11.
Percorsi il vialetto di casa sua con una certa agitazione.
Avevo camminato quasi venti minuti per arrivare lì e man mano che mi avvicinavo, non mi sembrava più una bellissima idea piombargli in casa.
Forse aveva da fare, forse non voleva vedermi.
Ma d'altronde, se non gli avessi suonato il campanello non lo avrei mai scoperto.
Rimasi in attesa mentre un'aspirapolvere veniva spenta e la porta si apriva piano piano.
Restai a bocca aperta quando una donna fece capolino dall'interno.
-Mi dica.-
Disse con un grande sorriso stampato sul volto.
-Salve, forse disturbo..-
La donna colse il mio imbarazzo ed aprì di più la porta.
Perché non avevo immaginato che sua madre potesse essere in casa qualche volta?
-È un'amica di Emanuele?-
Feci un cenno con la testa.
-Sono Teresa, sua madre. È bello conoscerla.-
-Mila.-
Le strinsi la mano. Aveva una stretta inaspettatamente vigorosa che cozzava con l'aspetto delicato della donna.
Assomigliava ad Ema in maniera pazzesca con i riccioli scuri e gli occhi azzurri.
-Non volevo disturbare.- dissi ancora. -Forse è meglio che vada.-
-Ma figurati. Entra pure! Ho una torta in forno che assaggerai volentieri più tardi.-
La seguii in casa e mi sentii tremendamete imbarazzata.
-Ema non sta bene oggi.-
Pensai alla quantità di alcool che avevamo bevuto il giorno precedente e sorrisi.
-Ho cambiato il turno a lavoro per stare con lui questo pomeriggio e per fortuna sei arrivata tu. Alle otto inizio a lavorare. Faccio il turno di sera in ospedale.-
Le sorrisi di nuovo.
-Posso..?-
Allungai la mano verso la scala imbarazzata più che mai. Le stavo dicendo che sapevo dove era la camera di suo figlio e mi chiesi cosa stesse immaginando quella donna.
-Certo. Vai pure a salutarlo. Se avete bisogno sono qui sotto.-
Percorsi le scale e il corridoio il più velocemente possibile sentendomi una totale idiota.
Bussai alla porta e poi entrai.
-Ema?-
Il ragazzo si mise a sedere sul letto con uno scatto, come se si fosse scottato, quando sentì la mia voce.
-Mila?-
Chiese iniziando a tossire.
Scoppiai a ridere.
Tolsi il cappotto e poi le scarpe e andai a sdraiarmi a letto con lui.
-Ti sei raffreddato?-
Domandai appoggiando la testa sul cuscino.
Era buio in quella camera e non potevo vederlo. Scorgevo solo la sua ombra.
-Ho la febbre.-
Disse con il tono di un bambino.
-Mannaggia.-
Allungò la mano e mi scostò i capelli dal viso.
-Perché sei quì?-
Sussultai a quella domanda.
Non lo sapevo nemmeno io.
-Non volevo disturbarti.-
Ema tossì di nuovo.
-Ma che dici? Sono solo sorpreso.-
Mi rilassai a quelle parole.
-Ho litigato con mio padre e avevo bisogno di uscire di casa. Il primo posto che mi è venuto in mente è stata casa tua.-
Si mise sdraiato sulla schiena e allungò la mano verso di me.
-Certo. Perché qui stai bene.-
Fece notare l'ovvio facendomi alzare gli occhi al cielo.
-Non pensavo che tua madre fosse in casa.-
Rimase in silenzio alcuni istanti.
-Che è successo con tuo padre?-
Domandò con tono duro.
Sospirai.
-Non dirmi che ti ha preso a ceffoni un'altra volta.-
Gli diedi una pacca sul braccio.
-Ma come te la immagini la mia famiglia? No, certo che no.-
Si rilassò accanto a me.
-Scusami. Non volevo essere giudicante. Non sei comunque costretta a dirmelo. Ricordo bene i nostri patti.-
Gli toccai la fronte rendendomi conto che scottava.
-Non è nulla. Mi presto per del sesso consolatorio se ne hai bisogno.-
Risi sentendomi agiatata.
Era stupido pensare che avessi solo bisogno di parlare? E avessi scelto lui per farlo?
-Credo che un angelo abbia preso freddo ieri sera.-
Tossì nuovamente e si accoccolò sul cuscino.
-Come posso aiutarti quest'oggi e farti sentire più leggera?-
Mi chiese voltandosi verso di me.
Mi girai anche io in maniera da guardare nella sua direzione.
-Ti va di ascoltarmi?-
-Dimmi tutto ciò che passa in quella testolina. Sono qui.-
Ci pensai un attimo.
Fare delle confidenza significava entrare in confidenza e significava varcare un confine. Però Ema era un buon ascoltatore e ne avevo bisogno.
-Mio padre è.. Particolare.-
Rimase in silenzio a quell'affermazione senza fare battute.
-È un uomo molto duro e molto potente. Mi ha sempre dimostrato affetto a giorni alterni e soprattutto, lo ha fatto viziandomi dal lato economico. Non mi sono mai sentita capita o ascoltata da lui.-
Strinsi le labbra rendendomi conto che avrei potuto piangere in quel momento.
-Ha questa mania del controllo e crede che l'unica cosa che conti al mondo siano gli affari. E per fare andare bene gli affari bisogna restare in una certa posizione sociale con tutti i ruoli annessi, così che la gente parli bene di te.-
-Sembra stressante.-
Asserì lui.
-Lo è. Fatto sta che vuole che torni con Marco, perché Marco ha un'ottima posizione sociale, la sua famiglia è potente e fanno affari insieme.-
Lo dissi tutta d'un fiato come a volermi togliere quel peso.
-Ma lui non può decidere queste cose per te. Che ti importa?-
Mi chiese agitato.
-Mio padre è un manipolatore e non accetta un no come risposta. Sta facendo di tutto per fare in modo che Marco sia presente nella mia vita e ora mi ha tagliato i fondi.-
Ema boccheggiò a quelle parole.
Probabilmente per lui era inconcepibile come una persona che doveva amarti potesse agire così alle tue spalle per il bene degli affari.
-Non vuole ascoltarmi. Non gli importa cosa è successo con Marco. Non gli importa di quanto male ci siamo fatti, di come sono uscita a pezzi da quella storia. A lui interessano i profitti e il fatto che sua figlia sia rispettata quanto lui, per mantenere il suo bel nome e la sua vita di facciata. Come è possibile non avere scelta? Non essere ascoltati come persone? Non avere il diritto di scegliere senza incorrere in minaccie e litigi?-
Ema mi prese la mano e la strinse forte.
-Non so che dire. È ingiusto. Ingiusto da morire. Mi dispiace Mila.-
Scossi testa e mi voltai per non dargli a vedere quanto ero scossa.
Sbuffai.
-Non è nulla. Non preoccuparti. Dovevo solo dirlo ad alta voce.-
Restammo in silenzio alcuni istanti.
-Ora ti chiederò una cosa e tu non sarai obbligata a rispondere. Okay?-
Mi misi sull'attenti.
-Cosa è successo con Marco?-
Sussultai a quella domanda. Sentii di nuovo le urla, lo schianto e il male alla testa. Rividi Marco piangere con le mani nei capelli.
-Scusami, forse non dovevo. Non volevo essere curioso. Solo che ho queste brutte sensazioni che non se ne vanno e mi sembra che sei in pericolo quando sei con lui. Non so se è solo una mia idea..-
Mi schiarii la voce.
-Mi ha fatto paura. In vacanza, ho avuto paura di lui per la prima volta e non mi importa se era sotto effetto di sostanze. Non voglio essere una persona spaventata da chi ha accanto. Con Marco è finita e non c'è possibilità che torni sui miei passi.-
Non aggiunsi altro. Sentii Ema contorcersi nervoso accanto a me.
-Che succede?-
Gli domandai rendendomi conto che si era innervosito.
-Odio l'idea che qualcuno ti abbia spaventata. Odio pensare che qualcuno ti abbia o possa farti del male. Non lo meriti.-
Gli appoggiai la mano sulla faccia pensando che era proprio una bella persona.
-So proteggermi da sola.-
-Odio anche questo.-
Lo guardai senza capire.
-Odio il fatto che hai sempre dovuto cavartela da sola e ora non sai più chiedere aiuto, né accettare l'aiuto degli altri.-
Gli accarezzai i capelli.
-Posso dormire un poco qui con te?-
Allargò le braccia e io mi accoccolai su di lui permettendogli di abbracciarmi.
Proprio quel giorno, dove mi sentivo così vulnerabile.
Proprio io che odiavo mostrare le mie fragilità e ringhiavo ogni volta che qualcuno provava a consolarmi o ad aiutarmi.
Concessi questo ad Ema perché era lui, non mi giudicava, non mi chiedeva di più ma prendeva solo quello che ero capace di dargli.
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