Capitolo 9.
Scars make us who we are
Hearts and homes are broken, broken
Far, we could go so far
With our minds wide open, open
Hey, tears all fall the same
We all feel the rain
We can't change
Everywhere we go, we're looking for the sun
Nowhere to grow old, we're always on the run
They say we'll rot in Hell, but I don't think we will
They've branded us enough, "Outlaws of love"
18 novembre, 9.30 am.
Evangeline.
Leonard era ancora immerso sotto le lenzuola del nostro letto a dormire mentre io lo fissavo attentamente dalla poltroncina di pelle morbida sul balcone della nostra camera, nascosta nella sua giacca pesante che si era portato dietro per il nostro breve soggiorno ad Oslo e sospirai leggermente. Il suo viso era rilassato e le sue labbra, più rosse e carnose del solito, sembravano così invitati ma riuscii a resistere. Avrei tanto voluto baciarlo. I suoi occhi erano chiusi e le ciglia scure sfioravano appena le sue guance mentre i suoi capelli, arruffati, erano sparsi sul cuscino che mi aveva rubato nel cuore della notte.
Mi aveva intrappolata fra le sue braccia, non appena arrivammo in hotel dopo la visita a mio padre, e non mi aveva più lasciata andare fino a quando non si addormentò. Io ero rimasta ad ammirarlo per almeno una decina di minuti: come potevo essere stata così fortunata da attirare la sua attenzione? E come poteva essere ancora innamorato di me? Avrebbe potuto benissimo vagare per Londra e con uno schiocco di dita avere tutte le donne della città ai suoi piedi, eppure voleva ancora me. Erano passati dieci mesi circa da quando ci eravamo incontrati la prima volta ed io ero ancora follemente presa da lui. Anzi, ogni giorno che passava ero sempre più innamorata, più desiderosa di passare il resto della mia vita con lui e.. chissà.
Poi sospirai ancora. Nonostante sapevo quanto Leonard tenesse a me e desiderasse sempre rendermi felice in qualsiasi modo, mi sentivo in colpa per avergli stravolto in quel modo la settimana, costringendolo a partire solo per poter vedere mio padre ma ero così preoccupata, così terrorizzata per la sua situazione che non avevo minimamente pensato a ciò che avrei causato alla sua società che sarebbe rimasta per almeno due o tre giorni senza un capo. Sospirai di nuovo, doveva smettere di essere così gentile nei miei confronti. Ed io non potevo continuare ad usarlo, ma Leonard era sempre così disponibile e.. prepotente! Era lui a costringermi a sfruttare i suoi soldi per permettermi di fare certe cose perciò no, non dovevo affatto sentirmi in colpa.
Mi alzai di malavoglia dalla poltroncina con le mani nascoste nelle tasche della giacca e tornai di nuovo nella camera da letto, facendo attenzione a non svegliare Leonard. Io non ero riuscita a dormire molto quella notte, la mia mente mi aveva tenuta sveglia la maggior parte del tempo: perché mamma aveva guardato Leonard così male non appena lo aveva visto entrare? Perché papà aveva risposto con quel tono così infastidito a mia madre? Era successo qualcosa fra di loro di cui non ero ancora al corrente? E perché al telefono sembrava che mio padre fosse sul punto di morire quando, per fortuna, aveva solo riportato qualche frattura? Perché Leonard non mi aveva ancora baciata nonostante gliene avessi dato la possibilità più e più volte quella notte? Stava forse aspettando un segno del cielo o magari un messaggio da parte della regina Elisabetta? Io non avrei di certo fatto la prima mossa.
Mi avvicinai con passo leggero al materasso senza sedermi, tenendo il listino della colazione nella mano destra, e afferrai la cornetta sul comodino: ero affamata e nel frigo della stanza non c'era assolutamente niente di abbastanza decente da mangiare, perciò avrei chiamato il servizio in camera. Sapevo che Leonard si sarebbe accontentato di qualsiasi cosa avrei scelto per lui, così non appena il responsabile rispose alla mia chiamata, ordinai due porzioni di uova strapazzate con del bacon, una tazza di latte con dei cereali e un bicchiere di succo d'arancia per me. Riappoggiai la cornetta sul comodino e non appena mi girai verso Leonard, lo trovai intento a fissarmi con le sopracciglia aggrottate.
«Buongiorno!» esclamai io felice.
Lui rotolò a pancia in su, coprendosi il viso con il piumino. «Sono distrutto, voglio dormire per almeno altri tre giorni.»
Mi sedetti sul letto, ridacchiando. «Il jet lag ha quest'effetto sulle persone in avanti con l'età, mi dispiace.»
Non appena pronunciai quelle parole, Leonard si abbassò le lenzuola dal volto e mi lanciò un'occhiata furiosa per poi afferrarmi la caviglia, facendomi cadere all'indietro. Cacciai un debole grido che lui soffocò con una mano premuta sulla mia bocca e usò l'alta per bloccarmi i miei polsi, poi salì sul mio corpo e mi schiacciò contro il materasso. Un brivido attraversò la mia schiena e un forte calore cominciò a diffondersi nel mio ventre: come faceva ad avere un effetto simile su di me in un momento del genere? Chiusi gli occhi, tentando di liberarmi dalla stretta della mano di Leonard intorno alle mie, e passai la lingua sul palmo che invece era bloccato sulla mia bocca ma lui non si mosse.
«E così per te sono vecchio?» domandò. Soffocai una risata, riaprendo gli occhi e agitandomi leggermente ma Leonard bloccò anche le mie gambe, spingendo il suo ginocchio fra le mie cosce senza distogliere il suo sguardo dal mio volto. Il mio cuore ebbe un sussulto a quel gesto e mi costrinsi a mantenere la calma, non era il caso di impazzire per un semplice contatto con il corpo di Leonard. Ma diamine, ero in astinenza da troppo tempo. «Eppure non mi sembri disprezzare molto questo vecchio. – continuò Leonard, sfilando la mano dalla mia bocca per portarla sotto al mio collo – O mi sbaglio, piccola?»
Sollevai il viso per poterlo avvicinare a quello del ragazzo e ansimai non appena percepii le sue dita premere sulla pelle morbida del mio collo. Ero certa che nel giro di qualche ora sarebbero comparsi i segni della sua mano su di me ma non m'importava. Mi mancava il lato dominante di Leonard. Il suo indice scivolò sulla vena pulsante alla sinistra del mio collo ed io schiusi le labbra, arrossendo quando il suo pollice la schiacciò con estrema delicatezza. Gli occhi del ragazzo si fecero più scuri: l'ultima volta che Leonard mi aveva toccato il collo con tanta bramosia e tanto desiderio eravamo finiti per fare tanto di quel sesso da farmi tornare a casa con le gambe ridotte ad un ammasso di gelatina.
«Leo..»
Non appena lo richiamai sottovoce, lui scosse appena la testa e tornò seduto al mio fianco con le gambe incrociate sul letto. Si passò una mano fra i capelli e poi scese dal materasso, stiracchiandosi le braccia muscolose e facendo cadere le lenzuola sul pavimento, restando completamente nudo davanti a me. Non mi ero nemmeno accorta, la notte precedente, di essere rimasta intrappolata contro il suo corpo nudo per tutto il tempo. Per fortuna, pensai con le guance rosse per l'imbarazzo, altrimenti non sarei davvero riuscita a mantenere il controllo di me stessa.
«Ho ordinato la colazione.» dissi, interrompendo il silenzio.
Leonard si avvicinò alla sua valigia, aprendola. «Lo so, ti ho sentita parlare al telefono. Non credevo che sapessi così bene il norvegese.»
Piegai la testa da un lato, infilandomi sotto le coperte. «Credimi, la mia pronuncia è peggiorata in questi anni. Non sono più abituata.»
«Dovresti insegnarmi qualche cosa. – disse il ragazzo, girandosi verso di me dopo aver indossato un paio di boxer puliti – Potrebbe essermi utile per quando dovrò incontrare il resto dei tuoi parenti.»
Scossi subito il capo, sorridendo. «Ti auguro di non doverli mai conoscere, sono davvero terribili. Io li detesto.»
Lui arricciò il naso e fece una leggera smorfia, indossando una maglia bianca dalle maniche lunghe e semitrasparenti che lasciavano intravedere i suoi tatuaggi. Quant'era bello, pensai con occhi sognanti.
«Non dire così, sono pur sempre la tua famiglia. – poi scoppiò a ridere, infilandosi anche un paio di jeans stretti – Se sono come tua madre, allora sono costretto a darti ragione però.»
Arrossii. «Sono anche peggio di mia madre.»
Lui si portò una mano alla bocca. «Come hai fatto a sopravvivere per tutto questo tempo e a trattenere degli istinti omicidi?»
Feci spallucce, sdraiandomi sul letto. «Una volta che impari a convivere con un diavolo a casa, non ti lasci scalfire facilmente da quelli che ti aspettano in Norvegia.»
Leonard si sedette ai piedi del materasso. «Mi dispiace, piccola.»
Gli rivolsi un debole sorriso e sollevai le lenzuola fino al mio naso, allungando poi una mano verso il comodino del letto per poter prendere il mio cellulare. Notai alcuni messaggi da parte di Melanie e sospirai: non l'avevo nemmeno avvertita della mia partenza, ero stata così occupata a non impazzire da non chiamarla. Lanciai un'occhiata a Leonard che si alzò dal letto per intrufolarsi nel bagno e sospirai leggermente: avevo almeno un altro quarto d'ora prima di fare colazione, perciò digitai subito il numero della mia migliore amica e aspettai che mi rispondesse. Se le avessi riferito che ero partita per Oslo con Leonard sarebbe impazzita di gioia, perché ero in compagnia di lui, ma si sarebbe preoccupata perché sapeva che avrei dovuto, prima o poi, affrontare la mia famiglia. Per quanto io non fossi psicologicamente pronta a rivedere tutte le donnacce della mia famiglia – soprannominate kjerring (lett. Puttane) con tanto amore – non avevo alcuna intenzione di non visitare mio padre. Se loro si fossero avvicinate a me e avessero tentato di insultarmi anche solo ironicamente, le avrei prese a sprangate sui denti. Per non parlare di quei jævel (lett. Bastardi) dei miei cugini maschi. Un ammasso di poveri idioti neanche in grado di tenersi un lavoro perché troppo occupati a sperperare soldi in prostitute, alcool, feste in giro per il paese e probabilmente anche droga. I loro genitori spedivano soldi senza costringerli a lavorare, senza permettere ai figli di crescere e di maturare. Io l'avevo imparato perdendo mia madre, ma almeno ero diventata una donna determinata, indipendente e abbastanza intelligente da capire quando e come spendere il denaro ricevuto a lavoro. Quel pensiero fece scattare un campanellino d'allarme: non avevo avvertito Adrian che sarei mancata per almeno una settimana.
«Pronto?» La voce di Melanie mi risvegliò dai pensieri
«Hey Mel!»
«Ma dove cazzo ti sei cacciata? Ti ho cercata tutto ieri sera, non eri al dormitorio! Miss Hudson era preoccupata!» strillò la ragazza.
Strinsi i denti. «Mi dispiace, sto.. uhm, avendo un piccolo problema di famiglia. Avrei dovuto avvertire, perdonami se ti ho spaventata, ma non potevo aspettare.»
«Cos'è successo? E perché Leonard non mi risponde? Siete insieme? Vuoi spiegarmi cosa diamine sta succedendo?» strillò ancora lei.
Sospirai, fissando il ragazzo uscire dal bagno. «Mio padre ha avuto un incidente, ieri pomeriggio mamma mi ha supplicata di ritornare ad Oslo perciò.. ora sono in Norvegia. Leonard è con me, ha messo a disposizione il suo jet privato ed è venuto qui ad Oslo.»
Melanie rimase in silenzio per qualche secondo. «Avresti potuto avvertirmi ieri sera, ero davvero preoccupata per te. Nessuno ti aveva più vista da venerdì!»
«Lo so, mi dispiace. Avrei dovuto scriverti.» risposi.
Fu lei a sospirare. «Come sta ora tuo padre? È vivo?»
Chiusi gli occhi, sussultando quando bussarono alla porta della nostra camera da letto. Ero così affamata.
«Un po' ammaccato ma sta bene. – risposi con un piccolo sorriso, girandomi sul fianco – Adesso ti devo lasciare, sto facendo colazione, ma ti chiamerò più tardi.»
Melanie sbuffò. «D'accordo, ma voglio sapere se succede qualcosa tra te e Leonard. So che non è il momento adatto, ma sai bene che la mia curiosità non ha limite.»
Soffocai una risata, mettendomi seduta sul letto. «A dopo, Mel.»
Chiusi subito la telefonata nel momento in cui Leonard appoggiò il vassoio colmo di cibo sul materasso, perciò mi avvicinai a lui con la pancia che brontolava per la fame e sospirai. Il ragazzo mi guardò per qualche secondo, poi si sedette al mio fianco con le gambe incrociate.
«Tutto bene?»
Annuii, sorridendo. «Certo, mai stata meglio.»
Leonard aggrottò le sopracciglia. «Sentivo Melanie gridare fino a qui e immagino tu ti sia dimenticata di avvertirla della tua partenza, o mi sbaglio?»
Mi lasciai sfuggire un lungo sospiro. «Diciamo che chiamare la mia migliore amica non è stato il mio primo pensiero, tutto qui.»
«Comprensibile.»
Mi porse il piatto con un toast all'interno ed io lo ringraziai, cominciando a mangiare in silenzio. Lui non smise un solo secondo di guardarmi, anche se con la coda dell'occhio; sapevo che desiderava parlare di ciò che era successo poco prima, ma io desideravo solo riempirmi un po' lo stomaco e poi tornare da mio padre per trascorrere qualche ora in sua compagnia. Io e Leonard non avevamo nulla di cui parlare: sapeva benissimo che ero ancora follemente innamorata di lui. Però forse.. sospirai, ingoiando il boccone di toast che
avevo in bocca. Non era il momento adatto.
***
18 novembre, 11 am.
Evangeline.
Leonard mi disse che sarebbe rimasto per un po' al bar dell'ospedale, dato che avrebbe dovuto parlare con Niall per telefono e quello era l'unico punto in cui il suo cellulare prendeva, perciò mi costrinse a salire da sola in camera da mio padre. Sarei stata per sempre grata a lui, mi aveva permesso di partire il prima possibile da Londra per poter raggiungere la mia famiglia che aveva bisogno di me. Un'altra delle sue dimostrazioni d'amore nei miei confronti, mentre io cos'avevo fatto per lui? assolutamente nulla, l'avevo solo usato e non l'avevo nemmeno baciato quel mattino quando le nostre labbra erano a pochi millimetri di distanza. Un soffio e si sarebbero unite. Ero una povera idiota.
«Evangeline, piccola!»
La voce di mio padre mi accolse nel momento in cui misi piede nella sua stanza perciò io gli rivolsi un sorriso smagliante, avvicinandomi subito al suo lettino. La sua pelle era meno pallida del giorno precedente e pareva abbastanza riposato; aveva un colore migliore rispetto a qualche ora prima e sembrava anche piuttosto felice di vedermi, più tranquillo e calmo. Infatti mamma non era presente.
«Ciao papà. – dissi con un sorriso, sedendomi sulla sedia accanto alla finestra – Come ti senti oggi? Hai fatto colazione?»
Lui annuì, facendomi cenno di avvicinarmi. «Mi sento molto bene, anche se tenere la gamba sollevata è alquanto fastidioso. Non vedo l'ora di tornare a casa, l'ospedale è così.. triste.»
Sospirai, annuendo. «Posso immaginarlo. Però almeno hai la camera singola, nessuno viene a disturbarti se non io, mamma o qualche altro parente.»
A quelle parole, mio padre fece una smorfia. «Sono contento se venissi qui ogni mattina, ma preferirei che il resto dei nostri parenti rimanesse a casa. E anche tua madre. Non ha fatto altro che gridare da quando sono arrivato qui, ti rendi conto?»
Afferrò la mia mano. «Puoi biasimarla? Era preoccupata per te, papà! Mi ha chiamata in lacrime. Pensavo che fossi sul punto di morire, sembrava davvero disperata.»
«Ti ha costretta a venire qui per convincerti a rimanere. Non l'hai ancora capito, Evie? – domandò lui ed io mi irrigidii – Quando ha visto che ti sei portata dietro anche il tuo fidanzato, si è..»
Lo interruppi immediatamente. «Leonard non è ancora il mio fidanzato, papà. Ci stiamo frequentando.»
Mio padre scosse la testa. «Tesoro, quell'uomo è cotto di te. Non perdere tempo e diventa la sua donna.»
Sbarrai gli occhi. «Hey! Non provare a darmi consigli in fatto di relazioni, non ne ho bisogno. – risposi, strappando una risata da mio padre che scosse la testa – Ci siamo riappacificati dopo quattro mesi di totale silenzio, ora vogliamo goderci un po' di tempo in tranquillità e poi, con calma, decideremo cosa fare.»
Lui mi guardò per qualche secondo, accarezzando la mia mano destra con il pollice per poi rivolgermi un sorriso smagliante. Perché mia madre non poteva essere comprensiva come lui, affettuosa e gentile? Non chiedevo molto, dopotutto. Vivevo la mia vita in modo indipendente, non chiedevo quasi mai denaro se non per qualche terribile emergenza eppure.. lei mi odiava. E tutto perché non volevo seguire le orme dei miei cugini, quei maledetti spocchiosi che fortunatamente non avevo ancora visto intorno alla camera di mio padre.
«Sei innamorata di Leonard, tesoro?»
Quella domanda mi zittì verbalmente ma nella mia testa si scatenarono mille urli, mille domande, mille pensieri. Certo che ero ancora innamorata di lui, certo che lo amavo più della mia stessa vita ma nonostante mi avesse dimostrato di essere cambiato e di essere pronto a tornare insieme a me, ero ancora indecisa. Non ero ancora arrivata a perdonarlo del tutto. Però..
«Sì, sono innamorata di lui.» risposi.
Mio padre mi guardò negli occhi. «Per quanto io sia geloso della mia piccola principessa e non sia contento del fatto che quell'uomo sia più bello di me, sono contento che la mia bambina si sia innamorata di un ragazzo che la ricambia.»
Scoppiai subito a ridere alle sue parole, pizzicandogli il gomito libero dalla flebo che occupava il suo braccio sinistro. Era così imbarazzante essere considerata ancora una bambina ma si trattava di mio padre, lui mi avrebbe per sempre vista come quella piccoletta tutta riccioli biondi e lentiggini sul naso che si lanciava dagli alberi e cadeva nella piscina di palline sul giardino della nostra vecchia casa vicina all'Hyde Park.
«Nessuno sarà mai bello come te, papà. – dissi con un sorriso, sporgendomi verso di lui per poterlo abbracciare – Ti ringrazio per il supporto, sono davvero felice che tu voglia accettare Leonard.»
Lui sorrise, baciandomi la guancia. «Spero che comunque abbiate le camere separate in hotel, sei ancora troppo piccola per dormire con un uomo.»
Lo fulminai con lo sguardo, tornando a sedermi. «Papà, non cominciare con queste frasi. Ho vent'anni.»
Inutile dire che gli occhi azzurri di papà si spalancarono ed io cominciai a tremare, pronta a soffocare quella risata che iniziò a risalire lungo la mia gola. le sue sopracciglia bionde si sollevarono e le sue labbra s'incurvarono in un sorrisetto scioccato ma allo stesso tempo divertito, segno che stava per dire qualcosa di ancora più imbarazzante di prima.
«Ci sei anche già stata a letto per caso?! Magari ieri notte, mentre il tuo vecchio giaceva in uno scomodissimo letto d'ospedale?! – gridò scioccato, portandosi una mano alla bocca – Evangeline Freja Rønning, spero che almeno abbiate usato il preservativo! Sono troppo giovane per diventare un nonno.»
Fui tentata di scagliarli contro un cuscino ma riuscii a trattenere quell'istinto, scoppiando però a ridere alla sua affermazione. Come avrei potuto dirgli che in realtà andavo a letto con Leonard da febbraio di quell'anno e che, quando eravamo fidanzati, facevamo sesso almeno una volta al giorno? Povero papà.
«Abbassa la voce, c'è ancora la porta aperta! – esclamai, coprendomi il viso con entrambe le mani – Papà, sei sempre così imbarazzante, non ci posso credere.»
Lui spalancò la bocca. «Non l'hai negato!»
Io, continuando a ridere, sollevai una mano. «Non facciamo sesso da quasi sei mesi! Per favore, smettila, non è un argomento carino da trattare in questo momento.»
«D'accordo, ma non sono molto contento di questa cosa. Sei ancora troppo giovane per fare sesso, dovevi aspettare almeno il matrimonio come ho fatto io con tua madre!» replicò lui.
Inarcai un sopracciglio, perplessa. «Davvero? Hai sul serio aspettato fino al matrimonio?»
«No, certo che no. – borbottò ed io ridacchiai ancora – Però tu dovevi aspettare! Oh Dio, mia figlia non è più vergine!»
Gli pizzicai la mano, arrossendo. «Non farne una questione di Stato, papà.. è successo solo poche volte, te lo giuro! Si possono contare su una mano, davvero.»
«Certo, se nell'altra hai una calcolatrice!» strillò papà.
Avevo i crampi alla pancia a forza di ridere. «Ti prego, basta!»
Lui prese un respiro profondo, calmandosi. «Spero solo che siate protetti, non è il caso di prendersi chissà quale malattia. E poi.. è presto per avere piccoli marmocchi.»
Fissai mio padre per qualche secondo, appoggiando la testa sul suo addome con gli occhi chiusi. Avere delle discussioni così divertenti con lui mi provocò un vuoto allo stomaco: perché mia madre aveva fatto di tutto per rovinare il mio rapporto con la mia intera famiglia, allontanandomi anche da mio padre? Cos'aveva che non andava nella testa quella donna? Sospirai.
«Perché sei così lontano?»
Mio padre mi accarezzò i capelli. «Tesoro.. non sai quanto mi sei mancata anche tu in tutto questo tempo. Dopo quello che ti ha detto tua madre due anni fa, non ho avuto il coraggio di guardarti negli occhi perché temevo odiassi anche me. – disse lui con voce triste, passando le dita sulla mia nuca – So che con lei non riuscirai mai a ristabilire un rapporto, ma ti assicuro che io non la penso in nessun modo come lei. Credo che la facoltà che hai scelto all'Università sia molto interessante e utile quanto qualsiasi altra, e vederti così felice mi riempie il cuore di gioia, piccola. Se le materie che studi ti piacciono molto, se hai un lavoro stabile e se sei pronta ad affrontare qualsiasi sfida che la vita ti lancia, perché dovrei impedirti di vivere felice e costringerti a tornare qui? Non posso tenerti lontano dalla tua migliore amica, da Leonard, dalla tua città e dalla tua vita.»
I miei occhi cominciarono a pizzicare. Non pensavo che avrei mai sentito qualcuno della mia famiglia pronunciare quelle parole, eppure a quanto pareva, qualcuno nel cielo mi amava. Alzai la testa per poter guardare mio padre che mi rivolse un sorriso e gli circondai il collo con le braccia, stringendolo con forza.
«Ti ringrazio, davvero. Apprezzo ogni cosa che hai detto, non sai quanto mi rende felice sapere di avere il tuo supporto. Forse tornare qui non è stato un errore come temevo all'inizio. – sussurrai al suo orecchio, strappandogli una risata – Se solo mamma fosse come te, se solo fosse stata in grado di capirmi sin dall'inizio.. forse non avremmo avuto certi problemi.»
Eskild mi accarezzò i capelli. «Io e tua madre siamo due persone completamente diverse, l'uno l'opposto dell'altro e ho iniziato a capirlo solo due anni fa quando ha deciso di farti quell'orribile discorso sulla tua scelta universitaria.»
«Lo so, però..»
Lui m'interruppe. «Stavo pensando di chiedere il divorzio, Evie.»
Le sue parole mi fecero irrigidire, diventare un blocco di ghiaccio mentre il mio cuore prese a palpitare così velocemente nel mio petto che giurai potesse esplodere. Non sapevo come reagire a quell'affermazione. Ero felice? Ero triste? Mi sentivo sollevata e più tranquilla, fiera per mio padre?
«Perché?» domandai senza pensarci.
Mio padre fece spallucce. «Sono stanco di essere manipolato da lei, di permetterle di decidere della mia vita e di essere tenuto lontano da te perché è delusa dalla tua scelta. Mi sento in gabbia con lei, Evie, e non è normale. Io voglio vivere tranquillo, al fianco di mia figlia e sapendo che lei mi vuole bene. Voglio far parte della tua vita quanto le tue amiche e i tuoi amici, non posso essere tagliato fuori a causa di tua madre. Non è giusto.»
Non sapevo se esserne felice. Dopotutto, si trattava dei miei genitori quindi la questione mi riguardava da vicino. Sarei riuscita a sopportare le lagne di mia madre che sicuramente avrebbe incolpato me per la loro separazione? Che sarebbe successo alla mia famiglia una volta che mio padre, colui che foraggiava con il denaro il resto dei miei cugini, si fosse separato da mia madre? Ero certa che tutti sarebbero impazziti e scagliati contro di me. Alla fine, la pecora nera della famiglia ero sempre io.
«A che stai pensando?» chiese mio padre.
Mi girai verso di lui ma quando provai a parlare, Leonard fece il suo ingresso della stanza dell'ospedale e la discussione cessò. Per quanto desiderassi che lui facesse parte della mia famiglia, non aveva ancora una certa confidenza con mio padre ma sicuramente avrei parlato con Leonard una volta arrivata in Hotel.
«Salve Eskild!»
Mio padre gli fece un cenno con il capo, sorridendo. «Ciao Leonard, come stai? Hai dormito bene questa notte?»
Il ragazzo annuì, avvicinandosi a me. «Sto bene e sì, ho dormito decentemente anche se qualcuno continuava a calciarmi nel cuore della notte perché aveva caldo.»
Gli occhi blu di mio padre guizzarono per un momento su di me ed io fui tentata di colpire Leonard con una gomitata, ma riuscii a trattenermi: sapevo che Eskild adorava mettermi in imbarazzo con certi argomenti, ma nelle sue parole c'era sempre un fondo di verità infatti lui credeva fermamente che io fossi vergine. Insomma, desiderava che sua figlia arrivasse davvero pura fino al matrimonio, solo per fare contenta mia madre e il resto della sua spocchiosa famiglia tradizionalista. Maledette kjerring.
«Tu mi stavi attaccato! – replicai infastidita, lasciando la mano di mio padre per prendere quella di Leonard – Uhm.. ho bisogno di prendere una boccata d'aria. Torno fra poco, d'accordo?»
Mio padre annuì pensieroso ma non disse nulla, mentre il riccio mi lanciò un'occhiata preoccupata a cui risposi con un sorriso. Gli stampai poi un bacio sulla guancia per rassicurarlo e papà fece un finto colpo di tosse, ridendo subito dopo. E senza dire un'altra parola, uscii a passo svelto dalla camera dell'ospedale. Il flusso dei miei pensieri era così veloce e intenso che fui costretta a massaggiarmi le tempie: mamma avrebbe costretto me a tornare in Norvegia a causa del divorzio? Cosa sarebbe successo nella mia famiglia? Ero felice o delusa dal comportamento di mio padre? Era davvero colpa mia il loro divorzio?
Leonard.
Osservai Evangeline uscire a passo svelto dalla camera e fui tentato di seguirla ma non sapevo nemmeno cosa fosse successo. Mi ero accorto di aver interrotto una discussione importante ma se l'avessi saputo, forse sarei rimasto al piano inferiore al telefono con Niall e poi con Melanie, entrambi preoccupatissimi per me e per la salute mentale della mia donna. Avevo spiegato ad entrambi la situazione per filo e per segno, in modo da non rischiare piccole incomprensioni, e avevo fatto in modo di risolvere il piccolo diverbio tra le due ragazze.
«Leonard, dimmi una cosa. – cominciò Eskild, interrompendo i miei pensieri – Come hai conosciuto mia figlia?»
La sua domanda mi lasciò un attimo perplesso: avrei dovuto dire la verità sul lavoro della mia ragazza? Poi però ripensai al fatto che probabilmente lei non aveva mai detto nulla ai suoi genitori dell'impiego al Secret Dreams, perciò fui costretto ad inventarmi una bugia di cui avrei discusso più tardi in camera con Evie.
«In realtà ci siamo conosciuti per caso durante la festa di compleanno di una sua compagna di corso. Lei era insieme a Melanie, io con alcuni colleghi di lavoro che festeggiavano un addio al celibato. Evangeline mi si era avvicinata per poter pagare ciò che aveva bevuto ed io ho iniziato subito a parlarle, presentandomi. – spiegai con un sorriso, ricordando il modo in cui mi aveva guardato la sera del nostro primo incontro – Poi ci siamo scambiati i numeri di telefono e una settimana dopo siamo usciti insieme a cena. Ci siamo frequentati per quasi cinque mesi, poi io ho commesso un errore terribile e abbiamo troncato il rapporto ma a settembre, la sera del suo compleanno, ci siamo visti di nuovo e.. beh, abbiamo ripreso a parlare.»
Eskild mi guardò pensieroso, massaggiandosi il mento con la mano senza la flebo collegata al gomito. Dovevo ammettere che Evangeline aveva preso il colore degli occhi del padre e i tipici lineamenti nordici, molto definiti, e la pelle candida, quasi bianca. Per fortuna non assomigliava molto alla madre, era più una copia del padre, dolce e mite, soprattutto caratterialmente.
«Cos'hai fatto?» chiese lui.
Mi morsicai il labbro inferiore. Non avevo il coraggio di dire certe cose al padre della mia donna, soprattutto non volevo rivelargli ciò che avevo combinato a lei e il motivo della nostra rottura ma sapevo che non sarei riuscito a sviare il discorso.
«Uhm.. Sono andato a letto con la mia ex moglie ed Evie mi ha colto sul fatto, letteralmente. – dissi semplicemente, strappando un gemito di sorpresa all'uomo che poi fece una smorfia – Lo so, non ho bisogno di essere rimproverato. So di aver commesso un errore e so anche che non lo rifarò mai più, sono troppo innamorato di Evie per poterla ferire e perdere una seconda volta.»
A quelle parole, Eskild si rilassò visibilmente. «Non capisco voi giovani di oggi. Siete così stupidi, vi lasciate scappare delle occasioni. – borbottò, girandosi verso la finestra della sua stanza – L'importante è che tu abbia capito che ragazza d'oro sia mia figlia. So chi sei, Leonard. So che lavoro fai, so quanto sei ricco ed influente per l'economia di tutta l'Europa se non del mondo ma sappi solo che Evie non si è avvicinata a te per denaro. Non ne ha bisogno. Prima ho parlato un po' con lei e non l'ho mai vista così.. innamorata, così presa, così cotta di una persona in vent'anni di vita. – disse lui, facendomi sorridere – Quando stava con Michael non era così, e nemmeno quando si era presa una sbandata per Even, il suo primo migliore amico con cui era cresciuta qui ad Oslo. Tu le hai catturato il cuore ed io, come padre e anche come amico di Evie, ti chiedo di non calpestarlo. Lei ti ama, è solo un po' troppo orgogliosa per dirtelo. E anche tu. So che la ami, lo vedo da come la guardi e da come la tocchi, ma vi state facendo sfuggire l'occasione di vivere una storia d'amore come nelle fiabe. Devi dirle ciò che provi, devi prenderla in un momento di tranquillità e dirle tutto ciò che ti passa per la testa.»
Lo fissai per qualche secondo senza sapere che cosa dire. Com'era possibile che il padre di Evangeline, che non vedeva la figlia da mesi e non aveva la minima idea di chi fosse il suo quasi compagno, fosse fermamente convinto dell'amore di lei nei miei confronti? Era davvero così evidente il mio sentimento per lei? Come la guardavo? Come la toccavo?
«Signor Rønning, io.. Non so che cosa dire.» risposi.
Lui rise per la mia espressione scioccata. «Non devi dire nulla me, parla solo con Evangeline. Tra un anno, e forse anche di più, mi aspetto di ricevere l'invito al matrimonio e dopo per il battesimo dei vostri bambini.»
Annuii con vigore, sorridendo. «Ma certo, signore. Lei sarà il primo a ricevere ogni cosa!»
«Molto bene. Ora passiamo a questioni più serie. – disse lui contento, tornando a guardarmi negli occhi – Se le farai del male ancora una volta, giuro sul mio amore paterno per lei, che verrò a cercarti a Londra.»
Sollevai entrambe le mani a mezz'aria. «Glielo prometto.»
Lui si appoggiò al cuscino. «Ottimo, vedo che ci siamo capiti. Oh, un'altra domanda, se me lo permetti.»
Io lo guardai attentamente. «Certo.»
«Come sta andando all'Università? – chiese imbarazzato – So che dovrei domandarlo a lei, ma ho paura di infastidirla o di comportarmi come un padre troppo apprensivo. Sai com'è.»
Ridacchiai, sedendomi accanto al lettino. «Sta passando gli esami con il massimo dei voti, la facoltà le piace molto ed è contentissima delle sue scelte. Ho avuto l'onore di leggere un pezzetto del libro che sta scrivendo e devo dire che sono piacevolmente sorpreso, perciò mi sono messo in contatto con alcuni amici in campo editoriale. Ho già trovato un editore disposto ad incontrarla, però è ancora una sorpresa. Penso di dirglielo una volta tornati a Londra.»
Eskild mi guardò per qualche secondo. «Conoscendo Evie, credo che la sua prima reazione sarà quella di infuriarsi con te.»
Alzai le spalle. «Lo so, ma correrò il rischio.»
Calò un piacevole silenzio fra di noi, scandito dal ticchettio dell'orologio davanti al lettino del padre di Evie quando mi resi conto che la ragazza era uscita da oltre dieci minuti. Che fine aveva fatto? Forse aveva deciso di chiamare Melanie per tranquillizzarla, o forse era andata a comprarsi qualcosa da mangiare dato che era quasi ora della sua merenda mattutina, pensai. Non mi ero nemmeno accorto del tempo che passava mentre discutevo con Eskild, mi sentivo così a mio agio che non mi stavo nemmeno preoccupando della mia ragazza al piano di sotto.
«Leonard, posso chiederti un favore?»
L'uomo attirò la mia attenzione. «Uh.. sì.»
Si avvicinò leggermente a me. «Tieni lontano mia moglie da lei.»
Alzai un sopracciglio, piegando la testa da un lato. «Sì, lo farò.»
«Ti ringrazio. Violet ha già rovinato abbastanza la vita ad Evie, non serve che provi a peggiorarlo ancora. – replicò lui – E.. l'ho già detto a mia figlia, ma dato che probabilmente entrerai a far parte della mia famiglia prima che tu te ne possa rendere conto, ho intenzione di divorziare da Violet. Non so come l'abbia presa Evie, sembrava parecchio scossa perciò per favore, sta' vicino a lei.»
Schiusi le labbra alle sue parole e un moto di rabbia si fece spazio nel mio stomaco al ricordo del momento in cui i miei genitori biologici divorziarono. Quanto avevo odiato mio padre e quanto lo disprezzavo ancora per cercare di tornare in contatto con me solo per permettere alla sua nuova famiglia di diventare più ricca.
«Farò del mio meglio, signore. – dissi, alzandomi dalla sedia accanto al lettino di Eskild – Vado a cercare Evangeline, è fuori da troppo tempo.»
Lui annuì qualche secondo. «D'accordo. Fra poco l'orario delle visite terminerà, perciò forse è il caso che andiate.»
Senza rispondere alle parole del padre di Evie, io uscii dalla stanza e m'incamminai a passo svelto verso l'ingresso dell'ospedale dove potrebbe essere andata lei. E se alcuni membri della sua famiglia l'avessero bloccata da qualche parte per infastidirla? E se sua madre l'avesse messa in un angolo e l'avesse insultata pesantemente com'era capitato davanti a me e a Melanie nel dormitorio di Londra? Strinsi una mano a pugno e accelerai il passo, scendendo la rampa di scale che conduceva al pian terreno; m'incamminai verso il bar dell'ospedale quando intravidi Evangeline, seduta di schiena ad un tavolino che stava bevendo del tè insieme ad un ragazzo biondo. Affascinante, troppo. Chi diamine era quel mostriciattolo che stava discutendo con la mia donna con una mano troppo vicina alla sua? Mi avvicinai di qualche passo ma purtroppo stavano entrambi parlando in norvegese, perciò non riuscii a capire assolutamente nulla ma dovevo interromperli. Quel tizio doveva sparire dalla mia visuale o lo avrei appeso per i capelli e usato come bandiera per l'ospedale.
«Hvordan har du det, Evie?»
Il suo accento era così fastidioso. «Jeg har det bra..»
La interruppi, portandole una mano sulla spalla. «Amore.»
Lei si girò di scatto e mi rivolse un sorriso smagliante. «Leo! Scusa, ho incontrato lui e mi sono fermata un momento. Sarei arrivata tra poco da papà! Ma è successo qualcosa?»
Io scossi la testa, lanciando una breve occhiata al ragazzo dai capelli biondi davanti a me che piegò la testa senza smettere di fissarmi. Io presi posto accanto alla mia donna e le circondai le spalle con un braccio, attirandola piano contro di me; Evie si limitò ad afferrare la mia mano con la testa, mantenendosi ad una certa distanza.
«Even, lui è Leonard. Leo, lui è Even. Era il mio migliore amico d'infanzia. È venuto a salutare mio padre.» spiegò Evangeline con un sorriso.
Il biondo allungò la sua mano verso di me. «Hyggelig å møte deg, sønn av en tisse.»
Piacere di conoscerti, figlio di puttana.
La donna sbuffò, colpendo con uno schiaffo la mano del tizio. «Non essere volgare e non insultarlo! È innocuo.»
Lui fece spallucce, bevendo il suo caffè. «D'accordo, ma solo perché è il tuo ragazzo e devo farmelo piacere a tutti i costi.»
Io lo fissai per qualche secondo, già irritato. «Piacere, Leonard Tyler Stiles. E tu sei? Credo di non aver capito il tuo nome.»
«Even Valtersen, piacere di conoscerti. – replicò lui con un sopracciglio alzato, osservandomi curiosamente – Ti ho già visto da qualche parte, su un giornalino di gossip forse. Insieme a lei.»
Indico Evangeline che alzò gli occhi al cielo. «Even, puoi smetterla i di comportarti come un coglione? Ti assicuro che è innocuo, lascialo in pace!»
Il biondo alzò una mano in segno di scuse. «Va bene. Non si è arrabbiato né mi ha aggredito, potrebbe quasi piacermi.»
«Grazie.. credo.» risposi io, perplesso.
Ma che razza di problemi aveva?
Aggrottai le sopracciglia e strinsi appena la mano di Evangeline, guardandola poi per un secondo come a supplicarla di inventarsi una scusa per andarsene da lì ma sapevo che probabilmente mi sarei dovuto sorbire quel tizio strambo per tutta la giornata.
«Per quanto rimarrai qui ad Oslo? Potremmo uscire a bere qualcosa, se ti va. Mi piacerebbe ricordare i vecchi tempi.» disse Even con un sorriso.
Io inspirai bruscamente, tentato di rifiutare per lei ma parlò prima di me, interrompendomi.
«In realtà partiremo domani mattina però volentieri! Potremmo uscire a cena insieme noi tre, che ne dite?» chiese.
Inutile dire che non riuscii a sorridere con sincerità perché se quel ragazzo credeva di potersi avvicinare alla mia donna.. beh, quella sera avrei fatto qualsiasi cosa per fargli capire che Evie apparteneva a me. Fine della questione.
«Direi che è perfetto! Andiamo al Blaa, l'hanno rinnovato. È il mio locale preferito, ci sono tutti ragazzi giovani della nostra età. – si girò verso di me, aggrottando la sopracciglia – Non credo però ci siano donne della tua età.. ma chi lo sa! Magari qualche Milf.»
Riuscii a mantenere la calma, sorridendo infastidito. «Non ho bisogno di altre donne se ho Evangeline, ma ti ringrazio per il pensiero. Mi farò bastare lei questa notte.»
La ragazza al mio fianco arrossì, stringendo la mia mano. «Uhm.. Even, tra poco l'orario delle visite scadrà quindi ti accompagno di sopra e poi io me ne vado. – si alzò dalla sedia, sospirando – Hai il mio numero, nel pomeriggio scrivimi l'orario e il posto di ritrovo.»
E poi Evie scomparve dal bar con Even.
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