Capitolo 29: We are back
«Mi aveva detto addirittura di non dirti nulla perché aveva paura che soffrissi, sai tutte quelle chiacchiere che fanno gli uomini quando vogliono lasciarti per andare a putta- ops, tu piccolino». Indicò la sua pancia. «Non ripetere ciò che dice la mamma, sono brutte parole. E stavo dicendo: avevo già in mente un piano per dirti tutto, alla fine, non l'avrei detto proprio io bensì il bambino. Quindi, cioè. Sono o non sono un genio?». Chloe ritornò a mescolare energicamente l'impasto per i pancake per poter fare colazione. Nonostante fossero le tredici, nessuno oltre me e Chloe, era sveglio. Chloe mi aveva confidato che si era svegliata alle dieci, nonostante fosse andata a letto alle sei del mattino, a causa di forti dolori alla pancia. Io, invece, alle dodici e mezza per colpa di Colton che mi stringeva così forte da farmi soffocare. Mi aveva svegliata infatti e nonostante l'avessi buttato giù dal letto, lui continuava beatamente a dormire. Chloe aveva detto che non lo vedeva dormire così da tanto tempo, forse, proprio per questo lo lasciai dormire. Ridacchiammo per ciò che disse Chloe e nell'osservarla potei constatare quanto la gravidanza l'avesse resa dolce nei lineamenti, più di quanto lo era prima. Mi portai nuovamente il ghiaccio sopra la testa, sentendo lo stomaco restringersi al ricordo della notte precedente. Avevo paura di ciò che poteva accadere, era inutile negarlo, se aveva fatto del male a me era inevitabile che potesse farlo ad altri. Ed era questo a spaventarmi ed era per questo che avevo insistito tanto perché Colton rimasse qui, ero sicura che voleva colpire anche lui, ma ciò che non mi risultava ancora chiaro era chi fosse l'obbiettivo: io o Colton?
Il tradimento di Krystal non mi aveva fatto star male come avevo immaginato, ed era questo a farmi stare male. La consideravo una migliore amica se non stavo male per il suo tradimento, voleva dire he non la consideravo veramente tale, no? Voleva dire che non mi fidavo davvero di lei e che tutto la fiducia che pensavo di avere era solamente una convinzione che facevo a me stessa, no? Ma Noah... Noah era il mio migliore amico, perché mi aveva tradita? Sentii nuovamente ardere i miei occhi per via delle lacrime che desideravo versare, ma sapevo niente l'avrebbe riportato indietro. Voltandomi verso la finestra feci solcare le mie guance soltanto da una lacrima che racchiudeva il mio dolore, che non poteva essere pronunciato. Chloe parve accorgersi del mio cambiamento d'umore poiché lasciò stare l'impasto e si avvicinò a me, era più bassa di me soltanto di una testa e dovetti abbassare la testa per guardarla negli occhi. E speravo che con quel contatto non notasse il dolore che celavo, o almeno, ci provavo.
«Oh piccola Charlotte». Capii con quella frase ricca di dolcezza che avevo fallimento miseramente, mi abbracciò e quando poggiai la testa Nell'incavo del suo collo (dato che, a causa della pancia, non riuscivo ad arrivare alla spalla), il pianto che provavo a contenere esplose, le mie lacrime iniziarono a solcare le mie guance e lasciai andare il ghiaccio, che cadde a terra, per poter abbracciare Chloe e mio nipote. Mi accarezzò amorevolmente la schiena proprio come farebbe la mamma e, solo in quel momento, mi accorsi quanto effettivamente mi mancava mia madre. «Lo so, è difficile accettare il tradimento di un amico, lo so perché ne ho dovuto accettare tanti. Sai come hanno reagito tutte le persone che ritenevo fedeli, quando hanno saputo della gravidanza? Be' mi hanno voltato le spalle e sono andati via, ma prima di ciò mi hanno guardato con sguardi ricchi di disgusto e dalle loro labbra sono uscite parole che non so qui a ripetere, bensì a spiegare il significato: poco di buono. Donna senza dignità. Sai quanto è stato brutto accettarli? Abbastanza. Però sono qui, sono qui con le persone che davvero resteranno con me, ed è questo l'importante». Mi allontanai da lei per guardarla negli occhi e lentamente mi asciugai le lacrime. «Sono questi i momenti in cui capisci davvero chi sta dalla tua parte». Tenne le sue esili mani sulle mie spalle e solo quando fu sicura che potessi reggermi da sola, mi lasciò.
«È vero». Una voce alle spalle di Chloe, interruppe tutto, tuttavia riconobbi quella voce: Chanel, che con i suoi capelli neri e i suoi occhi color nocciola aveva incantato mio fratello al tal punto di innamorarsi l'uno dell'altro. Erano una coppia bellissima e non avevano mai permesso ai loro litigi di allontanarli in maniera definitiva e di questo ero molto contenta. Conoscevo abbastanza Chanel da sapere che preferiva passare giornate intere a giocare con la playstation con mio fratello anziché uscire, preferiva il cioccolato alla vaniglia, i capelli neri anziché castani, ovvero il suo colore naturale, preferiva le tute sportive anziché ai vestiti eleganti, preferiva la verità alla bugia, preferiva il giorno alla notte perché quest'ultima spesso celava la verità. Preferiva gli altri anziché se stessa e preferiva essere indifferente anziché essere notata. Ora eravamo un trio: io, Kendall e Chanel e, al dire il vero, ero abbastanza felice. Formavano un trio perfetto. Io amante della lettura, Chanel amante dei videogiochi, Kendall amante della moda così come lo era Krystal. Quest'ultima mi pareva di non conoscerla davvero, mi sembrava che tutto ciò che sapevo su di lei si fosse dissolto in una nuvola di fumo. E mi faceva male. Tuttavia capii che non potevo stare, per sempre, male per una persona che preferiva vedermi morta. Per questo motivo misi da parte il mio dolore e il momento di debolezza e decisi di dedicarmi a loro, ricordandomi mentalmente che dopo avrei chiamato mia madre.
«Ragazze, oggi è la vigilia di Capodanno». Annunciò Chloe, stupefatta, me ne ero completamente dimenticata e sinceramente non ero neanche in vena di festeggiare. «No, voi due, toglietevi quell'espressione dal viso. Noi festeggeremo, ora chiamerò gli zii così potranno fare la spesa». Chloe ci minacciò con il cucchiaio sporco con l'impasto dei pancake e la trovavo divertente, tuttavia lo nascosi. Effettivamente gli zii avevano dormito in hotel dato che non c'era più spazio qui e avevano chiamato pochi minuti fa Chloe, dicendole che tra due ore sarebbero arrivati. «Voi avete semplicemente il compito di svegliare gli altri, a modo mio ovviamente». Sorrise nel pronunciare quelle parole si portò un dito sulle labbra con fare pensieroso, alzando gli occhi al cielo. Infine sorrise maleficamente e annunciò: «So come svegliare tutti dolcemente».
***
«Ma dico io c'era davvero bisogno di svegliarci così? Il cuore sembra che voglia uscire dalla gabbia toracica». Si lamentò James, portandosi per l'ennesima volta la mano sul cuore. Forse non li avevamo svegliati in una maniera dolce ma forse, eh.
«Oh ma sta zitto, allora quando accadrà davvero, morirai?». Replicò Chloe, divertita, dividendo i pancake in ogni piatto. Fuori non c'era tanto caldo anzi c'era un leggero venticello che rendeva l'atmosfera bellissima.
«Ma non è normale svegliarci sbattendo il coperchio e la pentola e urlando: "Si sono rotte le acque, il bambino sta nascendo"». Borbottò Colton accanto a me, che ebbe immediatamente lo sguardo mio, di Chloe e di Chanel sopra.
«Oh ma sta zitto». Sbottammo io e le ragazze, facendo ridacchiare il resto del gruppo tutti tranne Brandon. Giocava con il cibo nel suo piatto e lo fissava come se fosse la cosa più interessante in quel momento, per carità, anche io davo importante al cibo ma il suo sguardo era preoccupato. E ciò mi allarmò.
«Brandon, va tutto bene?». Il mio quesito fece cessare le risate e Brandon, come se fosse caduto dalle nuvole, alzò lo sguardo.
«Certo, scricciolo». Le sue labbra si piegarono in un sorriso, ma nonostante ciò, il suo tono non era per niente convincente e Chanel parve accorgersene.
«Amore, sicuro? Sembri preoccupato». La ragazza sopracitata diede voce ai miei pensieri, mettendo la mano sopra la spalla di mio fratello per fargli capire che non era solo. Brandon, come se avesse deciso in quel momento di parlare sinceramente, guardò la sua ragazza e infine guardò gli altri.
«I nostri genitori non rispondono da quasi due giorni. Papà mi aveva lasciato un messaggio in segreteria prima che le comunicazioni si interrompessero e non si sentiva nulla, come se non potesse parlare ma volesse dirmi qualcosa. Non lo so, ma quella chiamata è stranissima. Può essere una stupida coincidenza, magari è partita la chiamata e la segreteria, però in questi giorni: non esistono coincidenze». Mi si gelò il sangue, udendo la risposta di mio fratello. Rimproverando me stessa per essere stata troppo egoista da non chiamare i miei genitori neanche mezza volta, rimandando di continuo.
«Krystal non ha mai parlato di voler ferire i genitori». Confidò Gabriel, guardando Brandon. Le sue parole, probabilmente, dovevano confortarci. Ma per quanto mi riguardava non avevo ancora nutrito abbastanza fiducia da potergli credere, sapevo che si trattava del migliore amico di Colton, ma anche Noah era il mio migliore amico eppure mi aveva tradita. Certo ero consapevole che non potevo paragonarli, ma chi mi assicurava che Gabriel stesse dicendo la verità? Per quanto ne sapevo poteva essere arruolato nell'isis. Roteai gli occhi a quel pensiero, constatando quanto le paranoie di Kendall stessero influendo i miei pensieri.
«Per quanto ne sappiamo, Krystal non aveva neanche calcolato il tuo tradimento. Gabriel, perché hai deciso di tornare ora? Avresti potuto farlo prima, no?». Chanel guardava curiosa Gabriel, aspettando la risposta alla sua domanda.
«Perché prima di agire devi conoscere i piani del tuo nemico. Ed è questo quello che ho fatto, ho permesso a Krystal di fidarsi di me, al tal punto di confidarmi i suoi piani così da poterla conoscere. E accadde. So per certo che Krystal non ha la minima idea di cosa sta facendo, non sa neanche maneggiare una pistola. Potete prenderla, non è forte come il padre. Per non parlare di Noah, posso assestarlo con un semplice schiaffo. Credetemi, sono una frana. Probabilmente se non fosse stato per il gruppo, sarebbero già dietro le sbarre. Dovreste averlo capito quando ha deciso di colpire Charlotte con una padella». Ci fece notare Gabriel, scrollando le spalle.
«Decisamente professionale». Borbottò ironicamente Colton. Tuttavia il mio pensiero ritornò sui miei genitori, così mi alzai decisa a chiamarli. Magari prima non potevano rispondere.
«Ora torno». Annunciai, dirigendomi verso la porta per entrare in casa. Nell'esatto momento in cui compii la sopracitata azione, suonò il campanello di casa, così mi incamminai verso l'ingresso. Dalla finestra vidi la macchina dei miei zii, cosi aprii direttamente ritrovando non solo chi mi aspetto di trovare. Christian Sanchez era proprio di fronte a me, con una maglietta blu notte che risaltava i suoi occhi azzurri, i jeans e un paio di scarpe sportive. Mi stupii nel vederlo in quell'abbigliamento. Dietro di lei, sua moglie in un abito a maniche corte aderente sino alla vita che poi si allargava in una dolce gonna, beige. I suoi capelli castano scuro erano legati in una dolce coda e superando il marito, mi coinvolse in un abbraccio inaspettato, ovviamente. Tuttavia mi affrettai a ricambiare.
«Mamma». Alle mie spalle giunse la voce di Chloe, rotta dell'emozione. Jennifer si allontanò da me e incrociò lo sguardo di sua figlia, sull'orlo di una crisi emotiva.
«Chloe». Si affrettò ad abbracciare sua figlia, in quell'abbraccio notai la loro differenza di altezza e il loro colore dei capelli, ricordandomi che una volta Chloe mi aveva confidato che i suoi capelli non erano rossi, bensì castano scuro come sua madre e all'epoca non sapevo come fossero quelli della sopracitata donna, ma in quel momento immaginai i capelli di Chloe castano scuro e parevano identiche. Christian fece un passo per entrare anche se parve indugiare, infine fu spinto da suo fratello. Sua figlia si allontanò dalla madre per guardare negli occhi suo padre, Chloe era ormai in lacrime così come sua madre. Christian avanzò verso la figlia e quando giunse davanti a lei, alzò la mano per accarezzarle la guancia ma Chloe non voleva ciò infatti si affrettò ad abbracciarlo, un abbraccio che fu subito ricambiato. Mi portai la mano sul cuore come se volessi trattenere l'emozione che stavo provando, all'interno.
«Dici che siamo degli intrusi». Mi voltai nuovamente verso la porta che zia Katherine stava chiudendo e, solo in quel momento, notai Leandro, padre di Chanel, e Jenna, madre di Kendall, nel salone.
«Jenna? Signor Forbes?». Sorriso cordialmente udendo il mio quesito, che mostrava chiaramente il mio stupore.
«Chiamami Leandro». Disse il padre di Chanel, prestando attenzione oltre le mie spalle.
«Hanno organizzato tutto i tuoi genitori». Mi informò mia zia, la guardai e come se avesse letto la domanda nei miei occhi: «Stanno arrivando». Lasciai andare il respiro che dimenticai di trattenere. Infine guardai Chloe che si asciugava gli occhi e annuiva e sorrideva alle parole del padre. Feci segno di seguirmi a tutti e prendendo Chloe per mano, le feci capire che era meglio portarli dagli altri. Quando varcammo la soglia avevamo lo sguardo di tutti sopra di noi e quando lo fecero anche gli altri, Chanel e Kendall corsero ad abbracciare i loro genitori mentre Colton pareva scioccato. Mi chiesi se sentisse la mancanza dei suoi genitori. Tuttavia presto si alzò dalla sedia e si avvicinò a sua madre che lo strinse immediatamente in un abbraccio. Distolsi lo sguardo dalla scena abbastanza dolce, per guardare mia zia.
«Charlotte, i vostri genitori non sanno che James è vivo. Come non lo sa nessuno qui. Infatti sono sicura che appena lo noteranno, non nasconderanno lo stupore. Ma ora voi quattro dovete andare dai viste genitori, tua mamma voleva andare nella casa dove è morto suo figlio. Non puoi capire quanto stesse soffrendo». Mi confidò mia zia, scattai immediatamente. Mi avvicinai ai miei fratello e dissi ciò che sapevo, si alzarono velocemente e James annunciò di farci trovare tra cinque minuti esatti davanti la porta, mentre fece per passare tra le famiglia tutti lo notarono e come sospettava la zia, erano scioccati. E James lo notò.
«Meravigliati da tale bellezza?». Ovviamente non poteva non commentare prima di rientrare, lo segui con i miei fratelli a ruota. Scuotendo la testa e constatando che certe cose non potevano cambiare.
«Altro che grande puffo, tu sei un pavone». Borbottai, facendo ridacchiare i miei fratelli.
***
Fortuna che indossavo già dei semplici pantaloncini blu a vita alta e una maglietta nera, così indossai solamente le converse ed ero pronta per uscire. Aaron e Brandon indossavano dei bermuda neri e una canottiera larga, il biondo bianca e il modo azzurra, mente James dei jeans e una camicia bianca a maniche corte ovviamente. Era teso come la corda di un violino e volevo davvero fare una battuta dicendo: "se ci fosse stato James Carstairs ti avrebbe suonato", tuttavia evitai. Quando entrammo nella macchina di Aaron, dato che James non se la sentiva proprio di guidare, mi misi accanto a lui nei sedili posteriori e gli accarezzai la spalla per rassicurarlo. O almeno per quanto potevo.
«Sto per dire ai miei genitori che sono vivo, secondo te dovrei stare tranquillo? Mi sembra una possibilità impossibile. Brandon mi ha detto che la mamma non è riuscita più a pronunciare il mio nome, l'ho praticamente distrutta. Me lo sentivo che dovevo dirvelo prima ma non potevo». Disse con tono calmo anche se sapevo che stava nascondendo il nervosismo. Lo capivo dal fatto che batteva il piede. «E neanche volevo. Ora siete tutti in pericolo». Sussurrò non abbastanza bianco purché non sentissi, girandosi a guardare il paesaggio. Gli circondai il collo con le mie esili braccia e lo strinsi forte, appoggiando la testa sopra la sua spalla.
«Andrà tutto bene e lo sai». Sussurrai, seguendo il suo sguardo. La casa che un tempo era di James, ora non sapevo esattamente di chi fosse se fosse di qualcuno, era due viali dopo. Ed ero molto curiosa di sapere se avessero costruito sopra quel terreno bruciato. «Jem, ma il terreno è ancora intestato a te?».
«A proposito, quando mamma e papà hanno deciso di seppellirmi, dietro ciò c'è sempre stato l'intervento dell'FBI, di conseguenza solo per loro e i parenti sono morto. Ma per il Governo sono vivo e vegeto, di conseguenza il terreno è ancora intestato a me e la decisione di ricostruire spetta a me, tuttavia ho deciso di non fare nulla almeno per il momento. Prima di tutto perché non voglio dare nell'occhio, inoltre per il momento il terreno è troppo debole e secondo punto perché non me la sento». Mi informò, continuando a guardare il paesaggio. Annuii allontanandomi da lui e voltandomi a guardare i miei fratelli coinvolti in uno scambio di opinioni riguardo i Green Day, band che amavo follemente, mentre in sottofondo le note di Boulevard of Broken Dreams si diffondevano e rendevano l'aria meno carica di tensione. Tuttavia mi innervosii anche io quando svoltammo la traversa che ci avrebbe condotto nella casa, o quello che restava. Il terreno lo si poteva vedere da lontano e sentii James irrigidire. Nonostante volessi confortarlo sapevo che non sarebbe servito a nulla.
«Io scendo dopo, prima andate voi». La voce di James lasciava trapelare un pizzico di nervosismo e volevo dirgli di lasciarsi andare all'emozioni che placandole non l'avrebbe portato da nessuna parte, che non doveva dimostrare niente a nessuno e potete permetterselo. Ma prima che potessi effettivamente dire qualcosa, mi guardò e mi limitai ad annuire. Arrivammo davanti il terreno e mi si spezzò il cuore nel constatare che c'erano due figure proprio sopra i resti della casa: i miei genitori. Mia madre era accasciata a terra mentre mio padre si limita a metterle una mano sulla spalla, volendo dimostrare di essere forte. Papà e James si assomigliavano parecchio, non lasciavamo mai alle loro emozioni quasi fosse illegale ciò. Aaron spense il motore dopo aver parcheggiato di fronte il terreno. Mio padre fece per girarsi e proprio nell'arco di quel movimento, James si nascose abbassandosi come se volesse allacciarsi le scarpe, ma sapevo che non era per questo.
«Ma James». Esclamai, sbattendomi la mano sulla fronte, guardando in basso. James mi fece segno di stare zitta e scendere, dall'altra parte. Roteai gli occhi scendendo, dall'altro sportello, seguita dai miei fratelli. Lasciando James distendersi sui sedili. Sapevo che sarebbe sceso appena avrebbe trovato il coraggio. Ma la vera domanda era: quando sarebbe stato pronto?
«Brand, Ron, Lottie». Mio padre ci chiamava con i nostri soprannomi di rado, in quel tono di voce rilevai un tipo di tristezza così forte che mi fece stringere il cuore. Mia madre non osò alzare lo sguardo ma delle sue spalle scosse ripetitivamente da singhiozzi e aveva le mani davanti il viso come se si vergognasse di piangere, come se non volesse condividere il suo dolore con noi. Ogni passo che mi avvicinava a loro, sentivo l'ansia crescere in maniera abbastanza snervante.
«Papà, mamma». Sussurrò Brandon ormai accanto a loro, lanciai uno sguardo alla macchina e potei notare la chioma bionda e gli occhi azzurri puntati su di noi. James ci stava spiando. Mi accostai accanto ad Aaron che si inginocchiò accanto nostra madre, mettendole un braccio attorno al collo, io mi inginocchiai davanti a lei posando le mani sopra le mie gambe.
«Mamma?». Ebbi difficoltà io stessa ad udire la mia stessa voce. Riprovai. «Mamma?». Stavolta il tono della mia voce era notevolmente più alto ma tremante. Era doloroso vedere il proprio genitore soffrire, doloroso come lo era per loro vedere soffrire i propri figli.Notai che davanti a lei c'era una foto che ritraeva James al momento del diploma in tutta la sua bellezza, con un sorriso felice sulle labbra. «Mamma, sappiamo come ti senti in questo momento. Ti senti morire e lo sappiamo. Ma, mamma, non puoi annegare nel dolore: devi rialzarti. Vivere. Fallo per noi». Non spettava a me dirgli la verità su James, sapevo che stava raccogliendo i pezzi del suo coraggio andato in frantumi. Era solo questione di minuti e sarebbe venuto a salvare la mamma.
«Char». Mia madre aveva alzato lo sguardo e mi si spezzò il respiro Nell'incrociare i suoi occhi. «Tu- voi, non potete neanche lontanamente capire cosa prova una madre nel realizzare che il proprio figlio sia morto, inoltre vi auguro di non capirlo mai perché per farlo bisogna passarci. Ho sempre chiesto a Dio di farmi chiudere gli occhi prima che lo facciano i miei figli e so quanto sono stata egoista nel chiederlo ma, guarda, non è stato così. Lui è andato via e io sono rimasta qui. È peggio di morire». I suoi occhi rossi erano cerchiati da profonde occhiaie e ciò mi spinse a dedurre che non dormisse da svarianti giorni, si inumidirmi di nuovo ma nonostante ciò non scoppiò a piangere, anzi continuò il suo monologo dopo aver deglutito. «Aveva solo diciannove anni e mi sembra ieri quando lo presi tra le mie braccia la prima volta, quando l'allattai, quando ci giocavo e sorrideva, quando la notte dormiva beatamente e di giorno giocava vivacemente. Mi sembra ieri quando gli dissi che avrebbe avuto dei fratellini e lui rispose che voleva una sorellina. Mi sembra ieri quando si distendeva accanto a me per parlare con voi, con la pancia pronunciata. Quando gli disse che avrebbe avuto una sorellina, urlò dalla gioia. Oppure quando iniziarono le contrazioni, provai a svegliare vostro padre ma non ci riuscii, così arrivò vostro fratello che riuscì a svegliare vostro padre. Mi sembra ieri quando nasceste voi e lui affermò, guardando Aaron, che non gli stava per niente simpatico e guardava Charlotte con adorazione. Mi sembra ieri quando volle mettere il suo letto nella stanza in cui dormivate voi, perché voleva fare la guardia e proteggervi da ogni male. Mi sembra ieri quando vi leggevo le storie e lui stava con me per imitare alcune scene. Quando gli comprai il primo libro. Quando andò a Los Angeles. Quando mi presentò Chloe. Quando mi confessò di essere innamorato. Quando si diplomò. Quando prima della festa, dopo avermi abbracciata, mi sussurrò di volermi bene, mi ringraziò per tutto quello che avevo fatto e poi disse...». Tirò su con il naso.
«"Sarai una nonna meravigliosa"». Mia madre parve smettere di respirare, spalancando gli occhi. Mio padre si voltò bruscamente verso James, io sorrisi felice, mentre mia madre si alzò per poi voltarsi verso il suo primogenito. Quest'ultimo sorrideva mentre mia mamma avvicinava la sua mano tremante alla guancia del figlio.
«Ciao mamma».Sussurrò e parve risvegliare mia madre da quel momentaneo stato di trance, infatti abbracciò James lasciandosi andare in un pianto di gioia. Nel stesso momento, mio padre si avvicinò e si unì all'abbraccio, invitando con lo sguardo anche me e i miei fratelli, in un attimo tutta la famiglia si ritrovava riunita in un abbraccio che rimarginò ogni ferita e cancellò ogni brutto ricordo. Ci ritrovammo abbracciati su quei resti che prima ci aveva distrutti e, in quel momento, ci aveva guarito.
Sentivo che la mia famiglia, la famiglia Hernandez, stava tornando più forte di prima. Nessuno ci avrebbe più diviso. Nessuno ci avrebbe più distrutto. E ne ebbi conferma quando ci allontanammo e mia mamma, guardando James negli occhi con i suoi colmi di lacrime, sussurrò.
«Bentornato James».
***
La sorpresa era quel tipo di emozione che difficilmente si poteva nascondere, le sorprese molte volte avevano in comune le lacrime, a volte di gioia, a volte di tristezza. E in quella sera le sorprese erano state le protagoniste. Prima di tutto la scoperta di James, secondo la gravidanza di Chloe, terzo la chiacchierata tra Leandro, mio padre, Richard e Christian, il loro modo di parlare tranquillamente ci fece davvero dubitare della vecchia lite, quarto la serenità che regnava a tavola e quinto le battute di Richard che facevano ridere tutti. In quel momento, seduta in quella tavola, circondata da tutti coloro da tutte quelle persone mi fu inevitabile pensare alla cena di Natale a casa dei DiLaurentis cena che, per altro, mi aveva fatto solo male. E mi fu inevitabile mandare via i ricordi per evitare di essere invasa e aver rovinato anche la vigilia di Capodanno. Colton, che sedeva accanto a me, parve accorgersi del mio momentaneo cambiamento di umore infatti mi strinse la mano sotto il tavolo e sorrisi per ringraziarlo.
«Allora sono esattamente le undici e mezza, vogliamo accomodarci in giardino? So che lo spettacolo dei fuochi d'artificio è visibile da qui e sarebbe meraviglioso, no?». Propose James, alzandosi dalla sedia. Avevamo finito di mangiare da un bel pezzo, tuttavia eravamo rimasti a parlare e non c'eravamo minimamente accorti dell'orario. Tutti annuimmo, infatti dopo aver presto lo champagne e i calici per poter brindare appena sarebbe scattata la mezzanotte, andammo fuori. In quel momento mi mancò terribilmente New York, ogni Capodanno ero stata lì e mi era sempre piaciuto. In realtà, avevo sempre amato la mia città. Fuori, mi misi accanto a Colton che non perse tempo a circondarmi il collo con il suo braccio, facendomi rabbrividire. Tuttavia sorrisi e appoggiai la testa sulla sua spalla. Stavo davvero bene con Colton, mi sentivo al sicuro e soprattutto mi sentivo viva. Con il passare dei minuti fui invasa dai ricordi, mi pareva davvero buffo come alcuni potevano dare importante a quel scoccare della mezzanotte come se cambiasse effettivamente qualcosa, quando in realtà per me era un momento come un altro semplicemente reso speciale dalla credenza di poter rinascere da un momento all'altro, ma io spessa avevo capito che per cambiare non dovevamo aspettare un nuovo anno, per cambiare bastava volerlo in qualsiasi momento. Quella giornata era stata una di quelle abbastanza movimentate ricche di emozioni e di ostacoli da superare. Sorrisi al pensiero che tutto stava tornando a posto, tutti i tasselli del puzzle che stava componendo la mia famiglia. Finalmente eravamo liberi da quell'ancora che ci stava trascinando in fondo, tuttavia pensai a Krystal e mi si strinse lo stomaco, non era ancora del tutto finita, ma lo sarebbe stata al più presto. Ne ero sicura. Non mi resi conto che mancavano solo pochi secondi alla mezzanotte se non quando Chloe iniziò il conto alla rovescia seguito da tutti.
«3,2,1... Auguri!». Urlammo all'unisono stampando le bottiglie di Champagne, tuttavia trovai abbastanza buffo che tutte le coppie si scambiarono un bacio come se fosse il giorno di San Valentino, non era il bacio dato a mezzanotte a far durare le coppie. Tuttavia tenni quel pensiero per me quando Colton mise le sue labbra sulle mie, stampandomi un semplice e delicato bacio che mi fece perdere la testa. I fuochi d'artificio riempirono il cielo con i colori colori e mi persi ad osservare le sfumature, meravigliose aggiungerei, anche i vicini stavano festeggiando, erano nel cortile osservando i fuochi d'artificio e alcuni si apprestarono a fare gli auguri anche a noi. Colton mi tolse il bicchiere pregnante di Champagne delicatamente dalla mano, per poi posarlo accanto al suo nel giardino, infine prendendo per mano mi abbracciò dolcemente. Appoggiai la testa e lui mise la testa nell'incavo del mio collo. Sentivo il suo respiro nel punto in cui era appoggiato e rabbrividii, portandomi a stringere di più a lui, desiderando che tutti attorno a noi si fermasse permettendoci di rimanere in quella posizione fino alla fine dei tempi. Tuttavia quando mio padre si posizionò al centro del giardino attirando l'attenzione di tutti, alzando il bicchiere e augurando un nuovo anno a tutti poi si schiarì la voce e pronunciò parole che suscitarono gioia in me, ma soprattutto ansia.
«Ragazzi miei, domani si torna a New York».
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