Capitolo 30: Le Bain
Colton's pov
La felicità era quello stato d'animo che non si provava facilmente, era uno stato d'animo raro che molti bramavano di provare. Molti lo vedevano come il trofeo dopo una corsa, ma io lo vedevo come il mezzo su cui viaggiare. E, in quel momento, viaggiavo con quello stato d'animo insieme a Charlotte. Erano passati sei giorni da quando eravamo tornati a New York e la differenza di clima aveva portato, alla sopracitata ragazza, ad avere temperature altissime, già una volta lasciata Miami aveva iniziato a stare male e la febbre era notevolmente aumentata quando eravamo giunti in Virginia, dove avevamo alloggiato in hotel per un giorno. Noi ragazzi avevamo deciso di tornare a New York con le nostre auto, ovviamente, tuttavia per poche ore mi ero ritrovato da solo perché Charlotte aiutava parlando al cellulare, dato che volevamo evitare che anche Chloe venisse contagiata, mia sorella con la ricerca del ginecologo, perché avevano deciso di trasferirsi, fino a quando tutta questa situazione non sarebbe stata risolta, a New York. Avevamo informato l'attuale ginecologo di Chloe riguardo la situazione, affermando che la famiglia aveva bisogno di lei e quest'ultimo aveva suggerito di cercare un ginecologo direttamente lì, promettendo alla futura mamma che, a fine mese momento in cui dovrebbe nascere mio nipote, sarebbe andato lì per assistere. Chloe mi aveva confidato che il dottore sapeva molto e aveva preso a cuore la loro situazione, di conseguenza, non c'era da meravigliarsi da questi gesti che vanno aldilà della professionalità. New York mi piaceva per il clima freddo e, sinceramente, non mi mancava molto il clima di Los Angeles o di Miami. Per quando riguarda Charlotte, stava notevolmente meglio però aveva deciso di continuare a fare la vegetale nel suo amato letto continuando alcune serie televisive lasciate incomplete. Chloe e James avevano deciso di stare a casa di Charlotte e, per quanto riguardava, Gabriel era rimasto da me. Con Cassandra era finita tanto tempo fa, anche se entrambi si amavano, ma il mio migliore amico voleva aspettare che tutta questa situazione fosse conclusa prima di tornare da lei. Aveva paura che potesse accaderle qualcosa standole accanto, potevo capirlo. L'amore era rinuncia. In quel momento, nella mia camera d'albergo del lussuoso hotel di New York, il mio migliore amico non faceva altro che parlare di Cassandra, cosa che andava avanti da cinque giorni.
«È sempre stata una ragazza dolce, l'ho amata dal primo momento in cui i nostri occhi si sono incrociati. Sembrava debole, così piccola. La amo ancora e penso che sarò innamorato di lei fino alla fine dei tempi, è l'unica che sa leggermi negli occhi e capirmi dai gesti. L'unica ragazza che mi piace tenere tra le braccia e, Dio, la vorrei ora. Qui. Con me. Mi manca come l'aria. Alle volte, penso di non farcela. Ho bisogno di lei, Colton. Ho un disperato bisogno di lei. Voglio guardala negli occhi azzurri, baciare le sue labbra, farle il solletico, abbracciare il suo formoso corpo, sussurrarle che la amo, ripeterle che è perfetta così e che deve smettere di guardarsi allo specchio come se fosse un errore, accarezzarle i capelli perennemente davanti il viso perché le piace nascondersi e dirle che non deve farlo. Dirle che la amo perché è così. Dio, Colton, sono così malato?». Camminava lungo la stanza, soffermandosi di tanto in tanto a guardare fuori come se avesse sperato di poterla vedere lì, quando sapevamo benissimo che si trovasse a Los Angeles. Nell'udire il suo monologo mi sentii in colpa, lui si trovava in quella situazione solo ed esclusivamente per colpa mia e se, in quel momento, stava soffrendo così tanto era solo perché ero stato troppo egoista e avevo deciso di portarlo con me in quella maledetta merda. Soffriva tanto, potevo solo sfiorare quella sensazione di sentirsi mancare l'aria quando sentivi che qualcosa dentro di tè mancava, e a lui mancava lei. Erano inspiegabilmente uniti da un filo invisibile.
«Gabriel, sei innamorato. Ma Dio mio, perché non la fai venire qui? Sai benissimo che i soldi non sono un problema. E poi sei così sicuro che standole accanto, sarebbe in pericolo? E se fosse proprio la vostra lontananza a metterla in pericolo? Non possiamo saperlo. Qui, bene o male, potresti tenerla sott'occhio, difenderla. Ma a Los Angeles, chi lo farà?». Era un da un po' che ci pensavo, Krystal sapeva quale fosse il punto debole di Gabriel e la mia mente contorto aveva pensato alla probabilità che avrebbe potuto usarla come esca. Io volevo il bene del mio migliore amico e sapevo che solo se ci fosse stata qui Cassandra, avrei potuto ottenerlo.
«E se invece non volesse vedermi? È passato quasi un anno, potrebbe aver trovato un altro, possibilità plausibile. Non puoi negarlo». La sua voce si inchinò perché solo il pensiero lo faceva stare male, tuttavia ero pronto a ribattere non perché fossi suo amico bensì perché fosse la verità. Loro si amavano tanto, forse, troppo. Però non feci in tempo perché il telefono della camera, squillò. Mi affrettai a rispondere, essendo a conoscenza di chi potrebbe essere.
«Pronto?». Risposi, tuttavia sapevo benissimo chi fosse dall'altra parte del capo: Simon, uno dei receptions in turno. E come sospettavo, era proprio lui. Mi annunciò che chi avevo invitato era arrivato, così senza indugi dissi di informare tale persona del numero della mia camera così da poter salire. Saltai giù dal letto, mettendomi le all star bianche e mi guardai velocemente allo specchio, realizzando di non aver risposto al mio migliore amico che mi osservava scioccato. Mi aggiustai il colletto del maglione bianco abbinato a dei jeans e dopo aver preso il mio cappotto nero, guardai Gabriel.
«Se proprio vuoi sapere la mia, non ho mai visto qualcuno guardarsi come te e Cassandra. Vi amate, amico». Mi avvicinai al comodino per prendere le chiavi dell'auto, portafoglio e cellulare, nel frattempo, bussarono. «So che l'amore, a volte, significa rinuncia. So che l'amore può farti stare male, so che sei follemente innamorato di me e so che l'amore supera tutti i confini. Supera la paura, il pericolo, gli ostacoli. Ma lo si fa insieme alla persone che ami e, probabilmente, mi odierai per aver fatto questo. Però devi cogliere il momento, Gabriel, e il momento è ora». Aprii la porta e sulla soglia c'era una ragazza con lo sguardo basso, i capelli castano scuro ricci che le ricadevano davanti il viso, aveva un braccio piegato su cui teneva un cappotto bianco, indossava una felpa nera larga che, tuttavia, lasciava intravedere il suo corpo formoso, aveva abbinato dei jeans neri e ai piedi delle Stan smith piuttosto rovinate. Quando alzò lo sguardo, incrociai i suoi occhi marroni, che entravano in contrasto con la sua pelle chiara, notai quanto fossero tristi e spenti, il naso alla francese e la labbra fine rendevano i suoi lineamenti delicati, era davvero molto bella con quelle lentiggini che si intravedevano sotto lo strato di fondotinta, notai che le sue ciglia erano piuttosto lunghe e ciò mi spinse ad affermare che avesse applicato tanto mascara come se volesse nascondere i suoi occhi. Cassandra provò a tirare su le labbra ma non ci riuscii. Ero riuscito a farla arrivare qui dicendole semplicemente la verità, ovvero che Gabriel aveva bisogno di lei. Rimasi davvero stupito che non avesse esitato e avesse accettato immediatamente, sapevo che non fosse un tipo orgoglioso però Gabriel l'aveva sempre ferita prendendo la decisione di lasciarla, se non fosse stata veramente innamorata l'avrebbe lasciato soffrire.
«Cassandra». Gabriel sussurrò il nome delle ragazza con tale dolcezza e sorpresa che mi fece sorridere. La ragazza lo guardò e i suoi occhi si velarono dalle lacrime. Decidi che era il momento di andarmene.
«Gabriel». Le sue labbra si incresparono in un sorriso e superandomi corse ad abbracciare il mio migliore amico, gettando il cappotto a terra, che non perse tempo a stringerla tra le sue braccia. Il mio sorriso si allargò mentre uscivo dalla stanza, tuttavia la mia curiosità ebbe la meglio e anziché chiuderla rimasi a sbirciare, notando che Gabriel la accarezzava i capelli e dopo averle sussurrato che la amava, si baciarono. Non mi resi conto di aver infilato la testa tra la porta e lo stipite se non quando parlai.
«Comunque ci dovrebbero essere alcuni preservativi nella mia valigia». Li informai, Gabriel non smettendo neanche di baciarla, mi fece il medio e avvicinandosi al bancone sotto la televisione a plasma posta in alto di fronte I due letti singoli, prese il suo portafogli e me lo lanciò anche se non mi colpii. «Però per l'ossigeno non posso aiutarvi, cavolo siete quasi viola». Commentai, spalancando la porta e appoggiandomi sulle stipite. Gabriel si allontanò dalla sua ragazza per lanciarmi una scarpa. «Ma che siamo aggressivi». Continuai, mi piaceva disturbare il mio migliore amico e poi non potevo non commentare.
«Colton, mi stai simpatico ma, credimi, se vengo là ti metto la mani addosso per farti male. Tanto». Commentò Cassandra spingendomi a spalancare la bocca e alzare le mani in segno di resa. Me la ricordavo una ragazza timida.
«Okay okay, mi raccomando fatelo sul letto di Gabriel». Il mio migliore amico fece un passo verso in me guardandomi in cagnesco, tuttavia me la svignai in fretta e, dopo aver chiuso la porta, iniziai a camminare decidendo di prendere le scale. «E quella era la gratitudine nei miei confronti, mah». Mormorai tra me stesso, leggermente divertito. Ero molto felice per ciò che avevo fatto. Una cosa giusta. Una volta scese le scale, salutai il receptionist e uscii fuori facendomi investire dal freddo invernale, nonostante fosse passato capodanno le strade erano ancora pregnanti di addobbi natalizi. New York l'avevo sempre trovata affascinante e mi sarebbe piaciuto restare lì per sempre, tuttavia sapevo che, prima o poi, sarei dovuto tornare a Los Angeles con la mia famiglia. Era venerdì e il lunedì seguente, Charlotte e gli altri sarebbero tornati a scuola e mio padre, non sapendo quanto tempo sarebbe durata questa situazione, aveva deciso di parlarne con i genitori di Gabriel che, essendo a Tokyo per affari importanti, non potevano tornare nonostante la madre volesse davvero venire a prendere suo figlio. Tuttavia le avevamo spiegato la gravità della situazione: dovevano restare uniti. E anche Cassandra ormai faceva parte del gruppo. Infatti prima di farla venire qui, avevo parlato con mio padre e mio zio. E di comune accordo avevano deciso di parlarne anche con i genitori di Cassandra che, ovviamente e inizialmente, non erano assolutamente d'accordo. Anzi avevano anche detto che avrebbero chiamato la polizia ma, parlando con mio zio o meglio agente dell'FBI, erano riusciti a convincerli. E, in poche parole, Lunedì avremmo iniziato anche a noi a studiare, saremmo andati nella stessa scuola di Charlotte e gli altri.
Charlotte... il mio pensiero volò a lei. Quella ragazza mi stava mandando il cervello a quel paese. Non la vedevo da quasi cinque giorni, ogni volta che provavo a farle visita lei mi lasciava dietro la sua porta, giustificandosi che uno zombi era più presentabile e non voleva rovinare quello che si era creato fra noi. Andatela a capire. Per lei provavo qualcosa di forte che ogni giorno andava ad intensificarsi, forse mi stavo innamorando o forse era solo una mia impressione, forse era L'adrenalina della situazione a renderci così, forse c'era un modo per capirlo. Senza indugiarci su, presi il cellulare e digitai il suo numero che, ormai, sapevo a memoria. Rispose quasi subito.
«Sta morendo qualcuno?». La sua voce era tesa, intuii che stava ancora guardando una serie televisiva e che fosse arrivata in un momento critico.
«No». Risposi divertito, attento a dove mettevo i piedi.
«Be' qui si, quindi ciao». Non mi diede il tempo di rispondere che attaccò, se prima avevo un'intuizione, in quel momento, ne avevo conferma: Stava guardando una serie televisiva. Roteai gli occhi constatando che restava solo una cosa fare. Fortuna che avevo presi le chiavi dell'auto e questa si trovava vicina a me.
Una volta dentro l'auto, mi preoccupai di accendere il riscaldamento dato che, in quel veicolo, se avessi visto un orso polare seduto accanto non mi avrebbe di certo sorpreso. Guidai con le note di Somewhere I belong dei Linkin Park, concedendomi anche di dare sfogo alle mie doti da cantante... okay, doti non proprio. Fui sorpreso di constatare che i vetri fossero ancora intatti. Prima di giungere a casa di Charlotte, mi fermai in un piccolo supermarket così da acquistare un paio di cose e una volta arrivato a casa di Charlotte, mi aprii proprio mia sorella, la quale abitava lì, momentaneamente, con James. Indossava un pigiama di flanella e teneva una tazza di cioccolata e, dal calore che emanava, potei constare che fosse calda. Dopo averla abbracciata, mi accomodai dentro casa, mettendo il cappotto vicino gli altri e concentrandomi su mia sorella.
«Come ti senti?». Sapevo che stesse bene, le avevo parlato stamattina tuttavia sapevo che, in realtà, si stava ancora riprendendo da ciò che era successo con i miei genitori e che guardandoli negli occhi si sentiva ancora il colpa per ciò che era successo, che aveva fatto. Chiusi la porta e appoggiai il sacchetto accanto.
«Bene, fratellino. Smettila di chiederlo». Le sue labbra si incresparono in un sorriso che mi scaldò il cuore, Chloe era più bassa di me e ciò la rendeva terribilmente tenera, la sua altezza mi aveva sempre spinto a dubitare che avesse diciannove anni, ed ero suo fratello. Le diedi un bacio sulla fronte e le scompigliai i capelli, gesto che la fece adirare, però non reagì. «Colton, potresti ricordarmi il nome del ristorante in cui dobbiamo recarci domani?». Grattai la nuca con fare pensieroso, il giorno seguente mio padre aveva invitato a cena mia sorella, James oltre che me, però avevo altri piani in mente di conseguenza avevo declinato l'offerta.
«Non lo so, non ci sarò e non mi interessava sapere il luogo». Ero sincero, domani sera volevo fare una cosa tra me e Charlotte.
«Ah si? Cosa farai?». Chiese curiosa, appoggiandomi sul muro inarcando un sopracciglio, spronandomi a rispondere.
«Vorrei invitare Charlotte ad uscire, sai un vero appuntamento». Mia sorella sorrise radiosa e i suoi occhi divennero lucidi, tuttavia posando la tazza sopra il davanzale della finestra, allargò le braccia e mi strinse forte.
«Sono molto contenta. Finalmente, Colton, finalmente». Mi limitai a stringerla forte e sorridere sopra la sua testa. Forse gettò un'occhiata al sacchetto, sta di fatto che si allontanò di scatto e prese il sopracitato oggetto con gli occhi che le brillavano. «Sono marshmallow?». Al supermarket avevo acquistato diverse barrette di cioccolato, marshmallow e caramelle di ogni tipo. Per mia sorella e Charlotte.
«Si, prenditi il pacco, ci dovrebbe essere anche il cioccolato, basta che lasci quello con le nocciole che è il preferito di Charlotte. Vorrei portarglielo». Confessai, mia sorella obbedì. Inoltre sapevo che a Chloe non piacesse il cioccolato con le nocciole però non potevo sapere se la gravidanza le avesse cambiato persino i gusti; prese una barretta di cioccolato al latte, un pacco di marshmallow e due pacchi di caramelle gommose.
«Sparisci prima che mangia tutto». Disse, allontanando il sacchetto da se stessa e mettendomelo sotto il naso, lo presi e dopo averla vista tornare nel salone, decisi di salire su: nel rifugio di Charlotte. Bussai varie volte ma non ricevetti nessuna risposta, decisi di entrare senza il suo consenso e la trovai sotto la coperte, il computer era dalla parte opposta del letto ancora acceso che trasmetteva una puntata di Grey's Anatomy, tuttavia Charlotte stava beatamente dormendo, nonostante i suoi occhi fossero rivolti verso lo schermo del computer, lei non stava guardando. Decisi di mettere in pausa l'episodio e riporre il computer sopra la scrivania. Se l'avessi svegliata, probabilmente mi avrebbe buttato fuori la stanza a suon di parolacce. Quindi decisi di togliermi le scarpe e distendermi accanto a lei, notando solo in quel momento quanto si stesse bene in quella casa grazie ai riscaldamenti. Charlotte dormiva beatamente distesa sul fianco sinistro, guardarla non mi stancava mai, mi piaceva da impazzire. Ero intento ad osservarla disteso sul fianco destro, quando qualcuno bussò. Quel qualcuno aspettò nessun consenso, che spalancò la porta ed entrò. I suoi occhi ispezionarono velocemente la stanza per poi posarmi velocemente su di me. Potevo ritenermi morto.
«Cosa. Ci. Fai. Nel. Letto. Di. Charlotte». Non sembrava nemmeno un quesito, scandendo le parole mi aveva espresso chiaramente la sua collera, avanzò verso il letto, verso di me.
«Sono disteso?». Chiesi incerto, era palese che rispondendo così avrei innescato altra ira nei miei confronti, però non dovevo fargli vedere che mi aveva intimorito.
«Si e Charlotte sta dormendo, hai tre secondi per-». Fu interrotto da mia sorella che era ferma sulla soglia della porta.
«Ma secondo te, mio fratello cosa può fare? Dai! Non può mica violentarla. Non fare tanto il drammatico e poi sei l'ultimo a dover parlare dato che tu e Kendall-». Aaron si affrettò ad accostare una mano sulle labbra di Chloe per far cessare il suo flusso di parole che stava per pronunciare segreti che, probabilmente, dovevano rimanere tali. In tutto ciò, mi ero messo a sedere e osservavo la scena divertito, constatando quanto adorassi mia sorella. Quest'ultima tolse la mano di Aaron violentemente, mettendo le mani sui fianchi e un'espressione arrabbiata. «Sai che sono una persona calma, dolce e pacif-». Il tono di voce di Chloe uscì pacato e tranquillo, tuttavia quando Aaron provò ad interromperla lei gli diede una manata sulla nuca e urlò: «Non interromperli razza di zucca vuota bionda». Scoppiai a ridere nell'udire l'affermazione constando quanto la gravidanza la rendesse incoerente e isterica. Aaron alzò le mani in segno di resa e mi guardò.
«Porta aperta». Fu tutto ciò che disse prima di uscire, seguito da mia sorella. Era decisamente peggio di un padre. Accanto a me udii un risolino, prima pareva pacato poi Charlotte scoppiò a ridere liberandosi dalla coperte. Stetti ad osservarla un po' prima di unirmi a lei.
«Che figura!». Esclamò tra le risate, asciugandosi le lacrime.
«Certo godi delle mie sofferenze». Replicai, smettendo di ridere mettendo il broncio. Charlotte smise di ridere e si alzò per chiudere la porta lentamente, urlando prima nel corridoio:
«Aaron, non ti azzardare mai più ad entrare senza il mio permesso». E dopo essere tornata a letto, prese un cuscino e mi colpì. «Be' te lo meritavi, sia quello che ha detto Aaron che questo». Mi colpì nuovamente con il cuscino, nonostante non facesse nessun male, mi coprii il viso con le mani. Così Charlotte continuò a colpirmi, ridendo per giunta, smettendo solo quando le vennero i crampi allo stomaco per le risate.
«Ah si? Me lo merito?».Chiesi, vedendola ridere. Lei annuí così mi misi a cavalcioni su di lei, iniziando a farle il solletico, si dimenava provando a fermarmi con le mani, però non ne avevo intenzione. Notai solo in quel momento che indossasse dei pantaloni blu su cui c'erano stampati tanti piccoli super Mario e indossava la maglietta con un fungo del gioco. La maglietta le si alzò tanto da farmi vedere la sua pancia piatta e i suoi fianchi. Era formosa bei punti giusti e ciò mi piaceva. Pronunciava tante parole il cui suono non giungeva bene alle mie orecchie dato che non riusciva a finirle, di conseguenza non comprendevo. Smisi solo quando mi diede un pugno sullo stomaco, non era forte tanto da farmi piegare in due ma abbastanza per farmi portare una mano sullo stomaco e fermarmi. Mi aveva colto alla sprovvista. Si alzò immediatamente e mi fece il medio.
«Odio il solletico». Nonostante il suo tono fosse serio, ne susseguii una piccola risata. Dopo esserci ripresi dalle risate, le diedi ciò che avevo acquistato per lei, inutile dire che mi stritolò in un abbraccio per la felicità dicendo che mi aveva facilmente perdonato.
Stavamo guardando un episodio di How I met your mother quando entrò Brandon tutto pimpante. Avevo rinunciato a chiedere a Charlotte di uscire con me quella sera, prima di tutto perché volevo che tutto fosse organizzata per non deluderla, poi era troppo impegnata a mangiare per prepararsi e uscire. Brandon, strofinandosi le mani, eccitato, pareva davvero che volesse dire una notizia bellissima e ciò fece assottigliare lo sguardo di sua sorella.
«Stasera: io, Aaron, Colton e Gabriel andiamo a divertirci un po'!». Esclamò euforico, strabuzzai gli occhi e mi misi a sedere.
«Eh?». La sua affermazione mi fece sorridere, pareva che stesse aspettando un evento del genere da tempo però non capivo perché dovesse proprio dirlo su due piedi.
«Stasera andiamo in un locale, solo noi uomini per festeggiare il ritorno a New York e il fatto che ci sia anche James però non ci sarà nostro fratello. In un certo senso una festa in onore di James ma senza James». Spiegò Brandon, portando a Charlotte a sbattere una mano sulla fronte con fare disperato e ridere me per la sua affermazione.
«E perché mai proprio stasera? Sapete che è pericolo. Non dovremmo dare nell'occhio». Charlotte era la voce del buon senso in quel momento.
«Diamante, non siamo criminali quelli a non dover dare nell'occhio non siamo di certo noi. Poi Zio Richard ha chiaramente detto che dobbiamo vivere normalmente, dobbiamo far vedere che non abbiamo paura di loro e per farlo dobbiamo comportarci da normali adolescenti. E cosa fanno un gruppo di adolescenti maschi?». Domandai anche se la mia risposta era palese.
«I coglioni, mi pare ovvio». Rispose palesemente Charlotte e non era la risposta che aspettavo.
«Oltre quello». Borbottò Brandon, grattandosi la nuca e scrollando le spalle.
«Sarà una semplice serata all'insegna del divertimento, sta tranquilla». La rassicurai, accarezzandole la mano.
«Ma vedi che sono tranquillissima, fate quello che vi pare. Ci sentiamo». Si alzò dal letto e dopo avermi lasciato un bacio sulla guancia, andò nella cabina armadio per prendere alcuni indumenti e infine uscite dalla stanza. Lasciando me e suo fratello con un'espressione confusa.Infine, sbattei le palpebre e mi affrettai ad accettare l'invito. Infondo cosa c'era di male nel voler passare una serata con i tuoi amici?
***
Charlotte's pov
Erano le dieci di sera e io, Kendall e Chanel stavamo distese sul mio letto guardando il terzo film della saga Percy Jackson, avevamo deciso di riunirci per passare una di quelle serate tra migliori amiche, dimenticando per almeno un paio d'ore, tutto ciò che era successo la settimana precedente. Alla fine, erano usciti solo Aaron, Brandon e Colton. A quanto pareva era arrivata la fidanzata di Gabriel e quest'ultimo aveva avuto il buon senso di rimanere con lei, non andando a divertirsi, sempre se divertimento poteva definirsi, in un locale. Certo, non potevo dire che non mi piaceva andare nei locali, perché molte volte mi piaceva andarci. Però ero del parere che con tutto quello che stavamo passando, sarebbe stato meglio evitare. Se avessero bevuto più del dovuto, sarebbe stato facile attirarli in una trappola. Forse ero troppo paranoica, ma era ciò che mi aveva spinto a diventare tutta quella situazione. Inoltre, i nostri genitori non erano neanche a conoscenza di ciò. Sapevano che si trovavano in hotel, da Colton. Che irresponsabili. Kendall pareva pensare le mie stesse cose poiché neanche lei seguiva il film, guardava lo schermo eppure pareva non vederlo davvero. Per quanto riguardava Chanel, be' ormai stava dormendo. Era crollata al termine del secondo film, stava raccontando una cosa e poi, in un batter d'occhio, aveva smesso di parlare.
«Non lo sta seguendo nessuno dei due». Commentai, Kendall parve ritornare con i piedi per terra e si voltò a guardarmi, aveva gli occhi lucidi e le tremavano le mani. «Hey, va tutto bene?». Mi avvicinai a lei, scavalcando il corpo di Chanel e mi misi di fronte Kendall che scosse la testa. rispondendo alla mia domanda. Abbracciandola, scoppiò in un pianto disperato. Talmente tanto da svegliare Chanel, che stropicciandosi gli occhi mi chiese cosa stesse succedendo. Il problema era che non lo sapevo neanche io, così la mora si limitò ad unirsi all'abbraccio.
«Voi non lo sapete». Continuava a sussurrare Kendall, tremante.
«Cosa non sappiamo?». Chiese, dolcemente, Chanel allontanando Kendall per permetterci di guardarla negli occhi.
«Tutto». Rispose scuotendo la testa e coprendosi il viso. «Tutto». Ero confusa, avevo già notato che Kendall non fosse allegra come era di solito, però pensavo fosse dovuto al ciclo. Invece, a quanto pareva, c'era qualcosa sotto. «Io e Aaron ci siamo lasciati quando siamo tornati a New York». Di certo non fui l'unica ad essere sorpresa. Chanel lo era quanto me. E non nascondemmo lo stupore, anzi spalancammo la bocca.
«Eh?». Urlammo all'unisono, mentre Kendall rialzava lo sguardo facendomi capire che le sue parole erano veritiere.
«Mi ha detto che non sono la ragazza con cui vorrebbe passare la sua vita, mi ha detto che non sono quella giusta, che non c'è più il rapporto di una volta, che-». Scoppiò nuovamente a piangere, mentre io e Chanel prendemmo le sue mani come se volessimo prenderci parte del suo dolore. «Che non siamo fatti l'uno per l'altra, che stare con me è stato l'errore della sua vita. Più grande. Più brutto. Che non voleva vedermi più, che era finita, per sempre e una volta per tutte. E stasera sai cosa ha avuto il coraggio di dirmi? Sto male per colpa tua ed è per questo che stavano uscendo». Mi portai la mano libera alla bocca sentendo sia ira che tristezza prendere il sopravvento. Se avessi avuto mio fratello davanti... «Per colpa mia? Ma siamo seri? Ma sa che giorni di merda ho passato fin qui? No, non lo sa e se ora l'avessi davanti, glielo urlerei. Ho passato una settimana di merda. Di merda». Le sue lacrime sparirono dal viso mentre il suo tono passava da quello triste a infuriato in pochissimo tempo. «Anzi sai che vi dico? Vestiamoci e andiamo a rovinargli la serata. Non lo lascerò divertire, no. Non dopo quello che mi ha fatto. Non merita un cazzo, è uomo di merda». Urlò, alzandosi dal letto facendo sussultare me e Chanel. Era raro vedere Kendall incavolata, ma quando lo era... erano veramente guai. Guardai l'altra mia migliore amica che sostenne il mio sguardo e sorridemmo.
«Ci stiamo». Confermammo io e Chanel, mai mettersi tra Kendall e la collera.
«Tanto l'avrei fatto anche da sola». Kendall indossava un paio di jeans verdi militate su cui aveva abbinato un maglione bianco, mentre Chanel indossava dei pantaloni bordeaux e un maglione nero con uno scollo a v. Io indossavo dei jeans neri e una felpa bordeaux di Stiles Stilinski, ovvero i vestiti di oggi dato che non mi andava di cambiarmi. Kendall dopo aver sciolto i capelli, legati in una cosa, lasciò che i capelli ricci le ricadessero sbarazzini mentre Chanel decise di tenere i suoi capelli legati in delle trecce, mentre io in una coda. Dopo aver rimesso tutti e tre le nostre converse all star nere, comprate insieme qualche mese prima, decidemmo di uscire con la mia auto.
Le Bain era un locale situato all'848 di Washington St vicino il confine tra New York e il New Jersey. Molto lontano da casa mia, di conseguenza per raggiungerlo, Includendo il traffico ed escludendo le mie imprecazioni, ci impiegammo un'ora piena, infatti erano già le undici e un quarto. Il locale lo conoscevo, c'ero già stata e inoltre era di un amico di papà, era per questo che ci lasciavano liberamente entrare però mi stupii perché qui non davano di certo da bere ai minorenni e il proprietario, Dean, conosceva bene i fratelli da non dargli da bere nonostante i documenti falsi. Parcheggiammo lì vicino e quando scendemmo, il locale non era gremito di gente anche l'esterno era quasi deserto. Inoltre erano solo le undici, di solito era più frequentato dalla mezzanotte in poi. Dopo aver salutato il bodyguard, Louis, anche esso amico di papà chiedemmo se avesse visto i miei fratelli e Louis annuì, dicendo che c'era anche un altro ragazzo con loro, sicuramente Colton, e una volta raccomandatoci di stare attente, ci fece entrare. Non si entrava immediatamente nel locale, anzi esso si trovava al piano superiore infatti di fronte a noi si presentò una rampa di scale, che ci affettammo a salire. Arrivammo al piano superiore, bellissimo come lo ricordavo, con le pareti a finestre che permettevano due tipi di vista: da un lato i grattacieli illuminati di New York e dall'altro il fiume Hudson. Il locale era sulle tonalità del viola e dal lato sinistro si trovava un bancone tipico degli American Bar, dietro il quale il barman era intento a servire i cocktail ai commensali, dall'altra parte invece si trovava una piccola piscina quadrata su cui c'era una palla da discoteca e poco lontana dalla piscina si trovavano dei divani a tre posti di pelle bianca e poi il dj. In quel momento, c'era una canzone spagnola che potei intuire fosse stata pubblicata da poco e che, probabilmente, quest'estate l'avrei sentita in ogni stazione radio, così tante volte che l'avrei odiata. Il locale aveva un secondo piano: la terrazza al dire il vero, nella quale oltre esserci la pista da ballo, c'erano dei tavoli su cui chiunque poteva gustare il cibo servito dallo stesso locale. Cercammo con lo sguardo i ragazzi e, ringraziai il cielo si trovassero lì non avendo voglia di salire le scale dato che l'ascensore era fuori uso, si trovavano al bancone. Intento a sorseggiare un drink, servito dallo stesso Dean quindi ero sicura non fosse alcolico. Mi girai cercando Kendall però notai che ormai era diretta a passo diretto verso Aaron che rideva con una ragazza dai capelli biondi accanto a lui. Io e Chanel ci affrettammo a raggiungerla. Però arrivammo tardi. Kendall gli aveva mollato un ceffone tanto forte da fargli girare la testa di lato, Aaron aveva spalancato la bocca e con la mano sulla guancia schiaffeggiata, guardò disgustato e infuriato Kendall. Colton e Brandon notarono me e la mia migliore amico, si affrettarono a mettersi accanto annoi lasciando ciò che stavano bevendo e chiedendoci cosa ci facessimo lì e cosa avesse Kendall. Non rispondemmo. Poiché Aaron prese Kendall per il polso e la trascinò su in terrazza. Non perdemmo tempo a seguirli. Una volta fuori, fui investita dal freddo presente lì e mi strinsi nel mio giubbotto di pelle. Aaron e Kendall erano distanti da noi e mi stupii di vedere che la terrazza fosse vuota, mi ricordai che anche al primo piano non c'era così tanta gente.
«Cosa ti è saltato in mente?». Urlò Aaron, mettendo in evidenza la vena del collo, nonostante Aaron troneggiasse notevolmente su Kendall, quest'ultima non si fece intimidire.
«Quello che ho fatto, mentre a te? Sai, ho visto proprio come soffri. Tesoro, vedi che quella che soffre di più tra i due sono io. Tu non vedevi l'ora di togliermi tra i piedi, vero? Per divertirti, no? Bene, vedo che lo stai facendo. Oh forse non lo sai, ma soffrire non significa ridere con un'oca! E poi perché dovresti soffrire? Mi hai lasciata tu». In quel momento, invidiavo Kendall aveva una forza quasi assurda e pensare che un'ora prima piangeva per lui. Sentii Colton affiancarmi e notai di sfuggita il suo sguardo confuso.
«Ma ti pare che passo tutto il tempo a piangere come fai tu? Ognuno ha la sua reazione al dolore: questa è la mia. Mi diverto con tutte le altre. Ti ho lasciata e non l'ho fatto per toglierti dai piedi». Erano abbastanza lontani tra loro, tuttavia Aaron fece un passo verso di lei. «Ti ho lasciata perché non volevo che tu soffrissi». Urlò mio fratello, portando me e Chanel a spalancare la bocca.
«Questa è la cazzata più grande che potessi dire. Ammettilo che non mi hai mai amata, non mi hai mai voluta davvero come ragazza. Se non volevi farmi soffrire, non mi lasciavi. È stato un errore, no? Un errore fidanzarti con me!». Kendall era fuori di se, fece un passo verso Aaron.
«La cazzata più grande, si. E sai perché ti ho lasciata? Perché sei così. Perché sei Kendall. Perché sei così impulsiva, testarda, intelligente e bellissima. Ti ho lasciata perché ti amo. Mi sono innamorato di te e questo potrebbe distruggere sia me che te. Non sono portato per l'amore e ti odio per questo. Non dovevi essere così perfetta per me. Non dovevi. Dovevi ignorarmi e basta. Avevo paura, okay? Avevo paura e ho odiato te per questo». Kendall parve senza parole nell'udire la dichiarazione di Aaron, mentre un sorriso fece capolino sul mio viso. «Però nello stesso tempo non ti odio, perché... ti amo, Kendall, con tutto me stesso». Confessò guardandola negli occhi, nonostante fosse notte ormai, notai lo scintillio negli occhi della mia migliore amica mentre fece un altro passo verso Aaron. Restarono a guardarsi negli occhi per minuti interminabili almeno fin quando Kendall non disse:
«Ti amo anche io».
Quando Aaron attirò Kendall tra le sue braccia e la baciò, così mi sembrò inopportuno restare lì e decisi di scendere, felice di come fosse andata quella sera. Sorpresa soprattutto. Aaron innamorato. L'avrei preso in giro il giorno seguente, questo era poco ma sicuro. E un sorriso malefico prese forma sul mio viso pensando a tutti gli scherzi possibili ed immaginabili che avrei potuto fargli. Una volta che scesi le scale, sentii la mano di Colton sul mio fianco e me lo ritrovai subito dopo ad un centimetro dal mio viso, la musica ora era house e avevo un'improvvisa voglia di ballare, tuttavia la misi da parte concentrandomi su Colton che si avvicinò al mio orecchio e urlò:
«Neanche un bacio mi hai dato oggi». Sorrisi nell'udire le sue parole però il sorriso mi morì presto sulle labbra. Colton non mi aveva chiesto neanche di essere la sua ragazza, cosa eravamo? Semplici amici che si baciavano? Non poteva cercarmi solo quando aveva bisogno di un bacio. Ero una ragazza e in quanto tale avevo bisogno di conferme. Così allontanando Colton, mi diressi verso la piccola pista che c'era di fronte il dj e notai che la sala aveva iniziato a riempirsi di gente. Arrivata in pista, iniziai a muoversi a tempo di musica spegnendo i pensieri e constando che, almeno per un po', avrei potuto godermi, in parte, un momento di pace la quale era stata portata via dalla mia famiglia ormai da una settimana per un errore commesso tanti anni prima. Chiusi gli occhi e spensi il cervello, misi da parte l'immagine di Colton, misi da parte le emozioni che il suo semplice nome mi faceva provare, misi da parte quel sentimento che giorno dopo giorno diventava più vivido e mi lasciai trasportare dalla musica. Tuttavia la verità era solo una: non avevo bisogno solo di conferme da parte di Colton, avevo bisogno dei suoi occhi, delle sue mani, dei suoi abbracci, di lui. E, purtroppo, c'era solo una spiegazione: mi stavo innamorato di Colton Sanchez.
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