Capitolo I - L'inizio Di Tutto - 1987

1 Gennaio 1987, New York

Pov Juliet Rawell

Chiudo in un tonfo il portone in legno che produce un cigolio assordante. La casa riversa in condizioni indecorose: pareti blu che richiamano il colore della notte più cupa, un divano in pelle nera, una coperta a fantasia sul pavimento.

Vengo calamitata dalla fantasia viola del secondo sofà, dalle bottiglie di alcol in frantumi a terra.
Ci sono briciole ovunque.

Scorgo una poltrona fucsia, stracolma di mozziconi di sigaretta.

Sgrano gli occhi nel notare che alcune lampade - dalla forma inconsueta - sono riverse sul pavimento.

-Ma cosa diavolo... chi è passato qui? Attila, il distruttore? Che schifo! Dio mio... -

I miei tacchi neri incedono sul pavimento; le gambe, fasciate da jeans a vita alta, tremolano spostando la mia lunga giacca leopardata.

Ma questo squallore mi rende difficile il deambulare - e infatti, avanzo a tentoni, constatando mio malgrado che l'angoletto cottura riversa nelle medesime condizioni. I ricci scuri ondeggiano al mio passo, gli occhi si posano sulla zona circostante cercando di capire cosa possa essere accaduto.

Schiocco la lingua e arriccio il naso, mentre una smorfia di netto disgusto dipinge il mio volto.

Valigie a baule, così adornate di marrone e dorato, gravano sulle mie braccia.

Dal fondo del corridoio, sospiro nel constatare che ci sono tre stanze.

Le appoggio nella mia, spoglia di ogni comfort: muri bianchi e un materasso senza testiera.

Mi fiondo nuovamente nell'atrio che racchiude un piccolo soggiorno e un cucinino senza porte.

Incomincio a porre un po' di meritato ordine, gettando lo schifo del pavimento nell'immondizia. Dopo aver spazzato, i miei sensi si rilassano concedendosi un profondo sospiro.

Un calpestio frenetico e deciso mi fa sobbalzare, costringendomi a sporgere il capo nella direzione del luogo da cui proviene il rumore: il corridoio.

La mia schiena si tende - come una corda di violino - in linea retta, dinnanzi al tipo che si sta avvicinando: alto all'incirca un metro e ottanta, fisico asciutto a sua volta ricoperto da pantaloni di pelle neri, strappati a livello delle ginocchia.

Il suo addome, ben definito e segnato da un tatuaggio raffigurante un'aquila, si mostra spudoratamente privo di vestiti.

Sbatto le ciglia e chino immediatamente lo sguardo, pur di non osservarlo.

<< E tu chi sei? >>, squittisco in un tono di voce carico di tensione.

Lui issa un sopracciglio verso l'alto, fulminandomi con il suo sguardo cristallino.

Avanza verso di me con tranquillità come se niente fosse, e mi si mozza il fiato quando, con assoluta disinvoltura, palesa la sua vicinanza annullando le distanze.

Si curva nella mia direzione, intento a rimirarmi attentamente con quelle iridi che rischiarano sul suo volto delicato, nonostante ci sia una scarmigliata chioma di ricci scuri all'altezza del collo che minaccia di eclissarli alla mia vista.

<< Chi sono io? Chi sei tu! Alice nel paese delle meraviglie? >>, pronuncia con una punta di sarcasmo.

Inarca il labbro carnoso in un sorriso di scherno.

Ha la pelle lattea, uno sguardo profondo e penetrante, le labbra carnose, la mascella ben squadrata, i lineamenti angelici, una barba ben curata in una linea che attraversa le gote e gli zigomi; davvero un bel ragazzo, non c'è che dire.

Gonfio le mie guance, furente.

<< Sono la coinquilina di una certa Adrianna e sono arrivata qualche ora fa. Il mio nome è Juliet >>, esalo alla ricerca di ossigeno, stringendogli la mano.

<< Senti... potresti, per cortesia, coprirti? >>, pronuncio con voce pacata e al medesimo tempo leggermente agitata, incrociando le braccia al petto.

<< Perchè? Fa caldo. A te no? >>, mi fa presente con una punta di strafottenza.

<< No! Ma figurati! Non sei un dio greco! Dicevo solo che, di solito, io non accolgo le persone con questo vestiario >>, gli rammento sperando che capisca.

<< Ah, allora immagino che non ti crei alcun problema! Ti piacciono i leopardi, noto >> pronuncia soavemente in un tono impertinente, dopo avermi scrutato da capo a piedi.

<< Come scusa? Potresti spiegarmi chi sei? >>, gli rispondo accigliata.

Ride, non risponde e - soprattutto - non si discosta.

Nota il sacchetto di cornetti appena sfornati, poi comprati da me per la coinquilina.

<< Ah... sì... questi li ho presi per festeggiare il mio trasferimento ma, ovviamente, volevo condividerli con Adrianna >>, lo informo per smorzare questa tensione che mi soffoca all'altezza dello stomaco.

Una scossa mi pervade nel momento in cui le sue braccia si accostano al piano cottura bianco, inchiodandomi tra il suo corpo e quest'ultimo.

<< Ma cosa... senti cosa stai facendo? >>, la mia voce è martellante e ansimante.

Arpiona il sacchetto alle mie spalle e si allontana.

<< Allora sono anche per me! E il mio nome è Rush, un amico di Adrianna >>, con nonchalance inizia a morderli.

Io credo di avere uno spasmodico sbattimento di ciglia, o meglio un tic nervoso.

<< Buoni davvero! Dove li hai comprati? Comunque, Adrianna è insieme agli altri nell'altra stanza. Sai, ieri ci siamo divertiti, una festa da sballo >>, mi informa celermente.

Si spalma sul divano, senza alcun riguardo per l'ordine tanto faticosamente costruito, e mangia lì, anche se - devo ammetterlo - ha almeno avuto l'accortezza di infagottarlo nei fazzoletti e prenderne altri per pulirsi.

<< Cos'è quella faccia? Sei impallidita >>, mi fa presente.

<< No, è solo che ecco, di solito io mangerei in cucina, a tavola >>

<< Ah... beh, noi - "di solito" - il tavolo lo usiamo per fare altro, se hai capito cosa intendo >>, allude sfacciatamente, ammiccando.

Io mi volto, prendendo a camminare, non riuscendo a nascondere tutto il mio sbigottimento.

<< Oddio! Che schifo! Pervertito! >>, un'esclamazione sfugge alla mia bocca in un timbro basso e sgraziato sperando di non essere stata ascoltata.

<< Cosa hai detto? >>, mi chiede e ho la chiara impressione che faccia il finto tonto.

Le sue labbra curvano leggermente in un sogghigno: ha sentito, se ne compiace e fa il finto tonto.

<< Ni-niente! >>, esclamo con fin troppo livore.

<< Ah... bene! >>, tronca la nostra stupida conversazione seguitando a mangiare, forsennato, quel cornetto.

Faccio un profondo respiro, perchè devo stare calma.

<< È solo che... beh, ecco... Rush, adesso ti porto una tovaglia da appoggiare alle tue gambe, così non ti sporcherai >>, gli dico, iniziando a trafficare nei cassetti bianchi dell'angoletto cucina.

-Sì, proprio così Juliet, pur di evitare di ammonirgli di non sporcare il divano, fingi di avere a cuore i suoi pantaloni e il suo bel... ma cosa diavolo vado a pensare! -

Con le guance fumose e ardenti dell'imbarazzo più acceso, mi avvicino lentamente, quasi calcolassi cautamente i passi che ci dividono.

Lui non distoglie lo sguardo neanche per un istante, come se non volesse perdersi ogni mio gesto, esitazione, respiro.

-Perché diavolo non la smette di fissarmi? Non gli hanno mai detto che c'è un limite massimo per fissare una persona, altrimenti scatta l'allarme "accalappia-marpioni" ? -

Tenendomi a due metri di distanza, gli rendo la tovaglia. Lui aggrotta la fronte, per poi lasciare che un'espressione di puro compiacimento gli dipinga il volto.

<< Puoi avvicinarti, non mordo, sai. >>

Io mi concedo una risatina nervosa.

<< Oh... lo so, è solo che, quando si incontra una persona la prima volta, è bene mantenere una distanza di sicurezza >>

Lui ridacchia apertamente mentre fa quello che gli ho detto, ma nell'ordinarla appoggia i suoi anfibi neri sul tavolino; sobbalzo dallo sbigottimento.

Un suo braccio accidentalmente urta con i cuscini e le coperte, che cadono rovinosamente sul pavimento.

Con nonchalance continua ad ingozzarsi, ma quelle pietre verdi - vivide sul suo volto angelico - si posano di sfuggita sulla mia figura.

<< Vuoi avere sempre il controllo, vero? >> sillaba con un niente, senza compiere il minimo sforzo nel dirmelo.

<< Come, scusa? >>

I suoi risolini persistono per una manciata di minuti.

<< È evidente che sei in ansia all'idea che io stia mangiando sul divano. Mi hai fatto mettere questa tovaglia sui pantaloni di pelle, pur avendo il cornetto tra i fazzoletti. La ragione è una sola... temi che io sporchi e porti disordine >>, inizia, ma io lo interrompo con veemenza: << E io ti ringrazio per questo! Avresti potuto non farlo, e invece... >>

<< E rischiare che questa piccola briciola cada sul divano, lasciando che il tuo piccolo mondo fatto di ordine vada in mille pezzi? >> mi risponde in una nota di profonda ironia.

<< Rischio la decapitazione? Dimmelo, perché inizio ad avere l'ansia! >> si burla di me e, pur non capendone la ragione, pur dovendo arrabbiarmi, un sorriso trattenuto si distende sul mio viso.

<< Come hai fatto a capirlo? >> gli domando, seriamente incuriosita.

<< Non so... forse dalla colorazione pallida assunta dal tuo viso quando mi sono seduto, dai piccoli respiri quando ho iniziato a mangiare, dal modo in cui ti mordevi le labbra mentre ho appoggiato gli anfibi sul tavolo e ho fatto cadere i cuscini a terra >> mi elenca, con incredibile perspicacia e io vado letteralmente a fuoco << Sei un cartone animato! >>

<< Senti chi parla! >>, sorrido imbarazzata.

È talmente sfrontato, attento e perspicace che mi intimidisce, eppure io non sono tanto timida, di solito.

Tuttavia non sono neanche sfacciata: molte situazioni mi imbarazzano, ad esempio il modo in cui continua ad osservarmi senza maglietta.

Quando finalmente ha finito quel benedetto cornetto, caccia fuori un pacchetto di cartine bianche e di...

- Ci mancava anche l'erba ora! Non sopporto la puzza di sudore acido! -

Finisce di arrotolarla, facendo in modo che non si apra.

Alzo gli occhi al cielo.

- Ragiona Juliet... adesso uscirà fuori per fumarla! -

Tira fuori un accendino che, dopo ben tre tentativi, infiamma, permettendo ad una scia di fumo di uscire dal filtro.

In poco tempo, una coltre di fumo aleggia nel piccolo spazio che ci circonda, e mi costringe a tossire.

-La sta fumando in casa! -

<< Potresti - cortesemente - aprire le finestre? >>, una richiesta disperata, la mia, intenta a mascherare l'enorme disappunto che mi fa rizzare la pelle.

In un muto assenso, esegue, per fortuna.

<< Cosa c'è? Oltre che una maniaca dell'ordine mi è capitata anche una salutista? >>, mi sta provocando, perché sono convinta che si noti tutto il disgusto provato verso l'aggeggio che posa tra le labbra e da cui inspira ed espira.

<< Senti, non mi crea alcun problema, figurati! L'importante è che, quando si fumi, si apra le finestre >>, preciso, anche se - in realtà - mi crea un problema più grande dell'intera New York.

<< Ah... ok... tu, quindi , la fumi con il freddo della Siberia che entra dal balcone rischiando di gelarti. Capito >>, ironizza.

E ho come la pallida percezione di una presa in giro verso quelle che lui crede siano le mie abitudini.

<< No, in realtà io non la fumo con il freddo della Siberia, non la fumo con il caldo del deserto, non la fumo mai! >>, metto in chiaro, già stufa e alquanto allucinata da questa strana ed estenuante conversazione.

Lui ride apertamente.

<< Ma da dove sei uscita? Da un monastero? >>, mi pone una domanda retorica con sarcasmo. Domanda che, a parti invertite, mi avrebbe anche fatto ridere.

Ma adesso, in questa ci leggo un chiaro desiderio di sbeffeggiarmi.

<< No, sono abituata all'alta borghesia, abituata a esibirmi di fronte a persone di un'elevata estrazione sociale, sai >>, gli faccio notare con tono di superiorità e quasi superbia.

Ma lui resta impassibile, e quello che mi urta è quel suo leggero sogghigno.

<< È arrivata Mozart >>, si prende beffa di me.

<< Senti, Rush... ti hanno mai detto che sei un impertinente? Ti consiglio di tirare da quel filtro, finirlo al più presto, perché l'erba ha scollegato il cervello alla lingua! >>, controbatto pungente.

E tutto mi sarei aspettata tranne che vederlo ghignare.

<< Senti, Juliet... ti hanno mai detto che le canne distendono i nervi? E che sei maniaca del controllo, monaca e anche viziatella? >>, ribatte in un tono scherzoso, << Senza offesa, piccola Mozart >> aggiunge.

So di essere viziata.

Io mi ricompongo, provando a virare il discorso su altro:

<< Ho capito, ma dimmi... come è stata la festa ieri? Vi siete divertiti? Immagino che tu lì abbia fumato come un turco... >>

<< Ah... tu - come immagino - non hai idea di quali feste facciamo, vero? >> insinua in un modo velatamente lascivo.

<< No >>, risposta secca e diretta, ma non posso dare la resa << Che genere di feste? >>

<< Dirtelo e... rovinare l'effetto sorpresa? >> sillaba accentuando sull'ultima parola, in una nota di profonda teatralità.

Si alza in un balzo per poi gettare il filtro ormai spento nel cestino, sotto le mie occhiate raggelanti.

Afferra il giubbotto di pelle nella stanza e lo indossa, nonostante il petto, annesso di tatuaggio, sia ancora nudo.

Paonazza, interrompo il contatto visivo.

<< Bene, ora devo andare, tra poco c'è il pranzo. Ci si vede... Juliet >> conclude andando via, non prima di aver sbattuto con poca grazia il portone.

-Mah... vedi tu, che tipo! -




Note:

Mi scuso se in questa parte introduttiva le descrizioni ambientali sono un po' carenti, ma le scrissi di fretta e non ebbi tempo di arricchirle come ho fatto in seguito con i capitoli successivi.

Ma veniamo al capitolo...

Ed ecco che la figura enigmatica di Rush inizia a prendere forma dai ricordi di Juliet.

Che dire sui due ragazzi?

Sono un clichè vivente, vero?

Due mondi in collisione.

Mi divertirò a stravolgere la percezione che avete dei due nei primi capitoli ahahhaha. Due persone davvero opposte in tutto non troverebbero mai un punto di incontro e non riuscirebbero ad instaurare alcun tipo di rapporto. Rush Finlay non è solo un Rocker strafottente, irriverente, ironico e stravagante, ma è anche "molto altro". E Juliet non è solo una pedante perfettina e santarellina. Se avrete pazienza di proseguire la lettura, capirete ogni loro singola sfumatura occulta. Molte volte, anche nella vita, la percezione che si ha di una persona cambia nel corso del tempo conoscendola a fondo, si apprende che non era poi così diversa da noi.

DUNQUE, come già detto, per poter capire un personaggio ultrasfaccettato e stravagante come Rush, dovrete arrivare almeno all'ottavo capitolo. Toglietevi dalla testa l'idea di capirlo dai primi capitoli e dalle prime battutine stupide, perchè è impossibile e sarebbe un giudizio superficiale e conforme solo all'idea che lui vuole dare di sè.

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