Capitolo 18

Il risveglio di Lennon non fu dei più piacevoli. Era riuscito a dormire giusto il tempo in cui si era sentito avvolto dalle braccia di Axel poi quando quel piacevole abbraccio era scomparso, venendo sostituito da vampate di calore da fargli sudare otto camicie, aveva iniziato a vedere tutte le ore sulla sua sveglia e a girarsi e rigirarsi nel letto un'infinità di volte.

Se ieri aveva percepito su se stesso un masso schiacciarlo al suolo per la fiacca, ora, dopo una notte insonne, a pesargli addosso avvertiva un macigno di quindici tonnellate che lo stava prosciugando completamente da ogni forza.

Si sentiva stanco morto, molto di più rispetto alla sera precedente.

Quando aveva capito che Axel se n'era andato, aveva provato molto tristezza però del resto anche lui aveva una vita e non poteva di certo stare a badare alla sua persona per tutto il tempo.

Provò a stiracchiare le braccia, ma ogni osso gli doleva come se avesse appena finito di combattere contro una mandria di tori e una fitta alla schiena lo bloccò da fare qualsiasi altra mossa avventata.

La testa pulsava con violenza. Una forte emicrania gli stava martellando nel cranio e a fatica riusciva a tenere gli occhi aperti. Ogni fascio di luce che penetrava dalla finestra aperta lo disturbava e gli aumentava il tempestare dal mal di testa.

Lennon cercò di mettersi in piedi, ma barcollò talmente tanto da finire nuovamente seduto sul materasso con poche forze a fargli da sostegno. Si sentiva come se non avesse più il controllo del suo corpo. La febbre lo stava dominando e a lui parve di essere una di quelle bambole con cui Charlotte amava giocare e che muoveva lei per crearne la storia.

Era in balia della sua stessa malattia. E questo aveva un che di divertente perché erano due anni che non si ammalava. Era sempre stato attento a non prendersi il raffreddore, ma a quanto pare un po' di sudore e dell'aria corrente lo avevano fregato alla grande.

Sospirò pesantemente.

Poi il suo sguardo venne attirato da un biglietto appoggiato sul suo comodino.

Come aveva fatto a non vederlo prima? La vista offuscata dall'emicrania, ecco cosa.

Lentamente ― ogni muscolo gridava per il tormento, per le fitte che quelle semplici movenze creavano al suo corpo ― afferrò il biglietto e ci mise un attimo per capire che fosse da parte di Axel.

Sulle sue labbra comparve un sorriso addolcito. Non era fuggito da lui senza prima salutare.

"So che starai pensando che me la sono svignata" Lennon scosse piano il capo, nonostante la testa continuasse a girare su se stessa poi continuò a leggere, "ma non è così. Me ne sono andato via questa mattina verso le sette perché ho sentito tuo padre svegliarsi e non volevo che ti trovasse abbracciato a me" i suoi occhi si spalancarono, spauriti al solo solo pensiero di suo padre che lo beccava a letto con lui e il suo corpo venne scosso da un brivido di terrore, "E poi anche perché la mia macchina si trovava proprio davanti a quella di uno dei tuoi genitori quindi ti avrebbero fatto domande e non volevo causarti guai. Neon, mi raccomando, RIPOSATI. Prenditi cura di te stesso mentre io non ci sono."

Non riusciva a smettere di leggere e rileggere quel biglietto e a sorridere come un idiota. Prenditi cura di te stesso mentre io non ci sono. Ogni volta che rileggeva quella frase, il suo cuore aumentava i battiti cardiaci per la felicità.

Axel, con quella frase, voleva dire che appena si fosse liberato da quello che doveva fare, sarebbe tornato per badare a lui?

Rimise il biglietto dove il batterista lo aveva lasciato. Poi provò nuovamente a mettersi in piedi e quella volta ce la fece senza piombare come un sacco di patate sul letto, ma il mal di testa fece vorticare la stanza per un momento prima di tornare alla normalità.

Esalò un profondo sospiro, sentendosi sempre più stordito dalla febbre. Doveva assolutamente prendere qualcosa per farla passare, ma i medicinali si trovavano nella credenza in cucina. Al piano inferiore. E ciò significava che avrebbe dovuto per forza fare le scale, ma sarebbe stato in grado di scenderle senza ruzzolare per tutti gli scalini? Ne dubitava. Le gambe non collaboravano del tutto con lui.

Arrivò giusto in tempo davanti alla porta della sua stanza, prima di barellare e finire con tutto il suo peso contro il legno freddo. Picchiò malamente la fronte contro la superficie liscia e dalle sue labbra si liberò un lamento di dolore mentre dall'altra parte, in corridoio, si udì la voce di Greta chiamarlo con apprensione.

Con una mano sulla fronte dolorante e con la sua amica di vecchia data a fargli desiderare di staccarsi la testa per smettere di soffrire, desiderò solamente non essersi mai alzato dal suo letto. Poi si spostò dalla porta e l'aprì, ritrovandosi davanti sua sorella col viso stravolto dalla preoccupazione.

«Lennon, cos'era quella botta?» la donna analizzò suo fratello con cura e non ci mise molto a fare due più due, capendo così che non stava affatto bene e che molto probabilmente c'entrava col pomeriggio dell'altro giorno, «Dio, hai un aspetto di merda».

«Me stesso contro la porta e grazie sorellona, lo so.»

Le sopracciglia di Greta si incurvarono verso il basso per il rammarico. Si sentiva in colpa per come stava il fratello. «Ti sei preso qualcosa ieri, vero? Se solo avessi il dieci percento della tua bravura, non ti avrei chiesto di aiutarmi con quel cazzo di tubo e non ti saresti ammalato» esclamò amareggiata, parlando in italiano.

Lennon emise un ridacchio, «Greti, non è colpa tua ma mia che non mi sono preso cura di me stesso».

Greta abbozzò un sorriso, ma il senso di colpa non l'abbandonò poi gli accarezzò una guancia e quasi si scottò per quanto bruciasse la sua pelle, «Rimettiti a letto. Ti vado a prendere qualcosa per la febbre».

«Agli ordini, sorellona.»

Quando Greta tornò nella camera del fratello, lo trovò intento a leggere qualcosa con un enorme sorriso sulle labbra e si stupì di quanto, nonostante stesse male per la febbre, il suo viso fosse radioso in quel momento.

E tutto ciò per un bigliettino? Cosa c'era scritto di così importante? Ma soprattutto da parte di chi era? Voleva sapere tutto.

«Madò, quanto sei raggiante per essere qualcuno che ha la febbre altissima, eh» lo rimbeccò scherzosamente. Lennon sussultò, preso alla sprovvista.

Greta lo vide chiaramente, nel panico, nascondere il biglietto sotto al cuscino, convinto del fatto che lei non lo avesse notato, ma lo aveva fatto eccome. Poi gli passò la pastiglia e un bicchiere d'acqua, fingendo di non aver visto nulla.

Lennon aveva il batticuore. Ora però era sicuro al cento percento che sua sorella lo avesse beccato in pieno a nascondere il biglietto di Axel perché non spostava lo sguardo dal suo cuscino, ma aveva troppa paura di parlarle di chi glielo avesse scritto. Temeva che lo avrebbe rifiutato, come era certo suo padre avrebbe fatto se gli avesse parlato di Axel.

Nonostante lui e Greta si raccontassero sempre tutto, quella volta sospettava che non le avrebbe detto niente per il timore di perderla, anche se non gli aveva mai dato modo di credere che fosse restia nei confronti della Lgbtq+, anzi tutto il contrario. Ma ora era diverso perché era lui quello che aveva capito di farne parte a sua volta e non sapeva se lo avesse accettato subito o no.

Poi prese la medicina con una mano che tremava leggermente. Non per la febbre, bensì per l'ansia.

«Chi è la persona che ti ha fatto sorridere in quel modo? Sono certa sia qualcuno di importante di cui ancora non mi hai parlato. Sono giorni che noto come tu sia più luminoso rispetto agli ultimi mesi passati a struggerti per quella stronzetta e ora ho scoperto il tuo segreto: ti sei trovato qualcuno, vero?»

Greta era tanto eccitata per Lennon. Finalmente si era lasciato alle spalle la sua storia finita in malo modo con Tiffany (anche se lei non poteva dire lo stesso in quanto era la nuova fidanzata di suo marito) e adesso poteva dedicarsi a quella nuova persona che gli stava rubando il cuore. Molto in fretta, direbbe lei.

Lennon invece deglutì a fatica, percependo un nodo stringersi intorno alla gola. Incominciò a sudare freddo per il nervoso. Il batticuore gli rimbombò persino nelle orecchie e temette che sua sorella potesse udire quando i suoi palpiti fossero impazziti nel suo petto. E lo stomaco era scombussolato dall'agitazione.

«Dai, Leni, chi ti rende così felice? Come si chiama questa ragazza?»

Vorrebbe tanto tenere nascoste le cose a sua sorella, ma era da quando erano più piccoli che si raccontavano ogni singola cosa delle loro vite. Non c'era una sola cosa accaduta nel loro mondo che l'altro non sapeva. E a entrambi piaceva tutto ciò. Li rendeva più uniti. E ad ogni novità riportata si avvicinavano sempre di più. Si sentivano partecipi l'uno nella vita dell'altro, anche se solo come spettatori.

«Axel» buttò fuori sbrigativo, chiudendo in automatico gli occhi pur di non vedere la reazione della sorella che fu tutto tranne che di disgusto.

«Axel?» sul viso roseo di Greta comparve della visibile confusione, «È un ragazzo?», chiese ancora, questa volta con curiosità.

«Sì, è un ragazzo» la voce di Lennon fu come un flebile sussurro tremolante ― aveva paura di dare sfogo alle sue parole. No, aveva proprio il terrore di parlarne, anche perché era la prima volta che lo diceva ad alta voce e a qualcuno.

«Dove lo hai conosciuto?»

A Greta poco importava quale fosse il sesso della persona che era riuscita a far tornare il sorriso sul viso di Lennon perché per lei l'unica cosa che contava era la sua felicità. E se a renderlo felice era un ragazzo, perfetto. Al posto di una cognata, avrebbe avuto un cognato e chissenefrega!

Gli bastava saperlo sereno e spensierato. Tutto il resto veniva dopo.

E a Lennon quel pensiero di sua sorella gli arrivò chiaro e tondo nell'esatto istante in cui la vide dedicargli un sorriso pieno di affetto e gioia. Il suo cuore si fece più leggero. Si sentiva sollevato nel sapere che Greta lo accettava così com'era, per quello che era, anche se lui stesso doveva ancora capirlo. E per dire la sua sessualità ad alta voce avrebbe aspettato ancora molto tempo.

«Più che altro ci siamo scontrati la sera del bello e il livido in faccia è stato un suo regalino» emise un risolino, alzando leggermente le spalle quando la vide spalancare gli occhi a quella rivelazione.

«Ma come?!»

«Già,» rise ancora Lennon, «il nostro primo incontro ufficiale si è concluso con una scazzottata».

Greta esalò un sospiro e gli occhi si rivolsero al cielo, «Voi ragazzi di oggi siete tutti strani».

«E com'è questo Axel?»

Le guance di Lennon cambiarono colorito, divennero più rosse rispetto a prima dopo che l'immagine di Axel si era manifestata nella sua mente. «Etereo» mormorò in imbarazzo.

Non sapeva in che altro modo descrivere il suo aspetto esteriore. Il suo carattere non era certamente perfetto, ma nessuno lo aveva. Chi diceva di averlo mentiva agli altri e a se stesso. Non esisteva la perfezione in questo mondo.

«Eh, adesso voglio vederlo anche io!» esclamò eccitata lei, battendo una mano sulla gamba di Lennon per incitarlo a mostrarle una foto.

«No». In quella risposta si udì una punta di gelosia nella voce del ragazzo che nascose il suo cellulare sotto alla felpa di Axel che ancora indossava.

Sua sorella non sarebbe riuscita a prendergli lo smartphone.

«Che stronzetto.»

Greta si finse offesa, ma nel frattempo, nella sua mente stava iniziando a formulare tutte le domande che voleva fargli su quel ragazzo.

«Che lavoro fa?»

«È il batterista della sua band.»

«Interessante e come si chiama la band?»

«"Fatti i cazzi tuoi"» rispose Lennon in italiano con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.

«Oh, ma sei veramente uno stronzo! Non vuoi proprio che sappia chi è, eh. Ma io voglio conoscere il mio futuro cognato.»

Non era proprio così. Lennon voleva che sua sorella conoscesse il batterista. Il problema che lo bloccava dal dirglielo era la paura che si sarebbe, per l'appunto, comportata da sorella maggiore e gli avrebbe scritto cose strane su instagram. Aveva fatto la stessa cosa con Tiffany quando le aveva confidato che aveva iniziato a frequentarsi con lei. Lo avevo costretto a fargliela conoscere e una volta che se l'era trovata davanti, le aveva detto che lui era un bravo ragazzo e che se lo avesse fatto soffrire, l'avrebbe distrutta. La fine della storia si sapeva già e non si era conclusa bene sia per Lennon che per Greta. Per sua sorella, quella di Tiffany era una semplice ripicca per come l'aveva trattata agli inizi ed era una bambinata bella e buona che le aveva rovinato il matrimonio.

«Cos'altro puoi dirmi di questo tuo fantomatico nuovo amore?»

Oh, Greta non si sarebbe fermata fino a quando non avrebbe ottenuto più informazioni su quel ragazzo perché era il primo maschio di cui suo fratello si infatuava e voleva capire cosa lo avesse attirato tanto per fargli dubitare della sua sessualità.

Lennon si fermò un attimo a pensarci e si rese conto di non sapere veramente niente di Axel, a parte quelle poche cose che lui aveva scelto di dirgli. Aveva appreso che non aveva un bel rapporto con sua madre, ma non sapeva per quale motivo. Anche se la domanda sul prendersi cura di lui lo aveva colpito molto, soprattutto per quanto la sua voce gli fosse sembrata afflitta e bisognosa di quel tipo di affetto. Forse non era stato amato come avrebbe dovuto da bambino. Aveva capito che anche il rapporto con Roselyn era burrascoso e quasi del tutto inesistente e si domandò cos'avesse spinto Axel a distanziarsi così tanto dalla sua famiglia.

Una cosa di cui era sicuro era che quando qualcosa di brutto capitava nella sua vita, il carattere cambiava drasticamente e diventava quasi un'altra persona. Più aggressiva. Più cattiva. Più in cerca di qualsiasi pretesto per fare a botte. E quel lato di lui lo spaventava, ma allo stesso tempo lo attirava perché era sicuro che fosse semplicemente un meccanismo di difesa per se stesso.

Voleva conoscere le motivazione che lo avevano spinto a crearsi quell'armatura impenetrabile.

Ma a parte quelle piccole schegge della sua vita, non conosceva affatto Axel e di quello se ne dispiacque parecchio. In quel momento realizzò che tutto quello che facevano quando erano insieme era baciarsi e che non parlavano mai di loro stessi e se lo facevano, l'unico che raccontava qualcosa era lui e mai Axel. Però per quanto amasse quelle labbra, la cosa doveva cambiare perché era intenzionato a conoscere e comprendere ogni suo aspetto.

«In verità non so molto di Axel. È molto restio nel parlare del suo passato o di se stesso. E ammetto che da questo lato mi sento molto distante da lui.»

«E l'altro lato quale sarebbe?» Greta ammiccò, alzando un sopracciglio.

Lennon divenne paonazzo e si coprì il viso con le mani, «Dai, Greti...» non sapeva come risponderle perché si sentiva troppo in imbarazzo. L'unica cosa di cui non parlava con Greta era la parte sessuale della sua vita.

La sorella rise, «Ho capito» si fece il segno del chiudersi la zip sulla bocca, intendendo che avrebbe taciuto su quell'argomento.

«Credo che non abbia avuto una buona infanzia» ammise dopo qualche secondo di silenzio in cui era riuscito a tornare al suo colorito naturale di pelle e a regolarizzare il suo respiro.

Il sorriso divertito di Greta scomparve fulmineo dal suo viso e venne sostituito da una linea testa e dalla tristezza a pennellarle lo sguardo. «Non ha un buon rapporto con la sua famiglia?»

«No, non credo.»

«Mi dispiace» fece una pace per controllare l'orologio da polso, «Senti, devo andare a lavoro. Io avviso la mamma che non stai bene, tanto oggi fa mezza giornata e per mezzogiorno dovrebbe essere a casa quindi ti prepara lei qualcosa di caldo da mangiare, okay?».

Greta premette la sua bocca sulla fronte bollente di Lennon e gli lascio un piccolo bacio che lo fece sorridere dolcemente.

«Stai tranquilla, sorellona ― me la posso cavare da solo.»

«Ti voglio bene, Leni.»

«Anche io, Greti.»

Una volta salutata la sorella, si addormentò poco dopo. Troppo stanco per stare sveglio. Troppo fiacco persino per seguire qualsiasi cosa in televisione. Si era messo le cuffie nelle orecchie, aveva fatto partire l'ultimo album degli Sleeping With Sirens e nel giro di poche canzoni era crollato nuovamente.

✴✴✴

Lennon fu svegliato dalla voce gentile di sua madre che gli sussurrava di aprire gli occhi.

Non aveva idea di che ora fosse e per quante ore avesse dormito. Però se Helen era a casa, significava che mezzogiorno era già passato e che lui aveva dormito più o meno per quattro ore. Non erano molte, ma almeno si sentiva leggermente riposato rispetto a quella mattina, nonostante la stanchezza provocata dalla febbre non lo aveva ancora abbandonato.

Aprì lentamente gli occhi e sbatté le ciglia per mettere a fuoco. Una fascia di luce abbagliante lo colpì in pieno viso e per alcuni istanti la sua vista venne tempestata da macchie colorate, come se avesse fissato il sole ad occhi scoperti.

Si coprì il volto col cuscino e mugugnò con voce roca alla madre di tirare le tende. La donna gli rispose di no e di mettersi seduto così prima prendeva la medicina e poi mangiava qualcosa per riacquistare le forze. E come ogni genitore italiano, cresciuto da parenti severi degli anni quaranta, gli disse di non fare tutte quelle scene. Ricordandogli che sua madre, ovvero nonna Teresina, a lei non l'avrebbe mai fatta stare a letto tutto il giorno, anzi l'avrebbe costretta ad alzarsi e a fare qualcosa pur di non poltrire, nonostante fosse malata.

Lennon sbuffò sonoramente, ma fece ciò che le disse la madre.

«I tempi sono cambiati, ma. Non siamo più negli anni settanta» borbottò, mettendosi il cuscino dietro la testa che poi appoggiò al muro mentre la osservava scuotere il capo e sospirare.

«Prendi la medicina e mangia qualcosa, okay? E se vuoi farti un bagno caldo, chiamami che ti aiuto.»

«Mamma, no! Cazzo, che imbarazzo» il solo pensiero di sua madre che lo aiutava a lavarsi, lo fece diventare paonazzo dalla vergogna.

«Guarda che ti ho partorito io. So come sei fatto.»

Era consapevole del fatto che fosse la donna che lo aveva messo al mondo, ma l'idea che lavasse il suo corpo adulto era decisamente imbarazzante. Un conto era da bambino, ma ora era proprio fuori discussione. E poi non era mica infermo ― ce l'avrebbe fatta benissimo da solo.

«Sì, sì, mamma, ho capito ma rifiuto l'offerta.»

Helen alzò le mani in segno di resa poi gli ripeté ancora una volta di mangiare il passato di verdure, avvisandolo che se avesse avuto bisogno di qualcosa, lei sarebbe stata fuori in giardino e di chiamarla al cellulare ed infine uscì dalla camera del figlio sospirando. Lo aveva udito biascicare un «no, il passato di verdure no».

Lennon prese la pastiglia poi guardò con disgusto il passato di verdure e esalò un profondo respiro. Sapeva già che quella sbobba non gli sarebbe piaciuta per il semplice motivo che sua madre aveva usato il passato di verdure comprato al supermercato e messo nel congelatore. E a lui quella roba lo disgustava proprio. Non si poteva nemmeno paragonare a quello che cucinava sua nonna.

Osservò per qualche altro minuto quella brodaglia, storcendo il naso nauseato. Gli odori di quelle verdure stavano contaminando le sue narici con il loro sapore stomachevole. Per fortuna che nella sua stanza quegli odori schifosi non restavano impregnati per via del fatto che la finestra era semiaperta e l'aria continuava a cambiare. Se non fosse stato così, avrebbe dato di stomaco.

Lennon si alzò piano dal letto e a passo di bradipo si diresse verso il suo bagno perché voleva lavarsi la faccia, ma soprattutto i denti. E pisciare ― gli stava scoppiando la vescica.

Quando accese la luce, il suo viso stanco si riflesse nello specchio e quasi si spaventò nel vedere in che stato fosse. Per una notte che non dormiva bene, sembrava non lo avesse fatto per una settimana intera. Le occhiaie erano ben pronunciate e gli occhi erano spenti ― la sua lucentezza era stata eclissata dalla stanchezza. La pelle era priva di luminosità, secca e pallida. Le labbra asciutte e la bocca arida, come se non bevesse da giorni nonostante l'avesse fatto poco prima per prendere la medicina.

Avrebbe spaventato chiunque con quell'aspetto. Sembrava un morto che camminava.

«Okay,» sospirò «ho bisogno di darmi subito una rinfrescata al viso, magari così mi sveglio».

Una volta tornato in camera, sobbalzò dallo spavento perché con la coda dell'occhio aveva notato un'ombra nera entrare dalla finestra. Ma quando si voltò completamente verso essa, vide che quella macchia scura all'interno della sua stanza era Axel che lo stava fissando con confusione e un sopracciglio alzato.

«Lex» esclamò poi con gioia. Il suo volto tornò a risplendere e la stanchezza sembrò scemare per qualche secondo.

Il batterista fece due passi in avanti e così anche Lennon. Continuarono in quel modo fino a quando non si trovarono l'uno di fronte all'altro e a pochi centimetri di distanza. Axel allargò le braccia, un invito ad abbracciarlo e l'altro non si tirò indietro. Lennon ci si tuffò in mezzo e si fece avvolgere in quel caldo abbraccio, rendendosi conto di quanto gli fosse mancato quel contatto con Axel. Lui stesso poi portò le braccia dietro la schiena del batterista e lo strinse a sé ― non voleva lasciarlo andare perché temeva sarebbe sparito un'altra volta.

«Come ti senti?» gli domandò con apprensione, spostandogli una ciocca di capelli dietro ad un orecchio poi gli impresse un bacio sulla fronte calda e Lennon si sentì subito cullato da quelle coccole.

Avvolto in quella stretta gli sembrò di essere finalmente tornato a respirare. Si sentiva come se non avesse bisogno di nient'altro se non di Axel per andare avanti. E quel pensiero lo spaventò parecchio perché voleva dire che si stava innamorando di lui. Forse fin troppo in fretta.

Si era decisamente fregato da solo portando avanti quella strana relazione con Axel.

«Molto stanco. Sono felice che tu sia qui.»

Il corvino gli mostrò un tenero sorriso poi fece scontrare le loro bocche in bacio che trasmise tutto il bisogno che avevano di sentirsi uniti in quel momento. Lennon gli diede una raffica di piccoli baci mentre Axel si dedicò ad accarezzargli le guance con i polpastrelli e nel frattempo si godeva quelle attenzioni che aveva agognato da quando era tornato a casa sua e si era rinchiuso nella sua stanza pur di non vedere sua madre.

«Hai già mangiato?» glielo domandò a fior di labbra e il suo respiro gliele accarezzò.

Lennon venne pervaso da un brivido poi lo baciò ancora, «No, non mi va».

Axel gli diede un pizzicotto leggero sul naso che gli fece emettere un lamento e schioccò più volte la lingua contro il palato per niente felice di quella cosa, «Questa cosa non va bene. Neon, devi mangiare per rimetterti in forze».

«Ma il passato di verdura...»

Il batterista baciò la punta del suo naso poi fece scontrare le loro fronti e gli avvolse le braccia intorno al collo, «Fa schifo, lo so, ma devi mangiarlo».

In risposta, Lennon sbuffò e il suo respiro si infranse sulle labbra di Axel, dove comparve un sorrisetto furbo.

Aveva in mente qualcosa.

«Se vuoi ti imbocco io, bambinone» ridacchiò subito dopo, vedendo come, alla sua provocazione, il volto di Lennon assunse una sfumatura di rosso molto acceso.

«Scemo. Stupido. Cretino» mormorò in imbarazzo.

Stettero abbracciati per qualche altro minuto, cullati solamente dai respiri caldi che si mescolavano tra loro. Fu il brontolio dello stomaco di Lennon a farli separare tra un ridacchio e l'altro. Finalmente mangiò, anche se quella brodaglia continuava a fargli schifo. Axel lo imboccò per davvero, o almeno per prime tre volte poi Lennon aveva deciso di mangiare con le proprie mani perché pensava che tutto ciò fosse a dir poco imbarazzante.

«Posso chiederti delle cose su di te? Non so praticamente niente della tua vita» gli chiese Lennon dopo che Axel fu tornato dal bagno.

Gli era tornata in mente la conversazione avuta con sua sorella stamattina e ora che aveva l'occasione di provare a conoscerlo, non l'avrebbe persa. Nonostante tutto ciò dipendesse anche dalla volontà di Axel nel raccontargli della sua vita.

L'espressione di Axel mutò all'istante. Si era fatta più fredda, distante e seria. E le sue labbra si erano tese in una linea retta per il nervosismo. Ma annuì lo stesso. «Poi dipende se voglio risponderti o meno, ma fa' pure.»

Lennon incrociò le gambe sul materasso poi picchiò una mano su di esso per incitare Axel a fare lo stesso. Voleva che fossero l'uno di fronte all'altro mentre parlavano.

Una volta seduto sul letto, le molle cigolarono sotto a tutto quel peso. Axel lo guardò con serietà, ma dentro di lui si era formato un urgano di ansia e nervosismo che se lo stava mangiando vivo.

«Inizia pure.»

Lennon si inumidì le labbra più secche del deserto, «Non hai un buon rapporto con tua madre, vero? Come mai?»

Fantastico, incominciava già con quelle domande fastidiose.

Un alone di oscurità si posò sugli occhi del batterista mentre lasciava che dalle sue labbra uscisse un lungo sospiro che dimostrava quanto fosse difficile per lui aprirsi sulla sua vita orribile.

«Non...» si morse la lingua.

Era davvero pronto ad aprirsi con Lennon? Gli unici che sapevano veramente ogni aspetto della sua vita di merda erano Evan e Monica. Carter e Deacon erano a conoscenza di ben poche cose su di lui. Perciò ora era pronto a rendere quel ragazzo partecipe della sua vita, del suo opprimente passato composto da abusi? E se lo avesse patito? Lui non voleva la pietà di nessuno. Però anche Evan aveva provato compassione per lui all'inizio ma poi lo aveva aiutato, cercando in qualsiasi modo di tenerlo fuori da quella casa abusiva. Forse pure Lennon avrebbe fatto lo stesso. Non gli sembrava una persona apatica, anzi gli trasmetteva vibrazioni positive e sembrava anche molto empatico, perciò poteva provare a fidarsi di lui.

«Non ha mai fatto la madre, almeno con me. Con mia sorella è tutta un'altra storia» ammise dopo minuti di silenzio in cui si erano uditi solo i loro respiri. Quello di Axel, una volta immerso nei suoi pensieri, si era velocizzato secondo dopo secondo e ciò fece capire a Lennon che la sua vita non doveva essere stata facile.

«Sin da quando ero solo un bambino di pochissimi anni, mia madre non ha fatto altro che picchiarmi senza alcun motivo e ad urlarmi contro le peggiori cose, come il fatto che non sarei dovuto mai nascere o che sono una persona orribile, che mi odia, che sono la sua rovina e che non merito di vivere» continuò, la voce ridotta ad un sussurro spezzato.

Mentre raccontava del suo passato, sembrava essere diventato l'ombra di se stesso, perso in quei ricordi che non sarebbe mai stato in grado di cancellare dalla sua mente.

Lennon si tuffò su di lui con tutto il peso e Axel dovette aggrapparsi alle lenzuola per non cadere all'indietro, poi lo abbracciò più forte che poteva, affondando il viso nell'incavo del suo collo mentre cercava di nascondere gli occhi lucidi.

«Mi dispiace che tu abbia dovuto subire tutto ciò» sembrava sul punto di piangere.

Non poteva credere alle sue orecchie. Come poteva una madre trattare in quel modo il proprio figlio e per di più sin dall'inizio, dai primi mesi dello sviluppo della sua psiche? Come si poteva pretendere che una piccola creatura abusata non sarebbe cresciuta senza avere problemi comportamentali o mentali se tutto ciò che riceveva era odio?

La rabbia.

Quel sentimento cresceva nel corpo di un bambino abusato come un'edera velenosa e una volta diventato adulto non poteva fare altro che avvelenare anche chi lo circondava perché la rabbia era l'unica emozione che conosceva e che sapeva esprimere al meglio. L'unica cosa con cui era stato cresciuto e che credeva fosse giusta, che fosse la soluzione per ogni tipo di situazione.

E Axel era stato quel bambino, diventato un adulto arrabbiato col mondo intero ma bisognoso d'amore.

«Tu meriti di vivere, Axel, ricordalo sempre» Lennon gli prese il viso tra le mani e con gli occhi lucidi, gli mostrò un dolce sorriso poi fece scontrare le loro bocche in bacio pieno di affetto.

Axel si aggrappò alle sue spalle con tutta la sua forza e ricambiò il bacio mentre una lacrima gli solcava una guancia. Quelle parole, dette da Lennon, gli avevano tolto un peso dal cuore. Sentiva di aver appena trovato la persona giusta con cui condividere tutte le sue avventure e disavventure ― ovviamente senza metterci di mezzo l'amore.

Staccarono di poco le loro bocche, senza però allontanarsi e si sorrisero, completamente persi l'uno nello sguardo dell'altro. «Non dimenticare mai che hai persone che tengono a te quindi quelle orribili parole di tua madre eliminale completamente dalla tua mente e ficcaci dentro solo l'amore che i tuoi amici provano per te, che io provo per te» glielo sussurrò sulle labbra e il batterista venne travolto da brividi che gli attraversarono l'interno corpo mentre il suo cuore iniziò a battere impazzito nel petto.

Axel lo baciò ancora e ancora. Felice che per una volta avesse vinto il suo cuore e non la sua ragione. Se non fosse stato così, ora non si sentirebbe libero di mostrare nuovamente le sue vere emozioni a qualcuno. Le lacrime gli stavano bagnando le guance.

Tutto quello che desiderava era un abbraccio da parte di Lennon per sentirsi al sicuro.

«Ti prego abbracciami» lo supplicò, la voce incrinata dal pianto.

Lennon non se lo fece ripetere due volte. Gli avvolse le braccia dietro la schiena e lo tirò verso di lui, facendole finire completamente sul suo corpo, tant'è che si ritrovarono sdraiati sul letto stretti in quell'abbraccio goffo ma colmo di affetto. Prese a giocare con i suoi capelli corvini e udì il suo respiro farsi più calmo infrangersi contro il suo collo, dove poi ci depositò un bacio.

«Grazie Lennon.»

«Se hai bisogno di qualsiasi cosa, io ci sono, capito, Lex?»

Axel annuì piano, stampandogli un altro bacio, quella volta sul mento. Spero solo che non mi abbandonerai ora che ti sto aprendo il mio cuore, Neon.

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