in un balzo che ha ben poco della mia solita grazia.
La grazia che riveste ogni mio movimento.
<< Stai velatamente insinuando che sono stupida? Ma come ti permetti, io ho anni di studi privati alle spalle, dai migliori professori! >>, gli inveisco contro.
<< No, sei intelligente. Il tuo problema risiede nel modo di pensare inculcatoti da tuo padre. Esso offusca la tua capacità di giudizio e ti impedisce di vedere la realtà liberamente >>, sermoneggia con quell'aria di chi ha capito ogni cosa di me.
<< Mi stai dicendo che non sono in grado di pensare, che non ho cervello? Ti hanno mai detto che sei un arrogante, Rush? Stai blaterando corbellerie! >>, contrattacco, vivida in volto.
<< Sì, a volte lo sono. Ma no, ribadisco che sei molto intelligente, sofisticata, Juliet. C'è solo un piccolo problema... pensi, ma non sei in grado di farlo nel modo giusto; hai abbandonato il nido familiare ma il tuo pensare è rimasto ancorato al loro; non sei in grado di pensare con la tua testa; dunque quelle catene ci sono ancora >>, predica cautamente.
<< E quale sarebbe il modo giusto di pensare? Sentiamo, Mr rifuggo dalle convenzioni! Mr so tutto io! >>, controbatto con una punta di acidità.
<< Pensare senza condizionamenti esterni e apparenze, perché soffocare il proprio modo di pensare per seguire quello del proprio padre pur non condividendolo, è sbagliato. È come se non si pensasse pur facendolo. Oltre ad essere un'offesa alla grande intelligenza di cui disponiamo >>, si dilunga e poi, mi fa segno di uscire con lui.
Nel tragitto di ritorno a casa, neanche una sillaba viene emessa dalla sua bocca.
Camminiamo in modo ponderato, persi in chissà quali pensieri.
Non appena siamo arrivati di fronte l'appartamento, lui sfreccia via con la sua autovettura.
Io, oltrepassato l'uscio della porta in legno, attraverso il soggiorno in cui il divano nero in pelle e quello fucsia sono perfettamente in ordine.
Le pareti blu elettrico scorrono velocemente a causa del mio camminare frenetico, sino al raggiungimento della mia stanza.
Proprio nell'istante in cui le mie mani si posano sulla maniglia laccata in oro, un urlo strozzato mi fa trasalire.
Proviene dalla stanza di Adrianna.
Sento degli ansimi e dei singhiozzi.
Accorro in suo aiuto e l'immagine di una Adrianna, raggomitolata su sé stessa tra tante coperte, tortura la mia vista.
Con gli occhi serrati, i lineamenti contratti in alcune smorfie di dolore, il sudore ad imperlarle la pelle della faccia, si dimena.
A causa del collidere di un suo pugno con la coperta, quest'ultima grava a terra.
Si gira da una parte all'altra in modo spasmodico, ossessivo.
<< No, lasciami non toccarmi! No-non devi toccarmi, lo-lo dirò-ò a lei e, ti-ti manderà vi-via! >>
Colta da un impeto di disperazione, ad occhi socchiusi, scaglia la lampada a terra.
Come una molla scatto in suo aiuto, iniziando a scuotere lievemente il suo corpo, ancora addormentato.
Un odore sgradevole e acre di alcol mi induce a schioccare la lingua schifata.
E altre lacrime premono per bagnare copiosamente la mia cute.
-E adesso? Cosa sta dicendo? Perché si è ubriacata? -
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