13 Capitolo
Eccoci di nuovo qua. Mi scuso per non aver dato notizie ma ero impegnatissima, tanto quanto l'autrice. Nella vita c'è chi lavora, chi studia e chi fa entrambi, avevo già comunicato che appena l'autrice avrebbe pubblicato avrei subito postato il capitolo, o in caso non volesse più continuare avrei postato un avviso.
L'autrice ieri ha pubblicato il tanto atteso capitolo, quindi eccomi qui!
Ho ricevuto tanti messaggi privati dove mi accusavano di non pubblicare per far aumentare i consensi della storia (ma tutt'apposto😂), altri dove mi accusavano di averli solo presi in giro (🤌🏼🤌🏼🤌🏼🤌🏼🤌🏼)
Ragazzi, quest'ultimo anno abbiamo passato un momento surreale, c'è chi non è stato toccato da questa situazione e chi come me ancora accusa questo momento.
Portate pazienza, per favore!
Detto ciò ecco il tanto atteso capitolo!
Spero vi piaccia ❤️
Your love is therapy
No drug can give me clarity
As much as you do, as you do baby
Yeah, I need you here
Your love is scaring me
No one has ever cared for me
As much as you do
Yeah, I need you here.
1 dicembre, 7 pm.
Evangeline.
Chiuse la porta con un tonfo secco ed io indietreggiai fino al letto, sbottonandomi la camicia bianca che avevo indossato quel giorno ma i suoi occhi non mi abbandonarono per un solo istante. E nel giro di poco, Leonard mi assalì. Caddi all'indietro sul suo morbido materasso e lui aprì le mie gambe, intrufolandosi fra esse con le labbra alla ricerca della pelle del mio collo. Intanto le sue mani si spostarono sulle mie e le nostre dita s'intrecciarono, premendo contro il letto dietro di noi. Io sollevai i fianchi per il bisogno con la bocca aperta mentre Leonard soffocò un debole gemito contro il mio collo, mordendo un piccolo lembo di pelle che succhiò con avidità, bagnandolo con la punta della sua lingua. Mi strinse con forza le mani, costringendomi a restare sdraiata sul letto senza potermi muovere, ed io chiusi gli occhi.
Il cuore batteva così rapidamente nelle mie orecchie da offuscare qualsiasi altro suono proveniente dall'esterno. L'unico pensiero nella mia testa era quello di Leonard nudo su di me, intendo a fare l'amore con me e a baciarmi con tutta la passione che aveva in corpo, trasmettendo tutti i suoi sentimenti con i suoi movimenti veloci ma sensuali.
Aprii le mie labbra e mi liberai in un gemito di piacere che però s'infranse nell'aria, quando finalmente il ragazzo tornò a guardarmi negli occhi e fece una lieve carezza al mio mento con la punta della sua lingua. Poi finalmente mi baciò. La bocca di Leonard sovrastò la mia con vigore e voracità, le sue mani si fiondarono sui miei fianchi mentre le mie gambe cinsero il suo bacino e attirarono il suo corpo sopra al mio. Il cuscino dietro la mia schiena si spostò verso il basso e Leonard mi trascinò in alto, schiacciandosi del tutto su di me e premendo il suo bacino sul mio. Le sue labbra si schiusero leggermente e un gemito sonoro rimbombò all'interno della sua camera da letto. La mia mano destra scivolò dietro la sua nuca e le mie dita tirarono i suoi riccioli con delicatezza, costringendolo ad alzare il viso per permettermi di baciare e mordere il suo collo.
Dal momento in cui avevamo messo piede in casa sua dopo essere ritornati dalla caffetteria, non eravamo riusciti a toglierci le mani di dosso dal bisogno l'uno dell'altro. Per quanto desiderassi fare l'amore con lui e sentirmi sua dopo mesi e mesi d'astinenza, in quel momento non volevo altro che baciarlo e trasmettergli tutto l'amore che provavo nei suoi confronti. Assurdo, pensai tra me e me, non avrei mai creduto di poter preferire dei semplici baci a del sesso focoso con Leonard.
Chiusi gli occhi senza smettere di baciarlo e feci scivolare la mia mano sul suo petto, accarezzandolo mentre lui si sbottonò con rapidità la sua camicia per poi sfilarla, lasciandola accanto a noi sul letto. La sua pelle calda a contatto con la mia spedì mille scintille in tutto il mio corpo, incendiandolo di desiderio, ma riuscii a reprimerlo. Sfiorai con la punta delle dita il contorno delle due rondini che gli decoravano la parte sotto le clavicole e sospirai appena, dividendo le nostre labbra gonfie per i baci. Il mio stomaco brontolò e Leonard alzò un sopracciglio.
«Hai fame?»
Imbarazzata, annuii. «Un po', oggi non ho pranzato.»
Lui si sollevò dal mio corpo, mettendosi seduto con le gambe incrociate al centro del materasso, e si passò una mano fra i capelli che cercò di sistemare. Mi guardò perplesso e poi strinse le labbra.
«Come mai? Non dovresti rimanere a digiuno, non fa bene.» disse con voce decise.
Cercai di coprirmi il petto con le braccia. «Stanotte non mi sono sentita bene, così ho preferito evitare di mangiare in modo da non sentirmi peggio durante lo studio.»
Leonard scese dal letto, raccogliendo la mia camicia dal pavimento per poi piegarla con cura e appoggiarla sulla poltroncina accanto alla grande finestra che dava sul centro della città. Prese una maglia nera che aveva lasciato vicino all'armadio di legno e me la lanciò, costringendomi ad indossarla. Io lo fissai per qualche secondo ma non esitai a vestirmi, dato che sentivo freddo. Nel momento in cui il tessuto morbido accarezzò la mia pelle, il forte profumo di Leonard m'invase le narici. Quanto mi era mancato. Quanto era buono.
«Perché sei stata male ieri? Hai preso freddo? – chiese ancora, avvicinandosi a me e sedendosi al mio fianco – Ora ti senti meglio?»
Gli presi la mano, stringendola piano nella mia. «Sono andata a cena da Melanie e Francisco, ma a quanto pare la mia migliore amica non è in grado di cucinare. Sono uscita senza giacca a fumare con Francisco e ho preso freddo, credo. Ho fatto indigestione e ho trascorso tutta la notte a vomitare. Non è stato piacevole.»
Leonard baciò la mia guancia, scendendo poi con la bocca sul mio collo che iniziò a torturare con piccoli morsi. La sua mano libera scivolò sotto al mio seno e mi spinse piano contro di lui, ma io chiusi gli occhi e portai la testa all'indietro per godermi quelle carezze. Quanto mi erano mancate.
«Mi dispiace, piccola. Non hai mangiato nemmeno un pacchetto di crackers prima di cominciare a studiare?»
Scossi il capo, mordendomi il labbro inferiore. «No, non avevo fame ma ora sì quindi trova qualcosa nel tuo frigo.»
Leonard risalì con la bocca verso il mio mento e mi costrinse a girare il viso verso il suo, picchiettando con l'indice della mano sinistra la mia guancia. Stampò un lento bacio sulla mia bocca e poi scese dal materasso, liberandomi dalla sua presa.
«È ora di cena, posso ordinare qualcosa. Non faccio la spesa da una settimana perché non ho avuto tempo.» disse Leonard.
Mi sdraiai di nuovo, stiracchiando le braccia. «Va bene, allora.»
Il ragazzo afferrò il mio piede destro, tirandolo appena. «Che cosa preferisci mangiare?»
Sbadigliai, girandomi sul fianco destro. «Una pizza? Niente di più, però. Una margherita semplice.»
«Va bene, allora. – disse Leonard, portandosi il cellulare all'orecchio ma senza distogliere lo sguardo da me – Sei sicura di non voler altro? Non so, un kebab.»
Scossi la testa, sorridendo. «No, per stasera va bene così. Meglio non rischiare di stare di nuovo male, sai com'è.»
Leonard uscì dalla camera da letto per poter telefonare e non appena sentii i suoi passi farsi sempre più lontani, scesi dal letto e mi sfilai le scarpe. Entrai nel suo bagno e mi avvicinai allo specchio, controllando di non avere lividi evidenti sul collo quando intravidi una macchia rossa appena sotto il mio mento. Sbuffai. Mi sembrava un ragazzino di dodici anni: sentiva sempre il bisogno di marchiarmi in posti evidenti come se avesse paura che qualcuno potesse provarci con me. Adorabile, pensai con un sorriso. Mi lavai con cura le mani con l'acqua fredda del rubinetto e poi mi asciugai con un telo bianco posto accanto al lavandino.
Non appena tornai in camera, arrivò anche Leonard che si sfilò i pantaloni per poterne indossare un paio più comodo nero. Lui mi guardò per qualche secondo e poi fece un passo verso di me, afferrandomi per il polso. Mi spinse contro di lui e mi baciò di nuovo sulle labbra, portando l'altra mano sotto il mio mento.
«Arriveranno fra venti minuti circa.» sussurrò contro la mia bocca.
Io annuii piano, sospirando. «Va bene, Leonard. Così ho il tempo per dormire un po', dato che alle dieci devo andare a lavorare.»
Lui aggrottò le sopracciglia. «No, stai male. Non è il caso che tu vada ancora fuori, potresti sentirti peggio.»
Gli accarezzai una guancia. «Se mi è venuta fame, ti assicuro che posso sopportare una sera al lavoro dopo una notte in bianco.»
Il ragazzo però parve irremovibile. «Ho detto di no, Evangeline.»
«Non posso saltare ancora un turno, Adrian mi licenzierà.» replicai io, alzando la voce per il fastidio del suo tono irritato.
E, di nuovo, lui scosse la testa. «Sono sicuro che capirà. Chiamalo e avvertilo che stasera non potrai andare a lavorare.»
Feci un passo all'indietro, incrociando le braccia al petto. «Non dirmi che cosa devo fare, Leonard.»
Lui mi fissò per qualche secondo, poi le sue labbra s'incurvarono in un sorriso provocante. Le profonde fossette che comparirono sulle sue guancia e gli occhi verdi che scintillarono sotto le luci della camera da letto gli resero l'espressione più sensuale. Se avesse continuato a guardarmi così per qualche minuto in più avrei cancellato anche tutti i turni di quella settimana e le lezioni all'Università per passare il tempo con lui a casa, pensai con le labbra schiuse e l'espressione imbarazzata sul viso. Maledetto.
«Evangeline, fai ciò che ti ho detto.»
Il suo tono non ammetteva alcune discussioni. «No, Leonard.»
Ma adoravo provocarlo. «Tu questa sera non andrai a lavorare.»
Io alzai un sopracciglio. «E chi lo ha detto?»
Afferrò entrambi i miei polsi, portandoli dietro la mia schiena. I suoi occhi bruciavano di desiderio e sapevo quanto lo eccitasse il modo in cui mi comportavo, disobbedendo ai suoi ordini. Era strano: amava avere il controllo ma al tempo stesso amava quando io tentavo di impedirgli di dominarmi. Ed io lo amavo ancora di più, mi faceva perdere la testa.
«L'ho detto io.»
La sua bocca fu immediatamente sulla mia ed io non lo fermai. Per quale assurdo motivo avrei dovuto farlo? Il mio cuore scalpitò nel petto e un brivido attraversò il mio corpo come elettricità, spedendo mille scintille nel mio basso ventre. Avevo bisogno di Leonard.
Le sue dita sfiorarono i miei polsi e poi li lasciarono, quindi mi spinse all'indietro sul letto e la sua mano destra s'intrufolò fra le mie cosce, accarezzandomi l'inguine da sopra i jeans. La sua lingua si spinse nella mia bocca che l'accolse senza esitare e il suo profumo mi inebriò, mentre il corpo pesante di Leonard gravò sul mio che sprofondò nel morbido materasso. Inarcai la mia schiena e aprii le mie gambe per permettergli di avere più spazio. Abbassò la cerniera dei miei jeans e infilò la sua mano nelle mie mutandine, accarezzandomi con la punta delle sue dita. Boccheggiai a contatto con la sua bocca schiusa ancora sulla mia e morsi con forza il suo labbro inferiore, sollevando i fianchi. Il suo pollice schiacciò il mio clitoride con delicatezza ed io quasi scoppiai a piangere nell'istante in cui finalmente mi toccò. Erano mesi che bramavo il suo contatto. Il suo indice stuzzicò la mia intimità e la bocca di Leonard si allontanò dalla mia, scendendo sul mio collo. Strattonò con la mano libera i miei pantaloni che finirono sul pavimento ed io portai la testa all'indietro sul cuscino, ansimando rumorosamente.
«Leonard..»
Un minuto prima stavamo discutendo sul mio turno di lavoro ma quello successivo eravamo l'uno addosso all'altro. Ecco ciò che amavo della nostra relazione: eravamo così innamorati, così attratti fisicamente l'uno dall'altro che bastava uno sguardo, una leggera smorfia del viso o un sospiro, per incendiarci.
Lui non mi rispose e si limitò a scendere fra le mie gambe, abbassando anche le mie mutandine che finirono insieme ai miei jeans, sul pavimento. Accadde tutto in pochi secondi, quasi non me ne resi conto. La sua bocca si attaccò alla mia intimità ed io gridai per la sorpresa, afferrando subito i suoi capelli che tirai con forza mentre sollevai il bacino. Il mio cuore accelerò ancor più di prima e il mio bassoventre prese fuoco. La mia bocca era schiusa e da essa non uscivano che piccoli ma rumorosi gemiti di piacere, scanditi solo dal rumore di godimento che emetteva Leonard fra le mie cosce, muovendo la sua testa.
«Non ti fermare.. oh Dio, Leonard.»
Lui risalì con entrambe le mani, afferrando le mie per costringerle a spostarle dalla sua nuca perciò strinsi le lenzuola del materasso, quasi rovinandole con le mie unghie. Inarcai la mia schiena mentre mi godevo la lingua di Leonard leccare il mio clitoride, stuzzicandolo piano per poi penetrarmi con essa. Maledizione.
Un tornado di piacere invase il mio corpo che cominciò a tremare dalla testa ai piedi e mi inarcai contro il materasso, sollevando il bacino mentre l'orgasmo mi travolse completamente. Gemetti sottovoce il nome del ragazzo che non si fermò un solo secondo e cominciai a piangere silenziosamente, completamente immersa in un piacere che mi lasciò appagata ma senza fiato.
Crollai all'indietro con la bocca aperta e gli occhi socchiusi, il petto che si alzava e riabbassava rapidamente. La mia mente era completamente annebbiata e la mia gola bruciava per via di quei gemiti rauchi che Leonard mi aveva strappato. La sua lingua era impressionante, mi era mancata davvero troppo.
«Piccola? Sei con me?»
La sua voce giunse alle mie orecchie ovattata. «Sì, sto bene.»
Il ragazzo tornò su di me, premendo un bacio sotto al mio mento per poi scendere dal letto ed entrare nel bagno. Io restai con le gambe aperte e mezza nuda sul materasso, immobile ma con il cuore che cercava di riprendere un ritmo normale. Ero tutta sudata perciò mi feci un po' d'aria con la mano destra, lasciandomi cadere poi del tutto all'indietro. Ero esausta. Non ricordavo che avere un orgasmo fosse così devastante. Quelli che mi provocavo da sola non erano lontanamente vicini a quelli che invece Leonard riusciva a strapparmi: erano più intensi, più piacevoli.
«Hai bisogno di un po' d'acqua?» chiese Leonard.
Mi girai verso di lui, sollevandomi dal materasso per potermi infilare di nuovo le mutandine. Lui mi seguì attentamente con lo sguardo ed io mi sentii così in imbarazzo, mezza nuda mentre lui era completamente vestito.
«No, non ti preoccupare. – risposi con un piccolo sorriso, mettendomi seduta al suo fianco – Solo perché mi hai fatta venire, non significa che stasera rimarrò a casa dal lavoro.»
Il riccio fece una smorfia, scuotendo il capo. «E invece tu non uscirai da qui, sei stata male stanotte e rischi di stare male anche questa sera perciò niente lavoro.»
«Ma non posso perdere il turno! Adrian mi ucciderà. Avrei dovuto avvertirlo almeno questa mattina della mia assenza. Ora non ci sarà nessuna disponibile a coprire il mio turno, capisci?» spiegai.
Leonard mi guardò per qualche secondo. «Ed io non voglio mettere a rischio la tua salute solo perché hai paura di parlare con il tuo datore di lavoro, Evangeline.»
Odiavo quando continuava a ripetere il mio nome. «Smettila.»
Fece spallucce, ignorandomi. «Posso parlare io con lui, se ti preoccupa davvero così tanto.»
«Leonard, non è questo. Già ho rischiato il posto quando mio padre è stato male e sono scappata con te ad Oslo, non posso rimanere a casa anche stasera.» risposi incrociando le braccia al petto.
Lui aggrottò le sopracciglia. «Stai per caso cominciando il ciclo?»
Lo fulminai con lo sguardo. «Non me l'hai chiesto davvero.»
«E invece sì, di solito non mi rispondi mai così male e accetti di fare ogni cosa che ti chiedo. – borbottò – Comunque se andrai al lavoro, ho intenzione di rimanere lì per tutta la sera. Non voglio che tu stia male durante il turno. E se succede, ti riporto immediatamente a casa anche senza chiedere al tuo capo.»
Mi morsicai il labbro inferiore. «Sì, signore.»
****
2 dicembre, 1 am.
Leonard.
Sorseggiai distrattamente il mio Martini con gli occhi puntati sul bancone del Caliente, seguendo attentamente i movimenti di Evangeline intenta a versare una ventina di shots di vodka a tre ragazzini entrati da poco al locale. Non aveva avuto un solo momento di respiro perché quella sera si era svolti due feste di compleanno ed un addio al nubilato di una ragazza che, circondata dalle sue amiche, era stata costretta a ballare con alcuni dei ballerini travestiti da pompieri del Caliente che Adrian, il datore di lavoro della mia donna, aveva ingaggiato. Io mi ero divertito a guardare quella ragazza così imbarazzata e immersa tra uomini che le si strusciavano contro.
Durante 'Sexy Back', una donna di mezza età si era avvicinata a me per parlare un po' – o per provarci – ed Evie si era subito fiondata da me con la scusa di offrirmi un cocktail, mi aveva baciato davanti a quella donna e l'aveva quasi insultata per aver provato a parlare con me. Era stata una serata molto divertente, dovevo ammetterlo, perché non ricordavo di aver mai visto la mia donna così furiosa con un'altra persona che aveva tentato di abbordare me. Di solito ero io quello geloso, quello che faceva scappare tutti gli uomini che provavano anche solo ad avvicinarsi di qualche passo ad Evie.
Appoggiai il calice vuoto di vetro sul mio tavolino e spostai lo sguardo sulla folla che ballava in mezzo alla pista a ritmo di 'Animals', sparato a tutto volume dalle casse. Mi passai una mano fra i capelli e concentrai di nuovo lo sguardo su Evie; i suoi occhi si posarono su di me e le sue labbra s'incurvarono subito in un sorriso divertito, poi la sua espressione cambiò quando un altro uomo si posizionò davanti a lei per ordinare. Io sospirai e mi alzai dalla sedia che avevo occupato, avvicinandomi al bancone per poter parlare un po' con lei. Mancava poco alla fine del suo turno e per fortuna non si era sentita male, anzi era riuscita a sopportare il suo turno senza mai dare cenni di affaticamento. Per fortuna il giorno successivo non avrebbe avuto lezione, altrimenti ero certo che si sarebbe addormentata e non sarebbe uscita dalla sua camera.
«Hey principessa.» esclamai per farmi sentire.
Lei si girò verso di me, prendendo uno straccio bagnato. «Leo, vuoi ancora qualcosa da bere?»
Scossi la testa, sorridendo dolcemente. «No, per stasera ho finito. Tu? Come stai? Ti senti bene?»
Evie sbadigliò, annuendo. «Sì, non ti preoccupare. Sono solo un po' stanca ma fra dieci minuti arriverà Daphne a darmi il cambio. Ti dispiace aspettarmi ancora?»
Scossi la testa, afferrando la sua mano. «Assolutamente no, se poi verrai a dormire da me.»
La ragazza si morse il labbro. «Non lo so. Non ho nemmeno un vestito da te e domani mattina dovrei andare in biblioteca a studiare perché tra quattro giorni ho l'esame di critica.»
«Come preferisci tu, piccola. Puoi sempre studiare nel pomeriggio, non devi per forza andare in biblioteca alla mattina. – risposi io, sedendomi su uno degli sgabelli del bancone – Altrimenti posso riportarti al campus prima di andare a lavorare, verso le nove.»
Evangeline mi rivolse un sorriso smagliante. «Allora d'accordo, vengo a dormire da te e poi domani mattina mi allunghi fino all'Università.»
Le baciai il dorso della mano. «Perfetto. Ora finisci di lavorare.»
Lasciai subito la presa su di lei e la ragazza arrossì appena, girandosi di schiena per poter preparare un caffè ad un cliente che le aveva gridato un 'espresso'. Ero tentato di girarmi e prenderlo per il collo ma mi trattenni, limitandomi a fulminarlo con lo sguardo per poi scendere dallo sgabello e tornare al tavolino che avevo occupato poco prima. Presi posto sulla poltroncina e accavallai le gambe, tornando a fissare le persone nel bel mezzo della pista da ballo, quando qualcuno si posizionò davanti a me. Io aggrottai le sopracciglia e sollevai la testa, notando un uomo con dei capelli neri corti fissarmi con un sopracciglio alzato.
«Tu sei Leonard.»
Annuii, piegando la testa da un lato. «Sì, e tu sei..?»
L'uomo allungò la mano verso di me. «Adrian Vazquez, il capo della tua ragazzina che non ha fatto altro che parlarmi di te per tutto il tempo dall'inizio di settembre. Amico, le hai fatto perdere la testa.»
Trattenni una risata, stringendo con forza la sua mano. «Sì, lo so bene. Lei l'ha fatta perdere a me quindi siamo pari.»
Si sedette al mio fianco. «Sei un amico di James? Il direttore del Secret Dreams, giusto?»
Annuii di nuovo. «Sì, perché?»
Adrian fece una smorfia. «Pura curiosità, non ti preoccupare. Come hai fatto a conoscerlo, se posso saperlo?»
Mi morsicai il labbro inferiore. Non riuscivo a capire da dove potesse prendere tutta quella confidenza ma non sembrava uno sprovveduto né una cattiva persona. I miei occhi caddero per un istante sul bancone e mi accorsi che Evie ci stava fissando, perciò le rivolsi un debole sorriso che lei ricambiò all'istante. Poi mi fece un cenno con la mano e mi mandò un bacio, ammiccando. Io distolsi immediatamente gli occhi con le guance rosse.
«Uno dei miei colleghi mi ha portato al Secret Dreams per il mio ventunesimo compleanno molti anni fa. – spiegai, riportando lo sguardo sulla folla di persone davanti a me – Ero un cliente abituale, pagavo spesso per i privè così ho avuto l'occasione di conoscere James. E tu? Come lo conosci?»
Adrian fece spallucce. «Era il mio ex fidanzato. Il Secret Dreams era mio, poi ho deciso di mettermi in società con James e.. beh, alla fine lui ha fatto di tutto per rubarmi il locale.»
Schiusi le labbra per la sorpresa. Non avevo la minima idea che James fosse omosessuale – o bisessuale – e soprattutto non pensavo che in realtà quel bellissimo posto fosse stato gestito inizialmente da un'altra persona diversa da James. Io l'avevo frequentato per quasi dieci anni e avevo sempre visto solamente lui che gestiva ogni cosa, perciò la rivelazione di Adrian mi stupì.
«Davvero? Non lo sapevo.» borbottai allibito.
Il moro sospirò, scuotendo la testa. «Non importa, ora questo posto ha molti più clienti del Secret Dreams e non ha un giro di droga dietro tutto, per fortuna.»
Soffocai una risata. Sapevo che James fosse un mezzo spacciatore, uno di quelli che utilizza la droga come secondo impiego per fare ancora più soldi, ma non avevo idea che potesse essere il secondo business del Secret Dreams. Quel locale era conosciuto da tutti a Londra per le bellissime spogliarelliste, non per le enormi quantità di ecstasy e cocaina che girava sul retro del night club.
«Meno male, allora. – risposi io con un sorriso, osservando Evie sfilarsi il grembiule corto bianco dai fianchi – Non sapevo che James fosse..»
Adrian mi interruppe. «Già, nessuno lo sa.»
Schiusi le labbra. «Oh, ora capisco.»
Il ragazzo al mio fianco scosse la testa e si lasciò sfuggire una risata, alzandosi dalla sedia per poi porgermi la mano. Io osservai per un istante Evangeline scomparire dietro la porta vicina al bar perciò mi alzai anch'io perché era finalmente arrivato il momento di tornare a casa per poter dormire. E stare con la mia donna.
«È stato un piacere conoscerti. – disse Adrian, stringendo con forza la mia mano – Adesso devo andare, devo controllare Daphne.»
Io annuii, sorridendo. «Ma certo, non ti trattengo. Buona serata!»
Mi diede una pacca sulla spalla e poi scese le tre scalette che conducevano al piano del bar, mettendosi dietro il bancone insieme ad una ragazza dai capelli corti biondi e un paio di occhiali tondi rossi che si sfilò, appendendoli alla propria scollatura della maglia. Io mi avvicinai al bancone per poter aspettare Evangeline che uscì, un minuto dopo, dallo spogliatoio. Si era tolta la divisa e aveva indossato di nuovo la mia camicia bianca, anche se le andava parecchio grande. Le maniche coprivano quasi del tutto le sue mani e il bordo le arrivava appena sopra alle ginocchia, ma ciò non mi dispiaceva; quella camicia avrebbe coperto meglio ciò che è mio. Le rivolsi un sorriso malizioso e incrociai le braccia al petto, osservandola camminare verso di me. Lei ammiccò nella mia direzione e poi scosse appena il bacino, agitando le mani verso l'alto. Cominciò a muoversi a ritmo di 'Hot Stuff', una canzone richiesta dalla festeggiata del ventunesimo compleanno, ciì io mi avvicinai ad Evie per unirmi a lei. Le afferrai entrambe le mani e iniziai a ballare anche io, sorridendo divertito. Lei dondolò la testa e sgusciò via dalla mia presa, allontanandosi di qualche passo per poi afferrarmi per la giacca e trascinarmi verso la pista da ballo. Io scoppiai a ridere nel momento in cui uno dei ballerini si avvicinò a noi, tirando con sé la festeggiata e alcune sue amiche.
Erano anni che non ballavo in una discoteca con una donna senza strusciarmi contro di lei o senza tenerla stretta a me in modo da fare colpo per portarmela a letto. Accarezzai il fianco di Evie con una mano e poi continuai a ballare con le labbra incurvate in un sorriso. Lei sembrava felice perché non smetteva di sorridere e di ondeggiare, ruotando i fianchi e scuotendo i suoi capelli. Poi si girò verso la donna al suo fianco, una ragazza di diciotto anni sicuramente dai capelli lunghi rossi, e ballò anche con lei.
Io restai imbambolato a guardare la mia donna, con le labbra schiuse e il respiro mozzato. Anche se il suo viso lasciava trasparire una stanchezza devastante, era più bella di tutte le donne truccatissime e in tiro con abiti succinti all'interno del locale.
Poi tutto d'un tratto la canzone cambiò: 'Pony'. Maledizione. Evie sollevò la testa per potermi guardare negli occhi e la sua espressione cambiò improvvisamente. Si leccò le labbra e si spostò dalle ragazze che cercarono di ballare con lei, tornando verso di me sollevò entrambe le braccia verso l'alto e cominciò a scuotere sensualmente il bacino, abbassandosi con il sedere per poi sculettare e girarsi di schiena.
Io mi morsicai il labbro inferiore e fui tentato di portarle una mano sul suo fondoschiena ma riuscii a trattenermi, posizionandola sul suo fianco destro. Incollai il mio corpo al suo e stampai un piccolo bacio sulla sua spalla, spingendo appena il mio bacino contro quello di Evie che sussultò. Lei chiuse gli occhi e portò la testa all'indietro sulla mia spalla, muovendosi ancora a ritmo di musica.
Una parte di me desiderava convincerla a tornare a casa per poter dormire e tenerla stretta al mio corpo sotto le lenzuola, ma l'altra voleva afferrare Evangeline per i fianchi, trascinarla in macchina, appartarsi in qualche via buia e scoparla fino a farle dimenticare il suo stesso nome. Maledizione, perché doveva scatenare sensazioni simili dentro di me ogni volta?
Portai una mano sul bacino della mia ragazza e le strattonai appena la camicia bianca, costringendola a girarsi. Lei avvolse le sue braccia intorno al mio collo e mi attirò verso di lei, premendo un lento bacio sulle mie labbra. Io chiusi gli occhi e percepii il corpo della ragazza continuare a muoversi a ritmo su di me, perciò cercai di seguire i suoi gesti senza smettere di baciarla.
Aveva il sapore di fragola, segno che doveva aver appena mangiato una caramella. Le sue labbra erano morbide a contatto con le mie e le sue dita accarezzarono dolcemente il mio collo, provocando una scarica di brividi che attraversò il mio corpo come un onda. Affondai le dita nella pelle della ragazza coperta dalla camicia e sospirai contro le sue labbra, interrompendo il nostro bacio che, se non si fosse fermato entro qualche secondo, sarebbe sfociato in qualcosa di molto più passionale.
«Torniamo a casa, sono molto stanco.» sussurrai flebilmente.
Lei annuì con le guance rosse. «Uh.. sì, d'accordo.»
Aumentai la presa sulla sua mano e uscii a passo svelto dal locale, trascinando con me la ragazza che cercò di farmi rallentare. Correre non era una buona idea ma non avevo intenzione di perdere tempo in quel posto, desideravo tornare a casa e giocare un po' con Evie. O forse no, forse l'avrei torturata con il distacco. Sorrisi fra me e me, sarebbe impazzita.
Intravidi la mia auto nel parcheggio buio del locale e l'aprii a distanza con la chiave automatica, aprendo poi la portiera per permettere ad Evie di salire prima di me. Io mi sfilai la giacca dalle spalle e la riposi sui sedili posteriori, prendendo poi il mio posto al volante. Senza degnare la ragazza di uno sguardo, mi allacciai le cinture di sicurezza e accesi la macchina che partì con un rombo.
«Leonard? Stai bene?»
La voce di Evie arrivò flebile alle mie orecchie.
«Sì, certo. Perché?»
Lei mi guardò per qualche secondo. «Uhm, sei silenzioso.»
Strinsi le labbra, svoltando ad un incrocio. «No, tranquilla. Sono solo molto stanco, te l'ho detto. Domani mattina dovremo svegliarci presto e dobbiamo ancora arrivare a casa.»
Evie fece una smorfia, allacciandosi la cintura. «Lo so.. non credo riuscirò a studiare alla mattina.»
Mi girai per un istante, tornando poi a guardare la strada. Pensai solo per un secondo di perdere una giornata di lavoro per poter rimanere con lei ma se l'avessi fatto, Zoe mi avrebbe preso a pugni insieme a Niall e al resto dei miei dipendenti. Purtroppo avevamo un incontro importante con l'azienda edile cinese responsabile della costruzione del Crown Hotel di Tokyo che, a quanto pareva, non stava andando nella direzione giusta per una serie di disguidi di cui avremmo discusso il mattino successivo. Maledizione, stupidi operai cinesi della Mao Xung Corporation. Simon mi aveva avvertito di non lasciare a loro l'incarico del cantiere ma Niall sembrava così entusiasta di lavorare con loro che io avevo ceduto.
La trascinai immediatamente fuori dal locale. Lei non si oppose alla mia stretta, limitandosi ad intrecciare le nostre dita con delicatezza, mentre cercò di tenere il mio passo. Non appena giunsi davanti alla mia auto, aprii la portiera alla ragazza che salì rapidamente senza distogliere i suoi occhi dal mio viso. La sua espressione era impassibile proprio come la mia ma sapevo che dentro di sé era sul punto di esplodere di desiderio ed eccitazione. le rivolsi un piccolo sorriso che lei non ricambiò, girandosi verso il finestrino con una mano appoggiata al suo stesso ginocchio. Salii anch'io sul mio sedile e accesi la macchina, preparandomi a ritornare a casa.
***
2 dicembre, 2.30 am.
Evangeline.
Leonard attraversò lentamente il salotto della sua villa senza degnarmi di uno sguardo e accese la luce che illuminò la stanza, mentre io restai accanto alla poltroncina e poco distante dal caminetto che si accese nell'istante in cui il mio uomo aveva aperto la porta. Sapevo di averlo provocato un po' con il ballo di Hot Stuff prima di ritornare a casa ma non l'avevo fatto con troppa malizia, era un balletto ingenuo. Era stato divertente buttarmi insieme a Leonard in mezzo alla pista per poter ballare con le persone intorno a noi ma quando i nostri occhi si erano incontrati, avevo subito capito che il suo desiderio non era di restare a bere e a scherzare ma tornare a casa per giocare. Ed io ero pronta, anche se una parte di me era davvero preoccupata.
Erano mesi che non facevamo nulla insieme, non sapevo più che cosa aspettarmi eppure ero così eccitata, così desiderosa di giocare che nel momento in cui le sue braccia si strinsero intorno ai miei fianchi, non sussultai nemmeno.
Sollevai lo sguardo sul suo viso e notai che aveva le guance rosse, proprio come le mie che erano decisamente più calde. Deglutii a vuoto e schiusi le labbra per poter dire qualcosa ma Leonard mi precedette, affondando le sue dita nella pelle morbida dei miei fianchi dopo aver alzato un po' la mia maglia.
«Non sai cosa voglio farti stasera, piccola.»
La sua voce era bassa e rauca, più sensuale del solito. «Leonard..»
Sbatté le palpebre, piegandosi verso di me. «Ma domani sarà una giornata molto stressante sia per me sia per te, perciò adesso andremo a dormire.»
E fece un passo all'indietro, lasciandomi da sola nel salotto. Il mio cuore era sul punto di schizzare fuori dalla mia gola per l'eccitazione ma quando mi resi conto che ero ferma, come un'idiota, scossi la testa e spostai gli occhi sulla scala che conduceva al piano superiore. Leonard era già andato nella sua camera da letto ma io non riuscivo a muovermi da lì, imbarazzata ed eccitata oltre ogni limite. Mi aveva davvero provocata in quel modo per poi lasciarmi a secco? Era assurdo, pensai nervosa. Però aveva ragione. Se avessimo giocato quella sera probabilmente avremmo finito alle sei del mattino se non più tardi, e il giorno successivo nessuno dei due sarebbe riuscito a scendere da letto. In particolare io, che sarei stata completamente distrutta da tutto quel desiderio che bramava di essere liberato da dentro di lui.
Inspirai profondamente e m'incamminai anch'io verso le scale che salii rapidamente, sfilandomi la camicia di Leonard che appoggiai sulla poltroncina accanto alla finestra. Lui mi guardò per un momento ma io lo ignorai, abbassandomi anche i jeans e togliendo le scarpe che lasciai sul pavimento. Mi sedetti sul materasso con le gambe incrociate e mi girai verso Leonard, sdraiandomi con la schiena appoggiata al letto.
«Che c'è?» chiese lui come se niente fosse.
Io alzai un sopracciglio, fissandolo con sguardo torvo. Davvero non si era accorto di come mi aveva ridotta con quel semplice tocco? O forse lo sapeva ma si divertiva a farmi soffrire. Maledetto, certo che se ne rendeva conto.
«Nulla, Leonard.» borbottai.
Il ragazzo ammiccò, infilandosi sotto le coperte al mio fianco. «Sei arrabbiata con me? Ti ho fatto qualcosa?»
Cercai di trattenere l'istinto omicida. «No, non mi hai fatto niente.»
Ed era quello il maledetto problema. Non mi aveva toccata come desideravo, non mi aveva nemmeno baciata eppure io fremevo di desiderio, di bisogno. Maledetto, maledetto.
«D'accordo, allora dormiamo. – disse Leonard, sbadigliando – Ho messo la sveglia alle sette e mezza.»
Mi girai sul fianco sinistro, rivolgendogli la schiena. «Va bene.»
Ci fu qualche momento di silenzio fra di noi, poi lui spense la luce della lampada e la stanza piombò nell'oscurità. Fissai la vetrata della camera che dava sul centro della città e un piccolo sospiro fuggì dalle mie labbra. Ero sempre stata abituata ai giochetti di Leonard, mi aveva fatto spesso lo scherzo dell'astinenza durante la nostra relazione ma in quel periodo ero così frustrata da arrabbiarmi davvero troppo per una sciocchezza.
Il sesso mi mancava tantissimo. Una parte di me desiderava far purgare ancora un po' Leonard, ma l'altra aveva un disperato bisogno di assalirlo e prendere ciò che mi mancava più di tutto. E lui? Si divertiva a giocare con me, con i miei ormoni che purtroppo quando si tratta di lui sono peggio di quelli di una ragazzina durante la pubertà.
Alzai le lenzuola fino al mio naso e sprofondai con il viso nel morbido cuscino del letto, percependo le braccia di Leonard afferrare i miei fianchi per attirarmi al suo corpo caldo. Lui posò un bacio al centro della mia schiena e un brivido attraversò il mio corpo, poi la sua mano sinistra accarezzò il bordo della mia gamba, fermandosi sulla mia coscia. Percepii la sua testa avvicinarsi alla mia spalla così indietreggiai appena verso il suo corpo, permettendogli di incollarsi dietro di me e di stringermi meglio. Quanto mi piaceva rimanere in quella posizione con lui.
«Lo sai che ti amo, vero Evie?»
Le sue parole mi fecero sorridere. «Sì, lo so.»
«E tu?»
Il mio cuore ebbe un sussulto. «Secondo te?»
Il suo respiro sfiorò la mia spalla nuda. «Voglio sentirtelo dire.»
«Ti amo, Leonard.»
Mugolò compiaciuto, sorridendo contro la mia schiena. Mi baciò il collo, strofinando la punta del naso contro la mia pelle mentre le sue mani scesero fra le mie cosce per attirarmi all'indietro contro di lui. Il mio sedere si appoggiò al suo bacino ed io sbuffai, tentando di liberarmi dalla sua presa – volevo fingermi offesa, se lo meritava dopotutto – ma lui non mi lasciò, affondando le dita della mano destra nel mio fianco.
«A Natale vorresti venire con me a Manchester?»
Aggrottai le sopracciglia. «Uhm.. non lo so?»
Esitò qualche secondo. «Te lo sto chiedendo proprio per saperlo.»
«Non lo so, Leonard. Mio papà pensava di venire a Londra ma..»
Lui m'interruppe. «Potremmo portare anche lui, no?»
«Mi fai finire una frase, per favore?» domanda irritata.
Il riccio soffocò una risata. «Perdonami. Prosegui.»
«Non credo che mia madre gli permetterà di venire qui. Le pratiche del divorzio non sono ancora state avviate, perciò sarà costretto a rimanere ad Oslo per un bel po'. – replicai io con un tono più calmo, quindi mi girai verso Leonard – Però non lo so. Ci saranno solo i tuoi genitori e tua sorella?»
Il ragazzo afferrò la mia mano, baciandone il dorso. «Il fidanzato di Gemma con i suoi genitori, i miei nonni materni e paterni, la sorella di Robin con suo marito e i suoi tre figli. – spiegò lui – La mia famiglia al completo, insomma. E forse nel pomeriggio arriveranno anche alcuni miei ex amici dell'Università con le loro mogli.»
Mi morsicai il labbro inferiore. «Oh.. ci saranno molte persone.»
Leonard mi accarezzò i capelli. «E di che ti preoccupi? I miei parenti non sono così terribili, credimi. A meno che tu non ti metta a giocare con i miei cugini. In quel caso, dovrai prepararti a correre da una parte all'altra del giardino in mezzo alla neve.»
«C'è la neve?» domandai sognante.
Lui ridacchiò. «Sì, ha nevicato anche ieri.»
«Oh.. ci penserò, allora. – risposi io con un sorriso – Non lo so, vedremo Leonard. Ho sempre trascorso il Natale insieme a Melanie e a Francisco a casa dei genitori di lei.»
Arricciò le labbra, accendendo la luce. «E allora? Quest'anno hai un ragazzo quindi passerai il Natale insieme a lui.»
Mi sedetti sul letto con le gambe incrociate. «Cosa? Io ho un ragazzo? Da quando? Me lo presenti?»
Leonard mi strattonò il braccio, sbuffando. «Sai che intendo.»
Alzai gli occhi al cielo. «Non so se potrò venire, Leonard. Vorrei tanto stare con mio padre anche dopo ciò che è successo ma mia madre non lo lascerà mai partire. Melanie sono sicura che mi inviterà di nuovo insieme a Francisco e mi sentirei in colpa a dirle di no per venire con te.»
Lui mi guardò per qualche secondo. «Sarebbe così terribile passare un paio di giorni con me ad Manchester? Non voglio costringerti, certo, però mi farebbe piacere se accettassi. Tutto qui.»
«Posso pensarci?» domandai.
Annuì, baciando il dorso della mia mano. «Certo.»
Sospirai rumorosamente. «Non arrabbiarti con me.»
Lui aggrottò le sopracciglia. «Hey, non sono arrabbiato!»
Tornai a sdraiarmi sul materasso, appoggiando la testa sul suo torace, e Leonard spense di nuovo la lampada. Cominciò ad accarezzare i miei capelli, intrecciandoli tra le sue dita per poi tirarli con delicatezza e lasciarli.
«È solo che.. non sarà imbarazzante?» domandai sottovoce.
Tacque qualche secondo. «Non credo lo sarà, piccola. I miei genitori hanno già detto a tutta la famiglia che forse porterò la mia donna, perciò nel momento in cui metterai piede dentro casa mia ti sommergeranno tutti di domande. – rispose lui – Non ti dovrai preoccupare, sarà più semplice e meno imbarazzante del Galà a cui ti ho invitata a maggio. Credimi. E poi.. non dovrai fare attenzione a nessuna mia ex moglie che tenta di screditare la nostra relazione.»
Al ricordo di quella sera da incubo a causa di Diana, il mio sangue raggelò nelle mie vene ma mi costrinsi a mantenere la calma senza irrigidirmi troppo. Leonard si rese conto della mia tensione e per tranquillizzarmi mi baciò la fronte, stringendomi con forza al suo corpo caldo.
«Vedremo, Leonard.»
E poi mi addormentai.
Sono tornata da lavoro pochi minuti fa, ora vado a nanna che tra sei ore devo tornare a lavoro💪🏼
Goodnight ❤️
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top