Capitolo 30

Axel suonò al campanello di casa Claybourne. Il cellulare giaceva in modalità silenziosa sul sedile della sua macchina e perciò non aveva idea che Lennon lo avesse cercato più di una volta, lasciandogli persino un messaggio vocale.

Da dentro casa si sentì Evan gridare che poteva entrare, la porta era aperta. La spalancò e una volta varcata la soglia, notò come tutta la casa fosse avvolta dal buio e capì che c'erano solamente loro due.

I coniugi Claybourne erano sicuramente usciti a cena, come facevano ogni volta che volevano restare da soli o desideravano lasciare la casa libera per Evan. Vernon, con molta probabilità, si trovava a casa di un suo amico a guardarsi un'infinità di puntate di qualche anime o a pomiciare qualche ragazzo, anche se Axel credeva fosse più plausibile la prima opzione. Vernon era tanto timido e quando doveva avere a che fare con i ragazzi si imbarazzava molto e finiva sempre con il fare qualche figuraccia perciò era sicuro avesse vinto la serata anime.

«Van non ho la vista di un gatto ― potresti accendere una cazzo di luce?» sbraitò Axel, muovendo piccoli passi in quanto non voleva rischiare di pestare qualcosa o andare a sbattere contro un mobile.

Evan scoppiò a ridere e il corvino lo mandò a cagare. Poco dopo la luce del salotto alla sua sinistra si accese e Axel vide il suo migliore amico al centro della stanza con le braccia conserte e un sorrisetto divertito sulle labbra.

«Quindi a cos'è dovuto quel tuo strano messaggio di vederci a quest'ora?». Evan alzò un sopracciglio, mettendosi a scrutare il suo migliore amico muoversi quasi a disagio in quel salotto che conosceva come le sue tasche.

Quando incrociò il suo sguardo, vide come i suoi occhi bruciassero di ira ma che nascondevano anche una luce cupa di tristezza che a lui non passò inosservata. Era andato a confidarsi di qualcosa? Qualcosa che non sapeva come gestire? Era giunto finalmente il momento in cui Axel andava da lui per dei consigli? Oh mio Dio.

Axel si portò le mani sul viso, angosciato da tutta quella situazione. Le lacrime gli pungevano agli angoli degli occhi. Si morse con forza il labbro inferiore per nasconderne il leggero tremolio.

«Ho rovinato le cose con Lennon perché sono un coglione violento! Gli ho detto cose orribili che se fossi stato lucido non gli avrei mai scaraventato addosso. Non vorrà più avere a che fare con me» puntò subito i suoi occhi lucidi su Evan che lo raggiunse e una volta seduto al suo fianco, gli avvolse un braccio intorno alle spalle e gli diede un breve abbraccio, preoccupato per lui.

«Perché non provi a farti perdonare? Sono certo che Lenny ti darà una seconda possibilità.»

Ma quale seconda chance! Quella sarebbe stata la terza o la quarta volta che Lennon lo perdonava per il suo comportamento. Non avrebbe continuato all'infinito. Molto presto lo avrebbe mandato a fare in culo. E magari proprio quella volta. Aveva mandato tutto a puttane e come sempre era colpa sua. Sua che feriva chi amava.

Evan non conosceva il contesto intorno a quel litigio però era sicuro che avrebbero fatto pace. Lennon sembrava un bravo ragazzo e credeva anche che fosse innamorato del suo migliore amico, come Axel del resto era cotto di lui nonostante non volesse ammetterlo.

Il batterista scosse il capo, scoreggiato. «Ho fatto una cazzata. Andava tutto così bene e poi quella notizia devastante» fu molto vago su ciò che aveva scoperto perché la prima persona con cui voleva realmente parlarne non era Evan, ma Lennon.

E solo ora che si fermava a pensare e a ragionare, osservando il suo migliore amico guardarlo con affetto, si rese conto che avrebbe potuto fare profondi respiri per cercare di calmarsi e poi parlargliene, invece di scaraventargli addosso parole che non meritava. Lennon aveva sempre cercato di aiutarlo a parlare, a sfogarsi e lui l'aveva ringraziato facendogli del male.

Era proprio un coglione che non meritava il suo perdono, ma che lo necessitava per andare avanti.

Il viso di Evan cambiò espressione, divenne allarmata. Le sopracciglia aggrottate, lo sguardo dipinto di preoccupazione e le labbra tese.

«Quale notizia, Ax? Mi fai preoccupare se dici così, scemo! Sei malato?» il cantante afferrò una mano dell'amico e la strinse nella sua.

Non era malato, vero? La vita non poteva essere un po' più gentile con lui? Non gli era bastato vivere un'infanzia di merda? Ora doveva sopportare anche una malattia? Ma era curabile? Non era qualcosa che glielo avrebbe portato via nel giro di poco tempo, giusto?

«No» rispose secco.

«Ti prego dimmelo.»

Le labbra di Axel tremarono mentre i suoi si velarono di lacrime, «Prima lo devo dire a Lennon, prima a lui. Se lo merita dopo il modo in cui l'ho trattato. So che il mio comportamento non si può giustificare per via di ciò che ho scoperto, ma ho sentito il mondo crollarmi addosso e l'unico modo che conosco per proteggermi da certe cose è la rabbia ― arrabbiarmi, prendermela con tutti.»

Lo stomaco di Evan era in subbuglio per il nervosismo, «Dimmene solo un accenno così provo a smettere di riempirmi la testa di ogni tipo di cosa orribile che esiste sulla faccia della terra e che ti può essere accaduta» parlò velocemente e il suo accento inglese si fece sentire più pronunciato che mai.

Axel inspirò a pieni polmoni poi rilasciò un lungo sospiro, «Mio padre mi ha raccontato la verità».

«Tuo padre è tornato? Cosa?». Evan era rimasto scioccato da quella novità. Elaine non aveva mai detto ad Axel il nome dell'uomo o fatto vedere una sua foto perciò se ora il suo amico era veramente convinto fosse lui (sapeva di tutti quegli uomini che avevano provato a fregarlo), voleva dire che sapeva cose che solo suo padre poteva conoscere.

Axel annuì solamente, sospirando ancora. Il suo corpo stava venendo mangiato dall'ansia. Il suo cuore era l'organo che stava subendo più danni dopo che la verità gli era stata scaraventata addosso senza preavviso. Provava un dolore lancinante al petto e vorrebbe solo urlare di rabbia.

Sarebbe riuscito a riconquistare la fiducia di Lennon? A fargli capire che ci stava provando duramente a cambiare? Non era facile perché era cresciuto con il concetto che essere aggressivi era l'unica soluzione e certezza per affrontare le cose, ma stava tentando di migliorare per lui. Non voleva perderlo. Non poteva sopravvivere senza di lui nella sua vita.

«Secondo te Lennon mi perdonerà?»

«Sei pentito, si vede quindi credo di sì, lo farà.»

«Grazie Van» Axel abbozzò un sorriso sincero. L'amico ricambiò, ma quando provò ad abbracciarlo, lui gli ordinò con voce seria di non azzardarsi a farlo perché odiava quelle effusioni. O almeno se non era Lennon a dargliele, ma quel pensiero se lo tenne per sé.

Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere perché almeno quella parte stronza ma buona di Axel non era sparita.

«Vado da Neon.»

«Vai e mi raccomando fammi sapere come va.»

Axel gli lanciò uno sguardo sbieco poi uscì dalla casa del suo migliore amico senza dargli risposta. Evan aveva afferrato il concetto: non gli avrebbe raccontato niente, ma tanto gli sarebbe bastato guardarlo per capire se lui e Lennon avessero o meno risolto le cose tra loro.

«Ci vediamo domani» gli gridò il cantante prima che il batterista si chiudesse la porta alle spalle.

«Sì, a domani.»

✴✴✴

Axel aveva il batticuore mentre entrava a casa. Solo in quel momento si ricordò che Lennon era al pub e non nel loro appartamento. Pensò di andare là, ma non appena varcò la soglia venne circondato dalle braccia muscolose di Lennon e finì col viso nel suo petto.

«Dio, stavo impazzendo dall'ansia. Non sapere dove diavolo sei andato mi ha fatto uscire di testa. Non riuscivo a ragionare perché temevo ti fosse successo qualcosa di brutto» mormorò Lennon con voce tremante all'orecchio di Axel mentre continuava a stritolarlo nel suo abbraccio.

«Che ci fai a casa? Pensavo lavorassi.»

Axel era un fascio di nervi. Le sue viscere sembravano essere state stritolate in un pugno. E il suo cuore lo tormentava con battiti veloci e rabbiosi contro le costole.

«Rose mi ha spedito a casa perché non ero concentrato e continuavo a fare casini» gli accarezzò la testa poi gli premette un bacio nei capelli, «Però ora che sei qui con me sono più tranquillo».

«Mi dispiace Lennon. Prima non stavo ragionando lucidamente e ti ho ferito. Non le pensavo davvero quelle cose. Scusami, cazzo» le mani si strinsero intorno alla stoffa della maglietta di Lennon.

Si aggrappò disperato.

Non voleva perderlo. Non voleva che si allontanasse da lui.

Lennon gli prese il viso tra le mani, glielo alzò per far sì che i loro occhi si incrociassero poi gli mostrò un sorriso genuino. Sapeva di dover essere incazzato con lui per averlo quasi picchiato ma non ci riusciva. Dentro quel ragazzo albergava così tanta rabbia repressa che non ce la faceva ad odiarlo quando scoppiava all'improvviso, come una bomba innescata a distanza da qualcun'altro. Voleva solo capire cosa fosse successo per averlo fatto infuriare in quel modo tanto violento.

«Mi vuoi dire cosa ti è capitato?» come tutte le altre volte, nemmeno con quella lo avrebbe costretto a dirgli la verità, nonostante volesse saperlo. Se voleva parlargliene, bene, sennò avrebbe aspettato fino a quando non si sarebbe sentito pronto. Nel frattempo avrebbe cercato di donargli quanto più affetto, amore, possibile.

Sulle labbra di Axel nacque un sorriso triste che venne poi cancellato dalla sua lingua che passò per inumidirle, «Ho scoperto tutta la verità su mio padre e di conseguenza su quel mostro di mia madre».

Lennon lo baciò a fior di labbra per fargli capire che non gli avrebbe fatto alcuna domanda fino a quando non fosse stato pronto a sfogarsi del tutto e per quello lo ringraziò con un altro sorriso, però pieno di gratitudine.

Fece un profondo respiro per calmare i nervi tesi. Come aveva detto a Evan, Lennon era il primo con cui voleva parlarne, nonostante per colpa sua, lui suo padre lo aveva perso.

«Mia madre ha cacciato mio padre prima della mia nascita perché ha preferito scoparsi più uomini che amarne uno con cui stava per avere un figlio» strinse le dita intorno alle spalle di Lennon, il quale gli accarezzò una guancia come a volerlo tranquillizzare, «Mi ha odiato, trattato come un mostro, scagliato addosso ogni tipo di violenza fisica e verbale per qualcosa che aveva scelto lei. È stata lei ad allontanare mio padre da me. È stata lei a rovinare la vita a me e a mio padre. Lo ha minacciato che se avesse provato a restare nella mia vita, nella nostra vita, lo avrebbe denunciato con delle false accuse. Ai tempi era un alcolizzato perciò sapeva che la polizia avrebbe creduto a lei e non a lui quindi è fuggito».

Lennon si morse il labbro inferiore. Avrebbe voluto fargli delle domande, ma si trattenne perché non voleva rischiare di turbarlo più di quanto già non fosse.

Axel abbozzò un flebile sorriso ― aveva notato quella cosa.

«Ti stai chiedendo perché è tornato ora, vero?» il rosso spalancò gli occhi e poi annuì, scioccato dal fatto che il batterista gli avesse appena letto nel pensiero.

«Perché sono maggiorenne,» alzò un sopracciglio, «sì, be', lo sono da ormai quattro anni, ma almeno adesso mia madre non ha alcun potere su di me. Posso finalmente scegliere di avere mio padre nella mia vita. Non sarà facile perché avrebbe potuto disintossicarsi e provare a portarmi via da quella casa, ma voglio cercare di creare un legame con lui».

Lennon non smise nemmeno per un secondo di accarezzargli la testa e il viso e a Axel tutte quelle effusioni piacevano poiché a dedicargliele era lui. Qualcuno che era diventato importante in pochissimo tempo e di cui non poteva farne a meno. Qualcuno che era in grado di renderlo una persona migliore rispetto a com'era prima, anche se a volte aveva delle ricadute nel suo buco nero fatto di negatività, ma lui riusciva sempre a tirarlo fuori.

«Vedrai che riuscirai a fidarti di tuo padre e a ricostruire quel rapporto che non avete mai avuto e io ci sarò per te, per aiutarti quando ne avrai bisogno» lo pensava davvero, nonostante lui stesse soffrendo per com'era andato in frantumi quello con il suo di padre. Sarebbe riuscito a riconciliarsi con William? O avrebbe continuato ad odiarlo all'infinito perché lo aveva visto baciarsi con un ragazzo?

Il batterista annuì con le labbra che gli tremavano. Stava trattenendo il pianto. Un pianto che raccontava la sua felicità nel averlo al suo fianco e di poter finalmente avere un rapporto con il suo genitore.

Passò le braccia intorno al collo di Lennon e si strinse fortemente a lui, affondando il viso nell'incavo del suo collo e sorridendo contro la sua pelle calda.

«Grazie Lennon. Grazie davvero di essere parte della mia vita» mormorò con voce piena di affetto e anche se non voleva ammetterlo, di amore, cosa che riscaldò il cuore all'altro ragazzo che gli sorrise sulle labbra, prima di baciarle.

«Grazie a te per avermi accettato e per rendermi partecipe delle tue gioie e delle tue tragedie.»

Dio, Axel, mi sono proprio innamorato di te.

«Andrà tutto bene, okay? Non importa cosa succederà e sai perché?» gli sussurrò caldamente sulle labbra che desiderava con tutto il suo cuore baciare ancora e ancora.

«Perché?»

«Perché siamo io e te» gli mostrò un grande sorriso e quando i loro sguardi si incrociarono, Axel vide tutta la convinzione che Lennon stava mettendo in quelle parole e nella sua espressione e il suo viso prese fuoco, «E non importa quanti ostacoli incontreremo lungo il nostro cammino, noi ci saremo l'uno per l'altro» fece intrecciare le loro dita davanti ai loro corpi, dopo aver spostato le braccia di Axel dal suo collo poi ridacchiò dolcemente, «Capito?».

Axel si fiondò a baciarlo dolcemente. Le sue labbra appoggiate con delicatezza contro quelle di Lennon. Non voleva nient'altro. Quel bacio aveva come significato quella promessa. Sarebbero rimasti insieme e avrebbero affrontato tutte le conseguenze e le pressioni delle loro scelte e del loro futuro l'uno al fianco dell'altro. Purtroppo (per ora) non come una coppia ma come due ragazzi che avrebbero fatto qualsiasi cosa per l'altro. Ma a loro andava bene lo stesso.

L'importante era stare insieme.

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