Capitolo 28

Axel si trovava a casa della sua migliore amica perché era da un po' di tempo che non passava la giornata con lei. Spesso e volentieri, una volta insieme, avrebbero fatto sesso, ma non quel giorno. Non voleva tradire la promessa fatta a Lennon e poi non ne sentiva il bisogno poiché era conscio che una volta tornato a casa, avrebbe potuto farlo con lui. E Lennon gli bastava. Eccome se gli bastava, quel gigantesco orso buono.

Monica spennellò una buona quantità di tinta sulle radici castane del batterista, canticchiando una canzone coreana. Axel era seduto su uno sgabello nel bagno rosa di Monica mentre lei se ne stava in punta di piedi a tingergli i capelli. E allungando lo sguardo sopra la sua testa, cercava di spiare ciò che stava facendo sul suo cellulare. Era da un po' che messaggiava con qualcuno e lei era curiosa di sapere chi fosse.

«Al posto di farti uscire gli occhi dalle orbite, Moni, perché non chiedi e basta?» Axel le rifilò un'occhiataccia dal riflesso dello specchio. Le sue labbra incurvate in un sorriso di scherno.

Monica emise un ridacchio imbarazzato. Si sentiva una cretina per essersi dimenticata della presenza dello specchio davanti a loro e di essere stata beccata in flagrante a spiarlo.

«Con chi messaggi?» chiese infine, conscia del fatto che il suo migliore amico gli avrebbe certamente mentito.

«Un amico.»

La ragazza alzò gli occhi al cielo poi sbuffò per tutto il mistero attorno al ragazzo con cui stava messaggiando, «È solo un amico e c'è sotto dell'altro?».

Oh, non si sarebbe arresa.

Axel si morse il labbro inferiore, osservando dallo specchio come lo sguardo di Monica fosse carico di curiosità, «Dell'altro».

«Non mi dirai nient'altro, vero?»

«Vero, Moni.»

Una volta ricevuta quella risposta, che ovviamente si aspettava, Monica gli spalmò la tinta nera sulla fronte, sporcandolo tutto. Axel strabuzzò gli occhi sbalordito poi digrignò i denti e mormorò torvo il nome della ragazza.

«Così impari a non parlarmi di niente» gli mostrò la linguaccia dal riflesso, «E comunque, sai che è quasi un mese e mezzo che nonn facciamo sesso? C'entra quel ragazzo?».

«Non è vero.»

«Cosa, tesoro?»

«Abbiamo scopato.»

«Quando?»

«Nella doccia.»

Lei sbuffò innervosita, «Oh, sì, nella doccia! E sai quand'è successo? Un mese e mezzo fa!» esclamò con tono furibondo, «Mi manca farlo con te, ma se mi dici che questo ragazzo è importante per te, mi metterò da parte».

Un lungo sospiro scappò dalle labbra di Axel. Era davvero passato così tanto tempo da quando aveva smesso di fare sesso con Monica e in generale con ragazzi conosciuti ai pub? Quanto cazzo lo aveva cambiato Lennon?

Se pensava a com'era prima di conoscere Lennon, si rendeva conto che pur di avere al suo fianco quel ragazzo, era cambiato tantissimo. E non sapeva dire se fosse o meno una cosa buona. La sua corazza si era indebolita, però nel suo cuore sentiva che Lennon non lo avrebbe fatto soffrire. Non glielo avrebbe spezzato. Lo credeva davvero, ma purtroppo non poteva dire la stessa cosa per gli altri.

«C'è un ragazzo, ma non sono innamorato di lui come dice Van» roteò gli occhi quando gli tornarono in mente le parole del suo migliore amico perché sapeva di non amarlo come narrava lui, «Ci tengo veramente tanto a lui. Ci siamo promessi di andare con altre persone e voglio mantenere quella promessa».

Un gigantesco sorriso nacque sulle labbra carnose di Monica. Poi iniziò a scuotere il capo. La pensava esattamente come Evan. Il suo caro Axel si era innamorato. Sperava solamente che una volta giunto il momento in cui lui stesso capirà di esserlo, non sarebbe stato troppo tardi con quel ragazzo.

«E io rispetto la tua scelta. Mi mancherà farlo con te, ma preferisco vederti felice con questo ragazzo che infelice con me.»

Il batterista aggrottò le sopracciglia folte, «Il sesso è sempre stato fantastico con te, Moni».

«Lo so, ma ciò che volevo dire è che preferisco che tu mantenga la tua promessa, piuttosto che finire con l'essere infelice per aver mandato all'aria la tua relazione con il tuo ragazzo pur di accontentarmi.»

«Non è il mio ragazzo.»

«Non so il suo nome perciò per me è il tuo ragazzo». Monica ridacchiò, continuando a tingergli la lunghezza dei capelli per ravvivare il colore.

Lui grugnì, incrociando le braccia al petto, «Si chiama Lennon e non siamo fidanzati».

«Per ora... In futuro si vedrà» la ragazza fischiò contenta mentre Axel la mandò a cagare, tornando poi a messaggiare con Lennon che gli chiedeva a che ora sarebbe tornato a casa.

Gli rispose che al momento non lo sapeva con esattezza, ma non appena fosse uscito dalla casa di Monica, lo avrebbe avvisato. Lennon gli inviò un cuore nero e la conversazione finì lì.

«Per quanto ne abbiamo ancora?» Axel si indicò la testa coperta di tinta.

Monica alzò le spalle, «Un'oretta, credo? Perché? Devi uscire con Lennon?» ammiccò maliziosamente.

Axel la fulminò con lo sguardo, ma non rispose alle sue domande. Anzi, la invitò a muoversi che quella roba iniziava a prudergli la testa.

«Okay. Okay, rompiscatole.»

«Mi stavo chiedendo una cosa...» se ne uscì fuori una volta finito di tingergli i capelli mentre scrutava Axel dal riflesso dello specchio ― sembrava essersi perso nei suoi pensieri, «Questo Lennon è il ragazzo che ti ha fatto battere il cuore quella sera? Quando abbiamo litigato, intendo».

Perché tutti volevano che dicesse di essere innamorato di Lennon? Non lo era, dannazione! Non sapeva, anzi non ricordava nemmeno come si faceva ad amare una persona. Quella roba l'aveva eliminata da tempo. Quindi come potevano continuare a dire che lo amava? Che aveva perso la testa per lui?

Axel schioccò la lingua contro il palato, infastidito. Non le avrebbe risposto perché tanto sapeva che lo aveva già capito da sola. Desiderava solamente una sua risposta affermativa per ripetergli quella stronzata dell'amore. E non aveva alcuna voglia di ascoltarla ancora e pure da lei. Gli bastava Evan a stressargli l'anima con quella storia. Non gli serviva anche Monica.

«Lo sai vero che non c'è niente di male nell'essere innamorati? Non sono tutti come quel merdoso di Matthew.»

«L'amore mi dà il voltastomaco.»

Monica strillò esasperata. Avrebbe voluto portarsi le mani nei capelli ma indossava ancora i guanti sporchi di tinta perciò evitò. Axel sobbalzò per via della sua reazione improvvisa.

Si sentiva male?

«Basta! Con te è impossibile ragionare. Ormai hai collegato l'amore al tuo ex e non riesci a vedere oltre la punta del tuo naso! Sei così stupido...»

«Moni...» scosse leggermente il capo snervato, «Cazzo, che noia che sei!».

«Oh, ma vaffanculo!»

✴✴✴

"Sto arrivando, Neon" gli inviò un messaggio vocale poi mise il cellulare nella tasca dei jeans e si incamminò verso casa sua.

Era andato da Monica senza macchina perché aveva scelto di voler camminare un po' per la cittadina. Era da un po' di tempo che non lo faceva quindi ora voleva recuperare. Voleva stare all'aria aperta e immerso nei suoi pensieri.

Non appena svoltò l'angolo, raggiungendo in quel modo il centro di Maddison Town, udì una voce maschile dire: «come sei cresciuto, Axel» che lo fece bloccare di corpo e irrigidire.

Si voltò verso il negozio di caramelle e il suo sguardo gelido si posò su un uomo sulla cinquantina che se ne stava appoggiato con la schiena contro la vetrina a fumare bellamente una sigaretta, ignorando le grida della proprietaria che lo intimava a spostarsi da lì.

«Chi cazzo sei?» sibilò Axel, stringendo i pugni lungo i fianchi.

L'uomo si passò una mano nei capelli brizzolato poi puntò i suoi occhi grigi e gelidi su di lui, «Sono tuo padre» annunciò senza giri di parole.

Il respiro di Axel si bloccò in gola e la testa prese subito a girare vorticosamente. I battiti del cuore iniziarono ad aumentare, picchiando con violenza contro la gabbia toracica. Era sconcertato. Non sapeva cosa dire. La bocca parve arida come il deserto e quando provò a deglutire, si rese conto di non aver più saliva.

«Possiamo andare a parlare in un posto tranquillo?» chiese l'uomo che narrava di essere suo padre.

Quella domanda bastò a far accendere vari campanelli d'allarme nella testa di Axel. Dalle sue labbra asciutte scoppiò una risata isterica, finta molto forzata. Pensava davvero che si sarebbe fidato di lui così facilmente e ingenuamente? Non era più quello di un tempo.

In passato molti uomini si erano presentati dicendo di essere suo padre. Non ci aveva mai messo molto a scoprire che erano solo dei bugiardi e che le loro vere intenzioni erano sempre state altre. I soldi o cercare di potergli fare del male sessuale e usarlo come ricatto. Lo avevano contattato su tutti i social e ancora adesso lo facevano. All'inizio, con molta ingenuità, ci aveva anche creduto poi però aveva capito che quelle persone lo facevano solo per un po' di fama e per quel motivo aveva smesso di dare fiducia a chiunque proclamasse di essere suo padre.

«Tizio, non mi fido di te. Non ti seguirò da nessuna parte.»

L'uomo spense la sigaretta sotto allo scarponcino poi ficcò le mani dentro le tasche del giubbotto leggero che indossava, «Tua madre si chiama Elaine Powell e tua sorella, Roselyn Powell Denver, il mio cognome, nonostante non risulti su nessuna carta a parte il certificato di nascita».

Axel emise uno sbuffetto che celava una mezza risata di scherno, «Wow, sai come si chiamano mia madre e mia sorella! Peccato che sia stato io a dirlo in un mio video su YouTube. Avrei sentito i loro nomi in quel caso. Ritenta, magari sarai più fortunato» poi batté le mani come a volersi complimentare per lui, ma naturalmente lo stava facendo solo per prenderlo per i fondelli.

L'uomo non si scompose, anzi si prese persino la briga di sorridere, «I tuoi nonni sono Camen e Benjamin Powell e tua zia si chiama Jessica, da cui è nata Ambra. Non ha rapporti con tua madre perché in passato hanno litigato talmente tanto da essere arrivate alle mani» continuò lui, cogliendo impreparato il batterista che strabuzzò gli occhi per lo sgomento e gli si seccò nuovamente la gola.

Va bene, come faceva a sapere di sua zia Jessica e dei suoi nonni? Chi diavolo era? Un giornalista? Uno stalker? Era davvero suo padre? E se fosse, perché era comparso così all'improvviso e proprio quando incominciava a diventare famoso con la band?

«Cosa vuoi? Soldi? Non ti darò un cazzo!» sbraitò, incazzato. Quell'uomo non gli piaceva perché sapeva troppo di lui.

«No, Axel, voglio che tu sappia la verità di quanto è successo prima della tua nascita. E dato che non se tua madre o tua sorella ti abbiamo mai detto come mi chiamo, io sono Clark Denver, piacere figliolo» gli porse la mano, ma Axel gliela schiaffò via e lo trucidò con lo sguardo.

Non si fidava.

«Cosa ti fa sapere che io voglia saperlo?»

«Non vuoi sapere la verità sul perché non abbia fatto parte della tua vita?» domandò stupito l'uomo ― credeva ne sarebbe stato felice e invece sembrava voler continuare a vivere all'oscuro di tutto.

«No, cazzo. Per colpa tua la mia vita è stata un inferno!»

«Figliolo» Clark provò ad appoggiare una mano sulla spalla di Axel per dargli un po' di conforto, ma quest'ultimo si scansò perché non aveva alcuna intenzione di farsi toccare da lui.

«Non mi toccare. Non sei nessuno per me» sbraitò, guardandolo schifato e deluso.

Non voleva che quell'uomo, suo padre, si avvicinasse troppo a lui. Lo aveva abbandonato e ora necessitava pure raccontarne il motivo, come se la sua vita non fosse già stata un incubo senza di lui. E adesso gli mancava solo la storiella del perché non aveva voluto prendersi le sue responsabilità.

Simpatico.

«Axel, tua madre ti ha mentito su di me. Io non volevo scappare. Mi ha costretto lei con delle minacce campate per aria, ma pesanti che avrebbero potuto distruggermi la vita» Clark sembrò sincero e quando Axel incrociò il suo sguardo, capì che non stava mentendo. Che sotto al suo allontanamento ci fosse le zampino di sua madre. E a quanto pare era pure stato forzato a non fargli da padre.

Quando si doveva essere malvagi per fare una cosa del genere? Sua madre era veramente una grandissima bastarda.

Axel esalò un profondo respiro. Era molto indeciso su cosa fare. In qualche modo sentiva di meritarsi la verità, ma allo stesso tempo era davvero sicuro di voler subirne le conseguenze? Scoprire ciò che sua madre aveva fatto, be', avrebbe reso il loro ancora più burrascoso e violento di prima. E temeva sarebbe tornato ad essere quello di prima. Ma ne aveva bisogno. Doveva sapere, anche se non avrebbe cambiato il suo passato, però forse sarebbe riuscito a modificare il suo futuro.

«Conosco un posto in cui poter parlare in santa pace. Hai la macchina?»

«Sì, figliolo.»

Axel avrebbe voluto dirgli di non chiamarlo così, ma serrò le labbra e tenne per sé i suoi commenti.

Una volta arrivati al pub di Roselyn, Axel girò la chiave nella serratura e aprì la porta sul retro del locale poi ci trascinò dentro l'uomo. Lo seguì in silenzio.

Il pub brulicava di uomini e donne che tracannavano birre perciò nessuno li avrebbe notati intrufolarsi nello stanzino che fungeva da camerino per cantanti e band.

Il ragazzo era sicuro che sua sorella non fosse al pub perché anche se non le aveva risposto al messaggio, sapeva che era con le figlie da loro nonna Carmen. E poi nessuno gli avrebbe detto di andarsene poiché lo conoscevano e sapevano che se si presentava al locale era perché voleva stare con la sua batteria, per l'appunto messa nello stanzino.

«Forza, parla. Racconta la verità dei fatti.»

Axel incrociò le braccia al petto e si sedette su una poltrona di un grigio sporco, un tempo bianco lucido, in attesa che parlasse.

Clark si accomodò davanti a lui, sedendosi su una sedia poi si schiarì la voce e si pulì le mani sudate sulla stoffa dei jeans, «Axel, io avrei tanto voluto farti da padre ma ai tempi bevevo molto e spesso non ero lucido ― non ho mai alzato le mani su Elaine, lo giuro. Ero diventato quasi un alcolizzato» fece una pausa e Axel pensò che a quanto pare l'alcolismo era di famiglia, «Bevevo per dimenticare tutti i tradimenti quotidiani di tua madre. Io l'amo davvero, ma lei... Lei no. Lei viveva per l'avventura di una notte con chiunque» la sua voce durante il suo racconto si incrinò e il suo sguardo si fece più triste e ferito. Ferito da quei ricordi. Dalla mancanza d'amore da parte della donna che aveva sposato e giurato di amare per il resto della sua vita e con cui aveva creato una famiglia.

Axel non fiatò, anche perché non aveva più ossigeno nei polmoni. Annaspò in cerca d'aria. Le mani iniziarono a prudergli per il nervoso. Il suo sguardo, a differenza di quello del padre, era furente e le narici dilatate per la rabbia. Sua madre era sempre una bastarda schifosa e quanto pare qualcosa l'aveva presa da lei: il sesso occasionale e il non essere in grado di amare.

«Quando mi ha annunciato di essere incinta, l'ho pregata di smetterla di andare con altri uomini. Le ho detto che non mi importava se il bambino, tu, non fosse stato mio, gli avrei fatto da padre lo stesso. Elaine mi minacciò dicendo che sarebbe andata alla polizia a denunciarmi per violenza domestica e che mi avrebbe rovinato la vita se fossi rimasto nella vita del bambino e come lo chiamava lei: "mostro". Ero un alcolizzato. Avrebbero sicuramente creduto a lei e io sarei finito in qualche centro di recupero o in carcere senza poterti più vedere perciò sono scappato, ma mi sono sempre sentito in colpa per non aver fatto parte della sua vita, Axel.»

«Come fai a sapere che sono veramente tuo figlio?» mormorò a denti stretti. Si stava trattenendo dal gridare, dallo spaccare tutto ciò che si trovava in quella stanza.

Clark alzò le spalle e sospirò, «Lo sento nel cuore e poi ci assomigliamo molto.»

«E se non lo fossi?»

«Sei mio figlio, Axel. Lo sei.»

Non poteva crederci. Sua madre gli aveva rovinato la vita basandosi su una sua fottuta bugia che lei stessa aveva inventato per allontanare suo padre da lui. Gli aveva sempre gridato contro che suo padre l'aveva picchiata in più occasioni e abusata sessualmente, implicando che lui fosse nato da quello stupro e che lui era un violento tale e quale a quell'uomo e che erano due mostri. Ma soprattutto che non sarebbe mai dovuto nascere. Lo aveva sempre odiato. Persino ancora prima di nascere. E lo aveva sempre definito un mostro, un abominio perché le aveva portato via il suo svago da puttana.

Il suo viso era livido. Gli occhi iniettati di sangue spaventarono a morte il padre, il quale dopo averlo visto alzarsi di scatto con sguardo omicida, provò a fermarlo ma venne scaraventato via.

Axel uscì con violenza da quello stanzino. Clark lo seguì, gridando il suo nome e dicendogli di fermarsi, ma non lo fece. La sua mente ormai era indirizzata verso casa sua e con pensieri spaventosi rivolti nei confronti di sua madre.

Tutti all'interno del pub si voltarono per vedere da dove proveniva quel baccano e quelle urla, ma non appena le due presenze uscirono, tornarono a bere e a chiacchierare come se non fosse successo niente.

Le gambe di Axel si muovevano in automatico e con velocità. Il pub non distava molto da casa sua perciò poteva raggiungere anche senza macchina. Non gli importava del tempo che avrebbe impiegato per arrivare da sua madre perché una volta a casa sua, si sarebbe finalmente sfogato su di lei. Per tutto il male che gli aveva fatto.

«Axel, fermati, non fare stupidate» Clark lo stava seguendo a passo di persona con la macchina. Non voleva che affrontasse Elaine da solo e in quello stato. Era ovvio che si stesse dirigendo da lei per discutere, litigare e non voleva che finisse male.

«Non rompermi il cazzo. Entrambi mi avete rovinato quindi lasciami stare!» sbraitò in mezzo al marciapiede, guardando di traverso il padre. Alcuni passanti lo fissarono scioccati perché sembrava un folle, ma lui li trucidò con lo sguardo.

Aumentò la velocità. Si mise a correre a perdifiato. Forse così facendo avrebbe seminato suo padre. Ah, ma chi prendeva in giro! Clark era in macchina mentre lui era a piedi. Lo avrebbe raggiunto ovunque andasse e anche in fretta. Eh, fanculo!

Il suo cellulare prese a suonare, ma ignorò la chiamata, nonostante vide che a cercarlo fosse Lennon. Squillò altre volte poi finalmente si arrese e nello stesso momento, Axel arrivò a casa sua.

Inspirò a pieni polmoni, gonfiando il petto e dilatando le narici. Si scrocchiò il collo e le nocche. Provava tanto, tantissimo odio per sua madre. Talmente tanta rabbia che se non gli importasse almeno un po' della sua vita, l'avrebbe già ammazzata. Era un pensiero dannatamente sbagliato, ma non poteva fare a meno di immaginarselo nella mente. Le sue mani intorno al collo di sua madre mentre le rubava anche l'ultimo respiro.

Il suo cuore percepiva anche un immenso dolore. Era ferito da ciò che Elaine gli aveva fatto. Lo aveva privato di una vita serena, facendolo sentire un rifiuto dell'umanità per tutta la sua infanzia. Facendogli credere che non meritava di vivere.

Perché? Perché lo aveva fatto?

«Elaine!» gridò con tutta l'aria che aveva in corpo, picchiando con violenza i pugni sulla porta di casa. Non appena aveva saputo che non sarebbe più tornato lì, sua madre aveva immediatamente cambiato la serratura, eliminandolo del tutto dalla sua vita.

«Apri questa cazzo di porta, grandissima stronza» il volto era diventato paonazzo e la vena sul collo pulsava impazzita. Gli occhi trasmettevano tutta la collera che albergava dentro di lui. Tutto ciò che aveva assorbito e assimilato nel corso della sua vita era sul punto di esplodere.

Non gliene importava nulla se i vicini avessero chiamato la polizia. Lui aveva bisogno di confrontarsi con lei. Voleva che ammettesse che gli aveva distrutto la sua intera esistenza per una fottuta bugia che aveva creato lei per allontanare il padre.

Dopo altre grida e pugni scaraventati sulla porta, Elaine si decise ad aprirla e lui finalmente entrò in casa. Clark rimase fuori, ma appoggiato alla stipite per ascoltare ciò che si sarebbero detti e pronto in caso fosse dovuto intervenire.

«Si può sapere che ti prende, pazzo?»

Axel rise. Rise a crepapelle ma i suoi occhi fumavano di rabbia mentre osservava sua madre. «Cosa mi prende? Mi prende che ho scoperto la verità su mio padre, schifosa.»

Elaine aggrottò la fronte e alzò un sopracciglio, fingendosi confusa. Le sue labbra tese incominciarono a tremolare, come se stesse trattenendo una risata beffarda, «E allora? Quell'uomo era una nullità, proprio come te, mostro!».

«Tu sei un mostro. Mi hai distrutto l'infanzia e la mia adolescenza per una cazzata. Mi hai devastato la vita perché preferivi fare la troia in giro piuttosto che prenderti cura di tua figlia e del bambino che stavi per avere da un uomo che ti amava davvero!» le mani di Axel si erano aggrappate con forza alle spalle della madre e le dita affondarono nella sua carne quando provò a divincolarsi da lui.

«Io non ti ho mai voluto. Mai» gli strillò in faccia e la ripugnanza che si udì nella sua voce lo colpì in pieno, come un forte schiaffo.

Si sentì come se gli avessero appena stritolato le viscere in una mano e il sapore amaro della bile gli invase la gola. Gli si spezzò il fiato in bocca.

«Sei stato tu ad avermi rovinato la vita con la tua sola presenza» continuò maligna lei.

La presa di Axel si fece sempre più debole fino a quando le sue braccia non scivolarono molli e pesanti lungi i suoi fianchi. Nella gola percepiva come un nodo che gli impediva di respirare e gli occhi sembravano essere sul punto di riempirsi di lacrime. I battiti sbattevano con violenza contro le costole. Un dolore sordo nel petto e lo stomaco in subbuglio.

Perché? Perché era sul punto di piangere? Non era la prima volta che sua madre gli urlava contro quelle parole quindi perché ora si ritrovava a starci davvero male?

Lennon lo aveva indebolito. Ecco, cosa.

«Avresti potuto lasciarmi con mio padre e invece hai preferito minacciarlo con false accuse e tenermi con te per farmi del male. E cazzo, se me ne hai fatto. Sia fisicamente e mentalmente» la voce bassa, ridotta quasi ad un sussurro, però il tono deluso, incazzato, non l'aveva abbandonato.

«Voleva portarmi via anche Rose! Lei è mia. Ho dovuto tenerti nella mia vita per non perdere lei. Tu non vali niente.»

«Mi fai schifo. Sei una madre di merda. E ti odio con tutto me stesso.»

Axel, ormai, aveva gli occhi lucidi. Era impossibile per lui nascondere la sua sofferenza. Stava perdendo tutta la sua gagliardia. Le emozioni che aveva nascosto da tanto tempo si stavano materializzando nuovamente. Erano tornate e gli stavano rendendo difficile la vita. La corazza che da tanti anni aveva indossato, si era riempita di piccole crepe che Lennon aveva contribuito a creare. Si era lasciato andare troppo e ora ne stava pagando le conseguenze.

Soffriva. Stava soffrendo per le parole di sua madre. Prime le avrebbe incassate senza problemi ma non ora. Adesso ogni lettera, parola e frase era una coltellata nel cuore per lui.

«Vattene prima che chiami la polizia!» urlò lei rossa in volto.

«Sei morta per me. Anzi, ti auguro di crepare al più presto, bastarda!»

Uscì da quella casa sbattendo con forza la porta. Le gambe gli tremarono per un attimo e pensò che si sarebbe accasciato al suolo senza energia, ma il padre si affrettò a cingergli la vita e a aiutarlo ad allontanarsi da quel incubo.

Voleva solo gridare e piangere. Tutte cose che prima avrebbe sfogato facendo a botte in giro mentre ora desiderava piangere e disperarsi tra le braccia di chi aveva contribuito a spezzargli la sua corazza da ragazzo freddo e senza emozioni.

«Dove ti porto figliolo?»

«A casa mia.»

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