Capitolo 17

Da quando passava il suo tempo a pomiciare con Lennon, Axel non aveva più litigato con nessuno, come gli aveva fatto notare Evan quel martedì mattina e un po' ne rimase sorpreso perché era vero. Tutto quello a cui aveva pensato in quei giorni erano stati due brillanti occhi verdi dall'espressione ammiccante, delle sottili ma invitanti labbra che adorava baciare e una chioma dal colore della ruggine in cui le sue mani si perdevano mentre gli lasciava delle carezze che proprio non aveva avuto voglia di sparire dalla sua mente. All'inizio averlo costantemente nei suoi pensieri lo avrebbe fatto infuriare come un toro (era già capitato da Monica) ma ora pensarlo faceva crescere in lui il desiderio di vederlo e di farsi possedere dal suo corpo massiccio.

«Terra chiama Axel!» una giovane mano comparve nella visuale di Axel e quest'ultimo finalmente tornò al presente, sbattendo più volte le ciglia lunghe e assumendo un'espressione stizzita perché la voce del chitarrista lo aveva distolto dai suoi pensieri su Lennon.

«Van ti ha fatto una domanda» borbottò Carter, bevendo un sorso della sua birra mentre osservava di sottecchi il batterista a cui era nato un cipiglio sul viso.

Axel gli lanciò un'occhiata torva poi gli mostrò il dito medio.

Dio, quanto non sopportava quel ragazzino.

Gli faceva venire l'orticaria. Gli dava fastidio il fatto che avesse una cotta per Monica e che quando litigavano veniva sempre difeso da tutti neanche fosse un bambino piccolo che non sapeva rispondere a tono.

Stava di fatto che non lo sopportava più del dovuto, ma dato che ci teneva alla band se lo doveva far piacere.

«Che mi hai chiesto, amico?» puntò lo sguardo su Evan e la sua espressione di totale compiacimento ― per cosa solo lui lo sapeva ― lo fece particolarmente innervosire.

Che aveva da essere così soddisfatto? Così fiero?

«Se la tua nuova conquista a cui non riesci a smettere di pensare è il ragazzo per cui ti sei preso una cotta... Moni ci ha accennato di questo tipo». Evan si stampò sulle labbra un sorriso beffardo per via di come il corpo dell'amico avesse reagito a quella sua domanda, irrigidendosi di colpo e assumendo un acceso colorito rossastro sulle guance. Ma Axel non si tirò indietro nel fulminare con lo sguardo la sua migliore amica che ridacchiò in imbarazzo.

Monica sapeva di averla fatta grossa, ma non aveva fatto a posta a farselo scappare. Semplicemente il gruppo era entrato nel discorso "fidanzati e fidanzate" e lei aveva raccontato di quel ragazzo che stava rapendo il cuore al suo migliore amico, dimenticandosi che Axel le aveva detto di non dirlo a nessuno.

Anche se Axel non voleva ammetterlo a se stesso, Lennon stava iniziando a piacergli sul serio e quella cosa lo terrorizzava perché non ce la faceva a pensare ad una relazione senza collegarla alla sofferenza. Quindi ciò che fece prima di rispondere a Evan, fu ingoiare quel nodo che lo stava soffocando perché non voleva tornare a com'era prima di aver rinchiuso i suoi sentimenti in fondo al suo cuore e stamparsi un'espressione di pura indifferenza sul viso pallido.

I suoi occhi grigi squadrarono l'amico con una tale freddezza che quest'ultimo percepì un brivido per nulla piacevole percorrergli la schiena.

Forse lo ho fatto incazzare, dannazione, pensò Evan, dandosi subito dell'idiota per aver risvegliato il pessimo umore di Axel.

«Fatti i cazzi tuoi» fu tutto ciò che uscì dalle sue labbra del corvino poi facendo spallucce, tornò a bere la sua birra.

In quel momento desiderò essere al pub di sua sorella per poter vedere e chiacchierare con Lennon, piuttosto che stare con quegli impiccioni dei suoi amici. Lo stavano facendo incavolare quindi aveva bisogno della sua pace, della sua tranquillità che riusciva ad assorbire solo stando insieme a Lennon.

«Andiamo al pub di Rose?» domandò infine al resto della band che lo guardarono come se avesse appena detto di aver ucciso qualcuno e occultato il cadavere poi annuirono, ancora scioccati da quella proposta.

Di solito Axel preferiva evitare il locale di sua sorella mentre ora era lui stesso che voleva andarci? Cosa stava succedendo?

«Come mai vuoi andare là? C'è qualcuno che vuoi vedere, eh?». Deacon rientrò nella conversazione con quelle domande che adirarono particolarmente Axel perché sì, anche se voleva vedere qualcuno, il fatto che i suoi amici continuassero a punzecchiarlo lo infastidiva parecchio. E tutto ciò perché Monica non era stata in grado di tenere la bocca chiusa.

In risposta al bassista, Axel gli sferrò un cazzotto in testa e subito dopo ricevette anche una sberla sulla nuca da Evan, come a volergli dire di tacere.

L'ultima volta che aveva avuto una relazione, tra parentesi di solo sesso, era durata meno di due settimana perché l'altro era saltato fuori col fatto che si fosse innamorato di lui e per quel motivo, Axel lo aveva lasciato di netto, dicendogli di non farsi più vedere e che non era interessato a qualcosa di serio.

Ma se Lennon di punto in bianco si dovesse dichiarare a lui, come reagirebbe? Gli direbbe le stesse cattiverie che aveva scaraventato addosso a Ben (se si chiamava così, non ricordava bene)? No, non poteva. Aveva bisogno di Lennon, ma allo stesso tempo non voleva innamorarsi perché l'amore portava solo rogne.

«Coglione» sibilò infine, alzandosi dalla poltroncina del locale in cui erano per poi avviarsi verso l'uscita, seguito subito dopo da Monica, Carter e un Deacon in piena fase mal di testa.

Evan era andato a pagare il conto. Oggi era il suo turno.

Ogni volta che uscivano insieme, pagava uno per tutti ― ovviamente solo se il conto rientrava nel budget di quella persona e in caso contrario, che venisse superato, gli altri aggiungevano ciò che mancava. Da anni ormai facevano in quel modo. Raramente pagava la stessa persona per due giorni di fila o durante la stessa giornata se uscivano più di una volta insieme. Come in quel caso. Evan aveva già dato la sua parte, ora toccava ad Axel pagare per tutti e anche se in quel momento non n'era particolarmente contento perché non voleva spendere troppo ma tenere i soldi da parte per andarsene di casa, lo avrebbe fatto.

Un patto era un patto.

E poi avrebbe fatto di tutto pur di andare a trovare Lennon.

«Chi guida?» domandò Monica civettuola mentre si arrotolava una ciocca di capelli con l'indice.

Il corvino sentendola parlare si ricordò subito di ciò che aveva spifferato agli altri e si incupì. Non aveva alcuna voglia di parlare con lei. Se non era in grado di tenere i suoi segreti per sé che diavolo di migliore amica era?

«Van. È l'unico che non ha bevuto» le rispose Carter, mostrandole un sorriso che lei ricambiò che alterò gli animi di Axel, il quale con uno spintone aggressivo si fece largo tra i due.

Meno li vedeva insieme e meglio stava.

Monica strillò con voce acuta, come il suono stridente di unghie su una lavagna poi si aggrappò con ostinazione al braccio di Axel, sporgendo in fuori le labbra carnose e mise su il broncio, nemmeno fosse una bambina piccola.

«Dai, non fare così, tesoro.»

Era tutto il giorno che Axel trovava Monica particolarmente asfissiante e noiosa, ma ora aveva proprio superato il suo limite di sopportazione e non ce la faceva più con lei. Forse era per quello che ne aveva evitata la compagnia per tutto il tempo, ma anche perché la sua mente era stata indaffarata a pensare a qualcuno di molto appetibile e che non vedeva l'ora di andare a trovarlo.

«Non rompermi il cazzo, Moni» il suo solo sibilare con un tono basso e inferocito quelle poche parole, bastò a far sì che la sua migliore amica si staccasse fulminea da lui. Il suo sguardo si riempì di terrore poi emise un sospiro di rassegnazione.

Lo aveva fatto arrabbiare spifferando il suo segreto. E per quel motivo, forse era meglio se lo lasciava stare fino a quando non si fosse calmato.

«Scusa tesoro» mormorò Monica dispiaciuta.

E per quanto odiasse discutere con lei, oggi proprio non riusciva a sopportarla. Tutto ciò lo portò a chiedersi che cazzo gli stesse succedendo. Non era mai capitato che la sua presenza, per quanto fosse assillante, gli facesse alterare gli animi in quel modo.

Forse era per colpa di Carter che le ronzava intorno come un cagnolino, pronto ad eseguire i suoi ordini. Aveva una gran voglia di picchiarlo in quel momento, dannazione, ma sapeva che Evan non gliel'avrebbe mai perdonato e sicuramente lo avrebbe cacciato dalla band nonostante l'avessero formata insieme.

Axel schioccò la lingua contro la lingua poi fece spallucce ed entrò nel furgoncino che il suo migliore amico aveva aperto prima di andare a pagare. «Sì, certo.»

«Possiamo andare» esordì Evan poco dopo, spostando all'indietro tutto il ciuffo colorato che mostrava un dito di ricrescita castana mentre faceva roteare le chiavi nell'indice con allegria, presto smorzata dalla tensione all'interno del furgoncino.

«Che cazzo è successo? Avete tutti una faccia, mamma mia.»

«Lascia perdere e parti che è meglio» replicò atono Deacon, il quale aveva assistito in silenzio alla classica scenata di Axel.

Axel grugnì stizzito. Evan invece alzò gli occhi al cielo ma proferì parola, anzi preferì mettere in moto la macchina e partire, accendendo un po' la radio per provare a smorzare l'insulsa tensione che c'era nella vettura.

✴✴✴

Non appena varcò la soglia del pub di Rose, la prima cosa che fece fu cercare Lennon con lo sguardo e lo trovò di schiena mentre preparava dei caffè per alcuni clienti. Notò subito che c'era qualcosa che non andava ― le sue spalle erano ricurve verso il basso, come se percepisse un peso addosso che lo stava schiacciando e si muoveva molto piano rispetto al solito.

Un cliente gli aveva trovato da dire? Si era beccato una ramanzina da parte di Timothy per uno sbaglio? Cos'era successo?

Lo raggiunse velocemente, lasciando che i suoi amici andassero a cercare un tavolo libero. Si sporse sul bancone. Ginocchia affondate nel sottile cuscino dello sgabello. Un braccio teso con una la mano appoggiata con forza sul legno di quercia per reggere il suo corpo. E l'altro braccio si allungò fino a sfiorare una spalla di Lennon con la mano.

Lennon si sentì picchiettare due dita sulla spalla destra. Sussultò leggermente e pensò al perché tutti fossero fissati con lui quando si vedeva lontano chilometri che non era bravo quanto Timothy ma poi quando si girò, pallido in viso, si tranquillizzò nel vedere chi era la persona che lo aveva chiamato.

La prima cosa che colpì Axel non fu tanto il dolce sorriso che gli dedicò Lennon, bensì il colorito della sua pelle che normalmente era roseo, ora era divenuto perlaceo. Sembrava il fantasma di se stesso.

«Neon, hai un aspetto orribile e sei bianco come un cadavere» il batterista gli accarezzò delicatamente una guancia. Le sue dita venne avvolte da tutto il calore che il viso dell'altro emanava.

Era chiaro che avesse la febbre, ma che si stesse sforzando di lavorare lo stesso.

Lennon chiuse gli occhi e appoggiò il viso nella conca della mano di Axel, abbandonandosi alle carezze che gli stava regalando. Il corvino stava creando piccoli cerchi con i polpastrelli mentre la sua mano libera andò ad intrecciarsi con quella del rosso. Le loro dita si abbracciarono strette e Lennon gli mostrò un sorriso di gratitudine.

Tutto questo con il bancone a dividerli e in mezzo a clienti che erano appena diventati i loro primi spettatori.

«Che hai combinato per prenderti la febbre?»

«La pioggia di oggi pomeriggio.»

«E che c'entra?»

«Me la sono presa in pieno. Ero in giro a piedi e di colpo mi sono ritrovato sotto l'acquazzone. Quando sono arrivato a casa ero zuppo ma mi sono dovuto mettere subito a lavoro. Un tubo del lavandino si è spaccato e c'era acqua dappertutto. Ho sudato moltissimo per colpa della pioggia che alla fine ha portato solo più afa e sono stato in mezzo all'aria corrente.»

«Stupidotto» Axel gli pizzicò il naso e Lennon sospirò pesantemente, «Devi prenderti cura di te stesso».

«Arrivo subito» mormorò un attimo dopo, sciogliendo l'intreccio delle loro dita per poi dirigersi verso l'ufficio di sua sorella.

Non era molto contento all'idea di dover parlare con Roselyn, ma Lennon stava male e aveva bisogno di tornare a casa per riposare perciò doveva fare uno sforzo e mettere da parte le loro divergenze per lui. Del resto non poteva lavorare in quelle condizioni.

Non stette nemmeno a bussare ― entrò come un uragano e sbatté con forza la porta alle sue spalle, facendo sobbalzare la sorella che stava sgranocchiando un pacchetto di patatine alla paprika.

«Axel!» esclamò con stupore lei. Non era da tutti i giorni vedere suo fratello varcare la soglia del suo ufficio di sua spontanea volontà o senza la compagnia di Evan quando si dovevano organizzare per i concerti al pub.

Axel roteò gli occhi per niente felice di doverci parlare assieme. Ma lo devo fare per Lennon, continuava a ripetersi nella mente ogni volta che pensava a fare retromarcia e ad andarsene da quell'ufficio.

«Ti devo parlare di una cosa» la sua voce era serissima.

Sua sorella annuì, mettendosi seduta in modo professionale, dato che fino ad un attimo prima era stata stravaccata sulla sua sedia poi intrecciò le dita sulla scrivania e scrutò il fratello con sguardo responsabile, «Dimmi pure».

«Lennon non sta bene. Ha la febbre e deve assolutamente andare a casa. Non può continuare a lavorare in quello stato.»

Lennon. Lennon. Lennon. Era l'unica cosa a cui doveva pensare. Doveva immaginarsi di star parlando unicamente con la capa di Lennon e non anche sua sorella per poter portare avanti quella conversazione senza litigare.

Gli occhi di un grigio più scuro di Roselyn strabuzzarono per lo stupore. Era scioccata dal fatto che a suo fratello importasse di qualcuno che non fosse se stesso. E per di più un suo dipendente.

Non li aveva mai visti chiacchierare tra loro perciò com'era che adesso gli stava a cuore quel suo lavoratore? Si era persa qualcosa?

«Allora?» Axel si stava spazientendo. Iniziò a picchiettare lo stivale sul pavimento mentre attendeva una risposta da sua sorella.

Lo stava facendo apposta a non rispondergli? Che intenzioni aveva? Lennon aveva bisogno di mettersi a dormire, non poteva farlo attendere oltre.

«Oh,» sbatté più volte le lunghe ciglia bionde, «sì, digli che può andare a casa e che se domani sta ancora male, di avvisarmi nel pomeriggio così mi organizzo con gli altri.»

«Sì, ciao.»

Uscì velocemente da quella stanza e una volta chiusa la porta alle sue spalle, si concesse un lungo respiro perché in qualche modo era riuscito a mantenere la calma, ma udì anche sua sorella mormorare il suo nome e poi mettere un lungo sospiro di rassegnazione.

Tornò da Lennon e lo vide parlare con quella che ricordò essere la figlia della donna delle pulizie, ma di cui non ricordava il nome ― non che gli importasse qualcosa. Sapeva solo che quella non gli andava a genio perché era chiaro avesse una cotta per Lennon.

Il suo corpo venne travolto da una gigantesca gelosia che lo portò a raggiungerli in mezzo secondo, ma quando incontrò lo sguardo stanco di Lennon, non riuscì ad arrabbiarsi ― sottolineando in quel modo quando si sentisse in rivalità con ogni ragazza che ci provava con lui ― ma desiderò solamente abbracciarlo più forte che poteva. Voleva regalargli delle carezze che era sicuro lo avrebbero fatto sentire cullato.

«Neon, prendi la tua roba che ti porto a casa. Ho già avvisato mia sorella di questo e mi ha dato l'ok.»

Lennon annuì fiacco poi tornò a guardare la ragazza e le disse che si sarebbero sentiti in settimana. Lei abbozzò un sorriso, annuendo tutta felice poi lo salutò con una mano, evitando a tutti i costi lo sguardo inacidito di Axel e si volatilizzò in mezzo alla calca di clienti che stavano aspettando di ordinare.

«Ti aspetto fuori» la voce di Axel arrivò gelida alle orecchie di Lennon e per quel motivo, quest'ultimo gli afferrò, con la poca forza che gli rimaneva in corpo, una mano e lo fece voltare nuovamente verso di lui, «Non essere geloso di Eliza, okay?».

Il corvino avrebbe voluto tanto non provare gelosia nei confronti di chiunque gironzolasse intorno a Lennon, ma proprio non ci riusciva. Aveva paura che una volta trovata la persona giusta, Lennon si sarebbe dimenticato della sua esistenza e non voleva perderlo perché era la sua pace.

In quel momento però, per tranquillizzarlo, decise di mentirgli, «Non lo sono, Neon. Ora però vai a prendere la tua roba».

Lennon gli sfiorò una guancia con la sua bocca, «Va bene» gli sussurrò infine a pochi millimetri dalla bocca.

Axel dovette trattenersi dal baciarlo davanti a tutti.

Quando Lennon uscì dal pub era l'una e tredici della notte e stava tremando dal freddo, nonostante facesse molto caldo e l'afa del pomeriggio non si era ancora dissolta del tutto nell'aria. Raggiunse a passo di lumaca il batterista che lo stava aspettando in macchina. Una volta dentro, venne subito avvolto dalle braccia lunghe e magra di Axel che lo abbracciarono e lo strinsero piano contro il suo petto.

«Se hai freddo, ti presto la mia felpa» gli sussurrò caldamente, baciandogli poi la fronte che scottava moltissimo.

«Sì, sto gelando» mormorò lui a denti stretti mentre uno spasmo di freddo gli fece vibrare l'intero corpo.

Axel gliela prese (si trovava dietro il sedile di Lennon) e lo aiutò a indossarla, ridacchiando leggermente quando lo vide tribolare con il foro per la testa. Gli stava decisamente stretta però almeno ora poteva riscaldarsi nella sua felpa.

«Va bene?» accese il riscaldamento e lo puntò verso Lennon. Lui stava sudando per il caldo afoso, ma non ne avrebbe fatto accenno per evitare che gli dicesse di spegnerlo. Non voleva che prendesse altro freddo.

Il rosso annuì, avvolgendosi le braccia intorno alla vita in un abbraccio solitario, «Grazie Lex» mormorò in un soffiò con le guance arrossate sia per la febbre che per tutta quella situazione.

Axel fiondò la sua mano destra nella chioma di Lennon e incominciò a lasciargli piccole carezze. Quando iniziò a sentire il suo respiro farsi sempre più calmo e rilassato ad ogni coccola, Axel capì che tutte quelle attenzioni erano particolarmente gradite.

Si stava sciogliendo per lui ― e probabilmente anche per la febbre.

«Adesso ti porto a casa e tu ti metti subito a dormire, capito?»

Lennon mugugnò un «sì» fiacco mentre chiudeva gli occhi, troppo stanco per portare avanti una conversazione con Axel e si addormentò di sacco.

Lennon finì a peso morto sul suo letto e le molle cigolarono con disperazione sotto al suo corpo, come se stessero chiedendo pietà, poi esalò un sospiro fiacco.

Axel era riuscito a trascinarlo fino al piano di sopra senza svegliare tutta la sua famiglia. Era davvero tardi e, Lennon era sicuro che se sua madre si fosse svegliata e lo avesse visto in compagnia di un ragazzo mai conosciuto, avrebbe fatto domande a cui non sarebbe stato in grado di rispondere per via del sonno che ormai si era impadronito del suo corpo. Era grato di aver avuto al suo fianco il batterista che lo aveva aiutato a fare il minor rumore possibile. Era certo che se non ci fosse stato lui a reggerlo, avrebbe ruzzolato giù dalle scale dopo appena quattro scalini perché proprio non riusciva a stare in piedi da solo.

Axel gli afferrò le gambe e gli tolse le Converse rosse che adagiò ai piedi del letto, «Che cosa usi per dormire? Un pigiama?».

«Voglio dormire con la tua felpa. Toglimi solo i jeans». Lennon trafficò col bottone dei jeans, facendo un'enorme fatica e quando non riuscì a slacciarli, esalò un altro sospiro, guardando con disperazione Axel come a volergli dire di pensarci lui.

Axel emise un ridacchio poi gli schiaffò via le mani, «Sei proprio un bambino» lo prese in giro mentre provava a togliergli a fatica i jeans, dato che Lennon sembrava non avere alcuna voglia di collaborare.

«Alza il culo» gli tirò una sberla su un ginocchio, «Forza, sennò ti lascio in questo stato» indicò il jeans calato di poco su una coscia mentre dall'altra parte era ancora intorno alla sua vita.

Lennon, con un adorabile broncio sulle labbra, eseguì gli ordini e finalmente l'altro riuscì a svestirlo.

«Dormi così?»

«Sì» biascicò, girandosi in pancia in sotto per poi strusciare il viso contro il cuscino e stiracchiare le gambe, emettendo un mugugno di sollievo.

Axel osservò con attenzione ogni singola mossa che commise e percepì le labbra tendersi in un sorriso affettuoso. Anche il suo sguardo era cambiato. Si era addolcito e mostrava quanto quel ragazzo gli stesse cambiando la vita con la sua sola presenza.

«Allora io vado» disse con dispiacere, coprendo con un lenzuolo nero l'enorme corpo muscoloso e dai peli rossi di Lennon.

«No» esclamò lui, aggrappandosi con entrambe le mani ai polsi di Axel che lo guardò stupito, «Ti prego, resta e dormi con me».

Il cuore del corvino ebbe un sussulto nel udire quanto l'altro avesse bisogno a sua volta della sua presenza.

Stavano diventando l'uno dipendente dall'altro.

Axel si liberò dalla presa di Lennon che lo guardò con tristezza, pensando ad un rifiuto. Poi con una mano andò a intrappolargli il naso tra l'indice e il medio e glielo strinse leggermente, cosa che ormai faceva di continuo, sorridendogli ancora e Lennon si sentì subito meglio.

«Va bene rompiscatole, ma posso cambiarmi prima?»

«Sul mio comodino c'è una maglietta pulita, indossala pure.»

Si cambiò in bagno e quando tornò in camera, Lennon avvampò nel vedere quanto Axel stesse divinamente con indosso solo la sua maglietta e con le gambe lunghe scoperte, dove adesso si potevano notare i tatuaggi che aveva. Da un teschio con delle rose sulla coscia destra al fiore di ciliegio insanguinato che girava intorno all'altra.

Lennon si chiese se avessero un significato preciso e se li aveva fatti solo perché gli piacevano i disegni.

«Non guardarmi in quel modo che hai la febbre e non posso farti niente di quello che vorrei.»

«Scemo» esclamò, coprendosi il viso paonazzo col lenzuolo. Si stava nascondendo per la vergogna di essere stato beccato a fissarlo. Ma anche perché Axel gli aveva fatto intendere che se non fosse stato malato, avrebbe voluto divertirsi con lui.

La cosa non gli sarebbe dispiaciuta affatto ma purtroppo aveva vinto quella dannata febbre.

Axel mosse pochi passi per raggiungere Lennon a letto. Gli si sdraiò accanto poi fece passare il braccio sinistro oltre la testa del rosso per fargli da cuscino, ma quest'ultimo preferì adagiare il capo sul suo petto e avvolgersi intorno al suo corpo. Un braccio a cingergli la vita, come se avesse paura che da un momento all'altro potrebbe andarsene.

Entrambi rabbrividirono a quel contatto piacevole.

Quando Lennon fece intrecciare le loro gambe, la folta peluria di entrambi puzzecchiò la loro pelle, ma non dissero nulla perché era veramente bello avere qualcuno con cui abbracciarsi in quel modo.

Dove tutto l'amore e l'affetto veniva trasmesso tramite quel semplice contatto. Quel semplice voler stare attaccato all'altro.

Lennon strusciò il suo viso sul torace di Axel, inspirando il suo buon profumo mescolato a quello dell'ammorbidente che usava per lavare i suoi vestiti, dato che indossava la sua maglietta. Mentre Axel si dedicò ad accarezzargli lentamente la testa e poi con il braccio libero, lo abbracciò a sua volta, trascinandolo quasi completamente sul suo corpo. Ora il viso lentigginoso di Lennon si trovava nell'incavo del suo collo e tutto ciò gli piacque poiché sentiva il suo respiro rilassato infrangersi contro la sua pelle in sospiro caldi.

E le loro gambe continuavano imperturbate a stare legate tra loro.

«Non hai sonno?» gli domandò il batterista, premendo poi le labbra nella sua chioma in un breve bacio mentre continuava a muovere lentamente il braccio avvolto intorno al suo corpo in affettuose carezze.

«Sì, ma se chiudo gli occhi e mi addormento, tu sparisci.»

Le parole di Lennon si schiantarono contro il collo di Axel in piccoli e continui soffi roventi che gli procurarono dei brividi che percorsero tutta la sua spina dorsale e gli solleticarono la pelle.

«No, rimango qui con te. Te lo prometto.»

Axel gli prese il viso tra le dita, lo alzò verso il suo poi fece scontrare le loro bocche in un tenero bacio che fece nascere velocemente sulle loro labbra un sorriso pieno di affetto.

«Ora però dormi.»

«È così bello avere qualcuno che si prende cura di me». Lennon tornò col viso sul petto del battere, i cui battiti cardiaci gli fecero da ninna nanna.

Axel si sforzò di sorridere ma la verità era che lui non aveva mai avuto qualcuno che si fosse preso cura della sua persona fino all'arrivo di Evan che gli aveva subito fatto da fratello maggiore nonostante avessero la stessa età. Sua madre non si era mai preoccupata troppo di curarlo durante la sua infanzia. Se non fosse stato per le poche volte che Roselyn si era ricordata di essere sua sorella, probabilmente sarebbe morto da bambino.

«Tu ti prenderesti cura di me?» la sua voce si incrinò mentre fece quella domanda.

Lennon tirò su la testa e allungando leggermente il collo, lo baciò a fior di labbra poi ridacchiò subito dopo, «Ovvio che mi prenderei cura di te, scemo».

Axel lo abbracciò in un impeto di gratitudine e lo strinse così forte al suo petto che l'altro iniziò a battere una mano sul suo braccio, «Lex, mi stai soffocando» rise ancora con voce strozzata mentre il suo viso diventava un tutt'uno con i suoi capelli.

«Mi sa che devo ammalarmi al più presto, così ti prenderai cura di me» lo lasciò andare, ma non smise di baciargli tutto il viso che stava divenendo sempre più rosso e bollente.

«Non dire scemenze.»

Axel sghignazzò. Gli baciò la fronte e Lennon sospirò rilassato poi tornò ad affondare il viso nel suo petto. Gli spostò i capelli dal viso e poi gli sussurrò di mettersi a dormire, con la promessa che sarebbe rimasto con lui. Nel giro di pochi minuti Lennon si addormentò, cullato dai battiti cardiaci di Axel e dalle sue carezza che non si fermarono fino a quando anche lui non cadde nelle braccia di morfeo.

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