Capitolo IV - Inevitabile follia
Un rumore assordante asfissia le mie povere orecchie, e il braccio tocca una superficie fredda e dura.
Questo suono continua, perpetuo e più intenso di prima; il mio viso, avvolto ancora dalle tenebre, si gira. Avverto una consistenza dura fare pressione sulla testa.
Ma questa logorante tortura è così vicina a me da indurmi a spalancare gli occhi di colpo.
Sobbalzo tirandomi su; gesto non dissimile a quello di una corda saltata.
A causa dei miei movimenti bruschi, la sedia è cascata a terra.
Finalmente, ora, destatami da un inaspettato e profondo sonno, posso mettere a fuoco tutto ciò che mi circonda: il tavolo bianco su cui ero appoggiata; l'angoletto cottura bianco, stracolmo di tazzine e piatti; i divani distanti di qualche metro, come sempre in disordine.
Uno schiocco di mani mi fa trasalire; mi induce a volgere lo sguardo nella direzione da cui proviene.
Rush Finlay, dall'alto della sua imponente altezza, mi scruta.
I suoi ricci ribelli sono caoticamente sistemati a livello del collo, superiormente alle spalle.
La barba in linea sottile ricopre le gote e la mascella squadrata.
Le sue labbra carnose, piegate perpetuamente in un riso beffardo, si schiudono.
<< Un luogo alternativo per dormire, non c'è che dire. Cos'è? Schifi così tanto la morbidezza del letto? >>
<< No, ovviamente non dormo qui, di solito >>
Appena sveglia, riverso sempre in uno stato di mutismo, durante il quale cerco di capire chi io sia e dove mi trovi.
<< Ah... ho capito. >>
Le mie pupille cerulee sono calamitate dalla stranezza del suo vestiario, che mette in risalto il suo corpo slanciato, dalla muscolatura pronunciata: dei pantaloni beige, stranamente privi della pelle che tanto ama; degli stivali da cowboy neri; un gilé in pelle del medesimo colore, la cui mancata chiusura lascia in bella vista il petto nudo e il tatuaggio dell'aquila sull'addome; sigaretta spenta tra le labbra; due piatti tra le mani.
Sbatto le ciglia, perché sono seriamente scioccata dal modo in cui si veste, anche se - devo ammetterlo - è attraente.
Chino il capo, paonazza.
-Di questo passo non potrò mai guardarlo negli occhi! È sempre mezzo nudo! -
<< Quando hai finito di farmi la radiografia, avrò una risposta alla mia implicita domanda? >>, seguita nel provocarmi.
<< No-non ti stavo guardando. Mi chiedevo il perché tu ti vesta così >>, gli dico, imbarazzata e agitata.
<< Così come? >>, incalza, inarcando un sopracciglio, visivamente perplesso.
<< Non capisco come tu faccia a lasciare... ecco... il petto, scoperto >>, pronuncio vacillando nei toni delle ultime parole, per poi proseguire << Penso che non potrò mai guardare nella tua direzione, dal momento che non sei mai vestito, non in modo decoroso >>.
Lui ridacchia scuotendo il capo, battendo le ciglia ripetutamente.
<< Cos'è, Juliet? Sono così brutto che dovrei coprirmi?? >>, mi domanda in un tono volutamente provocatorio.
<< Cosa? No! Anzi tu sei un be... >>, pronuncio impetuosamente, e lui esplode in una fragorosa risata.
<< Intendo dire che... non è que-sto. È so-lo che... non è decoroso >>, farfuglio in una caterva di parole confuse.
A giudicare dal suo sguardo perplesso e divertito, mi reputa uno spettacolo comico.
<< E chi se ne frega! Ci sono tante cose disgustose al mondo e il mio modo di vestire non rientra in queste. Inoltre, lasciamelo dire Juliet, sei davvero perfettina e bigotta >>, mi fa presente.
Ormai ho iniziato a farci l'abitudine, anche, perché so che non è un'offesa ma è la verità.
<< Parlando di cose più serie, perfettina... sei pronta per fare furore sul palco del Hard Rock Club? >>, mi dice con un'euforia così mellifluamente smodata.
-Oddio! Il violino, la canzone, il club! Un incubo che per un attimo avevo rimosso! Credo di aver perso il sonno in questi sei giorni, in cui ho studiato ininterrottamente quei maledetti spartiti! E ciononostante, c'è una parte del pezzo, in cui la chitarra cambia il suono... quella parte, ho trovato difficile adattarla perfettamente al violino e non ho alcuna intenzione di suonarla, anche perché lui simula i gemiti! -
<< Prontissima! Vado a cambiarmi, ho già preso i vestiti adeguati! >>
Mi fiondo in stanza, per svestirmi e indossare un completo giallo: una giacca che giunge in un punto al di sotto della vita; una gonna che presenta tante increspature e copre la pelle, lasciando in bella vista solo le ginocchia.
I miei capelli sono ricci, come sempre, ma tuttosommato sono apposto.
Esco fuori, non prima di aver afferrato - in tutta fretta - il violino e lo spartito. L'ho appositamente portato con me per poterlo ripetere, in caso dovessi dimenticare le note.
Il viaggio nel suo pandino è ansioso, teso e scomodo a causa delle perenni oscillazioni, però non ci dò troppo peso.
Lui mi lancia occhiatine furtive, di sfuggita.
Mi preme una cosa sola: fare bella figura e far in modo che il cantante, che si esibirà con me, non canti quella parte peccaminosa.
Morirei di imbarazzo e sicuramente, per il troppo disagio, cancellerei le note dalla mia testa.
<< Ma come ti sei vestita? Stiamo andando ad un club, uno strip club, ti ricordo... non stiamo andando in chiesa >>, le sue parole, stracolme di beffa, si infrangono nel silenzio, esternando la sua disapprovazione.
Sicuramente non mi troverà attraente, perché per lui la ragazza attraente è quella che va mezza svestita.
Paleso i miei pensieri, fumosa di vergogna: << Beh, scusami se non sono una di quelle che, per essere bella, va in giro mezza svestita! Ma tranquillo, non devo conquistarli con la mia bruttezza. Deve conquistarli, il mio violino! E non mi interessa essere bella per te, Rush! >>.
Sgrana gli occhi verdi e ha compreso, forse, che la mia risposta acida malcela il dispiacere che mi ha provocato questa sua considerazione poco delicata.
<< Non ho detto che sei brutta... ho parlato del tuo abbigliamento che ti fa sembrare ancora più angelica e candida, ma fa' un po' come vuoi. Andassi pure col burqua, alla gente interesserebbe soltanto come suoni >>, ribatte divertito, mentre agganciamo la cintura.
ll tempo scorre ad una velocità supersonica e infatti, eccoci qui, al patibolo.
Rush, dopo che siamo usciti dal suo macinino, si avvia per entrare con una custodia che pesa sulle sue spalle, probabilmente racchiude la sua chitarra.
Le mie dita si articolano sul suo braccio, per arrestare la sua avanzata.
Mi scocca un'occhiata seccata e incuriosita allo stesso tempo.
<< Ehm, Rush... vorrei che tu dicessi al tuo amico, il cantante, di evitare la parte in cui si sentono quei "singolari", "alternativi e selvaggi" acuti, in cui si sente la chitarra e il suono della batteria, perché non l'ho preparata bene e non riesco a prendere le note successive >>, gli esplico senza prendere fiato, mentre una mano si precipita su un mio ciuffo riccio, per sistemarlo spasmodicamente.
<< Non so se essere più sorpreso dal fatto che tu, una perfettina, non sia riuscita ad imparare tutto il pezzo... se esserlo dall'uso dell'intero vocabolario degli aggettivi, per non pronunciare la parola gemiti >>, esordisce ghignando palesemente.
Senza perder altro tempo, entriamo; sono già le 21:00 pm.
Avevo perso del tutto la cognizione del tempo.
È proprio come lo ricordavo: un connubio di luci tra il giallo, il fucsia, il blu e il viola, che si riflettono sugli alti muri blu dal colore della notte più cupa; le sedie e i tavoli in legno riportano il riflesso di questa luminosità; l'enorme palla sfavillante inchiodata al soffitto pare quasi che mi osservi; le mattonelle multicolori del palco, che a sua volta sono circoscritte dalla linea viola luminosa, attendono il momento in cui ospiteranno il mio dolce peso.
-Sembra davvero il patibolo! - penso nell'istante in cui Rush si posiziona al centro del palco, imbracciando la sua chitarra acustica.
E proprio come sei giorni fa, le note si susseguono lentamente e sembra richiamino una lenta e delicata agonia.
_"Moonlight Sonata"_
All'improvviso, senza che io potessi prevederlo, le dita iniziano a pizzicare le corde con un'inaspettata velocità.
Sono estasiata dinanzi alla maestria e alla sicurezza con cui le sue dita si muovono su quello strumento.
Non mi capacito di come sia possibile che uno come lui manifesti una tale sicurezza nel riprodurre un pezzo classico.
Alternando l'andamento da rapido a lento, prende ogni singola nota, come se fosse sua.
-Rush conosce questo pezzo a memoria! Ma come è possibile? Che abbia studiato musica classica? Perché, allora, suona Rock? Che tipo strano! -
In un attimo la magia finisce e lui, tra innumerevoli applausi, lascia lo strumento, per prenderne un altro: la chitarra elettrica.
-Oddio! Non vorrà... perché al pensiero che lui suoni una canzone Rock un brivido mi percorre la schiena facendomi vibrare? -
Sopraggiungono sul palco altri tre individui vestiti come lui, da cowboy: il nanetto biondo, Stevie con un basso sotto braccio; un altro ragazzo dai capelli lunghissimi e neri come la pece, che gli invadono le spalle, posizionatosi dietro le percussioni, che Rush presenta al pubblico con il nome di Adam; un terzo ragazzo, dallo sguardo inespressivo, i capelli ricci e neri, e i lineamenti leggermente marcati, in tensione a causa del cipiglio serioso; Rush lo presenta con il nome di Neil; si accomoda dietro una tastiera.
Visto di sfuggita, somiglia a Rush a causa della chioma riccia, ma... soffermandosi su di lui, non posso far a meno di notare le differenze: i suoi capelli sono meno voluminosi, per lo più ondulati e lunghi; i lineamenti sono meno angelici, le labbra più fine, il naso è più pronunciato; gli occhi sono dal colore del caramello e non verdi; sarà 5 cm in meno di Rush in altezza.
Quest'ultimo è il più alto e possente della band, e la nota più assurda di questi tizi è che sono vestiti allo stesso identico modo.
La chitarra elettrica, vibrante di un suono lento, quasi primitivo e tetro, segna l'inizio di una nuova melodia.
Essa è accompagnata dalle percussioni lente del capellone moro, dietro di esse.
Il tutto è congiunto alle carezze del basso di Stevie, il nanetto biondino.
Ma, all'improvviso, si avverte solamente la batteria, sovrastata - quasi interamente - dalle tastiere di Neil.
La canzone alterna parti in cui domina la tastiera e parti in cui domina il tocco sinistro della chitarra di Rush.
Mi fa accapponare la pelle, perché è cupa, triste e - in egual modo - affascinante.
Gli smeraldi sul viso di Rush ora ardono di un'insolita e intensa luce, intenti a fissare lo strumento, in un cipiglio di totale concentrazione e passione.
E in un attimo, è come se gli uccellini avessero smesso di cinguettare, come se il rumore delle auto all'esterno avesse smesso di torturare le nostre orecchie.
Una sensazione a titolo indefinito si fa strada in me e - da quanto posso vedere - anche in lui.
<< Questa è una cover di "An Cat Dubh" degli U2! Spero vi sia piaciuta gente! >>, afferma, proprio lui di fronte alle ovazioni del pubblico, al termine della sua performance.
I ragazzi lasciano il palco per permettere ad una me tremante, ansiosa e traballante, di raggiungere - a piccoli passi - il palco.
La presa sul mio violino è salda, come se temessi che possa sfuggirmi.
La gente mi osserva, curiosa.
Mi raggiunge, il tastierista, Neil, che questa volta si limiterà a cantare.
Prendo un profondo respiro e tento di abbandonarmi al ritmo incalzante della canzone, congiuntamente al timbro graffiante del tizio che intona, le seguenti parole:
_"You need cooling
Baby I'm not fooling
I'm gonna send ya
Back to schooling"
Hai bisogno di raffreddarti
Piccola non sto giocando
Ti rimanderò
A scuola
A-way down inside
A-honey you need it
I'm gonna give you my love
I'm gonna give you my love
Nel tuo profondo
Tesoro ne hai bisogno
Ti darò il mio amore
Ti darò il mio amore
Want to whole lotta love
Voglio un sacco d'amore"
Il tutto volge quasi al termine quando Neil intona queste ultime, imbarazzanti parole:
_"Shake for me, girl
I wanna be your backdoor man
Agitati per me, ragazza
Voglio essere il tuo amante"
Per fortuna, il supplizio di queste parole finisce, anche se - devo ammetterlo - è un bel pezzo, con un testo che suonerebbe dolce e romantico se non ci fossero dei chiari ed espliciti riferimenti al sesso.
Rush avanza verso di me con un sorrisino.
<< Quando ti sfidano da bigotta e rigida diventi un leone >>, si complimenta col suo abituale sarcasmo che mi fa spuntare un sorriso nuovo.
<< Mh... grazie >>, farfuglio tracannando un sciottino di vodka che mi ha offerto, per celare l'imbarazzo che mi opprime adesso.
<< Anche tu, te la sei cavata, molto bene! >>, parlo a scatti, in modo intervallato.
<< Oddio! Ho avuto una critica positiva da una da una borghesuccia della Juilliard, mi sto quasi commuovendo! >>, esprime in un tono volutamente e falsamente teatrale.
Uno scoppio di riso irrefrenabile abbonda dalle nostre bocche.
Ma ad un tratto, quei smeraldi così vivi, puntano la mia figura comodamente seduta.
Le sue labbra si tendono, dipingendo - nuovamente - sul suo volto, un'espressione di strana serietà, di impenetrabilità.
<< Sei interessante, monachella >>, soffia ad un centimetro dal mio volto.
Sento mancarmi il respiro a causa di questa rivelazione.
<< Ci stai provando? >>, sillabo.
<< Mh... non direi, non sei il mio tipo Maniaca, troppo bigotta >>, ribatte sollevando il labbro in un sogghigno.
<< E neanche tu sei il mio, Rush, sei senza pudore e sei pazzo >>, mi sento di mettere in chiaro, perché non mi piace quest'insolita e opprimente tensione che si è venuta a creare tra noi.
L'atmosfera in precedenza era così leggera, e adesso... porta il peso di queste sensazioni.
<< Adesso devo andare, a dopo! >>, e senza aggiungere altro, mi molla come un'allocca.
Un tipo robusto dai capelli rossi, barcollante, arranca verso di me, per poi cingermi le spalle con rudezza.
Io mi dimeno, come impazzita, ma lui mi mantiene ben salda nella sua morsa serpentina e indesiderata.
Ha uno sguardo annebbiato e perverso.
<< Ad-des-so ci divert-iamo, che ne-e di-c-ci? >>, io arpiono del ghiaccio per lanciarglielo addosso.
Lui, a causa del sobbalzo di qualcosa di gelido sul suo petto, arretra urtando accidentalmente con il tavolo e le sedie; queste ultime collidono col pavimento, sopraffatte dal suo peso.
<< Bru-brutta-a mal-lede-tta putt-ana! >>, annaspa nella mia direzione.
Una mano mi abbranca tirandomi violentemente verso l'uscita.
Osservo i suoi ricci scompigliarsi per via della velocità con cui mi sta trascinando fino alla sua panda bianca.
Altrettando bruscamente, si ferma, ruotando il capo e il corpo verso di me.
<< Direi che la situazione si stava surriscaldando, meglio filarsela prima che degneri >>, mi informa << Però, ciò non toglie che possiamo lasciare un bel regalino come ricordo a quel figlio di puttana >>.
Pondera i passi verso un'altra panda, colorata di un nero pece.
Caccia fuori delle chiavi dalle tasche dei suoi pantaloni beige.
Le mie pupille azzurre risultano ancora più grandi per via della loro dilatazione smodata.
Inizia a raschiare con le chiavi la macchina in una lunga linea orizzontale.
<< Ma cosa stai... >>, non mi consente di continuare ad esprimere il mio sconcerto, perché tira fuori dalla sua auto due mazze da baseball.
Ritorna da me, infiammandomi con una luce sinistra, audace e rabbiosa.
Mi rende una mazza da baseball.
<< Oddio! Non vorrai... Tu sei completamente pazzo! >>, esclamo, fuori di me.
Lui, accostandosi dietro di me, soffia sul mio collo.
<< Andiamo, non vorrai fargliela passare liscia. Ha cercato di toglierti la purezza, di marchiarti contro la tua volontà, di violare il tuo corpo Illibato. Davvero ti piace farti trattare così? Fagli vedere chi sei, donna >>, la sua voce è calda, melliflua, dolce e carezzevole; esprime intenti persuasivi e quasi manipolatori.
Qualcosa scatta dentro di me al pensiero di quel depravato.
<< Va bene, però sbrighiamoci! >>, acconsento, ansante.
Rispettivamente ci disponiamo a fianco dei due sportelli dell'autovettura.
Le nostre mazze si infrangono spaccando tutto ciò che incontrano.
Un calpestio sempre più frenetico mi fa rabbrividire: il rosso perverso con altri amici stanno venendo, ci hanno visti.
Corriamo a perdifiato verso la macchina.
Con un pennarello nero indelebile, che solitamente mi porto dietro nel caso dovesse consumarsi l'inchiostro di una penna e avessi la necessità impellente di scrivere, traccio delle linee che coprono la targa della macchina.
Ed entro dentro, sbattendo la portiera.
<< Era ora! Ma cosa facevi? >>
<< Ho coperto la targa con un pennarello! >>
<< E brava! Sei più furba e pazza di quanto credessi! >>, mi lancia un sorrisino compiaciuto, per poi sgommare via da quelli.
-Chissà adesso cosa accadrà...-
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