15.
Le cose proseguirono così per tutta la settimana.
Andavo a scuola aspettando solo il momento di finire il corso per rintanarmi a casa sua, fare dell'ottimo sesso e mangiare un pezzo di torta insieme.
Ema non chiedeva più. Si accontenta di quello che potevo dargli, mi lasciava i miei spazi e non si opponeva quando lo salutavo per andare via rifiutandomi di dormire ancora da lui.
Era successa una cosa stramba in quel poco tempo che avevamo iniziato a frequentarci; mi ero affezionata a lui in un modo che mi metteva paura.
Sorridevo ogni volta che lo incontravo nei corridoi e lui mi chiedeva di uscire insieme, attendevo impaziente di poterlo vedere e quando squillava il telefono, speravo sempre che fosse lui per raccontarmi una delle sue mille avventure quotidiane.
Non andava bene affatto.
Non era quello che cercavo e queste situazioni diventavano pericolose in fretta.
Però avevo imparato una cosa nel tempo; era inutile preoccuparsi per qualcosa che ancora non si era presentato.
Non volevo rovinare il momento riempiendomi di paturnie inutili. Per ora quella situazione mi faceva stare bene ed era sufficiente non lasciarsi trasportare ulteriormente.
Ci volevano dei limiti ed io ero brava a mettere dei limiti.
Mio padre era stato particolarmente scontroso. Lo avevo incontrato poco ma quasi mi aveva tolto il saluto.
Era completamente lanciato nei preparativi del suo matrimonio, che per forza di cose doveva tenersi a marzo, e quindi era troppo impegnato per tormentarmi troppo.
Eppure li vedevo i suoi sguardi carichi di rancore quando incrociava il mio passaggio o mi allungava il caffè la mattina.
Sembrava che fossi la sua peggior nemica e che avesse intenzione di mettersi in guerra con me.
Che facevo di male oltre ad esistere?
I preparativi per la cena di beneficenza procedevano bene.
Io e Ginny ci presentavamo quasi ogni giorno al ristorante dei suoi genitori, luogo dove si sarebbe tenuta la festa, per portare del materiale o scegliere le decorazioni.
Quel giovedì pomeriggio iniziammo ad allestire il tutto e a definire il programma pronte a fronteggiare il sabato e a raccogliere più fondi possibili.
Avevo dovuto rinunciare ad andare da Ema per posizionare segnaposti e fiori su quella grande terrazza coperta che sarebbe stato il luogo dove si sarebbe svolta la cerimonia.
Ema aveva insistito in maniera scherzosa per vederci ma poi aveva lasciato perdere lanciando qualche battuta provocante. Ciò non era bastato per venire a meno dei miei impegni e quindi mi ero recata al Sunstar con Ginny che aveva acconsentito di buon grado a donarmi quattro o cinque ore del suo prezioso tempo per definire ogni minimo dettaglio, compreso il discorso che avrei tenuto.
Provai per l'ennesima volta il microfono e ridissi a memoria il mio discorso fiera delle parole e dell'enfasi che riuscivo a metterci in esse.
-Che ne dici? Suona bene?-
Domandai alla mia amica speranzosa di un commento.
Mi rubò il microfono dalle mani e se lo portò vicino alle labbra.
-Elia. Sei lo stronzo che amo ma resti pur sempre uno stronzo.-
Urlò nel microfono facendomi ridere.
Rise anche lei e poi andò a passo spedito verso il frigo bar per rubare una bottiglia di spumante che stappò con poca delicatezza.
-Bevi con me. Sono tanto triste.-
Le rubai il bicchiere dalle mani e bevvi un goccio.
-Perché l'amore è così difficile?-
-Perché altrimenti non sarebbe coinvolgente e perderemmo l'interesse velocemente.-
Provai a convincerla ripassandole il bicchiere.
Sorrise. Sorrise come quando le passava qualcosa di diabolico per la testa.
-Non dire una parola. Non innervosirmi più di quanto io non sia nervosa. Odio quando dai un nome alle mie emozioni e a quello che faccio.-
Le puntai contro l'indice non riuscendo però a toglierle quella smorfia dalla faccia.
-Quindi fra di voi non c'è assolutamente nulla di romantico?-
Scossi la testa con convinzione.
-Allora perché si è presentato qui?-
Chiese dandomi uno strattone per farmi girare.
Ema era appena entrato dalla porta e percorreva la strada che ci separava con un gran sorriso stampato in faccia.
Spalancai la bocca sorpresa.
Questo era decisamente oltrepassare il limite di qualsiasi limite.
-Che ci fai quì? Sei quì per me?-
Gli chiesi scontrosa. Mio padre frequentava quel locale con assiduità e sapeva che stavo organizzando la serata. Sarebbe potuto arrivare da un momento all'altro.
Lo guardai male ma questo non bastò per togliergli il sorriso dalla faccia.
-No. Sono qui per bere con la mia amica Ginny.-
Mi mise a tacere facendo fare una piroetta alla traditrice maledetta che subito gli passò il bicchiere di alcool.
-Beviamo tutti dallo stesso. Altrimenti a Mila viene un colpo se già le sporchiamo tutti i bicchieri buoni.-
Ema prese il bicchiere e fece salute con Ginny, che rispose con il palmo della mano, bevendo poi un sorso della bevanda.
-Mi chiedevo se aveste bisogno di aiuto. Sono diversi giorni che ci state lavorando e..-
-E tu come lo sai?-
Chiese maliziosa il mostro.
Sbuffai.
-Sei un'impicciona.-
La sgridai rubando il bicchiere di mano ad Ema.
-Bevi piano. Le bollicine ti agitano.-
Scherzò la mia amica facendo ridere Ema.
-Oh ma che carini. Vi siete coalizzati contro di me?-
-Puoi giurarci.-
Continuò a provocarmi Ema.
-Perché hai delle piume nei capelli?-
Mi domandò avvicinandosi per togliermene una dai boccoli.
Fu proprio in quel momento che avvenne il disastro.
Ginny spalancò la bocca e mi diede una gomitata fortissima.
-Ma che cazz..-
Spalancai la bocca anche io quando vidi Paolo, Diana, Marco e suo padre varcare la soglia del Sun.
Mio padre spalancò la bocca di rimando quando vide me e Ginny con la stessa espressione e Ema intento a toccarmi i capelli come uno che ha troppa confidenza.
Diana guardò mio padre e si sorprese del suo viso assumendo più o meno le stesse sembianze e Marco.. Bhè, Marco aveva ormai perennemente la bocca aperta come il culo di una gallina ogni volta che mi incontrava.
Mi spostai velocemente e indovinate che faccia assunse quella di Ema quando percepì il gelo cadere tra di noi?
-Papà?-
Domandai incerta spostandomi di lato.
Ema si voltò a guardarlo e venne fulminato all'istante.
Abbassai gli occhi a terra.
Non sarebbe stato piacevole.
Eppure Ema rimase tranquillo, non si scompose, continuò a sorridere come al suo solito.
-Che ci fa lui quì?-
Chiese Marco con un tono che non poteva più permettersi.
Sui padre gli mise una mano sulla spalla per farlo calmare.
-Che sta succedendo?-
Domandò Diana confusa.
-A te che importa cosa fa nel mio locale?-
Domandò Ginny a Marco mettendosi sulla difensiva.
Io continuai a stare zitta.
Alzai lo sguardo un solo istante ribassandolo subito quando Paolo mi disse una marea di parole senza aprire bocca, solo guardandomi.
-Sono qui ad aiutare le ragazze.-
Confidò Ema ancora ottimista di poterne uscire bene. Povero illuso, non aveva idea di quello che stava per scatenarsi.
-È quello che l'ha riportata a casa quella sera.-
Mi sputtanò allora Marco.
Diana sorrise.
-Un pensiero gentile. È carino da parte tua..-
Paolo la zittì gentilmente prendendole la mano.
-Quello dei quartieri sud?-
Chiese allora con tono duro.
Ginny alzò gli occhi al cielo.
-Signor Martens, non facciamo gli antiquati. Non etichettiamo le persone per il luogo di provenienza.-
Rimase in silenzio non osando sfidare la figlia dei suoi amici.
-Ero stato chiaro sul fatto che tu non dovessi vederlo più?-
Ema si agitò al mio fianco mentre io continuavo a rimanere zitta.
-Lo dico anche a te. Sparisci dalla vita di mia figlia.-
Ema ridacchiò.
-Mi perdoni la franchezza ma non sono solito prendere ordini da persone che non conosco e che non sono miei superiori. Sua figlia è adulta e decide da sola chi frequentare. Me ne andrò quando lei me lo chiederà.-
Mio padre lo guardò come un insetto.
-Tesoro, per favore..-
Provò a calmarlo Diana mentre Marco si agitava divertito dalla situazione.
-Paolo, non diamo spettacolo.-
Lo implorò persino il suo amico.
-Digli di andarsene.-
Mi intimò con un tono che non ammetteva replica.
Sospirai desolata.
Non volevo affrontare quella situazione. Non volevo mettere Ema in quella situazione.
Avrei tanto voluto evaporare in quel momento.
-Papà..-
Sussurrai consapevole della reazione che avrebbe avuto.
Sbuffò.
-Allora vieni via tu.-
Mi afferrò il braccio iniziando a trascinarmi verso la porta.
-La lasci stare.-
Si intromise Ema.
Alzai la mano spaventata dalla piega che stava prendendo quella situazione e provai a metterlo a tacere ma sembrava determinato a fare scoppiare la mia vita.
-Ho detto di lasciarla. Non ha il diritto di trattarla così. Non ho intenzione di assistere a scene del genere.-
-Ema! Smettila!-
Lo sgridai presa dal panico.
Ginny lo affiancò immediatamente e Diana allontanò mio padre da me.
-Come hai detto che fai di cognome?-
Chiese allora l'uomo facendomi rabbrividire. Aveva il potere di distruggerlo con uno schiocco di dita e io lo sapevo bene. Stavo buttando Ema in un fosso di leoni.
-Ema vattene.-
Dissi all'improvviso mettendo a tacere tutti.
Lui mi guardò come se lo avessi appena accoltellato.
-Vai via.-
Dissi di nuovo più forte.
Scosse la testa strabiliato.
-Mila...-
-Vattene via ho detto. Non ti voglio qui!-
Paolo mosse un passo e io mi misi davanti ad Ema.
-Smettila. Se ne sta andando. Devi finirla subito.-
Ema mi mise una mano sulla spalla. La sentii tremare e la bile mi salì in gola.
-Non me ne vado. Non ti lascio in questa situazione.-
Il mio cuore tremò all'idea dei guai che avrebbe potuto passare se mio padre avesse deciso di mettersi di traverso. Lui non si rendeva conto che poteva fargli perdere la borsa di studio, che poteva fare licenziare sua madre, che poteva comprare il terreno sul quale era costruita casa sua solo per demolirla e Paolo era capace di tutto questo pur di preservare il suo orgoglio.
-Non ho bisogno di te. Me la cavo da sola. Vattene.-
Aggiunsi arrabbiata guardandolo diritto negli occhi.
-Ti Ho detto che non ti voglio quì. Non dovevi venire. Tu non sei nessuno per me.-
Lo guardai gelida e il suo sguardo cambio all'improvviso.
Non c'era traccia di un sorriso o del calore che solitamente emanava.
Il suo sguardo era in grado di oltrepassarmi come se non esistessi.
Si voltò a guardare Ginny che appariva mortificata dalla situazione e poi si incamminò verso la porta.
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