Capitolo IX - Adagio (Seconda parte)
INew York, Presbyterian Hospital, 1 Gennaio 1989
Il pavimento bianco dell'ospedale è freddo e lucido, ma i brividi - che mi hanno pervaso in precedenza - sono ormai un lontano ricordo.
Probabilmente la paura, che mi sta asfissiando da ore, ha annullato tutto il resto; sono accorsa qui a causa dell'overdose di Rush.
Ho mandato al diavolo il concerto della Juilliard e mio padre, che ancora una volta mi ha ricordato quanto sia inaffidabile il mio ex fidanzato.
Dopo tutto quello che è successo, avrei dovuto - a detta del mio genitore - lasciarlo bruciare all'inferno.
Ma non avrei potuto, perché - nonostante io abbia dei dubbi riguardo i miei sentimenti - non riesco a far a meno di preoccuparmi, di sbattere le ciglia e sistemare nervosamente i miei ricci dietro le orecchie.
Il mio sguardo, colto da uno spasmodico desiderio, si posa sul luogo circostante: persone stazionano, comodamente sedute sulle sedie di plastica nere; i bianchi corridoi sono così immensi, da infondermi il sentore che possano occultare tante verità indicibili; l'illuminazione fioca irradia porte dal medesimo colore delle pareti.
A causa della mancanza di posto a sedere, non ho esitato ad accomodarmi sulla pavimentazione con le ginocchia al petto e la schiena aderente al muro.
Poco importa se il tailleur nero si sta impolverando; poco importa se i capelli sono ridotti ad una massa informe e crespa.
Le lacrime, versate sul trucco, impiastricciano interamente il mio volto: hanno inondato - copiosamente - le mie guance, come un fiume in pena.
Il dolore opprimente logora ogni aspetto di me: mi serra la mascella; mi solca il pallore della cute con occhiaie profonde.
Mi tiro su, strusciando la schiena sulla parete. Le gambe, parzialmente scoperte dalla gonna a tubino nera, escono dal loro persistente stato di immobilità. I piedi, all'interno delle décolleté, sbattono insistentemente sul pavimento.
<< Dovete andarvene di qui! Fuori! >>, strepita grondante di rabbia, il dottore.
L'uomo è avvolto nel suo camice bianco che svolazza al soffio del vento.
I capelli brizzolati indugiano - fastidiosamente - sulle pieghe della fronte; le sopracciglia sono tese verso il basso in un cipiglio adirato.
Gesticola smodatamente e inveisce contro l'orda di paparazzi impertinenti e prepotenti, che hanno piantato radici fuori.
Il vetro della porta riflette la loro immagine in Jeans e giacche nere, intenti ad imbracciare quelle infernali macchine fotografiche.
<< Vi ho già detto che non ho notizie! Non mi occupo io di lui! Fuori! >>
Sgomitando, per aprirsi un varco che consenta il loro passaggio, Adrianna e Adam - in un completo interamente in Jeans - si fanno strada, tutelati da alcuni uomini elegantemente vestiti in nero, il cui compito è quello di impedire che qualcuno possa nuocere ad Adam.
Intravedo di sfuggita la sua immagine: la lunga chioma scura invade il suo giubbotto di jeans; una bandana blu a quadretti bianchi sulla testa e gli occhiali da sole.
Quest'ultimo, dopo aver attraversato con Adrianna la sala, si reca nella stessa postazione in cui mi trovo io.
Adrianna si distanzia da noi, guardandosi attorno.
Invece, quella specie di esercito vestito da pinguino resta guardigno, a pochi metri da noi, come se temesse un attacco terroristico da un momento all'altro.
<< Novità su Rush? >>, prorompe il capellone, pregno di un'ansia inenarrabile.
<< Ancora nulla >>, informo, priva di qualsiasi inclinazione nella voce.
Questa sofferenza mi ha prosciugato di ogni sensazione: mi sento come se fossi un automa, incapace di esternare il proprio stato d'animo e di provare emozioni.
<< Jul, sta' tranquilla. Adesso Rush sa quello che ha combinato e quando tornerà in sesto, si deciderà una volta per tutte a disintossicarsi >>, mi rassicura, Adrianna.
<< Quante volte. Quante volte mi ha giurato che non avrebbe più toccato nulla, e invece... >>, sillabo stancamente, con rammarico.
<< Jul, lo sappiamo, sappiamo tutta la storia, ma ci sono cose che tu non sai ed è bene che tu le sappia. Rush ha fatto tante stronzate e cose terrificanti >>, mi annuncia, lei.
Annuisco debolmente con il capo, rifugiandomi nuovamente nel mio stato di mutismo.
Al suono di quelle sue parole, la mia mente rimembra quel momento di quel lontano 1987 in cui lui - malgrado fosse l'ultimo dei suoi desideri - mi aveva dato prova delle lame che laceravano la sua anima da anni.
E tutto ciò era avvenuto precisamente il giorno dopo che mi aveva inebriato con le dolci note di Adagio.
<< Ricordiamo bene cosa è accaduto, le follie che abbiamo fatto >>, conclude con aria stanca, Adam.
Serro gli occhi e i ricordi si susseguono, materializzando in me l'immagine vivida di quegli anni.
***
New York, 10 Gennaio 1987
All'imbrunire usciamo di casa, lasciando che il vento debole ci punga con la sua freddezza; ci stringiamo nelle spalle per ricavare anche un'esigua quantità di calore. Il mio modo di vestire diverge completamente dal suo: un montone marrone con un'imbottitura in pelle bianca che ricopre la mia maglia beige a spalle scoperte; dei Jeans stretti da una cintura nera sull'alta vita.
Lei si incammina ancheggiando; ad ogni suo movimento, i pantaloni di pelle neri - che aderiscono sino alla vita - risaltano.
La pancia è nuda, per via di un top nero, che - striminzito - le avvolge soltanto il seno.
Il giubbotto di pelle ricopre la sua cute scoperta, ma io mi chiedo come possa vestire in questo modo così indecente, con questo freddo.
Entriamo nella panda prestataci da Rush che ci attende lì con gli altri.
In una trentina di minuti giungiamo a destinazione.
Oltrepassiamo la soglia e il consueto connubio di colori lampeggia: il blu e il viola dei fasci luminosi che irradiano dal soffitto ; gli alti muri tinti di blu elettrico; il marrone scuro del legno che riveste i tavoli e le sedie, compreso il piano bar; il riflesso delle luci sulle mattonelle multicolore del palco; l'argenteo sfavillante dell'enorme palla in alto al centro.
<< Se vuoi ti accompagno >>, le propongo, accennando un sorriso di cortesia.
<< Hai già fatto molto venendo qui nonostante oggi tu non debba lavorare! Mi hai fatto il brodino! E ti ringrazio, ma dico davvero... non ho bisogno di una badante, Juliet. Non sono malata! >>, mi risponde con una punta di amarezza, dopo aver abbandonato il giubbotto nell'angoletto apposito. Imito i suoi movimenti, sbirciando nella sua direzione.
Si allontana a grandi falcate.
Spinta dall'incertezza, a piccoli passi mi dirigo verso il tavolo dei ragazzi. Riconosco i giubbotti di pelle con le borchie di tutti e tre, i jeans strappati di Rush, i pantaloni leopardati del biondino Stevie, quelli in pelle gialla del capellone moro Adam.
L'unico vestiario, che spicca in originalità, è quello di Neil: una camicia nera molto casual, che lascia intravedere la cute chiara del suo addome asciutto; un collare in pelle e lunghe catenine al collo; pantaloni gialli a righe blu.
I primi tre portano ai piedi gli anfibi neri, mentre l'ultimo porta degli stivali da cowboy beige.
<< Buona sera >>, asserisco dolcemente.
<< Buona sera, Juliet! Come va? >>, esordisce con baldanza, Adam.
<< Tutto bene, ti ringrazio per l'interessamento >>, gli sorrido accomodante.
<< Ciao, Juliet >>, pronuncia atono Neil, scoccando nella mia direzione uno sguardo apatico.
Rush mi fa un cenno col capo senza scomodarsi nel dire anche un misero ciao.
-Uh! Deve essere una fatica immane per lui spiaccicare un ciao! -
<< Ciao Baby, volevo proprio rifarmi gli occhi oggi. Che ne diresti di togliere quella maglia e mettere un top come quello di Adry? Io non mi lamenterei, anzi! Probabilmente ti chiederei di venire con me e in quel caso non garantisco delle mie intenzioni! >>, Stevie e la sua stupidità lasciano sempre il segno.
Isso le pupille al cielo, chiaramente seccata e - al contempo - rassegnata di fronte alla sua stupidità.
Gli rivolgo un'occhiata eloquente, per poi apprestarmi a rispondergli: << No. Sto bene così, Stevie. Grazie per i tuoi consigli di moda, ma non penso di averne bisogno >>, lui ride sguaiatamente, accompagnato dagli altri.
Nancy, zompettante nel suo succinto abitino in pelle nero, ci travolge con la sua indesiderata presenza.
<< Belli, siete venuti! >>, esordisce con euforia, per poi indirizzare le sue attenzioni su di me: << Uh! Chi c'è qui? La santarellina dalla lingua tagliente! Hai deciso di divertirti con noi gentaglia? Cos'è, vuoi entrare disperatamente nelle loro grazie? >>.
- Sono senza parole di fronte a questa dimostrazione di volgarità! -, sbatto ripetutamente le ciglia, del tutto paonazza.
<< Sai Nancy, ti ho dedicato una canzone. Riguarda le emozioni che mi susciti >>, incomincia a dire, Rush.
<< Davvero? E dimmi dimmi! Vedi Juliet? Puoi fare quel che vuoi, ma non sei compatibile con loro! >>, si gongola la civetta e solo Dio sa quanto vorrei darle un pugno sul naso.
Se non fossi così avvezza di buone maniere, forse - superata la timidezza - lo farei.
<< Sì Nancy. Ma è per lo più un problema... >>, arresta il discorso senza distogliere lo sguardo, poi prosegue << Apatia latente. Quando sono in tua presenza. >>.
Noi, con espressioni tra lo scioccato e il divertito, restiamo intrappolati in una bolla di silenzio.
Bolla di silenzio che viene infranta dalle risa smodate di Stevie.
<< Dunque, fammi un favore... dileguati >>, sentenzia in un tono imperscrutabile e pungente; Nancy va via.
<< Ragazzuoli, devo andare adesso! Lo sballo e quella figa laggiù mi chiamano! >>, anche Stevie ci lascia.
<< Ehy, guarda quella? Ti sta mangiando con gli occhi! >>, fa notare Adam a Neil, additando una ragazza alle mie spalle che non mi sforzo neanche di vedere.
Il diretto interessato , ad occhi socchiusi, sbuffa, spingendo delle onde della sua lunga chioma scura alle spalle.
<< Non è di mio interesse. Sai benissimo che è difficile ottenere la mia considerazione. Sono tutte così prive di sostanza >>, indugia nel dare spiegazioni.
<< Certo che sei strano forte! Tra te e Rush, non so chi sguazza maggiormente nell'apatia latente! >>, ci scherza su.
<< Detto da quello che ci prova ogni 100 anni con qualcuna >>, raccoglie il guanto di sfida, Neil.
<< Chiamasi fedeltà! Ci ho provato una sola volta con una, perché avevo litigato con la mia donna e non è andata. Le prestazioni non erano ottimali! >>, pronuncia celermente sotto le mie occhiate raggelanti e quelle divertite di Rush che scuote il capo.
<< Hai fatto cilecca, insomma >>, infierisce quest'ultimo.
Guardandomi di sfuggita, si sofferma sul rossore delle mie guance e un ghigno inarca lievemente le sue labbra carnose.
Si accosta al mio orecchio per sussurrarmi: << Attenta a non svenire dal troppo imbarazzo >>, le mie mani vagano nell'aria quasi volessero scacciare delle mosche fastidiose. La mosca fastidiosa è lui, ma stranamente non mi presta attenzione.
<< Risparmiaci i dettagli. A me e Neil non interessano, e ricordati che qui c'è una ragazza appartenente alla diocesi, potrebbe svenire >>, conclude col suo immancabile sarcasmo.
Lo spintono leggermente e farfuglio: << Sme-mettila >>.
<< Tranquilla Jul, te li risparmio >>, ammicca Adam per poi piantarci in asso e andare al pianobar.
<< Ho bisogno di ritirarmi in solitudine e questo chiasso è martellante. Ragazzi, mi ritiro. Ci si vede! >>, Neil si alza e raggiunge il suo amico.
<< Sei sempre così irriverente? >>, domando al ricciolone arrogante.
<< Non mi definirei tale, espongo solo determinate verità. La tua verità, Juliet. Avresti voluto dirglielo tu, vero? >>, mi lancia un occhiolino e io ridacchio, straripante di imbarazzo.
Abbasso la testa, farfugliando:
<< Sì, lo ammetto, però non l'ho fatto perché mi sembrava scortese chiedergli di arrestare il suo discorso per me, anche se lo desideravo ardentemente >>.
<< Mh... la timidezza, per fortuna non mi appartiene >>
La sua affermazione scherzosa provoca in me dei risolini, ma non perdo parola: << Dici sempre quello che pensi? >>.
Il suo volto si dipinge in un cipiglio serioso ed enigmatico.
<< A volte >>, sillaba con voce calda e decisa << Dipende dalle sfumature, Juliet. Le sfumature fanno sempre la differenza e possono inibire >>.
-A quali sfumature si riferisce? A quelle dentro di lui? -
<< Ti ringrazio per avermi difesa prima, con Nancy >>
<< Non l'ho fatto per te, Monachella. Ma l'ho fatto, perché si stava prendendo troppe confidenze con me, reputandomi alla sua mercé. Siamo solo amici, di letto. >>
<< Non ti vergogni a trattare le donne così? >>
<< Se una donna non sa dar valore a sé stessa, perché dovrei darglielo io? Le vere donne sono altre >>, dice enigmaticamente, facendo spallucce.
<< A chi ti riferisci? >>, incalzo con curiosità, ma il ritorno di Neil e Adam interrompe la nostra singolare conversazione.
<< C'è qualcosa di cui discutere con voi, adesso. Rush, la faccenda del pianoforte, dobbiamo inserirlo nella strumentazione >>, preannuncia Neil, mimando qualcosa a me; la colgo al volo.
-Ah, certo! È arrivato il momento di parlare a Rush dell'idea di inserire il pianoforte nella strumentazione! Me ne aveva parlato al telefono ore fa! -
<< Fatemi capire? Voi mi avete impedito di divertirmi questa sera con qualche ragazza, per parlarmi di questo? State fuori! Anche la Monaca è d'accordo. Cos'è, una congiura? >>, gracchia lui, stringendo il bicchiere.
<< Vi ho già detto che non voglio accettare il piano nella strumentazione! Ed è la mia ultima parola! >>, conclude, perentorio. << Andiamo Finlay, non rompere le ovaie che non ho, e accetta quel fottuto piano! >>, scatta adirato, il tastierista che ha avuto quest'idea.
<< Rush, ha ragione Neil. Se sai suonarlo, mi spieghi perché diamine non lo accetti? >>, lo sostiene anche Adam.
<< Non saresti né il primo, né l'ultimo musicista rock ad essere un polistrumentalista! Sai benissimo che, nei pezzi in cui prevale il piano, la parte della chitarra può suonarla Stevie che sa suonare anche quella, il basso può suonarlo Nick. Per quanto riguarda i pezzi, in cui il piano è secondario, posso riprodurne il suono con le mie tastiere! Si può fare! >>, rincara la dose, Neil.
<< Sì, ma io non voglio suonarlo! Sono io il Front-man e, quindi, io ho l'ultima parola! >>, termina il discorso tirandosi su in un balzo, per darci le spalle e attraversare - a grosse falcate - la stanza tra le urla dei ragazzi.
<< Sei un fottuto bastardo, Finlay! Ti auguro di non trovare più nessuna ragazza libera per fare i tuoi sporchi comodi! >>, strilla incontrollatamente, il secondo riccioluto, il tastierista.
Pov Adrianna:
Fisso il flacone nero con su scritto MDMA, per poi gettarla a terra e ridere crollando sul pavimento.
Mi sollevo rapidamente e - altrettanto rapidamente - le gambe e le braccia tremolanti schizzano da una parte all'altra.
<< Od-dio è-è bell-lissimo! Si muov-vono da sole! >>, strillo in un timbro starnazzante.
-E' ectasy! -, poco fa ho portato alla bocca una di queste pillole magiche, e tutto vola.
Mi sento un unicorno, libero di volare e schizzare da una parte all'altra, mentre i muri gialli diventano fucsia e vibrano.
Oscillano, perchè trema la terra.
Inizio a saltare; ho sempre avuto paura del terremoto.
<< E se mi inghiottiscono i muri? >>, urlo a loro, ai muri. Sono rossi e desiderano crollare su di me, ma delle forze estranee mi spingono lateralmente.
Annaspo per via dell'eccessivo ridere, per poi ricominciare.
<< Tanto non mi vincete, anche se mi crollate addosso, io sono più forte di voi, guardate >>, assesto un pugno contro di essi, mentre vampate di calore incendiano il mio viso trasognante.
Non avverto dolore anche in seguito ad altri pugni.
<< Sono onnipotente! Trematemi addosso, ma io sono onnipotente, avete capito? >>, strillo contro di loro.
I conati di vomito premono per uscire, ma alla fine non accade nulla.
Tutto rimbomba e gira intorno a me in modo vorticoso, qualcosa mi spinge a terra.
Sollevando il viso, noto che sono state le mie gambe ad esercitare questa forza. E rotolandomi a terra, rido ancora, ancora e ancora.
Tuttavia, come accade sempre, la vita mi chiama.
Con la musica a palla della radiolina nelle orecchie, girovago in tondo nella stanza, ciondolando freneticamente da una parte all'altra.
Muovo i fianchi sbattendo i piedi nudi a terra; canticchio in un timbro elevato.
Dovrei andare fuori in attesa del cliente, ma la mia mente non ha un cazzo da fare eccetto ricordare quelle parole:
_" Take me down to the paradise city
Where the grass is green and the girls are pretty
(oh won't you please take me home)
Take me down to the paradise city
Where the grass is green and the girls are pretty
(oh won't you please take me home)"_
Tanto non mi diranno nulla se non li raggiungo, sono bravi e capiranno che ho da fare.
Il fuoco brucia di nuovo sulla mia pelle, strappo via il top per rimanere in reggiseno.
Una mano mi cinge le spalle e mi tira a sè; riconosco Stevie.
<< Avevo sentito parlare della tua figaggine e delle tue doti, potrei assaporarle anche questa volta? Chissà, mi domando se sei capace di stendermi >>, lambisce il mio collo.
<< Certo che puoi. Vieni, que-sta volta sarà-a div-ers-o-o >>.
Lo spingo sul letto e lui cade con fin troppa facilità; sicuramente è ubriaco fradicio.
<< Hai bevuto?>>
<< Sì! >>, la sua risposta rimbomba in un eco, un frastuono risuona nelle mie orecchie. È bellissimo e musicale come ogni suono sia amplificato e martellante, producendo brusii confusi.
Mi sbatte contro il muro, continuando a divorarmi le labbra.
Poi cadiamo sul pavimento, tra un bacio e l'altro; mi strappa i pantaloni.
La mandibola si intorpidisce e i rigurgiti salgono su.
Ma non sono in grado di fermarmi, come se ci fossero delle scariche elettriche sul mio corpo e gli ordinassero cosa fare.
La me frenetica e succube di qualcosa che non comprendo, preme il suo corpo su quello di Stevie, causando cigolii sul letto.
<< Oddio! Ma ci siamo materializzati sul letto! Che cosa spaziale! >>
Prendo una cravatta o una corda, perchè non so se sia una corda o una cravatta, e lego le braccia di Stevie alla testiera in ferro.
<< Ma ti sei fatta di qualcosa? >>, biascica con la ridarella.
<< Sì, sono fatta dell'amore che provo per te! E... è t-torna-to a per-see-guitarmi, andremo all'I-nferno in-sieme! >>
<< Anche io ti amo Adry! >>.
Mi chino su di lui per annegare totalmente in questa dimensione di puro eros, amore e dolcezza in cui soltanto io e lui esistiamo, e tutto il dolore scompare in una bolla di sapone.
Pov Juliet:
Mi agito nel letto al trillo del campanello.
<< Arrivo! >>, mi alzo in tutta fretta; il calpestio frenetico dei miei piedi scalzi provoca il movimento involontario della mia lunga veste da notte bianca.
<< Ma è mai possibile che tu dimentichi sempre le chiavi, Adria... >>, le sillabe incastonate sulla mia lingua arrestano il mio straparlare quando degli smeraldi - pregni di una strana luce - bruciano sulla mia figura.
Rush mi inchioda al suo sguardo vorace e annebbiato, il verde dei suoi occhi presenta delle striature rossastre, così intense e rabbiose.
<< Co-cosa vuoi, Rush? >>, gli chiedo. I toni della mia voce crollano palesando una sfumatura di incertezza.
Lui - a due passi da me - circonda la mia vita, inducendo il mio intero corpo a collidere con il suo bollente.
<< Te >>, un sussurro roco, vivo e penetrante.
-Me? -
Angoletto autrice:
Questo capitolo si è aperto con un salto temporale, una prolessi, perchè - ribadisco - Juliet sta ricordando. Tuttavia, la storia non si articolerà in continui salti temporali, perchè non mi piacerebbe da scrivere.
Li ho inseriti al solo scopo di far capire le voci narranti. Questa storia ha più voci narranti, non solo Juliet.
In questo modo, mi è più facile farvi capire che chi sta sta raccontando è Juliet, congiunta ad Adrianna e ad altri in ospedale.
Spero che la scena di Adrianna non vi abbia destabilizzato troppo, non sono andata oltre nella descrizione, onde evitare di renderla più disturbante di quanto già non lo sia. Tuttavia, un minimo dovevo descriverla, perchè ha assunto una sostanza psicotropa; non poteva essere una scena normale. Però volevo chiarire che non descriverò mai totalmente quel tipo di scene, perchè non è nei miei intenti farne una storia sulla droga.
In quanto all'ultima scena, che dire... "Cosa vuoi, Rush?", "Te" di Rush sussurrato ad una Juliet che, sgomenta, si ritrova tra le sue braccia.
Cosa pensate voglia il ragazzo da lei? Attendo ipotesi ahahaha. Ricordate che Rush è un ragazzo complicato e indecifrabile.
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