Capitolo III - Un covo di pazzi parte 2

L'oscillare della sua utilitaria bianca è brusco, fastidiosamente eccessivo e continuo.
La vastità delle più grandi rarità si estende intorno a noi.

Sono trascorse tre ore da quando abbiamo iniziato questo rocambolesco viaggio.

La situazione è assurda, mi sento disorientata e offesa, vincerò la sua sfida, qualunque essa sia.

Siamo all'interno di un Pandino bianco; dentro i pantaloni, avverto la cute - grondante di sudore - aderire al sedile come se fosse seconda pelle.

Con una lentezza surreale, la sua auto arranca, e io - per l'ennesima volta - mi domando se arriveremo sani e salvi.

Il soffio del vento scarmiglia la sua chioma riccia, che appare ancora più caotica.

Mi soffermo a fissare le sue labbra serrate in un cipiglio serioso che esprime la più assoluta concentrazione; il suo sguardo - eclissato dagli occhiali - si cela all'ispezione minuziosa del mio.

Stringo la manovella, verso cui esercito un movimento che la induce a ruotare, e il finestrino si alza.

Lui, con una mano posata sul volante, è intento a guidare mangiucchiando una gomma, la quinta per l'esattezza.

<< È la quinta gomma che mastichi >>, gli faccio presente, priva di qualsiasi inclinazione nella voce che risuona stanca.
L'ho detto solo per abbozzare un minimo di conversazione: sono stufa del silenzio.

<< Porti il conto anche di quante volte respiro? Ho seriamente l'ansia >>, constata con ironia.

<< No-non è vero >>, un risolino sfugge alla mia bocca nell'istante in cui mi appresto a controbattere << Mi chiedevo semplicemente il perché. Hai fame? >>

<< No, non mi piace che l'odore di erba persista addosso >>, mi informa atono.

<< Scusa, se non ti piace l'odore, perché la fumi? >>, mi ostino nell'impicciarmi in faccende che non mi riguardano. Ma è solamente l'inutile arma che sfodero per contrattaccare, per nascondere l'agitazione.

Uno strano formicolio permea dalle mani, che sfregano le une nelle altre.

<< La fumo, perché mi dà un senso di leggerezza, e ciò che mi circonda fa meno male >>, mi rivela con assoluta indifferenza << Ciò non toglie che quell'odore persistente non mi piaccia >>.

-Che tipo strano! -

<< Ah... ok. Ma tra quando arriviamo? >>, incalzo ansante.

Sospira pesantemente mentre aumenta la presa sullo sterno.

<< È la quarta volta che me lo chiedi nel giro di mezz'ora. Te l'ho già detto, stiamo arrivando. Che c'è, hai paura di stare sola in questa terribile auto con il lupo cattivo? >>, ironizza, palesemente stufo della mia insistente domanda.

<< No, io no-non ho paura di te. È solo che mi metti a disagio e beh, ecco... Rush, io non ti voglio offendere, ma... hai fumato due canne, odori di alcol e sei alla guida... se facessimo un... >>, ansimo con incertezza, divisa tra il desiderio di metterlo al corrente delle mie paure e il timore di offenderlo.

<< Tranquilla mamma! Sono canne, non droga pesante! Le fumo abitualmente, dunque sono come il tabacco, per me. Stesso discorso per l'alcol. Stai tranquilla, sono più lucido di te >>, tenta di rassicurarmi.

-Più lucido di me, certo! Come no! -

<< Ah, ok. Cambiando discorso, che lavoro fai? >>

<< Ti interessa saperlo? Secondo te? >>, da ogni sua parola si avverte una chiara sfumatura di sfottimento.

<< Era per fare conversazione, ti ho conosciuto qualche ora fa e mi hai praticamente trascinato in macchina con te. È qualcosa che non sta bene. Comunque non so... io ho pensato a dei lavori ma... >>, parlo a raffica e - potrei giurarci - ho intravisto un ghigno.

<< Avanti spara! >>, mi sollecita.

<< Meglio di no >>, esito in un sibillo.

<< Dai, avanti, non mi offendo! >>

- Spacciatore, ladro, malvivente, delinquente, pescivendolo, venditore ambulante? -

<< Ehm, non sarai per ca-so uno-o spacciatore? >>, pronuncio timorosa, e lui ride sguaiatamente per una manciata di minuti.

<< Sei fuori strada! No! Ma comunque, non ti disperare, presto scoprirai quale lavoro faccio. Ed eccoci qui, puoi finalmente sospirare, il supplizio è finito >>, mi dice enigmaticamente nel momento in cui la macchina inchioda.

Usciamo dalla panda.

I miei occhi saettano sull'edificio bianco che torreggia dinanzi a noi, sulla scritta che lampeggia in un viola sfavillante.

_"Hard Rock Club"_

Sfolgora alla mia vista, proprio quando un suo braccio mi cinge le spalle, che si irrigidiscono.

Balzo lontana da lui, come se - al suo semplice e flebile tocco - avessi potuto bruciare.

-Ma questo Tizio pensa davvero che, dopo avermi trascinato qui, io gli permetta di toccarmi? L'ho conosciuto solo oggi! Spazio vitale!-

<< Ecco a te, il tuo prossimo luogo di lavoro, Piccola Mozart. E' un Club che all'occorrenza diventa anche uno Strip Club >>, mi informa, spavaldo e incurante dei pensieri omicidi verso di lui.

<< Cosa? Ma tu sei... non ho parole! Piuttosto la morte! >>, strillo; le gambe scalpitano, lontane dal ragazzo ripugnante al mio seguito.

<< Andiamo, Juliet! Non ho detto che devi fare la stripper. Devi servire ai tavoli! Questo luogo, prima che scocchi una certa ora, è un semplice locale. Dovrai lavorare in quelle ore >>, ma io lo ignoro proseguendo - imperterrita - il cammino, con lo sguardo ingrugnito, rivolto ad un punto indefinito dinanzi a me.

<< Mh... e come pensi di aiutarmi? E cosa c'entra con la dimostrazione musicale? >>, gli pongo una domanda lecita nel tentativo di ritorcergli qualche preziosa informazione.

<< Conosco la padrona del locale. Se ti raccomando, ti darà lavoro. Ma ti raccomanderò ad una sola condizione... che tu mi dimostri di cosa sei capace col tuo violino >>, mi acciuffa per indurmi a seguirlo dentro.

La sala è strutturata in alti muri blu, abbastanza spaziosa e stravagante: dalle lampadine dell'alto soffitto, un connubio acceso di colori tra il fucsia e il blu mi accecano a tal punto da indurmi a socchiudere gli occhi. Riaprendoli, posso scorgere quel che mi circonda: una fila di tavolini in legno e banconi nel medesimo materiale su delle mattonelle lucide
La loro strana colorazione mi cattura: non capisco se l'infrangersi delle luci su di esse possa esserne la causa.

La mia vista registra istantaneamente un rialzamento della pavimentazione in un punto della sala, precisamente al centro: ha la forma rotonda e i quadratini dai molteplici tonalità scintillanti, contornato da un sottospecie di linea viola.

-E' un palco, ma quindi... -

Una palla grande e sfavillante è sospesa in aria, quasi fosse una visione onirica.

Molla la presa e io posso incrociare le braccia al petto, presa da un disagio opprimente.

A piccoli passi, ci raggiunge una bionda alquanto bizzarra: indossa un fiocco nero in testa; tanto trucco marca la pelle diafana dei suoi tratti somatici; un top bianco lucido le copre il seno per poi lasciare in bella mostra la sua pancia piatta; una gonna, dal medesimo colore, è tesa e presenta un rigonfiamento a livello delle cosce, parzialmente nude.

<< Scusate, desiderate? Oh Rush Finlay, qual buon vento! >>, ci accoglie euforicamente.

<< Ciao Nancy, questa è la mia amica Juliet. E vorrebbe esibirsi tra 7 giorni come musicista, in realtà vorremmo entrambi. Lei al violino, un pezzo rock. E io alla chitarra, un pezzo classico >>, caccia fuori senza prendere fiato.

Nancy si concede una risata sguaiata. Questo suo momento di ilarità viene accompagnato dalle mie occhiate raggelanti.
Il signorino - incurante della mia furia - parla come se niente fosse.

<< Cos'è, un esperimento? Rush, sicuro di sentirti bene? Anche se mi sono abituata alle tue stranezze! >>, sillaba ridacchiante, la tipa.

Le mie sopracciglia sono inarcate da così tanto tempo che temo una paralisi facciale.

Le labbra carnose palesano tutto il mio sbigottimento, spalancandosi smodatamente.

-Suonare, io? Una canzone Rock? Canzone di un genere di musica che non conosco, in questo posto? Questo è pazzo! Mi sento svenire! E poi, come diavolo ho potuto non accorgermi che avevo di fronte uno di quei musicisti pazzi e spregiudicati? -

<< Una sottospecie di esperimento. Mi aveva stufato la solita solfa Rock >>, rivela, con una punta di indifferenza.
Piega le labbra in un ghigno.

-Forse bleffa! Non può dire sul serio! E' tutta colpa tua Juliet e della tua maledetta boccaccia che spara sentenze se provocata! -

La sua amica, dopo avermi schioccato un'ennesima occhiata, ancheggia via da noi.

Uno spasmodico sbattimento di ciglia mi coglie di impeto, in un tic nervoso; intanto i miei occhi cerulei si riducono in due fessure, nel tentativo di incenerirlo.

Ma purtroppo non ho poteri paranormali.

<< Tu sei un... >>, il mio tono, preda di continui tremori, vacilla.

Mi porge uno spartito e un testo che afferro prontamente.

<< Whole lotta love in 6 giorni, dovrai impararla e riprodurla qui. Se non riuscirai avrò vinto io, e "in tal caso" non avrai alcun lavoro >>, si degna di darmi una spiegazione << Io suonerò, con la chitarra, un pezzo classico a tua scelta, avanti! >>.

<< Cosa? Davanti a tutti? No! Mi imbarazza, io... non posso! E poi, non immaginavo che tu fossi un musicista! >>, mi affretto a dirgli e i miei toni crollano sull'ultima frase << Mi dispiace, io non volevo offenderti >>

Gli smeraldi, vividi sul suo volto, restano impassibili ad analizzare una me alquanto stravolta e paonazza.

<< Ormai è tardi per tirarsi indietro. Che sarà mai per un genietto come te? Non mi dirai che l'accozzaglia di suoni messi a caso ti fa paura? Devo pensare allora, che non vali quanto dici di essere e che non sei nulla di eccezionale >>, il suo timbro è sicuro di sè, deciso e forte, ma racchiude una provocazione di falsa arroganza.

Si serve dell'arroganza per provocarmi.

<< E va bene! >>, acconsento, ben conscia che non posso dargli un'altra possibilità di prendersi gioco di me.

Giunti in macchina, ci posizioniamo rispettivamente sul sedile beige, per poi chiudere la portiera bianca.

<< Il testo è così... >>, inizio osservando il testo.

<< Impuro, sporco per una suorina come te? >>, si prende beffa di me con sfrontatezza.

<< Sì! Siete davvero dei per-rvertiti nelle tematiche trattate >>, un persistente balbettio inclina la mia voce. Le guance, fumose e ardenti dall'imbarazzo, assumono una tonalità rossastra.

<< Non è un pezzo che ho scritto io, ma Robert Plant dei Led Zeppelin, appartiene al loro secondo album >>

Io aggrotto la fronte, permettendo a delle pieghe di solcare la mia pelle.

<< Non sai chi sono? Ma dove sei vissuta? In un monastero? >>, ridacchia scuotendo il capo.

<< Mio padre è il preside della Juilliard, sono cresciuta in quell'ambiente. I tuoi genitori invece? >>

<< Alla Juilliard vivete in una bolla? Cos'è, una sorta di isolamento acustico, una nuova scoperta? >>, ci scherza su causando la mia ilarità, poi si adombra << I miei genitori non ci sono >>

Sento di aver toccato una nota dolente, ma resta imperscrutabile e serioso.

<< E hai mai suonato? Per la Juilliard, intendo >>, mi domanda.

<< No, preferirei insegnare ai bambini dopo aver concluso gli studi, è più stimo- >>

<< Ti imbarazza, insomma. Voglio vederti suonare Whole Lotta Love, vedrai che stimolerà il tuo feeling con il violino in pubblico >>, sogghigna.

<< Ma avrei bisogno anche di una cassetta da cui ascoltare il suono >>, lo avverto.

Al mio invito, inserisce la cassetta nello stereo; le note di una chitarra elettrica si propagano nell'aria.

L'andamento è veloce e movimentato.

La stranezza maggiore è che mi risulta gradevole; infatti le mie dita tamburellano a ritmo.

Dopo circa tre minuti, il riff si arresta per essere sostituito dall'acuto graffiante ed esteso del cantante.

Acuto che mi fa rabbrividire.

E il riff successivamente, ridiventa adrenalinico, congiunto ad alcuni versi strani.

Dei versi singolari.

-Oh Dio! Sono dei gemiti? -

<< Tu sei un... non mi sovvengono neanche le parole! >>, inveisco contro di lui, gonfiando le guance.

<< Ti aiuto, un pervertito, un pazzo, estroso. E comunque tranquilla, Plant simula i gemiti, non sono veri. Serve solo a calarsi completamente nell'intensa tematica della canzone, per far in modo che quest'ultima risulti vivida >>, ha il coraggio di ribattere.

<< Tu sei un deviato ! >>, esclamo fuori di me.

L'ansia, così incommensurabile e immensa, si impone su di me, rattrappisce il mio corpo in una morsa quasi soffocante.

<< Deviato? Juliet... Juliet, Juliet... Beethoven, Chopin e Mozart non ti hanno insegnato ad essere più originale con gli insulti? Puoi usare insulti più originali e... tranquilla, ti ho trovato già un cantante >>

Spegne l'autovettura, per poi tirarsi su, seguito da me.

<< Dove pensi di andare! Questa canzone è la depravazione assoluta! >>

<< Juliet, l'unico suono, che voglio sentire, è quello delicato del violino sulle note di "Whole lotta love" e non quello stridulo della tua voce >>, rimbecca con sarcasmo.

<< Chi mi dice che non barerai? Moonlight Sonata di Beethoven, devi suonare >>, puntualizzo con una nota di acidità e agitazione.

Attraversiamo a grosse falcate il soggiorno.

Giunti di fronte ad un letto, situato in un'altra stanza asettica, Rush imbraccia la chitarra acustica e inizia a suonarla.

Le note si susseguono lentamente e pare richiamino una lenta e delicata agonia.

All'improvviso, senza che io potessi prevederlo, le dita iniziano a pizzicare le corde con un'inaspettata velocità.

È incredibile la maestria e la sicurezza con cui riesce a toccarle.

È sorprendente la sicurezza con cui alterna l'andamento da rapido a lento.

Gli smeraldi sul suo viso ora ardono di un'intensa luce mentre sono fissi sullo strumento, in un espressione assorta.

In un attimo è come se gli uccellini avessero smesso di cinguettare, come se il rumore delle auto all'esterno avesse smesso di torturare le nostre orecchie.

Una sensazione a titolo indefinito si fa strada in me e - da quanto posso vedere - anche in lui.

Il sentore che il mondo si sia fermato alle direttive della sua chitarra per ascoltarne il suono, ora nuovamente lento, si impossessa di me.

Ma in un istante tutto finisce, lasciandomi pietrificata.

<< Sorpresa? Cosa c'è? Credevi che tutti fossimo chiusi di mentalità come te? >>

-Questo non me lo sarei mai aspettata... conosceva quel pezzo! Conosceva Moonlight Sonata!-

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