Capitolo 8: Friendship

«Charlotte, fermati.» Urlò una voce alle mie spalle, era Kendall, la riconobbi dalla sua voce squillante.

Corsi più velocemente possibile, ma era Kendall che mi stava seguendo, la migliore amica, colei che conosceva tutto di me, sapeva tutto di me, sapeva che quando volevo stare sola facevo così, sapeva che quando non volevo accettare qualcosa, scappavo. Ma io sapevo che, anche se scappassi fino in capo al mondo, mi avrebbe seguita. Mi fidavo di lei e se c'era una sua caratteristica che amavo, era il suo trovare della luce anche nell'oscurità. Lei trovava sempre un ombrello nella tempesta (metaforicamente parlando) , trovava un modo per farmi sorridere quando volevo piangere, mi prestava la sua spalla quando ero sull'orlo di una crisi isterica, mi dava della cretina quando facevo le mie battute squallide. Non mi lasciava in pace neanche quando glielo chiedevo, lei non sopportava i miei occhi spenti perché, a parere suo, gli occhi devono brillare per la felicità e non per le lacrime. Di certo non era la mia migliore amica a caso. Era stata la prima ad avvicinarsi, il primo giorno di scuola quattro anni prima, per chiedermi se il colore dei miei occhi fosse vero o indossassi le lenti a contatto colorate. Quando l'avevo vista avvicinarsi, avevo già pronta la risposta acida dando per scontato che mi avrebbe chiesto il mio nome, ma con la sua domanda scoppiai a ridere. Nessuno me l'aveva mai chiesto e non ricordavo ancora come avevo risposto, sempre se l'avevo fatto. Per quanto potesse essere brutto pensarlo, poiché non ero così con tutti ma solo con lei mi sentivo me stessa senza la paura di essere giudicata, solo con lei.

«Ora ti fermi, signorina.» Sentii avvolgermi il braccio destro e mi fermai di scatto. Davanti a me si piantò la figura di Kendall con un'espressione stanca, respirava faticosamente, tanto che dovette piegarsi in due e appoggiare le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. Io iniziai a prendere respiri profondi, così mi calmai.

«Alla fine, mi hai fermata tu.» Dissi, secca. Sentivo le lacrime ancora solcare le guance, non mi importava, sapevo che davanti a Kendall potevo piangere senza risultare debole.

«Vieni qui.» Mi tirò per il braccio e avvolse le sue braccia attorno a me, ricambiai l'abbraccio e quando poggiai la testa sulla sua spalla scoppiai, scoppiai in un pianto liberatorio, uno di quelli che mi facevano singhiozzare per un bel po' di tempo e per quanto provassi a calmarmi non ci riuscivo.

«Non ce la faccio più, Kendall, sono crollata. Non posso sopportare all'infinito.» Sussurrai, provai vergogna pronunciando quelle parole. Io non potevo crollare, stavo male era vero, ma non dovevo crollare.

«Non fa male crollare.» Sentii i suoi singhiozzi sulla mia spalla, bene entrambe eravamo in lacrime.

«Invece si fa male, tanto male, Kendall.» Dissi, stanca, triste, delusa. «Fa male...» sussurrai. Sciolse l'abbraccio e mi allontanò, mettendo le sue mani sulle mie spalle. Il suo viso era colmo di lacrime ed ero stata io la causa. Ancora una volta, la mia tempesta aveva travolto bruscamente le persone a cui tenevo.

«Ma stiamo parlando di te! Charlotte Hernandez che non ha mai pianto davanti a nessuno, non ha mai permesso a nessuno di spezzarti il cuore, hai sempre sorriso quando qualcuno provava a insultarti, hai riso dopo...che è morto James e l'hai detto a noi. Sentivo che quella risata era finta, lo facevi per non piangere, lo sentivo, l'avevo subito detto ad Aaron, Char non credere che siamo stupidi, smettila di nascondere le emozioni, le sofferenze, le delusioni e la tristezza. Io lo vedo, i tuoi occhi lo confermano. Char, vivi.»

«Non posso.» Urlai, cacciai le lacrime indietro. «Non posso e sai perché? Perché non merito di vivere e poi se morissi, chi piangerebbe per me? Molto probabilmente la mia famiglia e i miei amici, ma per quanto? Non voglio sopravvalutarmi e credermi chissà chi, ma per quanto soffrireste per la mia assenza? Un giorno? Un mese? Poi sarei solo un ricordo di una vita passata tra il dolore e la felicità. Sarei il nulla. Poi sarei la causa della distruzione. Sarei la fine della tempesta che ha devastato tutte le vostre vite. Sarei semplicemente...il nulla.» Mi allontanai da lei e alzai le braccia verso il cielo.

«Se morissi, una mia parte morirebbe con te. Sei la mia migliore amica, mia sorella, sei tutto ciò che mi rimane oltre Aaron, io senza di te sono persa, Char. Persa. Tutti mi hanno sempre abbandonata, a partire da mio padre, mi ha lasciata sola, mi ha lasciata crescere in questo mondo infame, sadico, giudicatore da sola, senza essere mai presente, facendomi sentire un errore. Tu con le tue risposte acide, con i tuoi sorrisi sinceri, i tuoi occhi, i tuoi modi di fare, il tuo modo di essere te stessa senza provare vergogna, il tuo modo di mostrare il dolore, mi hai aiutata. Mi hai salvata. Mi stai crescendo, Char e non dire mai e dico mai più che saresti il nulla perché tu sei semplicemente tu e non sei per niente una tempesta, non sei un errore, non sei la distruzione anzi sei la mia distrazione, la migliore distrazione che potesse capitarmi, si perché tu, tu con il tuo essere misteriosa, mi hai distratta dal dolore, dall'abbandono. Certo, non potrai mai colmare il vuoto che ha lasciato mio padre, però mi hai distratta, mi hai distratta dalla ricerca della soluzione al dolore. Quindi, Char, non pensare minimamente e neanche lontanamente che non sei importante e tutte quelle cazzate che spari perché non è vero, sono stata chiara?» Era in lacrime, ma mi puntava un dito contro con fare minaccioso.

«Non sei stata chiara, sei semplicemente stata tu, sei semplicemente stata Kendall e superi il limite della chiarezza.» Dissi e l'avvolsi con le mie braccia.

«Okay ora asciughiamoci queste cavolo di lacrime e torniamo indietro.» Disse, allungandosi e portandosi una mano sul viso, affrettando ad asciugare le lacrime, fece una strana espressione un misto tra sorpresa e scioccata per evitare che togliesse definitivamente il trucco. Scossi la testa divertita e asciugai ciò che rimaneva delle mie lacrime.

«Sono d'accordo con la prima parte, ma la seconda no, cioè non mi va di tornare da loro.» Dissi, e la tirai per il braccio senza darle il tempo di ribattere, iniziando a correre sopra la neve lungo le strade di New York, lasciando alle spalle i brutti ricordi, c'era sempre la stessa atmosfera natalizia e c'erano delle bancarelle lungo le strade, in cui si vendeva di tutto, c'erano diversi decori natalizia che addobbavano la parte esterna dei negozi, gli alberi, anche i semafori, notai divertita. Nonostante l'orario, c'erano ancora famiglie che camminavano mano nella mano, sorridenti, ragazzi con i skateboard sotto il braccio, macchina sfrecciare lungo le strade, feci notare a me stessa che New York era la città che non dormiva mai e, in quel momento, era proprio la verità.

« Ci prendono per mongoloidi.» disse divertita la rossa, la ignorai e feci lo slalom tra le persone, per poco non finii addosso un bambino con una lecca lecca gigante in mano, appena mi allontanai scoppiai a ridere, ricordando la sua faccia spaventata.

«Sei....crud- aspetta fammi respirare...crudele!» Disse affannata Kendall, ci fermammo davanti una pasticceria, aveva la saracinesca abbassata, in cui sopra c'erano diverse scritte colorate e segni volgari, così ci appoggiamo lì, il mio cuore batteva all'impazzata, mi piegai in due per recuperare aria, poggiai le mie mani sulle ginocchia.

«Perché hai iniziato a correre?» Chiede Kendall, dopo vari minuti in cui echeggiavano solamente i nostri tentavi di ritornare a respirare normalmente.

«Solo per il gusto di farlo.» Risposi alzando le spalle con nonchalance, lei chiuse le palpebre e le aprì girando la testa lentamente verso di me, il suo sguardo diceva:ora sei morta. Iniziò a camminare verso di me, io iniziai a indietreggiare sorridendo divertita.

«Ricorda che sono la tua migliore amica.» Continuai ad indietreggiare alzando le mani in segno di resa, lei continuo ad avanzare e mi puntò un dito contro.

«Questa mattina avevo fatto lo shampoo.» Per poco non urlò, indicò i suoi capelli ricci, la solita esagerata.

«Che tragedia.» Urlai abbassando le braccia, scioccata, ma nello stesso tempo divertita.

«Ma che c'en...» si interruppe. «Odio quando mi prendi in giro.» Affermò divertita, fermandosi e guardandosi attorno.

Il cimitero non era in un posto sperduto, anzi  non molto lontano c'era un parco in cui c'era anche un grande lago.

«Gli altri saranno preoccupati, fammeli chiamare.» Disse, prendendo il cellulare.

«Non ti ho detto di non chiamarli.» le feci notare. «Digli di andare al parco, saremo lì tra poco.» Dissi e inizia a camminare, fui affiancata immediatamente da Kendall. Non potevo darle torto, dovevamo avvertirmi, anche se non mi andava di stare con loro.

«Okay, ci vediamo lì, ciao amore.» Disse e si allontanò il cellulare dall'orecchio, guardò lo schermo per svarianti minuti rischiando di scontrarsi contro un palo della luce, se non ci fossi stata io, probabilmente sarebbe finita con avere un bernoccolo in testa.

«Che è successo dentro il cimitero?» Chiese Kendall, posando il telefono in tasca.

«Parliamone dopo, per favore.» Dissi, accelerando il passo.

«Vuoi fare un'altra corsa, per caso? Se ti devi allenare per una maratona fallo con qualcuno che non sia io.» Disse, alle mie spalle, scoppiai a ridere e rallentai.

«Certo ridi ridi.» Disse, ma sentii che rideva. Intravidi il parco, che era aperto a tutte le ore, arrivammo nello stesso momento in cui una macchina parcheggiò davanti l'ingresso, da lì scesero tutti i miei amici. Brandon corse ad abbracciarmi e io lo lasciai fare.

«Scusami, non avremmo dovuto farlo.» Sussurrò tra i miei capelli, mi si strinse il cuore sentendo quelle parole. Cavolo, non volevo farlo sentire in colpa. Non c'era sensazione più brutta di sentirsi inutile, in una situazione.

«Non è colpa vostra.» Sussurrai, sentii la mano di qualcun altro sopra la mia schiena e appena parlò lo riconobbi.

«Hai ragione, è colpa di papà.» Disse Aaron, mi allontanai da Brandon e desiderai non averlo fatto per due motivi: 1) tutti mi guardavano con una pietà negli occhi, che mi fece arrabbiare. 2)  le braccia di Brandon mi stavano riscaldando.

«Non guardatemi così, mi fate salire il crimine. Andiamo a vedere il lago, in questo momento sarà bellissimo.» Dissi e notai che non c'era Jackson, fui felice solo di quello.

«A proposito di ora!» Urlò Kendall sbattendosi una mano sulla fronte. «Auguri idioti.» Urlò allargando le braccia e sorridendo, enfatizzando la felicità. Sorrisi per davvero, poi ricordai.

Era la vigilia di Natale.

Il sorriso mi morì sulle labbra. Il 24 Dicembre non era solo la vigilia di Natale, il 24 in sè aveva un significato tutto suo, il 24 era la data in cui era morto James. Aveva fatto sette mesi che era volato via. Un'altra stretta al cuore mi fece irrigidire.

«Che idiota, Dio mio.» rise Aaron, anche la sua risata si spense quando incrociò il mio sguardo.   Mi sentii nuovamente in colpa, non l'avevo neanche salutato quando mi ero seduta davanti la sua lapide. Non gli avevo fatto gli auguri.

«Quando si dice cavalleria, eh» disse divertito Noah, invidiai per un attimo la loro spensieratezza. Guardai tutti, Noah che con i suoi occhi nocciola era riuscito a catturare lo sguardo felice di Krystal, entrambi amanti della vita. Guardai Chanel che, nonostante la sua acidità, era riuscita ad amare Brandon, loro che prima non avevano mai provato a farsi piacere, ci avevano provato solo per attirare l'attenzione dell'altro. Guardai Aaron che era riuscito ad amare Kendall e lei amare lui in maniera quasi distruttiva, ma nello stesso tempo erano stati l'ancora dell'altro/a. Infine guardai il vuoto, colui che regnava dentro di me. 

Distolsi immediatamente lo sguardo quando Aaron scroccò, davanti a me, le dita.

«Auguri anche voi.» Dissi frettolosamente, mi girai ed entrai nel parco, camminai lungo il sentiero fortunatamente pulito dalla neve, il sentiero era addobbato da panchine e contenitori per i rifiuti, ai lati c'erano alberi l'uno accanto all'altro come se volessero riscaldarsi nonostante tutti fossero nudi, mi fermai quando il sentiero si apriva in una pazza e  vidi il lago congelato, davanti a me c'era un'immagine meravigliosa, al centro padroneggiava un lago ghiacciato, attorno a lui la neve che copriva alberi svestiti dalle proprie foglie,il tutto illuminato lievemente da due lampione messi da entrambi i lati. La luce era lieve ma pur sempre luce era, mi sedei vicino il lago, mi congelai all'istante, rabbrividii e mi strinsi nel giubbotto. Le coppie si sedettero  vicine a me, eravamo tutti distanti tra noi, i ragazzi abbracciarono le ragazze e in quel momento trovai un aspetto negativo dell'essere single: non c'era nessuno con cui potevi far sentire una merda le single.

«Avrei preferito ci fosse Jackson, almeno non sarei stata l'unica sfigata single.» Dissi, divertita portandomi le ginocchia al petto.

«Certo, si sente la mia mancanza.» Mi girai e vidi Jackson con le braccia allargate e un sorriso arrogante.

Che palle.

«Da dove spunti?» Chiesi, confusa. Potevo giurare di non averlo visto pochi minuti fa.

«Dalla macchina, strano che non mi abbia notato, cioè sono brillante.» Si avvicinò e si sedette accanto a me, mi allontanai istintivamente. «E dai, dovrei essere io quello arrabbiato con te. Mi hai completamente usato.» Disse e allargò le braccia, come se volesse abbracciare l'ambiente.

«Tu di brillante hai solo la collana attorno al collo.» Dissi, indicando la sua collana di argento in cui c'era un ciondolo di una mezza luna. «Perché stai allargando le braccia?» Risi, non volevo abbracciarlo.

Evitai di rispondergli, non mi andava proprio di litigare con lui e, tra l'altro, in parte era vero.  L'avevo usato. Pensavo che potesse essere la mia distrazione, pensavo che potesse aiutarmi a superare quel momento poi capii che tutto doveva partire da me ed io avevo deciso di sopravvivere con il senso di colpa, quindi mi sembrava inutile continuare a stare con lui.

«Un abbraccino al capellone, non lo dai?» chiese dolcemente, anche se l'espressione del suo viso era divertita. "Capellone" era il soprannome che gli avevo affidato io quando l'avevo visto la prima volta.

Risi, poi diventai seria. «Scordatelo.» Sorrisi falsamente. Alzò gli occhi al cielo divertito e abbassò le braccia.

«Ci pensi se stessimo ancora insieme?» Chiese, pensieroso e guardò il lago.

«I pensieri negativi altrove.» Risposi, freddamente. I miei occhi volarono tra il sentiero, era illuminato lievemente così come il resto del parco e c'erano alcune panchine ricoperte dalla neve, misi a fuoco la vista e giurai di aver visto un movimento, veloce ma pur sempre un movimento.

«Addirittura!» Esclamò ma io ero già in piedi, camminai lungo la riva del lago fino ad arrivare dalla parte opposta, tra gli alberi c'era un movimento. Attirai l'attenzione degli altri, passandogli accanto.

Poteva essere un animale. Ma c'era qualcosa che mi spinse ad alzarmi e saperne di più, qualcosa comunemente definita curiosità.

«Cosa fai?» Chiese Jackson mettendosi accanto a me, mi avvicinai di più e anche da quella distanza la scena era ben visibile: un ragazzo a terra e due ragazzi accanto a lui che gli davano calci. Sentii un formicolio salire dai piedi fino ad arrivare alle mani, si trasformò subito in adrenalina. Jackson seguì il mio sguardo e afferrò il braccio ma mi strattonai dalla sua presa.

«Charlotte, non ti immischiare, non ti riguarda.» Ma io stavo già andando verso di loro con un passo svelto.

«Mi immischio eccome.» Urlai in preda alla rabbia. «Brutti bastardi di merda.» Urlai, attirando la loro attenzione, tra l'altro, il mio timbro di voce era uscito abbastanza alto da echeggiare intorno a me. Erano incappucciati, indossavano delle felpe nere e ormai ero quasi di fronte a loro,  entrai nell'area in cui padroneggiavano solo alberi che, tra l'altro, era vietata calpestare.

«Che c'è signorina, ti sei persa?» Chiese un tizio, che iniziò ad avvicinarsi a me.

«Oh no, sono venuta a riportarvi il cervello che avete perso per strada, stronzi.» Lanciai un'occhiata veloce al tizio a terra, si dimenava e aveva un braccio all'altezza della pancia.

«Vuoi giocare, per caso?» Il tizio che si stava avvicinando, estrasse un coltello dalla tasca.

«Si dai, giochiamo tutti violentemente.» Disse qualcuno alle mie spalle, Aaron. Sorrisi perfidamente e feci un'espressione per sfidarli. Fui affiancata dai ragazzi, mi sentii carica di adrenalina come non mai. Il tizio che stava avanzando, indietreggiò, aveva gli occhi spalancati, riuscivo a vedere vagamente i suoi lineamenti duri e giovani, si girò fece un segno al complice, il quale annuì e disse al ragazzo a terra, con la sua voce roca:

«Non finisce qui, bastardo.» Poi iniziò a correre, con l'altro e in poco tempo sparirono tra gli alberi.

«Viglia-» provai ad urlare ma Aaron mi mise una mano sulle labbra.

«Basta Charlotte, che ti salta in mente? Di fare l'eroina da sola? Se non ci fossimo stati noi cosa avresti fatto?» Urlò arrabbiato Aaron, ma io tolsi la sua mano dalla bocca e corsi dal ragazzo, mi abbassai e notai che aveva smesso di dimenarsi, ma aveva gli occhi aperti. Respirava affannosamente, mi fece pena, ma nonostante i vari lividi presenti sul suo viso, un graffio sul labbro inferiore, il sangue che gli circondava varie parti del viso, lo riconobbi. Lo riconobbi dai suoi occhi scuri, il suo sguardo magnetico e misterioso. Era senz'altro lui.

«Sei venuta a salvarmi, Diamante?»




My little space.

Ad essere sincera, questo capitolo è pronto da cinque giorni ma non ho avuto il coraggio di pubblicarlo poiché sentivo e sento che manca qualcosa, tuttavia ho deciso di pubblicarlo per un semplice motivo: più aspettavo, più molto probabilmente, avrei deciso di eliminare il capitolo. Per il resto non ho molto da dire, però non posso non ringraziarvi. Grazie infinitamente per tutto! Vi adoro infinitamente.

Baci e al prossimo capitolo. A.💘

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