Capitolo 5.
I must admit I thought I'd like to make you mine
As I went about my business through the warning signs
End up meeting in the hallway every single time
And there's nothing we can do about it
Told it to her brother and she told it to me
That she's gonna be an angel, just you wait and see
When it turns out she's a devil in between the sheets
And there's nothing she can do about it
She's an angel, my only angel.
Only Angel - Harry Styles
8 Ottobre, sera.
Evangeline.
Sciacquai i tre bicchieri con l'acqua del rubinetto con lo sguardo puntato sulla folla nel bel mezzo della pista da ballo e ridacchiai quando notai la ragazza che festeggiava il suo addio al nubilato accerchiata da tre uomini vestiti da pompieri. Le sue amiche, tutte sedute al tavolo che avevano prenotato nell'angolo del locale, ridevano come delle pazze mentre quella povera donna cercava di liberarsi di quei tre per poterle raggiungere. Era una scena alquanto divertente perché uno dei pompieri aveva le braccia intorno ai fianchi della ragazza e gli altri due, ridendo, si strusciavano contro di lei a ritmo della musica che esplodeva a tutto volume dalle casse. Se Melanie avesse organizzato per me un addio al nubilato del genere, penso che avrei pianto per l'imbarazzo.
Gli occhi di quasi metà locale erano puntati su di lei che si muoveva lentamente e tentava di spostarsi dalla presa ferrea dell'uomo, per poi riuscirci quando lui si girò verso un'altra ragazza che gli passò accanto. La povera futura sposa scappò subito al tavolino delle sue amiche che la spinsero di nuovo sulla pista, dove venne recuperata dai tre pompieri che ripresero a ballare. Scossi la testa con un sorriso divertito e appoggiai i bicchieri puliti sotto al bancone, asciugando poi le mie mani nel grembiule bianco corto che indossavo.
Era stata una serata particolarmente intensa perché avevo dovuto servire sia un addio al celibato, sentendomi gridare complimenti parecchio disgustosi e volgari da parte di tutti gli invitati, e poi un ventunesimo compleanno di una ragazza che frequentava la facoltà di medicina alla mia Università. Purtroppo ero da sola al bancone quindi oltre ad occuparmi di quei due eventi, dovevo fare attenzione al resto dei clienti che avevano prenotato i tavoli. Non avevo avuto nemmeno il tempo di uscire a fumarmi una sigaretta o anche per andare in bagno, ma per fortuna nel giro di pochi minuti sarebbe arrivata la mia collega, Leah, ad aiutarmi.
Certo, ormai avevo finito il turno perciò non mi sarebbe servita più di tanto ma almeno non sarei rimasta ancora da sola dietro al bancone e avrei avuto il tempo di scappare nello spogliatoio per andare in bagno, darmi una veloce rinfrescata e poi fare pipì. Per fortuna quella sera non erano arrivati ragazzini di diciotto anni a cercare di approcciare con me al bancone, pensai tirando un sospiro di sollievo. Era capitato venerdì, il giorno dopo la mia discussione con Justin: un ragazzo, il festeggiato, aveva fatto una scommessa con il suo amico. Se fosse riuscito ad attirare la mia attenzione, l'altro avrebbe dovuto pagargli un drink oppure bere due shot di vodka. Inutile dire che nessuno dei due vinse perché le loro tecniche di approccio erano così stupide e ridicole che non sarebbero funzionate nemmeno con una ragazza ubriaca o in coma etilico. Ma decisi comunque di offrire un drink ad entrambi, solo per ripagarli per i loro inutili e ridicoli sforzi.
Loro si gasarono così tanto che decise di trascorrere tutta la serata seduti al bancone per parlare con me; il festeggiato, che si chiamava David, aveva addirittura fatto scivolare un cartoncino sul bancone con il suo numero di telefono. Inutile dire che avevo preso quel foglio e l'avevo stracciato, gettandolo nel cestino sotto al bancone. Com'era possibile che nessuno dei due fosse stato in grado di capire che non ero minimamente interessata, né a David né al suo amico Paul? Quel pensiero mi strappò un sorriso, alla fine avevano appena compiuto diciotto anni e avevano tentato di flirtare con una di venti. Certo, non c'era così tanta differenza d'età fra di noi ma era comunque stata una situazione molto imbarazzante perché avevano fatto di tutto per conquistarmi, parlando fra di loro addirittura del viaggio in America che avevano fatto e in cui si erano sballati come non mai. Alquanto ridicoli, in senso buono. O forse no.
«Buonasera, signorina. Posso avere un Long Island?»
Sollevai la testa nella direzione da cui proveniva la voce e quando mi ritrovai davanti Leonard, in tutta la sua bellezza, con le braccia appoggiate al bancone e i capelli, ora corti, un po' arruffati. Mi si mozzò il respiro a quella vista perché non mi aspettavo sarebbe arrivato nel nuovo locale in cui lavoravo. Come aveva fatto a sapere dov'ero stata assunta? Forse Justin gli aveva detto qualcosa.
«Che ci fai qui? – domandai preoccupata – Non è un po' troppo tardi? Domani devi andare a lavorare, forse è il caso che tu te ne vada a casa.»
Leonard fece una smorfia. «Domani avrò la giornata libera, oggi ho lavorato fino alle dieci perciò. Niall si prenderà cura del mio ufficio, ma grazie per il tuo interessamento.»
Arricciai il naso. «Figurati.»
Il ragazzo si sedette su uno sgabello. «Allora? Il mio drink?»
«Un Long Island, arriva subito.» borbottai infastidita.
Dopo ciò che era successo con Justin quasi una settimana prima, avevo deciso di prendermi un po' di tempo per me stessa; mi dedicai sia allo studio delle nuove lezioni sia a me, frequentando una Spa non molto lontana dalla mia Università. Insomma, i soldi che avevo risparmiato per il mio appartamento con Melanie erano diventati inutili perciò avevo deciso di spenderne un po' per coccolarmi, pagando massaggi sulla schiena oppure fanghi in modo da rilasciare tutta la tensione che avevo accumulato in quei quattro mesi dopo aver lasciato Leonard. Quella situazione mi stava lentamente sciupando e non avevo alcuna intenzione di distruggermi per due ragazzi.
Dopo aver riempito il bicchiere con alcuni cubetti di ghiaccio, versai del gin, il rum bianco, la tequila, una dose di Triple sec ed una di vodka; poi sollevai la testa, accorgendomi dello sguardo di Leonard ancora su di me, e le mie dita cominciarono a tremare. Se non si fosse girato, togliendo gli occhi da me, avrei rischiato di fare un disastro con gli alcolici perciò afferrai il ghiaccio e mi girai di schiena. Versai il succo di limone, nella cola. Mescolai gentilmente con un cucchiaio, facendo attenzione a non rovesciare nulla sul bancone ancora pulito dall'inizio della serata, e poi decorai il drink con una scorza di lime.
Leonard lo adorava. Feci scivolare il bicchiere verso il ragazzo che lo afferrò saldamente e gli consegnai anche un piccolo sotto bicchiere in modo che non sporcasse il bancone di legno, poi gli rivolsi un debole sorriso e mi sciacquai le mani appiccicose.
«Grazie! – esclamò Leonard, consegnandomi una banconota da venti sterline – Tieni pure il resto, non mi serve.»
Sollevai un sopracciglio ma poi annuii, inserendo la banconota nella cassa del bar. Sapevo che non mi avrebbe permesso di dargli il resto, si comportava sempre così al Secret Dreams. Lo seguii con lo sguardo, appoggiandomi con i fianchi al bordo del bar dietro di me e incrociai le braccia al petto. Non sapevo se rivolgergli la parola o fare finta di nulla, perciò mi limitai a fissarlo. Che ci faceva nel mio nuovo locale? Aveva scelto un nightclub a caso o qualcuno lo aveva indirizzato proprio al Caliente per vedermi? E perché sembrava così tranquillo, mentre io ero sul punto di avere un infarto.
«Cosa ci fai qui?» domandai.
Leonard si girò verso di me, alzando un sopracciglio. «Sto bevendo qualcosa mentre mi godo un po' di musica. È forse vietato per un uomo di ventinove anni?»
Assottigliai gli occhi, avvicinandomi al bancone. «Perché sei in questo locale, Leonard? Come fai a sapere che lavoro qui?»
Lui fece spallucce, girandosi verso la pista da ballo. «Non t'illudere, mi sono fermato qui per puro caso. Non sapevo fossi la barista di questo posto, sono sorpreso tanto quanto te.»
«Ah, è un segno del destino allora. – borbottai – Non ti vedo da una settimana e l'uomo lassù ha deciso di bearmi, mandandoti da me.»
Leonard arricciò il naso, bevendo il suo drink. «Possiamo parlare?»
Scossi la testa, osservandolo con attenzione. «No, non è il posto né il momento adatto.»
«Non possiamo uscire?» chiese
Mi lasciai sfuggire un sospiro. «Non c'è nessuno che può coprire il bar mentre sono fuori, quindi mi dispiace ma no.»
«A che ora finirai il turno?» domandò.
La sua espressione sembrava davvero seria e il suo sguardo era così intenso da bruciare la mia pelle, guardando la mia anima. Mi ritrovai a boccheggiare per un po' d'aria: perché mi sentivo così agitata nonostante sapessi che prima o poi avrei dovuto parlare con lui della nostra situazione? Ero sicura che Justin gli avesse detto che ormai avevamo rotto ed io ero pronta a tornare da lui, ma.. forse non proprio. Forse avevo davvero bisogno di altro tempo.
«Leonard, non è il momento adatto. – mormorai, lanciando un'occhiata alla folla di persone che ballavano – Non.. posso, non oggi e non adesso. Per favore.»
Il ragazzo appoggiò il bicchiere sul bancone. «So che hai rotto con il tuo fidanzato. Come mai, se posso saperlo?»
Lo fulminai con lo sguardo. «Non sono affari tuoi. E ti ho detto che non è il momento adatto, cazzo. Riesci a capire o devo ripetertelo?»
«Sono affari miei, sei stata tu a dirmi "dammi qualche giorno" ed è passata un'intera settimana. Penso che tu abbia avuto abbastanza tempo, o mi sbaglio?»
Scossi di nuovo il capo, sospirando. «Leonard, basta così.»
Lui fece una smorfia. «Fammi un altro drink a tua scelta.»
Con un sospiro, afferrai il suo bicchiere vuoto e lo infilai nel lavandino dietro al bancone per poi afferrarne un altro pulito che riempii con dell'acqua naturale. Quando lo consegnai al ragazzo dai capelli ricci, lui sollevò la testa e scoppiò a ridere. Io non riuscii a trattenere un sorriso perché era così maledettamente bello, non avevo mai visto nessuno come lui. Nemmeno Justin. Soprattutto lui, non era minimamente paragonabile a lui.
«Ti ho chiesto un drink, non dell'acqua.» replicò lui.
Feci spallucce, mordicchiandomi il labbro inferiore. «Non mi piace parlare con te quando sei ubriaco, diventi violento e troppo fastidioso quindi per stasera hai finito i tuoi drink.»
«Sei una barista, devi darmi da bere ciò che voglio.» rispose.
Annuii. «Lo so, ma tu hai chiesto a me di scegliere qualcosa da bere ed io ho deciso un bel bicchiere d'acqua. Ora smetti di lamentarti e goditi un po' di musica senza infastidirmi, io sto lavorando.»
«Mi manca vederti ballare.» disse Leonard, allungando la mano verso di me ma io allontanai la mia.
Arricciai le labbra. Anche a me mancava potermi esibire sul palco del Secret Dreams ma al Caliente venivo pagata meglio e soprattutto non avevo turni che mi spezzavano le notti, come invece succedeva al locale di James. Lavoravo ogni giorno fino alle due del mattino mentre nei weekend spesso tornavo al dormitorio alle quattro o più tardi, in base al numero dei clienti che prenotavano delle esibizioni private nei privè.
Al Caliente stavo dietro al bancone del bar per preparare drink, godermi della musica e ridere delle ragazze che fingevano di essere ubriache per attirare l'attenzione di qualcuno per passare una serata. Insomma, era un ambiente completamente diverso da quello del Secret Dreams.
«Leonard, basta. Vai a sederti da un'altra parte, per favore.» dissi con le braccia incrociate al petto.
Lui aggrottò le sopracciglia scure e scese dallo sgabello davanti al bancone, incamminandosi verso l'unico tavolo vuoto ma proprio accanto a quello delle amiche della ragazza che ancora ballava con i tre pompieri. Quando una di quel gruppetto si accorse della presenza di Leonard, tutte le donne cominciarono ad agitarsi e un moto di rabbia mista a gelosia mi montò nello stomaco. Loro dovevano stare lontane da lui, Leonard apparteneva ancora a me proprio come io appartenevo a lui. Forse non avrei dovuto cacciarlo ma era l'unico modo per evitare quella discussione nel bel mezzo di una discoteca piena di gente.
Maledizione.
Afferrai il bicchiere ancora colmo d'acqua e la versa nel lavandino, asciugandolo poi con un telo colorato; presi un calice di vetro e preparai alla svelta un Martini. Versai della vodka all'interno del bicchiere di vetro e poi del Vermouth, guarnendo il drink con un'oliva verde. Avevo bisogno di una scusa per avvicinarmi di nuovo a lui e attirarlo al bancone, non potevo permettere che una di quelle donne potesse anche solo provare ad avvicinarsi e mettergli le mani addosso. Io sarei impazzita di gelosia e avrei rischiato di discutere con una cliente, finendo nell'ufficio di Adrian. Appoggiai il cocktail su un vassoio e m'incamminai verso il tavolino che aveva occupato Leonard nel momento in cui una ragazza dai capelli rossi lunghi ricci si alzò dalla sua sedia, incamminandosi per raggiungere il mio uomo che si girò a guardarla. Le rivolse un sorriso smagliante ed io mi fermai prima di salire le tre scale che conducevano al pianerottolo, esitando. Forse non mi sarei dovuta avvicinare perché, in quel modo, avrei dimostrato a Leonard che ero impaziente e soprattutto gelosa. Ma che m'importava, sapeva benissimo che ero innamorata di lui. Mi feci coraggio e, sculettando sensualmente, mi avvicinai al tavolo di Leonard con il vassoio in mano. I suoi occhi si spostarono da quelli della rossa ai miei e non appena scivolarono verso la mia scollatura profonda, le sue labbra s'incurvarono in un sorriso malizioso. Io mi piegai in avanti per permettergli di avere una migliore visuale del mio seno e appoggiai il suo drink sul tavolo, ammiccando.
«Ecco il suo drink, signor Styles. – mormorai con voce sensuale, strappandogli un debole mugolio – Vuole altro?»
La ragazza dai capelli rossi si girò verso di me. Se uno sguardo avesse potuto uccidere, credo che lei mi avrebbe squartata con un coltellino da pane. Sapeva che avevo strappato l'attenzione di Leonard da lei ma non m'importava, stavo proteggendo il mio uomo da possibili ragazzine amanti del denaro.
«Non mi faccia rispondere a questa domanda, signorina.» disse lui, afferrando il calice senza distogliere gli occhi dai miei.
Il mio cuore ebbe un sussulto a quelle parole e mi mordicchiai il labbro inferiore, lanciando un'occhiatina divertita alla ragazza che, arrabbiata con me, se ne tornò al suo tavolo. Tirai un sospiro di sollievo e sollevai il vassoio, stringendomelo al petto; guardai Leonard per qualche secondo e poi alzai gli occhi al cielo con fare drammatico, facendolo ridere.
«Scusa, ho rovinato forse una possibile notte di sesso con quella.»
Lui fece spallucce, bevendo un sorso del suo Martini. «Meglio così, non sarei andato a letto comunque con lei, non è la mia tipa. Ma forse la bella barista bionda lo è. Che ne dici di ricordare i vecchi tempi, magari passando la notte con me?»
Scossi la testa anche se un brivido d'eccitazione attraversò il mio bassoventre: fui tentata di dirgli di sì, visto che non avevo un orgasmo, provocato da un vero uomo, da quattro mesi. Senza contare tutti quelli avuti pensando a lui nella doccia. Maledizione, erano i migliori.
«Per stavolta credo che passerò. – risposi, girandomi il bancone del bar – Se non vuoi altre ragazzine addosso, ti conviene tornare a sederti là vicino a me. Non proveranno a darti fastidio.»
Leonard mi osservò con attenzione, sfiorando il bordo del bicchiere con le sue labbra, e poi annuì. Si alzò dal tavolo e si avvicinò a me, guardandomi dall'alto con un sopracciglio alzato; io gli pizzicai il braccio e scesi i tre gradini, rintanandomi immediatamente dietro al bancone con il cuore in fiamme.
***
Un'ora e mezza dopo.
Leah arrivò quasi quaranta minuti in ritardo perciò io fui costretta a rimanere dietro al bancone per tutto il tempo, ma nel momento in cui la vidi uscire dallo spogliatoio con la divisa, scappai immediatamente in bagno con la vescica sul punto di esplodere e lo stomaco che brontolava come non mai. Dopo aver sfilato l'elastico dai miei capelli che ricaddero sulle mie spalle e aver fatto pipì, mi cambiai immediatamente: un paio di leggins neri ed una felpa grigia. Uscii dallo spogliatoio con lo zaino sulle spalle e salutai in fretta Adrian, incamminandomi poi verso l'uscita della discoteca quando Leonard comparve davanti alla porta. Quasi caddi all'indietro per la sorpresa e fui costretta ad afferrare la sua mano per evitare di finire con il sedere a terra.
Le sue dita sfiorarono con delicatezza le mie e un brivido mi attraversò dalla testa ai piedi, ma mi costrinsi a mantenere un'espressione e un comportamento indifferente altrimenti mi sarei davvero gettata su di lui e lo avrei supplicato di portarmi a casa sua. Gli rivolsi un debole sorriso per ringraziarlo della sua presa e poi abbassai la testa, uscendo dalla discoteca; lui mi seguì senza parlare ed io mi accesi una sigaretta, appoggiandola sulle mie labbra.
Leonard aveva trascorso l'intera serata seduto accanto a me senza parlare, fissando la gente che ballava davanti a noi e dondolando la testa a ritmo di musica; ogni tanto mi ero accorta che mi guardava ma quando provavo a girarmi, lui distoglieva lo sguardo e incrociava le braccia al suo petto, stringendo le labbra. Era una situazione divertente: io avevo fatto quasi una scenata di gelosia per una ragazzetta che aveva tentato di avvicinarsi a lui e Leonard, guardandomi di soppiatto, arrossiva quando provavo a fissarlo io.
Quattro mesi prima passavamo la maggior parte del nostro tempo a fare sesso, eppure sembravamo così impacciati. In realtà sapevo che fra noi non c'era imbarazzo ma solo forte tensione sessuale. Aspettavo con ansia il momento in cui sarebbe finalmente esplosa perché Leonard avrebbe dato il meglio di sé ed io mi sarei sentita di nuovo viva, sua, amata, bramata, desiderata. Con un sospiro, mi girai verso il ragazzo e ammirai il suo profilo. Era sempre così bello, mi sembrava assurdo che meno di quattro mesi prima tutto quel ben di Dio fosse stato solo mio.
«Ti sto disturbando?» domandò Leonard.
Sollevai le sopracciglia, sfilando la sigaretta dalla bocca. «No, non stai facendo assolutamente niente. Perché? Sembro infastidita?»
Lui si mordicchiò il labbro inferiore. «Sai, non sono ancora in grado di leggere nel pensiero ma ci sto lavorando. Sarebbe interessante entrare nella tua testa.»
Ridacchiai, sedendomi sul muretto accanto all'ingresso. «Potrei addirittura scandalizzarti, signor Styles. Non sono innocente come credi.»
Lui si appoggiò al mio fianco, abbassando lo sguardo. «Lo so bene.»
E poi fra di noi calò di nuovo il silenzio. Fu piacevole, però. Niente di così imbarazzante come invece temevo. Come mai non cercava di strapparmi qualche confessione in quel momento, dato che ero in silenzio e mi stavo godendo la mia sigaretta? Gli lanciai un'occhiatina preoccupata e notai che stava fissando il cielo, gli occhi puntati sulle nuvole spruzzate di stelle su di noi; le sue labbra erano schiuse, ammalianti e così invitanti, mentre aveva le mani appoggiate sulle ginocchia.
Le dita lunghe sfioravano appena le mie cosce e fui tentata di avvicinarmi un po', ma sapevo che se l'avessi fatto, sarei finita nella sua macchina, sui sedili posteriori con lui sdraiato addosso e le gambe strette intorno ai suoi fianchi. Sfilai la sigaretta dalle mie labbra e la schiacciai nel posacenere, pulendomi poi le mani con una salvietta che tirai fuori dal pacchetto nella mia borsa; poi gettai anche quella nel cestino e sollevai la testa, ammirando il cielo nero sopra le nostre teste. Avrei dovuto interrompere io quel silenzio oppure mi sarei dovuta alzare per incamminarmi verso la metropolitana? O forse avrei potuto chiedere un passaggio a lui, dato che ero così stanca da rischiare di addormentarmi nelle cabine del treno della metro. Prima che aprissi bocca, Leonard parlò.
«Ogni tanto mi chiedo perché ti ho tradito con Diana.»
Deglutii, stringendo le labbra. «Anche io.»
Si girò verso di me e notai che aveva gli occhi lucidi. «Vorrei dirti tante cose, Evie, non ne hai la minima idea ma hai ragione. Questo non è né il posto né il momento giusto, tu hai bisogno di tempo per pensare e non ho intenzione di soffocarti.»
Rimasi sorpresa sia dalle sue parole sia dalla sua espressione triste tanto che gli afferrai la mano, portandola alle mie labbra. Stampai un bacio sulle sue nocche e gli rivolsi un debole sorriso, intrecciando poi le nostre dita insieme. Mi dispiaceva vederlo in quelle condizioni ma lui mi aveva ridotta molto peggio, perciò meritava di soffrire almeno un po'. Dovevo prendere la mia rivincita per quei quattro mesi di sofferenza.
«Abbiamo bisogno entrambi di tempo, Leonard. Io ho appena ricominciato l'Università e sono impegnata con il mio nuovo lavoro, mentre tu devi concentrarti sulla tua impresa. Sono passati quattro mesi dall'ultima volta ci siamo visti e nel giro di quindici giorni, siamo tornati l'uno nella vita nell'altro quando io mi ero ripromessa di non volerti né più vedere né sentire. – mormorai, tracciando un cuore con la punta del mio dito sul dorso della sua mano – So che vuoi provare a risolvere il casino che hai combinato ma..»
Leonard m'interruppe. «Eri gelosa della ragazza dai capelli rossi che ha tentato di parlarmi. Se avessi potuto ucciderla, l'avresti fatto sotto ai miei occhi.»
Mi girai a guardarlo, ridacchiando. «Era così evidente?»
Lui annuì divertito, afferrando saldamente la mia mano. «Direi proprio di sì, avevi gli occhi che bruciavano di rabbia. Credo che se quella ragazza si fosse seduta vicino a me, tu l'avresti trascinata fuori dal locale per i capelli.»
Feci spallucce alle sue parole e mi sedetti più vicina al ragazzo, accavallando le mie gambe; spostai lo sguardo sul cielo e mi lasciai sfuggire un piccolo sospiro, ringraziando mentalmente Leonard per aver cambiato l'argomento della conversazione. Ammettere la mia gelosia era sicuramente meno imbarazzante di parlare di ciò che è successo fra di noi tempo prima.
Arricciai il naso, lasciando la presa sulla mano del riccio. «Non sarebbe comunque riuscita ad attirare la tua attenzione, non è il tuo tipo ideale di ragazza.»
Leonard alzò un sopracciglio. «E come dovrebbe essere la mia donna ideale? Sentiamo le tue considerazioni, Evie.»
Io lo guardai per qualche secondo, sorridendo. «Sono io.»
Lui cercò di replicare qualcosa ma dalle sue labbra non uscì alcun suono, perciò si limitò ad arrossire e ad annuire; afferrò di nuovo la mia mano e la strattonò, costringendomi ad avvicinarmi a lui con i nostri visi a qualche millimetro di distanza. Un soffio e le nostre bocche si sarebbero unite in un bacio.
«In effetti hai ragione. Dovrebbero essere basse, con bellissimi capelli ricci biondi da stringere fra le dita e tirare, occhi grandi di un blu magnetico, labbra rosse come il sangue e dal sapore delizioso, lineamenti delicati ma femminili, pelle bianca come la neve ma morbida come seta, fianchi larghi ma sensuali e curve da urlo. – la sua mano libera scivolò sulla mia coscia ed io ebbi un sussulto – Deve avere una voce sensuale, un portamento elegante, un sorriso mozzafiato, una risata squillante e soprattutto dev'essere brava a fare pompini.»
Scoppiai a ridere alla sua ultima affermazione, scuotendo la testa perché sapevo che avrebbe rovinato quel discorso così romantico con qualcosa di malizioso. Gli colpii il dorso della mano con un lieve schiaffo e appoggiai la testa sulla sua spalla, fissando il parcheggio del locale colmo di macchine. Mi piaceva parlare in quel modo con lui, era così rilassante e divertente ma al tempo stesso mi sentivo in imbarazzo perché il rapporto che avevamo era stato rovinato.
«Leonard, non essere volgare! Sei insieme ad una ragazza pura.»
Lui si girò verso di me. «Sì, e soprattutto vergine.»
«Esattamente! – scesi dal muretto, attirando il riccio verso di me senza distogliere il mio sguardo dal suo viso – Puoi darmi un passaggio al dormitorio, per favore?»
Lui annuì, sollevando il mio mento con le dita della sua mano libera e avvicinò pericolosamente i nostri visi. La punta del suo naso sfiorò piano la mia, le sue labbra accarezzarono le mie con estrema delicatezza e il mio cuore sprofondò nel mio petto per poi cominciare a battere rapidamente. Lottai con tutte le mie forze per non baciarlo e feci un passo all'indietro, spingendolo con una mano premuta sul suo petto. Non dovevamo stare così vicini altrimenti io sarei impazzita e, invece di prendermi un po' di tempo per me stessa, sarei finita ad essere la sua schiava sessuale. Come se mi dispiacesse fare sesso con lui, poi.
«Certo. Non hai la macchina?» chiese Leonard.
Scossi la testa, afferrando la mia borsa. «Da quando Melanie se n'è andata, sono costretta ad usare i mezzi pubblici per spostarmi perché l'auto era sua.»
Lui annuì, prendendo il mio braccio. «Oh, ho capito. Posso comprarti una macchina, se ti serve. Non è il caso che tu vada in giro con la metropolitana nel cuore della notte.»
Seguii il ragazzo nel parcheggio del locale, ignorando le sue parole, per poi salire sulla sua macchina non appena l'aprì con le chiavi automatiche. Nel momento in cui scivolai sul sedile di pelle della sua Audi, i ricordi mi colpirono come un treno: quattro mesi prima passavo quasi ogni notte almeno mezz'ora in quell'auto con lui perché mi trasportasse avanti e indietro al lavoro. E una volta ero addirittura finita sul sedile posteriore a fare sesso con Leonard perché, dopo il turno al Secret Dreams, ero così eccitata da non essere riuscita a trattenermi fino alla sua villa. Non appena il ragazzo salì sulla sua auto e accese il motore, io mi girai verso di lui dopo aver allacciato le cinture.
«Grazie, e scusa se ti uso come taxi.» risposi con un sorriso.
Leonard si fermò, girandosi verso di me. «Non ti preoccupare, sono contento di poter passare almeno un po' di tempo con te dopo aver perso quattro mesi.»
Le sue parole mi fecero irrigidire. Era solo colpa sua se avevamo trascorso quattro lunghi mesi divisi l'uno dall'altro. Se non mi avesse tradito, probabilmente in quel momento saremmo già arrivati a casa tua, rintanati nella sua camera da letto a fare tanto di quel sesso da arrivare il giorno dopo con i crampi ai muscoli.
«Possiamo stare ancora un po' insieme. Se ti va, potremmo fare una passeggiata nel giardino dell'Università. – dissi con un sorriso, spostando poi lo sguardo sulla strada davanti a me – Non è il posto più bello o romantico del mondo, ma sempre meglio dell'Hyde Park alle due del mattino.»
Leonard si lasciò sfuggire una risata. «In effetti hai ragione. Però non potrò rimanere a lungo, domani dovrò alzarmi presto fare alcune importanti commissioni.»
Io annuii, inspirando profondamente. «Nessun problema, potrai andare via quando desideri. A me basterà attraversare il cortile per arrivare in camera.»
***
Un'ora dopo.
Leonard.
«Torno subito, d'accordo? Vado a prendere una cosa in macchina.»
Evangeline mi guardò perplessa ma poi annuì. «Uhm, va bene.»
Mi alzai dalla panchina del cortile con un sorriso e poi m'incamminai a passo svelto verso la mia auto, uscendo dal giardino con il cuore sul punto di scoppiare nel mio petto. Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che avevo avuto l'occasione di stare insieme ad Evie e rimanere a chiacchierare con lei del più e del meno mi sembrava un sogno. Non avrei mai pensato che potesse invitarmi al suo Campus dopo ciò che era successo fra di noi, ma Evie era sempre stata una ragazza imprevedibile perciò non sapevo mai cos'aspettarmi da lei. Dopo aver preso la mia giacca dal bagagliaio della mia auto, mi incamminai di nuovo verso il cortile per raggiungere la bionda che ancora mi aspettava sulla panchina. Attraversai l'ingresso del Campus e cercai subito Evie con lo sguardo, trovandola seduta in mezzo all'erba con le gambe incrociate. Era intenta a sfilarsi l'elastico dai capelli e il mio cuore accelerò: era così bella, nessuna donna poteva superarla.
«Alza un po' la testa, non voglio che ti sporchi i capelli. – dissi e lei sollevò il capo, permettendomi di sistemare la mia giacca sotto la sua nuca – Così sei anche più comoda.»
Poi mi sdraiai anche io sull'erba, circondando le spalle della ragazza con il mio braccio sinistro; lei sollevò una gamba e l'appoggiò sul mio bacino, accoccolandosi contro il mio petto con gli occhi socchiusi e una mano sul mio torace. Un brivido attraversò il mio corpo nel momento in cui percepii le labbra della ragazza sfiorare il mio collo ma mi costrinsi a mantenere la calma, fare finta di nulla e godermi il bellissimo cielo sopra le nostre teste. Non mi era mai capitato di sdraiarmi in un giardino a guardare le stelle con una ragazza ma con Evie ero pronto a fare qualsiasi cosa.
«È stato Justin a lasciarmi.» mormorò la bionda.
Io sollevai le sopracciglia, stringendola al mio corpo. «Stai scherzando, spero. Perché ti ha lasciato? Non sa che si perde.»
La ragazza tacque qualche secondo, poi sospirò. «Se non mi avesse lasciato lui, l'avrei fatto io qualche giorno dopo. Fra di noi non sarebbe mai potuta funzionare perché..»
«Non è me.»
Sapevo a cosa stavo pensando ed ero felicissimo di sapere che lei e Justin si fossero lasciati, ma una parte di me era preoccupata che magari lei avesse potuto affezionarsi a quel ragazzetto. Decisi di mostrarmi comunque dispiaciuto, non era il caso di discutere con lei su un argomento simile. E poi ciò che le avevo detto era la pura verità: Justin non era come me, non la rendeva felice né la soddisfava come facevo io.
«Leonard.»
La sua voce mi strappò un gemito di sorpresa. Mi girai verso di lei e notai la sua espressione arrabbiata dissolversi, trasformandosi in un sorriso smagliante seguito da una debole risata. Poteva negare quanto desiderava ma sapevamo entrambi che, nel giro di qualche tempo, saremmo tornati insieme.
«Scusa ma è la verità, no?»
Lei alzò gli occhi al cielo, rotolando a pancia in su. «Justin era troppo dolce, troppo romantico ed io detesto i ragazzi così. Certo, non mi dispiaceva ricevere rose la mattina, però ogni tanto lui diventava troppo appiccicoso e oppressivo.»
Mi girai sul fianco, intrappolando la ragazza fra le mie braccia, e schiacciai il mio corpo contro al suo; lei si girò verso di me con gli occhi sbarrati e divaricò leggermente le gambe, permettendo al mio ginocchio di infilarsi fra esse.
«Appiccicoso? Così?»
Lei scoppiò a ridere, zittendosi subito dopo. «Non proprio, ma non ti allontanare, mi stai scaldando!»
Posai un piccolo bacio sulla sua guancia, sorridendo. «Non me ne vado, non ti preoccupare.»
Evie continuò a fissare il cielo sopra di noi e si chiuse in un silenzio tombale, perciò io mi presi per tempo per ammirarla. In quattro mesi non era cambiata solo di una virgola: forse si era tinta leggermente i capelli e forse era dimagrita di qualche kg, ma era sempre estremamente bellissima. Sfiorai con la punta delle dita sul suo braccio e mi avvicinai al viso della ragazza; lei si girò verso di me ma poi sospirò, chiudendo gli occhi. Nascose il suo viso nell'incavo del mio collo e si aggrappò al mio corpo, perciò io le circondai il bacino con un braccio e posai un bacio sulla sua fronte.
«Mi dispiace che ti abbia lasciata, comunque.» sussurrai.
Evie scoppiò a ridere, portandosi una mano alla bocca. «Cazzata, tu odiavi quel ragazzo e non aspettavi altro che ci lasciassimo.»
Feci spallucce, accarezzandole la base della schiena. «Okay, è vero, speravo che vi lasciaste il prima possibile ma te l'avevo detto. Justin non è il tipo adatto a te, Evie!»
«Tu l'hai detto per infastidirmi, Leonard, non per evitare che Justin mi spezzasse il cuore. – replicò la bionda, pizzicandomi il petto – Tu eri solo geloso perché poteva toccarmi, poteva baciarmi e poteva fare l'amore con me mentre tu no.»
Io m'irrigidii alle sue parole. Era davvero andata a letto con quel ragazzino o cercava solo di farmi impazzire di gelosia? Immaginare lo splendido corpo nudo di Evie avvinghiato a quello di Justin mi fece venire la nausea, non potevo pensarli in quelle condizioni insieme perché lei era mia, lei apparteneva a me. Come sarebbe potuta permettere a Justin di toccarla? No, era assurdo.
«Evie..»
Lei m'interruppe, sollevando una mano a mezz'aria. «Eri geloso di Justin perché ha potuto avere ciò che tu hai lasciato andare per una stupidaggine, per una donna alla quale non importa niente di te perché desiderava solo prenderti in giro e.. – si sedette con le gambe incrociate sull'erba, guardandomi con attenzione – allontanarti da me. Ci è riuscita.»
Non sapevo cosa rispondere ma non potevo negare la verità: l'obiettivo principale della mia ex moglie era quello di impedirmi di essere felice insieme ad Evie e, per la mia ingenuità, io le avevo permesso di allontanarci. Se solo fossi stato più forte, se solo avessi capito che i miei sentimenti per quella donna erano spariti ancora anni prima, probabilmente sarei stato io a portare Evie a cena al suo compleanno, avremmo trascorso l'intera estate insieme ed io mi sarei svegliata ogni mattina al suo fianco, con il viso della ragazza accanto al mio e le sue mani sul mio corpo.
Maledizione.
Prima che potessi aprire bocca per rispondere alle sue parole, dell'acqua mi bagnò la maglietta perciò mi girai infastidito quando un altro schizzo mi coprì sul viso. Imprecai sottovoce ed Evie si alzò di scatto dall'erba, scoppiando a ridere per poi iniziare a correre velocemente verso il porticato; ci eravamo distesi proprio accanto agli spruzzini in mezzo all'erba e, alle due del mattino, erano stati messi in funzione.
«Cazzo, non ci posso credere!» esclamai scioccato.
Raccolsi la mia giacca nera dall'erba, ormai già fradicia, e poi mi fiondai insieme ad Evie sotto il porticato dell'Università. Lei rideva a crepapelle mentre io cercavo di asciugarmi almeno la camicia per evitare di prendere l'influenza, perciò la sbottonai e scossi i capelli umidi, sbuffando rumorosamente. Sembrava davvero divertita.
«Sembri un pulcino bagnato! – strillò lei, continuando a ridere – E fa un freddo terribile, rimettiti quella camicia!»
Mi girai verso di lei con lentezza, fissando la ragazza dai capelli biondi con attenzione, e mi fiondai subito addosso a lei; le circondai il corpo con le braccia e lei urlò, tentando di liberarsi dalla mia presa ma io feci di tutto per bloccarla contro di me, bagnandola.
«Ah, ora non è più così divertente, vero?»
La sollevai da terra strappandole una risata e poi le baciai la nuca, portandola verso il suo dormitorio; mentre rideva era così bella che il mio cuore si gonfiò di gioia. Come avevo potuto tradirla? Quella domanda continuava a torturare i miei pensieri ma sapevo bene la risposta: era una dimostrazione dei miei sentimenti. Ma avevo sbagliato, avevo commesso un terribile errore a cui avrei dovuto rimediare il prima possibile.
«Leonard, mettimi giù! Non puoi entrare!» borbottò Evie, graffiandomi il braccio destro.
Fui costretto ad appoggiarla di nuovo a terra davanti all'ingresso del suo dormitorio, quindi incrociai le braccia al petto e scossi ancora i capelli umidi, sbuffando.
«E tu non urlare, sono le due del mattino.» replicai.
Lei alzò un sopracciglio, strofinando le mani sulle braccia. «Sono quasi le quattro, a dir la verità. Siamo rimasti qui a fissare il celo per quasi due ore.»
Spalancai la bocca alle sue parole e sfilai il cellulare dalla tasca dei miei pantaloni, sbloccandolo per poter leggere l'orario: aveva ragione, mancavano dieci minuti alle quattro del mattino ed io mi sarei dovuto alzare nel giro di tre ore per poter affrontare la serie di riunioni con l'impresa cinese. Maledizione, dovevo tornare a casa.
«Oh, hai ragione.» risposi, bloccando il telefono.
Evie mi guardò per qualche secondo. «Forse è meglio che tu vada, si sta facendo troppo tardi. Io dovrò andare a lezione ma.. non credo riuscirò ad alzarmi in tempo.»
Piegai la testa verso sinistra. «Fra poco avrai la prima sessione d'esami, non dovresti saltare così tanti giorni. Perdi lezioni che magari ti potrebbero essere utili, non credi?»
Lei fece spallucce, avvicinandosi a me. «Non ti devi preoccupare, i professori lasciano sempre i loro appunti sul registro elettronico perciò non perderò nulla. E poi i miei corsi non sono a frequenza obbligatoria, perciò posso prendermi qualche giorno di pausa.»
Io annuii, circondandole il bacino con un braccio. «Ci vediamo in questi giorni per mangiare qualcosa insieme o per uscire?»
Evie si liberò dalla mia presa, scuotendo i riccioli. «Non lo so, gli esami sono vicini perciò dovrò studiare. Buonanotte, Leonard.»
E prima che potessi afferrarle la mano, scappò nell'edificio. Restai a fissare la ragazza con la bocca spalancata per la sorpresa e mi risvegliai non appena notai la signora dietro al bancone sollevare il suo sguardo su di me, perciò mi girai di schiena e m'incamminai verso l'uscita del cortile, evitando gli spruzzini. Cominciai a correre per non bagnarmi ancora di più e raggiunsi il cancello del Campus, poi mi girai per un momento verso l'edificio quando notai una finestra al primo piano aprirsi e subito dopo una luce accendersi; una ragazza comparve e cominciò a salutarmi. Era di sicuro Evie, perciò le mandai un bacio volante e poi ripresi a camminare verso la mia auto, sfilandomi di dosso la camicia. Anche se faceva freddo, era sempre meglio che tenere addosso un indumento fradicio d'acqua perciò l'appallottolai insieme alla giacca e nascosi il tutto sui sedili posteriori.
Ero esausto, dovevo ammetterlo, ma passare la serata a ridere e a scherzare insieme ad Evie fu meraviglioso; mi permise di dimenticare la terribile giornata che avrei dovuto affrontare la mattina successiva. Lei non aveva la minima idea dell'effetto che aveva su di me: oltre ad eccitarmi oltre ogni limite immaginabile, migliorava le mie giornate anche se parlava con me per qualche secondo. Ed io avrei fatto qualsiasi cosa in mio potere per riconquistarla, per convincerla ad avere di nuovo fiducia in me e per costringerla a tornare ad essere la mia donna. Svegliarmi ogni mattina da solo nel mio letto era sempre un trauma, per le notti in cui non chiedevo compagnia ma ormai erano due settimane, da quando avevo rivisto Evie, che non facevo sesso e mi sentivo decisamente meglio. Tutto per la splendida ragazza che, dall'alto della sua camera, era sbucata per salutarmi.
Una volta arrivato nel mio appartamento, lasciai gli indumenti bagnati sotto al porticato di casa mia per poterli far asciugare e poi mi rintanai in camera da letto. Sfilai il cellulare dalla tasca dei miei pantaloni e non appena lo appoggiai sul comodino, iniziò a squillare. Controllai lo schermo e non appena comparve il viso di Evie, il mio cuore cominciò a battere: perché mi chiamava a quell'ora e dopo aver passato la sera con me? Deglutii a vuoto ma poi risposi immediatamente, tenendo il telefono fra la spalla e la guancia mentre mi sfilavo i pantaloni. Dovevo assolutamente andare a dormire.
«Evie? Ti manco già?»
Ci fu qualche secondo di silenzio ma poi percepii un lungo sospiro seguito da un debole gemito di piacere. M'irrigidii a quel suono e il mio cuore ebbe un sussulto: voleva forse farmi venire un'erezione alle quattro del mattino? Mi morsicai il labbro inferiore e chiusi gli occhi per un momento, ascoltando i suoi respiri.
«Leonard..»
La sua voce era rauca, bassa e sensuale. «Piccola, ti manco, eh?»
Gemette di nuovo. «Non sai quanto.»
«E che cosa stai facendo?» domandai.
La ragazza mugolò, respirando piano. «Ho bisogno di te.»
Soffocai un gemito, sfilandomi anche i boxer. «Evangeline, se me l'avessi chiesto prima, saremmo potuti andare in camera tua ed io ti avrei aiutato a soddisfare le tue voglie.»
«Oh, Leonard.. cazzo.»
Inspirai profondamente e strinsi una mano a pugno, lottando con tutto me stesso per non eccitarmi ma poi tirai un sospiro di sollievo: ero così stanco che non sarei riuscito ad eccitarmi nemmeno con Evie intenta a strusciarsi su di me, nuda.
«Principessa, io devo dormire. Se solo non fossi così stanco, sarei già tornato al tuo campus. – mormorai sottovoce – E se immaginassi che quelle dita fossero mie? Se le mie dita ti stessero preparando per me, per permettere al mio cazzo di sprofondare dentro di te? O.. se ci fosse la mia lingua?»
Evangeline gemette rumorosamente e il cuore sprofondò nel mio petto, mentre la mia mente cominciò a vagare: mi immaginai la ragazza sdraiata sul suo letto con le gambe aperte, completamente nuda, con una mano che si accarezzava il seno e l'altra con l'indice premuto sul suo clitoride, il telefono appoggiato sul cuscino al suo fianco e gli occhi chiusi. Quanto mi mancava fare l'amore con lei, sentirla gemere il mio nome come stava facendo in quel momento.
«Voglio il tuo cazzo, ne ho bisogno.» sibilò lei.
Mi sdraiai sul letto, infilandomi sotto le coperte. «Lo avrai molto presto, principessa. Ti scoperò così tanto e così bene da farti dimenticare il tuo nome. E ti punirò per aver baciato Justin, per avergli permesso di toccarti, per aver lasciato un ragazzino avere ciò che appartiene a me. Hai capito?»
I gemiti si fecero sempre più forti finché, in preda all'orgasmo, Evie cominciò a ripetere il mio nome e a piagnucolare. Io strinsi gli occhi e accantonai il pensiero di lei, con la schiena inarcata e le mani fra le sue cosce, che gridava e piangeva.
«Sono tua, Leonard!»
Non riuscii a trattenere un sorriso. «Buonanotte, principessa.»
E staccai la chiamata. Non avrei mai pensato che potesse chiamarmi mentre si masturbava. Le mancavo davvero tanto, potevo sentirlo dal tono della sua voce e dal modo in cui gemeva quando le parlavo. Con un sospiro, spensi la luce della camera da letto e piombai nell'oscurità della notte; sollevai le coperte che mi arrivarono fino al naso e poi chiusi gli occhi. Non riuscivo a smettere di pensare ad Evie.
Quella chiamata mi aveva stravolto.
Siamo tutti sotto shock, vero?
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See you soon guys😘
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