Capitolo 34: Goodmorning, Diamond

Ero distesa a pancia sotto, la mia faccia era completamente schiacciata contro il cuscino ed ero volta verso destra, una mano si trovava sotto il cuscino e l'altra sul petto del mio ragazzo, inoltre le nostre gambe erano aggrovigliate tra loro, biascicai qualcosa ma non arrivò chiaro neanche a me la parola, aprii lentamente le palpebre vedendo il profilo di Colton dato che, a differenza ma, si era addormentato guardando il soffitto e sussurrando che doveva rimediare e doveva procurarmi un "cuoricino", non mi ero addormentata immediatamente anzi ero stata fino alle tre al telefono con le ragazze e mia zia Katherine che, nell'udire la notizia e la mia voce spaventata, non aveva perso tempo ad avvertire mio zio e mandare una squadra nelle vicinanze ma, ovviamente, era già scomparsa. Ad un certo punto, dopo essermi assicurata che tutto fosse chiuso e aver parlato con Cassie per sapere se da lei fosse tutto okay, ero stata afferrata da Colton e buttata sul letto, eppure non fece altro che stringermi tra le braccia e sussurrarmi che dovevo riservargli un posticino. Nonostante la puzza dall'alcool, mi accoccolai su di lui e mi addormentai. Non sapevo che ora fosse e ne quanto avessi dormito, ma sapevo di dovermi alzare. Mi misi a sedere, dopo essermi liberata del braccio di Colton che stringeva il mio collo, e mi stiracchiai. Mi alzai e controllai le notifiche del mio cellulare e con grande delusione lessi che non avevano trovato Krystal, caddi nuovamente sul letto sentendo le forze abbandonarmi dovuto allo scoraggio e mi voltai a guardare Colton. In quel momento pareva così tranquillo che svegliarlo mi metteva in soggezione, così mi limitai ad allungare la mia mano e stringerla con la sua. Quel giorno avevo un brutto presentimento, lo stomaco era sottosopra e quando strinsi la mano di Colton parve calmarsi. Era tremendamente vero che Colton non solo era la causa delle mie ansie ma era che il mio tranquillante, come poteva una persona essere due cose completamente opposte tra loro?
Sentii che la stretta fu ricambiata, così intuii che Colton si fosse svegliato e quando alzai lo sguardo su di lui, vidi che mi guardava preoccupato.

«Buongiorno». Sussurrai, con la voce tremolante. Ero demoralizzata e tutto ciò che avevo bisogno era che Krystal venisse trovata. Solo quello.

«Buongiorno Diamante». Colton si mise a sedere attirandomi verso di lui e stringendomi in un abbraccio, non ricambiai, stetti per interminabili secondi ferma rannicchiata sul suo nudo petto beandomi di quelle coccole mattutine. «Come stai?». Sussurrò, baciandomi la festa.

«Bene, tu come ti senti?». Mentii, non mi andava di parlarne. Non mi andava di preoccuparlo di più.

«Non ricordo nulla di ieri sera se non una cosa: delle mie battute riguardo i cuoricini. Tu dici che te l'ho dato? Sai, sei tra le mie braccia anziché prendermi a colpi di borsa». Non poteva ricordarsi di Krystal perché appena entrato in auto era crollato in un sonno profondo e in hotel parlava tanto. E non me la sentivo di dirglielo in quel momento ma sapevo di doverlo fare. Scoppiammo a ridere ma ricordando ieri sera gli diedi una manata sul braccio.

«Non mentire la prossima volta». Gli raccomandai, alzando lo sguardo e facendo unite le nostre labbra in un dolce bacio.

«Neanche tu dovresti farlo, come stai, Diamante?». Sussurrò sulle mie labbra, stringendomi più forte.

«Non è quello che importa, in questo momento». Replicai sussurrando, accarezzandogli i capelli.

«Per me, lo è». Mi confidò, facendomi sorridere leggermente. «Per me, tu sei importante».

«Anche tu». Riuscii a dire, allontanandomi da lui. «Devi sapere una cosa». Annunciai, sedendomi e dandogli le spalle. Era vero che non me la sentivo, ma se non fossi stata io gliel'avrebbe detto un'altra persona, quindi dovevo farcela. Come sempre.

«Certo, Diamante, dimmi». Si mise accanto a me, mettendo il braccio attorno al collo. Io guardavo le mie mani ma non trovavo il coraggio di guardarlo negli occhi mentre lui guardava il mio profilo. «Non dirmi che ieri abbiamo fatto l'amore e non lo ricordo!». Sentenziò, sbarrai gli occhi alzando lo sguardo.

«Ma sei coglione?». Notai che stava osservando le lenzuola. «No, guarda non rispondere, so già la risposta».

«Hai ragione, le lenzuola sono pulite». Affermò togliendo il braccio e scrollando le spalle.

«Chi ti assicura che io sia vergine?». Domandai, divertita nel vederlo sbarrare gli occhi. Effettivamente ero vergine ma dove l'aveva capito?

«Non lo sei?». Deglutì nel domandarlo, feci l'indifferente, scrollando le spalle e facendo l'espressione di una che la sapeva lunga. Sbarrò nuovamente gli occhi. «Non dirmi che è stato con Jackson, ti prego ti sarai rovinata la prima volta!». Feci un'espressione offesa per scartare quella specie di domanda. «Un tizio che non ricordi?». Scrollai le spalle, indifferente. E Colton assottigliò lo sguardo. «Tu sei ancora vergine invece, altrimenti tuo fratello Aaron sarebbe in galera».

«Chi ti assicura che lo venga a sapere Aaron?». Chiesi, scioccata nascondendo il divertimento.

«Ho appena ideato una teoria: mettiamo caso, non fossi più vergine, avresti dovuto farlo in qualche posto, mettiamo che eri ad una festa, hai deciso di darla ad un tizio e così andate a casa sua, passi la notte lì, il giorno seguente Aaron e Brandon ti cercano, ti trovano da quel tizio, nuda e Aaron picchia a sangue quel ragazzo». Spiegò la sua teoria, orgoglioso. Spalancai la bocca, scioccata.

«Ma tu sei mentalmente instabile! Peggio di Aaron». Commentai, avvicinandomi alla finestra. Colton scoppiò a ridere.

«Allora? Lo sei?». Presi un cuscino posto sotto la finestra e glielo lanciai, decidendo che quella sarebbe stata una specie di risposta. Colton prese il cuscino e fece un'espressione ferita. «Mi hai appena spezzato il cuore». Dichiarò, facendomi roteare gli occhi divertita.

«Un po' di colla lo rimette a posto». Sentenziai, sedendomi sotto la finestra. «Colton, sul serio...». Mi interruppe.

«Non sei vergine?». Riprese quel discorso, facendomi sbuffare.

«La prossima cosa che ti spezzo sarà un braccio». Dichiarai, sorridendo maleficamente. Colton si era alzato e si stava dirigendo verso di me ma, nell'udire le parole, indietreggiò.

«Risolviamo la situazione dall'avvocato, che dici?». Scoppiai a ridere nell'udire il suo quesito e gli feci il medio, alzandomi e facendolo indietreggiare alzando le mani in segno di resa. «Sei proprio uno scemo». Dichiarai, divertita.

«Io sono diversamente intelligente». Scrollò le spalle, avvicinandosi a me lentamente. Una volta giunto davanti a me, mi prese la mano e mi fece fare una giravolta. Azione sbagliata con una ragazza che si era appena svegliata e non aveva mangiato. Ma decisi di non commentare, circondandogli il collo con le mie braccia.

«Ieri abbiamo visto Krystal». Decisi di buttare la bomba e lasciare che l'energia si espandesse in tutta la stanza, metaforicamente parlando, eppure, Colton fece uno balzo indietro che mi fece fare due domande riguardo la forza delle mie parole.

«Voi, chi?». Domandò, strabuzzando gli occhi e grattandosi la nuca, la serenità che aveva negli occhi era scomparsa e ciò mi fece sentire in colpa non una volta, ma due.

«Noi». Risposi, abbassando lo sguardo e mettendo una mano sul fianco.

«E io cos'ho fatto?». Chiese con un velo di rabbia a coprire gli occhi.

«Tu dormivi, io, Cassie e Gabriel siamo saliti in auto e siamo andati via. Ho già parlato con mia zia, non l'hanno trovata». Spiegai, alzando lo sguardo per vedere Colton passarsi una mano sulla faccia.

«Il buongiorno si vede sempre dal mattino». Sentenziò, dirigendosi in bagno, avendo lasciato la porta aperta, lo seguii e vidi che si stava gettando acqua sul viso. Come se volesse svegliarsi. «Brutta Troia che non è altro».

«Colton, non è un sogno». Nell'udire le mie parole, chiuse il rubinetto e alzò lo sguardo per guardare il suo riflesso sullo specchio posto sopra il lavabo.

«No, infatti, è un incubo». Replicò, appoggiando le mani ai lati del lavabo. Mi sentii di troppo in quel bagno, era come se stesse avendo una conversazione con se stesso e restare lì, alle sue spalle, ad osservare il suo riflesso mi fece sentire inopportuna. Mi sedetti sul letto, prendendo la testa tra le mie mani e proprio in quel momento il mio cellulare, squillò. Risposi senza indugi, constatando che si trattasse di mia zia.

«Lottie, tesoro, tutto okay?». La sua voce era al settimo cielo, mi fece sorridere. Forse l'avevano trovata.

«L'avete trovata?». Chiesi, alzandomi e, forse, la chiamata o la domanda aveva attirato l'attenzione di Colton ma comunque si trovava davanti a me con un luccichio nei suoi occhi.

«Siamo sulla pista giusta, fai venire Colton nella mia stanza. Tu, invece, vai a casa e comunica a tuo padre che hai dormito nella mia stanza mi ha chiamato infuriato e gli ho detto che dormivi da me, dovrebbe esserci James giù. Sta attenta e mantieni la scusa». La salutai e sbuffai, preparandomi alla sgridata che avrei dovuto subirmi una volta giunta a casa. Mi misi le scarpe, dato che avevo ero uscita con il pigiama la sera precedente e misi anche il cappotto.

«Grazie per ieri e stasera vengo da te, Diamante». Sussurrò Colton sulle mie labbra, prima di stampargli un bacio sulle labbra e uscendo dalla stanza.

Ad aspettarmi fuori l'albergo c'era mio fratello James, in un cappotto nero abbinato a dei jeans del medesimo colore, osservava l'entrata ed era appoggiato allo sportello, quando mi vide uscire, sorrise e mi abbracciò. Una volta in auto, accese il riscaldamento e partì. Mi allacciai la cintura, appoggiando la testa sul finestrino.

«Come ti senti?». Domandò mio fratello, imprendendomi di perdermi nei pensieri.

«Non lo so». Ero sincera, osservai l'hotel che ci lasciavamo alle spalle. «Tu?».

«Non importa». Rispose, lanciandomi un'occhiata. «Ciò che mi importa in questo momento sei tu. Quindi, come stai?».

«A me importa pure di te, io non lo so come sto e poi che importa davvero? Hai il potere di trovare Krystal e buttarla in galera?». Chiesi, a mia volta.

«Tu stanotte non hai dormito con la zia». Esclamò, dopo vari minuti. Strabuzzai gli occhi e mi affrettai a dire il contrario. «Non ci provare signorina, a meno che la zia non usi profumi maschili, non puoi dirmi che non hai dormito con Colton». Scrollai le spalle.

«Aveva bisogno di me». Mi dispiace non aver mantenuto la bugia ma mentire a James era come vedere la pizza e non mangiarla: impossibile.

«Lo ami?». Lo guardai, sorridendo e scrollai le spalle.

«Probabile». Risposi, vedendo che eravamo quasi giunti a casa dato che l'hotel era praticamente vicino casa mia.

«A proposito di probabilità, mio figlio potrebbe nascere tra poco». Lanciai un urlo di felicità nell'udire l'affermazione per nascondere la preoccupazione. James stava entrando nel garage e sorrideva felice. «Eh si, sono convinto sia femmina e Chloe la pensa allo stesso modo: abbiamo questa sensazione, sta di fatto che stanotte ha dato del filo da torcere ad entrambi. Ad essere sincero, spero che nasca appena questa situazione si sistemi ma, ovviamente, non sono nessuno per decidere ciò. Però, credimi, mia figlia o mio figlio non dovrebbe nascere in mezzo questo inferno». Spense la macchina e si voltò a guardarmi, incrociando i miei occhi, sorrisi comprendendo tutto ciò che aveva detto e dandogli ragione.

«Ma io sono sicura al cento per cento che se anche nascesse in mezzo tutto ciò, voi sareste in grado di dimostrargli tutto l'amore possibile». Scesi dall'auto, seguita poco dopo da James ma affrettai il passo ed entrai dalla porta presente nel garage. Salii le scale e udii nel corridoio alcune voci, riconobbi la prima: quella di mio padre e l'altra mi pareva pure riconoscente, mi avvicinai verso lo studio e la porta era aperta, di conseguenza mi appiattii sul muro.

«...Non capisco perché devi venire a discuterne proprio ora. È passato un mese e non capisco come mia figlia possa essere nel torto». Obbiettò mio padre, lo immaginai seduto e con i gomiti appoggiati sulla sua amata scrivania tempestata di fogli, un computer e una foto di famiglia.

«Ho aspettato perché avevo degli affari da risolvere, e poi è davvero buffo il caso, vero Josh? Tua figlia, in un modo e nell'altro, è sempre presente quando si tratta di combinare guai. Mi chiedo come fai a tollerare le sue bravate». Mi sforzavo di associare la voce a qualcuno ma proprio non me ne veniva nessuno in mente, forse era causata dalla rabbia che si era insinuata nelle mie vene.

«Non hai Il diritto di parlare così di lei, sono stato chiaro?». Mio padre era adirato, sentii sbattere una mano e intuii fosse stata la sua. «Se tuo figlio è un grandissimo incompetente che si diverte a far del male ai ragazzini più deboli, non vedo come mia figlia possa avere torto quando si è comportata come un decente essere umano, inoltre come una persona matura ciò che tuo figlio non è». Avevo riconosciuto la persona.

«Be' ma tua figlia ha sempre torto, ha lasciato mio figlio per un pezzente come i Sanchez, è una sgualdrina come tutte le sue amiche, e poi io sono qui per richiedere amichevolmente un risarcimento per i danni morali causati a mio figlio». Non mi ero accorto della presenza di James e solo mi superò per entrare nella stanza, percepii la sua rabbia.

«Brutto pezzo di merda, come ti permetti? Qui la puttana è tuo figlio, si mi hai capito bene. Si comporta come una femminuccia: "Papi, mi hanno fatto questo" "papi, lo sai"...». James stava scimmiottando la voce di Jackson e ciò mi spinse a trattenere le risate. «Ed è proprio quello che è, è arrabbiato con mia sorella perché l'ha mollato? Oh poverino, l'unica cosa che non riusciva a domare, vero? Che brutto quando non puoi ottenere tutto con i soldi. E qui i pezzenti siete voi, sono stato chiaro? Ora esca da questa casa prima che la prende a calci nei glutei!». Di lì a poco, vidi uscire Pappa Lentis dalla stanza e nel vedermi sghignazzò, gli lanciai sguardi truci ma non disse una parola e scese le scale.

«Figlio di puttana». Imprecò mio padre, dall'altra parte del muro. «Jem non dire nulla a Charlotte, se lo sapesse potrebbe finire male». In quel momento, feci il mio ingresso e mio padre spalancò la bocca. «Hai ascoltato tutto?».

«Abbastanza da farmi arrabbiare». Risposi, scrollando le spalle e cacciando le mani in tasca. «Grazie per avermi difesa».

«Sei mia sorella, l'avrei anche ammazzato». James mi abbracciò e mi lasciò un bacio sulla testa, sorrisi leggermente e guardai mio padre.

«Suo figlio è una puttana?». Chiese divertito, guardando mio fratello che si grattò la nuca e arricciò il naso.

«Be' non sapevo che dire...». Decisi che era arrivato il momento di farmi una bella doccia per rilassarmi, così mi dileguai velocemente. Feci tutto abbastanza in fretta e una volta indossato un felpa bordeaux e un paio di jeans, decisi di salire sul tetto. Il freddo non mi disturbava, ero troppo impegnata ad osservare il cielo plumbeo meravigliata. La neve era ormai sparita di conseguenza c'era solo il rischio di scivolare da lì solo per via dell'umidità ma dettagli.

Salendo sul tetto pensavo di annullare la distanza tra me e il cielo, eppure era davvero buffo come dal tetto risultasse vicino mentre dalla finestra parecchio distante. Avevo la netta sensazione che se avessi allungato la mano avrei potuto percepire le soffici e scure nuvole che governavano il cielo, mi ero sempre definita una tempesta ed era da un po' che non pensavo a questa definizione per me stessa, ero riuscita a sfiorare la libertà cosi tante volte che la tempesta, la mia, mi era sembrata un lontano ricordo quando lo ero sempre stata e sempre lo sarei stata. Era una parte di me e del mio passato.

«Sapevo di trovarti qui». Sentenziò una voce alle mie spalle, non c'era bisogno di girarsi per sapere di chi si trattasse.

«Jem». Sussurrai, guardando il cielo. Sentii mio fratello distendersi accanto a me e ciò mi fece sorridere, era la prima volta dopo otto mesi. Mi sentii emozionata.

«Lottie». Mi strinse la mano nella sua, non esistevano parole per dimostrare quanto fossi felice di trovarmi lì, su quel tetto, con lui. Era il nostro posto, lo stesso che mi aveva accolto durante le mie cadute e i miei momenti felici.

«Siamo di nuovo nel nostro posto». Sussurrai, voltandomi a guardarlo e constando che stesse guardando me, sorridendo.

«Siamo sempre stati qui, infondo. Qui abbiamo sempre lasciato una parte di noi. Oggi siamo venuti a riprenderla». Replicò, distogliendo lo sguardo per osservare il cielo. «Da piccola ti sedevi sempre per terra, di fronte la finestra, durante un temporale e osservavi in silenzio, meravigliata. Alcune sera, mi sedevo accanto a te con una coperta e un pacco di biscotti e osservavamo come se fosse lo spettacolo più bello che avessimo visto. Dovevi vedere i tuoi occhi, per crederci». I miei avevano sempre detto che avevo amato la pioggia sin da bambina e il mio amore non era mai diminuito. «È stato uno delle tue prime adorazioni». Commentò, divertito.

«E unico finora». Replicai, ritornando ad osservare il cielo.

«Ma se adori anche me, tutti adorano James, anche io». Scoppiammo a ridere per la sua battuta e riempiremmo quel silenzio carico di ricordi, così. Passammo i seguenti momenti a ridere ricordando le mie brutte figure oppure le sue. Fin quando un urlo di dolore attirò la nostra attenzione, proveniva dalla camera di James: era Chloe. Scese immediatamente dalla sua finestra e lo seguii a ruota, chiudendo la finestra, sul letto trovammo Chloe dimenarsi per il dolore e piangere anche.

«Il bambino, James, il bambino». Indicava la pancia frettolosamente, James la prese in braccio e con una calma allucinante, uscì correndo dalla stanza.

«Andiamo in ospedale». Le diceva mentre scendevano le scale, li seguii chiamando i miei genitori: a casa quel giorno che si affrettarono a uscire dalla cucina e mi stupii di vedere zia Katherine e zio Richard. Mia madre appena la vide disse di distenderla immediatamente sul divano che potrebbe essere pericoloso uscirla in queste condizioni, inoltre aveva un passato da dottoressa. Mio padre corse a prendere il kit del pronto soccorso anche se dubitavo fosse servito a qualcosa, sta di fatto che mia madre trovò un calmante e glielo iniettò. E disse che sarebbe andata a chiamare L'ambulanza e ordinò a mio padre di chiamare i Sanchez perché, probabilmente, di lì a poco sarebbe nato il bambino. Io mi occupai di Colton, andai in cucina e digitai il suo numero. Rispose quasi subito.

«Colton, devi-». Mi interruppe una risata che di divertita non aveva nulla.

«Che bello risentire la tua voce, Diamante!». La sua voce mi perforò i timpani e mi fece perdere le forze. La paura, la rabbia, la mancanza di forze tutto... tutto era diventato un vortice che mi spinse ad appoggiarmi.

«Non chiamarmi così, dov'è Colton?». Cercai di risultare calma, riuscendoci in parte. In risposta, sentii una risata malefica. «Krystal, dove cazzo è Colton?». Urlai, al limite delle mie forze. Attirai l'attenzione di tutti, zia Katherine giunse velocemente da me e James fece lo stesso.

«Eccolo, tesoro». Sentii un fruscio. «Charlotte no-». Uno sparo fece cessare la voce di Colton, spalancare la mia bocca e farmi crollare. «Oh, ora non c'è più, ops». Non ebbi la forza di parlare, James mi strappò il cellulare dalle mani, mentre cadevo.

Caddi a terra al limite delle mie forze non sentendo altro che un dolore abbastanza grande da farmi smettere di battere il cuore, caddi su quello che restava di me, caddi sulla mia vita, caddi fissando il vuoto l'unica cosa che provavo, mi sentivo morire, Colton aveva ragione, era un incubo. E io ero morta in quell'incubo. Qualcuno urlava il nome di quel ragazzo che mi aveva rubato il cuore così disperatamente da farmi stringere il cuore e riempire gli occhi di lacrime, solo quando James mi abbracciò realizzai che a urlare ero proprio io.

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