Capitolo 02

Axel storse la bocca vedendo la risposta che quel pel di carota gli aveva dato. Sarebbe voluto uscire dalla macchina e andare da quel tipo per prenderlo a sberle fino a cancellargli quel sorrisetto, ma doveva contenersi. Era solo andato a prendere il suo pupillo preferito a scuola e gli aveva promesso che non avrebbe fatto alcuna scenata ― e lui le sue promesse cercava sempre di mantenerle.

Vernon si era già accomodato al suo fianco. Lo zaino giaceva sul tappetino dei sedili posteriori insieme a spazzatura risalente al pranzo da McDonald's di una settimana prima e altre cianfrusaglie che non ricordava nemmeno cosa fossero. Il cellulare in mano mentre scriveva con frenesia dei messaggi a qualche suo amico che aveva salutato meno di dieci minuti prima. E le gambe secche incrociate sotto al suo sedere avvolto da dei jeans neri.

«Chi era quel pel di carota?». Axel mise in moto la macchina e in automatico si accese anche lo stereo da cui partì Sickman degli Alice in Chains.

«Eh?», il ragazzino non aveva capito la domanda, troppo concentrato nello scrivere ai suoi amici che Lennon Keifer gli aveva rivolto la parola.

Vernon era il fratello minore del suo migliore amico. Era una delle poche persone con cui andava davvero d'accordo, anche perché spesso si divertivano a prenderlo in giro. Lo considerava il suo adorato fratellino e gli voleva molto bene. Una delle poche persone di cui si fidava.

Axel, in realtà, aveva una sorella maggiore, Roselyn, ma il loro rapporto non esisteva più. Non aveva deciso lui di ridurlo a solo litigi continui e a parolacce volate senza troppi pensieri, ma lei, lei con le sue scelte sbagliate e con parole dette col solo desiderio di ferirlo.

«Quello con cui stavi parlando un attimo fa. Alto, pel di carota.»

Gli occhi blu di Vernon si illuminarono, «Lennon Keifer! È il quarterback della squadra di football. Un tipo figo. Molto figo».

Il batterista si passò una mano nella folta chioma nero corvino e se li portò indietro, mettendo in risalto il viso pallido e aguzzo, poi schioccò la lingua contro il palato, indispettito.

Quel ragazzo già non gli piaceva per niente. Tutto questo perché aveva osato ribattere alla sua provocazione e perché Vernon lo aveva definito un figo e sembrava quasi avere una cotta per lui e ciò non gli andava bene.

Axel era molto possessivo e protettivo nei confronti di quel ragazzino. Non voleva vederlo soffrire per una stupida cotta e per di più per uno con i capelli rossi. Che schifo.

Era anche una persona molto irascibile. Tutti quelli che lo conoscevano, sapevano che bastava veramente poco per mandarlo su tutte le furie. Anche il solo tossire troppo vicino a lui poteva finire in tragedia.

Eppure...

Eppure con Vernon non riusciva ad arrabbiarsi. Era dolce, affettuoso e adorabile. Come poteva incazzarsi con lui? Era comunque convinto che se fosse stato un altro ragazzo e non Vernon che conosceva da quando era un bambino, a comportarsi con lui in modo affettuoso e amichevole così dal nulla, non lo avrebbe gradito affatto. Anzi, gli avrebbe detto chiaramente di girare al largo da lui.

Vernon era la sola eccezione.

«Più figo di me?»

Axel si era appena fermato ad un semaforo rosso e aveva voltato il viso verso Vernon poi alzò un sopracciglio, come a volerlo sfidare a rispondere qualcosa di diverso da «tu».

Il ragazzino si sporse verso di lui e gli schioccò un bacio a stampo sulle labbra poi appoggiò il capo sulla sua spalla e ridacchiò dolcemente, «Nessuno è più figo di te, fratellone».

Axel gli dedicò un sorriso soddisfatto, «Bravo il mio ragazzo».

Vernon era gay e il primo con cui si era confidato era stato proprio Axel. Gli aveva chiesto consigli e fu pure il suo primo bacio omossessuale. Il ragazzo chiese al batterista di baciarlo durante una notte che quest'ultimo aceca passato a casa Claybourne, più di tre anni prima e lui l'aveva accontentato, aiutandolo così a capire e ad accettare la sua omossessualità. Gli stette accanto anche quando fece prima coming out con Evan e poi con i loro genitori. Fu davvero tanto orgoglioso di lui.

Axel invece aveva capito di essere bisessuale all'età di undici anni ― si era preso una stupida cotto per un cantante, ma allo stesso tempo era stato follemente innamorato di Katy Perry e del suo seno gigantesco. I primi con cui aveva fatto coming out furono Monica e Evan, successivamente ― durante il primo anno di liceo ― lo fece sapere anche ai due restanti membri dei Voodoo Doll che, ovviamente, lo accettarono senza problemi.

Rose lo sapeva e non perché glielo avesse detto, ma per il semplice fatto che a sedici anni lo aveva beccato a letto con un ragazzo.

Non avevano mai propriamente aperto il discorso "omosessualità" e ad Axel andava benissimo così. Sua sorella doveva stare fuori dalla sua vita sessuale. Non voleva che si comportasse improvvisamente da sorella maggiore e che gli facesse la ramanzina su malattie e altre stronzate, quando non riusciva nemmeno a gestire la sua vita. Bastava Evan a fargli da fratello maggiore nonostante avessero la stessa età.

«Oggi che fai?»

Vernon arricciò le labbra teneramente poi alzò le spalle, «Non so... Forse mi guardo un anime o gioco un po' a Fortnite. Tu invece?»

«Io per prima cosa devo scorrazzarti a casa poi caricare Van che immagino mi stia già mentalmente insultando perché siamo in ritardo e insieme andare da Deaky. Oggi abbiamo la penultima prova prima di quello stupido ballo nella vostra scuola perciò è nervoso» borbottò Axel, già prosciugato dalla proprie energie all'idea di dover suonare in quella maledetta scuola.

Troppo brutti ricordi tornavano a tormentarlo quando ripensava a quel liceo, al suo primo anno in quell'inferno.

«Si innervosisce per niente. Io glielo dico sempre di stare calmo e invece lui si impanica e inizia a dire che smette di cantare, che non sa più come suonare la chitarra e blah, blah, blah. Mio fratello è un rincoglionito.»

Vernon imitò alla perfezione suo fratello quando blaterava in preda al panico ― muovendo le braccia e le mani come faceva lui, quasi non fossero parti del suo corpo ― e ciò scaturì la risata serena di Axel.

«Se ti sentisse Van...» ridacchiò il corvino.

Il moro fece spallucce, «Ma è la verità. Non puoi dire il contrario».

«Ora è meglio se accelero sennò tuo fratello mi ammazza se arriviamo troppo tardi, quindi tieniti forte, Vee.»

Proprio come aveva predetto Axel, Evan si era appostato fuori casa ad aspettarli con un evidente stato di collera che trasudava da tutti i pori. Le braccia tatuate piantate nei fianchi e un cipiglio severo ad increspargli il volto.

Evan Claybourne, nonché cantante dei Voodoo Doll e suo migliore amico dalla seconda media, era il perfetto esempio di papà apprensivo ― anche se il batterista per prenderlo in giro lo chiamava "mammina" ― che si preoccupava e si alterava per ogni cosa, persino per un ritardo di pochi minuti.

«Ve la siete presa comoda, eh» abbaiò rabbiosamente, posando il suo sguardo furente prima sul fratello e poi su Axel. Entrambi alzarono gli occhi al cielo.

Perché non si ficcava in testa che se a volte arrivavano in ritardo non era per loro volontà ma per via del traffico?

«Cinque minuti, Van... Cinque cazzo di minuti» brontolò Axel, uscendo dalla sua macchina.

Vernon mostrò il dito medio a suo fratello. Con lo zaino a penzolargli pesantemente da una spalla, entrò di prepotenza in casa, seguito dalle grida di rimprovero di Evan che gli si conficcarono un un orecchio e uscirono subito dopo dall'altro. Nemmeno lui ce la faceva con Evan quando si comportava in quel modo, come se avesse perso tutta la giornata per colpa di un loro piccolo ritardo.

«Tu sei una brutta influenza per Verni. Prima mi voleva bene mentre ora preferisce te» si lagnò Evan, toccandosi distrattamente il ciuffo, tinto da poco di porpora e lilla. I capelli del cantante erano talmente crespi per colpa delle continue decolorazioni e tinte che se li metteva in qualsiasi modo e posizione, persino rivolti verso il cielo, quelli ci restavano.

«Cazzate. Vernon ti adora, ma non quando fai la mammina rompiscatole.»

«Uno di noi dovrà pur essere quello responsabile del gruppo.»

«E anche il più cagacazzo.»

Evan gli diede un leggero spintone, «Ma fottiti, stronzo».

Axel, quel giorno, non era nevrotico come la maggior parte delle sue giornate-tipo. Purtroppo però se si fermava a pensare a quando dopo le prove sarebbe rincasato, incominciava a stringere i denti e a tendere i muscoli per il nervoso. Il solo pensiero di tornare in quella casa e di dover discutere per l'ennesima volta e per l'ennesima sciocchezza con sua madre, gli faceva venir voglia di dormire in mezzo alla strada piuttosto che vivere in quell'inferno, ancora e ancora.

Anche Evan parve accorgersi del suo temperamento più tranquillo, cosa che non era assolutamente da lui. O c'era da preoccuparsi sul serio, tipo bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all'altro oppure ringraziare chiunque lo avesse accolto in quella bolla di semi-tranquillità.

E l'unica persona che in qualche modo riusciva a rendere il suo amico meno nervoso era Monica.

«Come mai sei così tranquillo?»

Axel fece spallucce, «Notte da Moni».

Il cantante pensò: Bingo!

Tendenzialmente finiva nel letto di Monica quando non voleva tornare a casa sua. E la maggior parte delle volte non si limitavano a stare insieme a chiacchierare ― no, preferivano di gran lunga fare tanto sesso. Monica era stata la sua prima volta con una donna. Da quella prima volta di otto anni orsono, avevano continuato ad avere rapporti occasionali e alcune volte, forse per la maggior parte delle volte, ricercati dal bisogno di dimenticarsi dei loro problemi,

Si conoscevano da quando erano bambini. Il loro primo incontro si era svolto davanti all'entrata della scuola elementare (che faceva anche da medie) con una piccola Monica piangente perché non voleva che sua madre la lasciasse da sola e un piccolo Axel che volendo fare l'eroe, le aveva afferrato la mano e promesso che sarebbe diventato suo amico e che l'avrebbe protetta sempre. Le aveva detto cose che lui stesso avrebbe voluto sentirsi dire da qualcuno, almeno per un momento si sarebbe sentito al sicuro e non con la costante paura di tornare a casa.

Da quel primo incontro erano passati ben sedici anni e nonostante alcuni alti e bassi, tutt'ora erano ancora amici. Sì, quando avevano voglia di fare sesso, si usavano a vicenda ma a loro andava bene in quel determinato modo. Il loro rapporto, per entrambi, era perfetto così.

«Te le sei spassata con Moni, eh? Quindi non sei tornato a casa ieri sera?»

«Be', ovvio, è una bomba a letto» ammiccò verso l'amico, «E no, col cazzo che tornavo a casa dopo il modo in cui mi ha trattato quella stronza. Già al pensiero di doverci tornare stasera...» non finì la frase, ma Evan capì lo stesso dove voleva andare a parare.

Se Axel fosse tornato a casa, avrebbe finito col mettere le mani addosso a sua madre, come per tutta la sua vita lei aveva fatto con lui.

«Lo sai vero che la mia proposta è sempre valida e a tempo indeterminato? Se hai bisogno di staccare un po' da quella merda, viene a stare da noi. I miei ti adorano. Vernon è cotto di te e io ti voglio troppo bene per vederti in questo stato tutti i santi giorni.»

Il corvino abbozzò un mezzo sorriso, grato di avere Evan al suo fianco e pensare che nonostante tutti i litigi passati si consideravano ancora migliori amici e avrebbero fatto di tutto l'uno per l'altro.

«Grazie, ma non voglio essere un peso. ― passarono alcuni secondi poi tornò a parlare ― Andiamo o no? Non eravamo in ritardo un attimo fa?» il cambiò di discorso non passò inosservato ad Evan, ma evitò comunque di farglielo notare perché sapeva che se faceva così, significava che non voleva parlarne quindi lasciò stare.

«Cazzo, è vero!» esclamò il cantante, correndo poi verso la macchina dell'amico, «Muoviti, pirla» strillò infine, facendogli segno di darsi una mossa con una mano.

Axel sghignazzò, scuotendo il capo e pensò: Ah, Evan, quanto sei scemo.

✴✴✴

Axel premette il piede sul pedale e la cassa emise un suono aggressivo poi fece ruotare le bacchette per aria e una volta tornate nelle sue mani, le picchiettò con rabbia sui piatti che stridettero acutamente.

In quel momento era in un mondo tutto suo. Un mondo in cui tutti i suoi problemi sembravano scomparsi, sostituiti dai suoni dei piatti e dei tamburi della sua batteria. Fece rigirare tra le dita una bacchetta mentre con l'altra continuò a tenere il tempo, picchiettandola sul rullante. La testa incominciò a muoversi involontariamente avanti e indietro per tenere il ritmo e ciò fece sì che la sua lunga capigliatura oscillasse davanti al suo viso pallido e aguzzo. Gli occhi chiusi per assaporare meglio l'abbraccio di suoni creati da lui.

Era da tre ore che il gruppo stava facendo le prove per il concerto della sera dopo e tutti erano molto concentrati e attenti agli sbagli. Cercavano di fare meno sbagli possibile per il semplice fatto che ogni loro mossa passava sotto al controllo giudizioso di Evan, il quale anche per un mezzo errore gli obbligava a ricominciare il brano dall'inizio. Potevano lamentarsi quanto volevano, ma se Evan ordinava di ripartire da capo, loro lo facevano senza se e senza ma.

«Ax, non stai andando a tempo e questa composizione nemmeno esiste nel nostro repertorio» Evan iniziò a sbraitare, fermando in quel modo tutta la band, «Ti prego, non farmi sclerare. Fa' il tuo lavoro come si deve» si massaggiò la gola che stava chiedendo disperatamente dell'acqua mentre le sue corde vocali, invece, desideravano una lunga vacanza, magari di una o due settimane.

Il batterista smise di suonare dopo essere stato ripreso ancora una volta da Van poi sbuffò sonoramente e una ciocca di capelli corvina gli scivolò davanti al viso madido di sudore, «Sono tre ore che proviamo. Siamo stanchi. Io ho bisogno di una pausa, ma tu continui a rompere il cazzo per un mezzo sbaglio. Pensi davvero che qualcuno domani farà caso a Deaky se suona una corda sbagliata? No, cazzo. Saranno talmente presi da quel ballo del cazzo che la musica, la nostra musica, passerà in secondo piano per tutti» sbraitò paonazzo.

Si stava innervosendo parecchio. Il fare da maestrino di Evan stava superando ogni limite. Era stanco di continuare a risuonare lo stesso pezzo all'infinito perché qualcuno che fosse proprio Evan, o Deacon - il bassista - o Carter - il chitarrista solista - sbagliava una singola nota. O persino lui.

«Ma dobbiamo essere perfetti» il cantante posò il suo sguardo sul resto del gruppo e li trovò stanchi e affaticati che lo fissavano esasperati, «Ragazzi...» mormorò infine, scuotendo leggermente il capo.

Aveva finalmente capito che nessuno di loro aveva voglia di continuare a suonare per il momento. E anche se non voleva ammetterlo in quanto Leader, pure lui era molto stanco e ormai le sue corde vocali avevano raggiunto il loro limite per la giornata.

«Guarda Ax che anche tu continuavi a sbagliare, eh! Non solo noi» si imbucò Carter nella conversazione tra i due fondatori della band con quell'accusa. Per metà era veritiera.

Per le prime due ore e mezza aveva suonato in modo impeccabile, ma quando Evan aveva incominciato a tormentarli per avere la perfezione, si era stufato e aveva fatto un po' come gli pareva. Sì, lo aveva fatto di proposito, senza calcolare le conseguenze per tutti loro.

Axel lo inchiodò con un'occhiataccia così spaventosamente incazzata che al biondo si rizzarono i peli e i capelli dalla paura, sembravano aculei come la pelliccia di un riccio.

«Come, prego?» i denti cozzarono tra loro e la mandibola gli si contrasse, infuriato come un toro.

Il batterista riusciva a fatica a sopportare la presenza di Carter nella band. Forse perché era l'ultimo arrivato. Il loro vecchio chitarrista, Peter, aveva lasciato il gruppo due anni prima e in quel momento era entrato in gioco il giovane Carter. Evan lo aveva sentito suonare insieme ad una band in cui l'unico a ritmo era proprio lui e gli aveva offerto il posto vacante nei Voodoo Doll e ovviamente Carter aveva accettato.

Axel non l'aveva presa bene. Né la dipartita di Peter e tantomeno l'entrata in scena di quel tizietto che sin dal primo istante, in cui si erano scambiati un'occhiata, non gli era piaciuto.

Forse perché pensava di essere più intelligente di lui. Forse perché detestava il fatto che avesse una famiglia amorevole che sin da quando era solo un bambino lo aveva viziato con ogni cosa. Ecco, forse la cosa che più lo irritava di quel ragazzo era il suo essere capriccioso.

Voleva una chitarra nuova, i suoi genitori gliela compravano. Voleva un qualsiasi capo firmato, i suoi genitori glielo facevano trovare lavato e stirato sul letto. E se gli altri non gli dicevano che era il più bravo o se non gli davano ciò che voleva, si lamentava e piagnucolava.

Axel, non gradendo il rimprovero da parte del chitarrista, si tolse lo scarponcino sinistro, nero e rovinato e glielo scaraventò addosso, colpendolo sul viso. La sua testa schizzò con violenza all'indietro mentre dalle sue labbra fuoriuscì un gemito di dolore.

Lo stivale si schiantò al suolo con un suono sordo.

Per un attimo calò il silenzio nel garage e la tensione divenne palpabile nell'aria. Il batterista capì di aver fatto una gigantesca cavolata. Evan lo avrebbe ucciso.

«Ma sei impazzito?!» strillò il cantante, catapultandosi dall'amico che stava mugugnando dalla sofferenza con una mano a massaggiarsi la parte del viso colpita.

Evan gli domandò se avesse qualcosa di rotto ― ci mancava solo quello.

Carter scosse il capo per fargli sapere che non era niente di grave, poi puntò i suoi occhi furenti su Axel, il quale lo stava fissando a sua volta con una visibile soddisfazione a campeggiare sul suo viso.

Un sorriso sprezzante. «Non avrei voluto colpirti quella faccia da cazzo che ti ritrovi. Diciamo che mi sono lasciato andare e ho sbagliato mira. Se non mi avesse attaccato, tutto ciò non sarebbe successo, idiota.»

Se non ci fossero stati di mezzo i cavi, gli amplificatori, gli sgabelli e la sua batteria, Evan gli sarebbe già saltato al collo per dargli una lezione. Il cantante odiava quando Axel si comportava aggressivamente con loro perché non erano i suoi punching ball su cui sfogare tutta la sua collera e nonostante glielo avesse ripetuto un'infinità di volte, ancora si ostinava a trattarli in malo modo.

Era più forte di lui. Era una testa calda, come sua madre gli ripeteva costantemente. O una grande testa di cazzo, come invece preferiva Evan. E non poteva farci molto, anzi non riusciva proprio a controllarsi quando aveva quegli scatti d'ira.

Aveva molta rabbia accumulata dentro di sé e in qualche modo (che volesse o meno) esplodeva come una bomba atomica senza alcun preavviso, finendo col travolgere tutto ciò che lo circondava. Sua madre gli aveva detto più volte e con l'intento di ferirlo di proposito che aveva preso tutto il carattere di quella merda di suo padre. Padre che li aveva abbandonati poco prima della sua nascita. Un uomo che a detta di sua madre era un mostro violento che gli aveva rovinato la vita. E lui, Axel, glielo ricordava in tutto: aspetto e carattere. Quello era uno dei motivo per cui non riuscivano a stare nella stessa stanza senza litigare e per il quale la madre lo detestava, come se lui ne avesse la colpa. Non era stato Axel a scegliere di assomigliare a suo padre. Non aveva scelto da un momento all'altro di essere una persona con un carattere irascibile. Non aveva scelto niente. Aveva solo subìto ogni tipo di violenza da sua madre per via di un uomo che non aveva mai fatto parte della sua vita.

E lui era cresciuto. Era diventato adulto, circondato da una famiglia problematica e piena di abusi.

Che cazzo si aspettavano da lui? Che sarebbe diventato un buon samaritano che aiutava tutti con il sorriso stampato sulle labbra? Avevano sbagliato alla grande...

Un passato pieno di violenza, di costante senso di abbandono da parte di un padre che aveva scelto di non fare parte della sua vita e da un cuore spezzato nei peggiori dei modi da quello che credeva essere il suo per sempre, non creava certamente un angelo. No, creava una persona piena di problemi, complessi che sfogava attraverso la rabbia, i pugni, gli insulti e a volte ― anche se odiava ammetterlo ― nell'alcool.

Era sbagliato, ma Axel sapeva di essere un mostro incapace di controllarsi, proprio come gli gridava contro sua madre. Un mostro creato da tutto l'odio che gli era stato vomitato addosso da chi invece avrebbe dovuto amarlo.

«E sentiamo, quale parte del mio corpo avresti voluto colpire?». Carter digrignò i denti per la rabbia, ignorando il fatto che gli avesse appena detto di avere una brutta faccia. Axel era fatto così. Adorava prendere per i fondelli le persone.

«Le palle.»

«Sei un coglione.»

Axel alzò le spalle, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, «Me ne farò una ragione».

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