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Ema
-Potremmo fare un cocktail alla cannella! Oppure uno al tiramisù-
La guardai male cercando di capire cosa avessero in comune i due gusti che aveva appena proposto e soprattutto, come intendeva realizzarli.
La settimana successiva sarebbe già stato Natale e questo significa due cose; presto saremmo partiti per la Svizzera e, cosa più importante, al club avrebbero dato una grande festa il giorno prima della nostra partenza.
Chi voleva, poteva proporre un cocktail speciale per quella serata e i ricavati sarebbero stati evoluti ad un'associazione, in base a chi vinceva il premio. Chiaramente, il tutto era organizzato da quell'uragano di donna che beveva il caffè seduta di fronte a me, durante la pausa di mezzogiorno e che era una delle fondatrici di un'associazione che si occupava di distribuire beni primari in Tanzania.
Perché sì, da quel giorno, condividevamo persino il nostro tempo all'interno della scuola.
Per quanto questo mi facesse piacere da una parte, dall'altra una vocina nella mia testa continuava a ricordarmi quanto avrebbe potuto farmi male quella vicinanza se un domani fosse sparita all'improvviso.
-Ci metti l'uovo in un cocktail che sa di tiramisù?-
Domandò Ginevra facendo scoppiare a ridere Elia che continuava a cazzeggiare con il telefono da oltre un'ora.
-Sì. Esistono cocktail fatti con l'albume!-
Mila cercò conferma in me. Le sorrisi.
-Sì. Uno si chiama salmonella. È buonissimo. Ti fa andare..-
-Okay. Facciamolo alla cannella allora! Cannella e zucca, i miei gusti preferiti.-
Mi bloccò Mila scrivendo un appunto sul suo taccuino.
-Alla vigilia vieni anche tu?-
Le chiese allora Ginny dopo aver letto un messaggio dal telefono.
Percepii subito il suo cambio di umore.
Ormai la conoscevo così bene che riuscivo a capire se qualcosa la stesse agitando solo da come muoveva la testa; la spostava leggermente verso destra e poi si sistemava i capelli.
-Tu ci sarai?-
Domandò ad Elia senza rispondere.
Il ragazzo fece un cenno positivo con la testa, ancora pieno di rabbia per lasciarsi andare in chiacchiere.
Le cose con Ginny sembravano essere rientrate per la centesima volta ma era evidente che c'erano diversi problemi che dovevano ancora risolvere.
-Credo che dovrò venire anche io. Tu che farai?-
Domandò allora a me.
-Noi cucineremo cibo in abbondanza, apriremo i regali e giocheremo a giochi stupidi di società. Mio zio si ubriacherà, mia zia si arrabbierà, mia sorella si lamenterà. Il solito.-
Le sorrisi e lei lo fece di rimando.
-Mila, non cambiare argomento. Dimmi che vieni, ti prego. Non lasciarci soli ad annoiarci con quelle mummie.-
Osservai Ginevra cercando di capire di cosa stesse parlando.
-I miei genitori fanno una cena esclusiva al loro ristorante. Il padre di Mila viene ogni anno così come lei. Musica noiosa, alcool contenuto, discorsi seri. Solitamente ad una certa noi due sgattaioliamo via con qualche alcoolico e facciamo un pigiama party da me. L'unica cosa che mi fa arrivare in fondo alla serata.-
Mila si voltò verso la sua amica.
-Certo, verrò. Se Paolo non deciderà di non farmi partecipare nemmeno a quello.-
Percepii un fondo di tristezza nella sua voce e automaticamente, mi sentii triste anche io per lei.
Era stata molto taciturna in macchina mentre venivamo verso l'università. Era un periodo difficile per lei, Paolo la stava facendo stressare in maniera particolarmente intensa e io mi sentivo inutile in tutto quel dramma.
-Sì!-
Urlò Ginny dando un bacio alla sua amica.
-Devo scappare. Ho appuntamento con Pina prima di riprendere lezione. Le devo vendere una borsa. Ci vediamo dopo.-
Ci mandò un bacio volante allontanandosi con Elia al suo seguito che senza dire una parola, si era alzato appena la sua fidanzata lo aveva fatto.
-A Natale che farai?-
Mi chiese allora Mila con un filo di voce.
-Il solito. Casa con mamma e Naila. È tradizione da noi passare insieme quei giorni, gli unici in cui entrambe combattono per avere libero.-
Mi sorrise finendo il suo caffè.
-Tu sarai ancora da Ginny?-
Non rispose ed estrasse l'Ipad per scrivere qualcos'altro.
Ero sicuro che stesse evitando l'argomento in ogni modo.
Allungai l'indice e abbassai l'Ipad per guardarla.
-Allora? Sembra che stai tenendo per te un segreto.-
Sbuffò.
-No, Ginny è sempre occupata il venticinque. I suoi la portano da una zia tutti gli anni, cose di famiglia.-
Alzò di nuovo l'Ipad per tranciare il discorso.
Allungai di nuovo l'indice.
-E tu che farai?-
Le domandai innervosendola.
-Il solito.-
Scoppiai a ridere e lei mi guardò male.
-Bhè, che fai di solito? Rapini banche?-
Scosse la testa.
-Niente di che. Guardo qualche film.-
Rimasi in silenzio per alcuni istanti.
-Sei sola a Natale?-
Le domandai allora facendola andare subito sulla difensiva.
-È un giorno come un altro. Io non sono mai sola, basto a me stessa. Non vedo cosa ci sia di così importante da festeggiare.-
Rimasi in silenzio sentendo che le note della sua voce si erano alzate ed erano diventate stridule.
-Fai troppe domande. Mi viene il mal di testa.-
Aggiunse allora lei riprendendo a trafficare con l'Ipad.
Un senso di malinconia fortissimo si impossessò del mio corpo.
La osservai in silenzio.
Aveva il viso concentrato ma gli occhi erano tristi. Non sembrava fare realmente qualcosa di utile, sembrava avere solo bisogno di una scappatoia.
Il suo viso era severo e orgoglioso come sempre. Era impossibile leggere le sue debolezze ad un primo sguardo ma ormai la conoscevo abbastanza per sapere che quando indossava quella maschera fatta di disciplina e rigore, era perché stava obbligando sè stessa a tenere insieme i suoi pezzi.
Mila era triste.
-Le salti con me un paio di ore?-
Mi guardò sconvolta.
-Tu sei indietro con il programma. Non dovremmo saltare lezione.-
Aveva ragione, ma..
-Le ultime due ore sono inutili. Questa sera mi dai ripetizione. Salti con me qualche ora?-
I suoi occhi brillarono a quella proposta.
-Se prometti che questa sera ti impegni e ripetiamo per bene. Niente Netflix. Solo scuola!-
Le passai il mignolo e lei lo strinse finalmente sorridente.
Lo trattieni per qualche istante più del necessario.
Il contatto con la sua pelle mi riconetteva a questo mondo.

Mila
-Dove ti porto?-
Gli chiesi rubando la chiave della macchina e mettendomi alla guida.
Avevo bisogno di concentrarmi su qualcosa per non farmi investire dai sentimenti.
-Te lo dico strada facendo. Tu parti.-
Rispose serio allacciandosi la cintura.
Ema era un ragazzo sensibile.
Ema aveva capito che il periodo delle feste mi faceva soffrire.
Non sapeva che non avevo mai festeggiato Natale con nessuno da quando mamma era morta.
Papà stava con noi alla vigilia e poi partiva.
Avevamo pochi parenti, tutti sparsi in giro per il mondo.
Ginny aveva i suoi impegni e io non avevo mai avuto il coraggio di chiederle di accollarmi anche quel giorno.
Timmy aveva il giorno libero.
Io ero completamente sola.
Era il giorno più triste dell'anno, non potevo farci nulla.
-Gira di quì.-
Mi disse facendo dissolvere quel pensiero.
Eseguii i suoi ordini e iniziammo ad uscire dalla città.
-Stiamo andando verso il mare?-
Gli chiesi incuriosita.
Ema sorrise senza rispondere.
-Svolta ora e fermati un secondo qui davanti.-
Spensi la macchina ed Ema scese senza dire una parola.
Tornò dopo qualche minuto con due sacchetti in mano.
-Che hai comprato?-
Gli domandai incuriosita. Sapevo che in quella rosticceria facevano ottimi dolci e avevo già l'acquolina in bocca.
-Partiamo. Non essere curiosa.-
Restammo in silenzio per i seguenti dieci minuti. Ascoltavamo la musica di sottofondo e osservavamo il paesaggio cambiare.
-Gira gira due volte a destra e ci siamo.-

Il mare d'inverno aveva un fascino particolare. Triste e freddo ma così potente.
Quel giorno non era particolarmente forte ma il rumore che produceva ricordava a tutti quanto fosse imponente.
-Vieni.-
Uscì dalla macchina continuando a fare il misterioso e io lo seguii.
-Ma dove siamo?-
Chiesi nuovamente non riuscendo a capire dove stessimo andando.
Ema aprì un cancello e mi invitò ad entrare nel giardino.
C'era una piccola casa davanti a noi. Sembrava piuttosto vecchia dall'esterno. Il giardino era ben tenuto ma l'intonaco della casa era mangiato dalla salsedine.
-È casa tua?-
Domandai allora seguendolo verso la porta.
-No, ho rubato la chiave qualche tempo fa e ora vengo qui a fare i festini.-
Lo osservai fino a che si mise a ridere.
-Certo che è casa mia. Vieni dai.-
Aprì la porta invitandomi ad entrare.
L'interno era diverso da come me lo aspettavo.
Era molto curato sebbene piuttosto piccolo, profumava di agrumi ed era decorato con molte piante e fotografie.
Mi fermai ad osservarne un paio e sorrisi automaticamente.
-Eri paffuto da piccolo.-
-Ero un cuscino di morbidezza e amore.-
Si diresse verso la cucina e appoggiò i due sacchetti sul ripiano.
-Non sapevo che avevate una casa al mare.-
Ema sospirò.
-Era di Claudio. L'unica cosa che ci ha lasciato. Ho dovuto aspettare di saperlo morto prima di avere qualcosa da lui.-
Sussultai.
-Tuo padre?-
Ema non rispose. Mi prese la mano e mi trascinò su per le scale fermandosi davanti ad una porta.
-Ti ricordi cosa mi hai detto? Non siamo davvero amici se non mi fai vedere le tue fotografie.-
Gli feci un cenno con la testa e lui aprì la porta.
Doveva essere la sua camera da letto.
Feci un passo avanti e spalancai la bocca.
Era spoglia, c'era solo un materasso per terra e tanti cuscini colorati e di diverse grandezze sparpagliati in giro.
Le pareti erano totalmente ricoperte di fotografie.
Non c'era un angolo vuoto.
Girai su me stessa totalmente assorta da quel senso di pienezza che riusciva a darmi quella stanza.
-Ema..-
Mi avvicinai alla parete sulla mia destra e inizia ad osservarle una ad una.
Volti sorridenti, attimi rubati, Teresa che sfornava una torta, un bambino su una bicicletta, un gatto su un balcone..
Ognuna di quelle foto aveva catturato un attimo speciale. I protagonisti erano evidentemente all'oscuro di essere fotografati e i loro visi erano autentici così come le loro pose.
Era di una forza disarmante.
Era vita vera impressa per sempre su un rullino.
Mi voltai verso Ema ancora a bocca aperta e proprio in quel momento, lui scattò una foto.
Scoppiai a ridere.
-Sono anche io il soggetto di una tua foto ora.-
Gli feci notare.
Sorrise compiaciuto.
-Il più bello che io abbia mai fotografato.-
Mi sentii in imbarazzo per quell'affermazione e quindi continuai ad esplorare le pareti.
Guardai ogni foto, ogni volto, cercando di immaginarmi la storia che c'era dietro.
-Questa stanza potrebbe essere il fulcro di una mostra. È bellissima. Io non ho parole.-
Ema si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia facendomi sussultare.
-Dovrei farti complimenti più spesso se portano a questo.-
Gli sorrisi.
-Volevo farlo da diverse ore. Da quando ho visto quanto eri triste a mezzogiorno e quanto sei stoica per non farlo trapelare in nessun modo.-
Aprii la bocca per dire qualcosa ma si fermò tutto nella gola.
-Guarda.-
Andò verso l'entrata e spense la luce lasciandoci al buio. Intorno ai cuscini erano disposte una miriade di lampadine colorate che lasciavano una debole luce calda.
Le pareti invece, erano a tratti state pitturare con della vernice fosforescente.
-Questo è il posto più bello che abbia mai visto.-
Dissi andando verso il materasso.
Mi sedetti su di esso e mi guardai intorno e poi, all'improvviso, feci l'ultima cosa che mi sarei mai aspettata di fare.
Arrivò prepotente e inaspettavo.
Sentii che non potevo fare nulla per trattenere quel momento.
Avevo gettato via la mia maschera.
Il mio sguardo andò verso Ema e poi, scoppiai a piangere.

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