Capitolo 27: You are my secret
Chiudevo e riaprivo le palpebre, sbadigliavo e mi portavo la mano davanti la bocca, mi rigiravo sul fianco sinistro, ma subito dopo su quello destro, giocavo con le ciocche dei miei capelli, contavo gli unicorni (dato che erano le uniche cose che la mia mente riusciva a formulare, omettendo i Colton in miniatura che aveva proposto) ma niente: non avevo più sonno. Così decisi di alzarmi, mettendomi semplicemente a sedere e solo in quel momento realizzai di non essere in camera mia, potei notarlo dalla mancanza di Kendall, dalla posizione della finestra e dalla fragranza maschile che alleggiava nell'aria. Avvampai ricordando con chi avevo dormito e mi voltai immediatamente a guardare l'altra parte del letto matrimoniale, ma era vuoto tuttavia dalle lenzuola sfatte e disordinate capii che non avevo immaginato tutto. Mi affrettai a saltare giù dal letto guadagnandomi un capogiro che ignorai. Probabilmente era sceso a fare colazione, perché avevo tutta questa fretta? Non seppi rispondere a quella domanda, così mi limitai a seguire il mio istinto. Poiché notai, solo in quel momento, che fuori era buio e quando guardai la sveglia sul comodino notai che erano le tre e mezza del mattino. Strabuzzai gli occhi e decisi di scendere giù, probabilmente era sceso anche lui. Ero molto preoccupata per lui, prima che mi trovasse fuori la porta io stavo andando in bagno, ma l'avevo sentito urlare non abbastanza forte affinché si sentisse nelle altre stanze, ma abbastanza straziante da indurmi a spiarlo. Una volta si era definito un leone e probabilmente lo era davvero, in quella circostanza pareva un leone impaurito dal suo stesso ruggito. Scesi lentamente le scale essendo ancora assonnata, e notai appena giunta giù un borsone blu vicino la porta. La porta della cucina era socchiusa e potei notare la luce uscire dalla fessura, mi avvicinai cautamente sentendo sussurrare e mi accostai dietro non provocando il minimo rumore.
«È una pazzia». Era la voce di James, capii che fosse terribilmente frustrato e mi chiesi con chi stesse parlando se non con Colton.
«Be' l'alternativa sarebbe la morte». Infatti a rispondere era stato proprio il sopracitato ragazzo, con un tono neutro. Come se avesse detto che aveva visto una farfalla, mentre io nell'udire quella frase, rabbrividii.
«Quella è la tua alternativa. Abbiamo alcune prove, possiamo incastrarli». Sussultai sentendo un botto simile a quello di una mano che entra violentemente in contatto con una superficie. James aveva il tono di uno che ne aveva abbastanza, come se stesse rimproverando il figlio dopo aver rotto una finestra con la palla.
«Non ne abbiamo abbastanza, se li denunciassimo, Charlotte morirebbe. Per quanto possa sembrare assurdo, quel mostro è tra di noi, Jem. Ci hai mai pensato? Certe cose, si possono sapere solo stando qui. Tra di noi». Colton non abbandonò quel tono neutro neanche per un attimo, potei immaginarlo guardare indifferente James. Inoltre, notai il modo in cui l'aveva chiamato, da piccola lo facevo anche io ma, alla fine, avevo iniziato a chiamarlo semplicemente James.
«Non permetterei mai che accadesse qualcosa a mia sorella, lo sai bene». Ero così confusa in quel momento, non sapevo di chi avessero paura, chi mi volesse morta, cosa stesse accadendo. Senza che me ne resi conto mi appoggiai sulla porta e questa di spalancò violentemente facendomi cadere. «Char». Mio fratello non nascose lo stupore e si preoccupò a raggiungermi così da aiutarmi ad alzare. Tuttavia feci tutto da sola, ignorando la mano che mi offriva. Alzai lo sguardo e vidi Colton che mi fissava con una sfumatura che non avevo mai letto nei suoi occhi: il nulla. L'indifferenza. Era appoggiato al bancone indossava una maglietta grigia aderente e dei jeans neri, come se fosse pronto ad uscire e di fronte a lui c'era Chloe, con gli occhi lucidi e lo sguardo assente, tanto assente che non mi aveva neanche notata. Nessuno parlò, allora fui a farlo.
«Cosa sta succe...». Feci per parlare ma fui interrotta bruscamente da Colton.
«Tutto quello che non sai». La sua voce era così fredda nei miei confronti che mi fece rabbrividire e mettere un paio di secondi prima di rispondere.
«Oh che illuminazione divina! Non ci avevo proprio fatto caso». Risposi acidamente e infine mi rivolsi a mio fratello.«Tu ancora non mi hai detto come fai ad essere vivo. Non so ancora niente! Qualcuno mi vuole morta e lo sto sapendo solo ora, sembra che uno sconosciuto sappia più di me». Indicai Colton che roteò gli occhi.
«Uno sconosciuto? È così che mi definisci?». Non sembrava né ferito e né stupito, semplicemente indifferente.
«Mi hai mai permesso di conoscerti? Non mi pare. Ora non voglio starti a sentire, James tocca a te parlare». Incrociai le braccia e guardai mio fratello, che a sua volta guardava Chloe in cerca di appoggio morale. Infine, tornò a guardarmi.
«Sediamoci». Fece segno a tutti di sederci al tavolo e le uniche a farlo fummo io e Chloe, Colton rimase ad osservarci con un'espressione seccata. «Ti ho raccontato fin quando la zia Katherine andò con Richard sino Los Angeles, città in cui Christian fondò la sua azienda. Bene, da lì la situazione degenerò abbastanza velocemente da diventare insopportabile. Katherine e Richard continuarono la scuola, una scuola privata. Erano all'ultimo anno, in procinto di scegliere l'università da frequentare. Sai è stato difficile per Katherine, Christian, non di persona ovviamente, fece firmare delle carte al nonno per confermare il fatto che lui ormai fosse il tutore della zia. Quella fu l'ultima volta che il nonno ebbe a che fare con la zia. Ritornando al discorso, continuarono la scuola privata ed erano all'ultimo anno in procinto di scegliere l'università. Un ragazzo di diciannove anni che frequentava un corso con Kat, Gustave Brown, si invaghì perdutamente di lei, al tal punto da lasciarle rose sul suo banco, biglietti nell'armadietto con frasi poetiche anonimamente, trascurando il fatto che fosse fidanzata e quando Richard lo venne a sapere andò su tutte le furie volendo scoprire chi fosse questo demente così, ironia della sorte, si confidò con un suo amico Gustave, proprio colui che faceva la corte alla sua ragazza, il quale gli consigliò di non fare nulla e che se Katherine fosse abbastanza innamorata non sarebbe caduta in nessuna trappola. In tutto ciò si stava avvicinando la festa di Halloween e Katherine insistette tanto per andarci, inoltre i biglietti anonimi erano finiti e Richard era più tranquillo. Tre giorni prima della festa, Katherine comprò i vestiti. Si sarebbero vestiti entrambi da vampiri, dato che entrambi amavano guardare film proprio su essi. Richard fece vedere il suo costume a Gustave, il quale gli disse che era perfetto e unico. Arrivò la sera della festa, Katherine e Richard arrivarono in ritardo e c'era già tantissima gente, lo zio disse alla zia che sarebbe andato a prendere da bere e che nel frattempo lei avrebbe potuto aspettarlo appena fuori la pista così poi sarebbero andati a ballare. Lei lo ascoltò, tuttavia da lì a poco due braccia le cinsero la vita e quando vide il costume girandosi di poco sorrise, dicendo a quello che riteneva il suo ragazzo di non perdere tempo e prendere da bere, questo si avvicinò e la baciò. Ma non era di certo Richard, era Gustave. Katherine lo capì subito sia dal profumo che dall'alito che odorava di alcool e qualche sostanza stupefacente. Così gli assestò un calcio e gli diede uno schiaffo proprio quando tornò Richard, che non perse tempo a picchiarlo avendo visto tutto. Anche Gustave picchiò Richard e, alla fine, quando arrivarono i supervisori della festa e smisero di litigare, Gustave disse: "Maledetto Sanchez, te ne pentirai amaramente di ciò che hai fatto". E vero fu, da allora iniziò l'incubo sia per Katherine che per Richard che per noi. Gustave era figlio di un mafioso potente di tutta l'America, non ci pensò due volte a raccontarlo a suo padre che, a sua volta, fece di tutto per rendere la vita un inferno a tutti noi». Il cognome Brown faceva formare una specie di figura nella mia mente, però non riuscivo a collegarlo a nessun viso tuttavia potevo giurare che quel cognome l'avevo già sentito e non solo in quel momento.James fece un respiro profondo prima di continuare. «Inizialmente si limitavano a seguirli, mandare messaggi anonimi solo per avvertirli di qualcosa che sarebbe successo. Katherine e Richard decisero comunque di andare all'università, denunciando una volta per tutte Gustave Brown per stalking ma suo padre riuscì ad aggirare anche la polizia, riuscirono ad annullare la denuncia o meglio a far si che le prove non risultassero autentiche e di conseguenza la denuncia non potesse essere valida. Iniziarono a minacciarli, se li avessero denunciati di nuovo, uno di loro avrebbe perso la vita oltre che la causa contro di loro. Tuttavia loro ignorarono questa cosa e decisero di denunciarli di nuovo, nel momento in cui entrarono nel dipartimento un ragazzo li superò, probabilmente faceva parte di questo gruppo, per far perdere tempo alla polizia. Nel frattempo a Katherine arrivò una chiamata da Jennifer annunciando che Christian Era in ospedale, aveva avuto un incidente. Così Kat e Rich andarono via ricevendo, inoltre, un messaggio anonimo in cui c'era scritto:"Chi la fa, l'aspetti". Solo in quel momento capirono con chi avevano a che fare, di conseguenza decisero che per il bene di tutti dovevano chiarire con questo Signor Brown. Ma non tutto andò secondo i piani».
«Katherine provò a contattare Gustave, lui le rispose. Però voleva parlare di persona, così, dopo aver spiegato tutto a Rich, si recò nel luogo dell'appuntamento. Un locale molto distante da casa sua, su una strada deserta. Ad aspettarla c'era Gustave, parlarono di tutto; Lui le chiese cosa avesse Rich che lui non aveva, lei rispose semplicemente che non importava cosa avesse una persona bensì cosa ti faceva provare. Poi andò al punto, gli chiese di lasciare tutti in pace perché se davvero l'amava doveva lasciarle vivere la vita che tanto bramava. Lui accettò. Disse che l'avrebbe lasciata in pace sto che era anche lui stanco, inoltre suo papà era malato, in procinto di morire e lui voleva stargli accanto. Così la zia dopo tre anni, perché andò avanti per tutto questo tempo, si liberò di questo peso. Rich e la zia decisero di sposarsi, avevano ormai ventidue anni, si sentivo abbastanza grandi da superare questo traguardo purché insieme. Si sposarono, la damigella fu Chloe, il paggetto Colton. E tieni a mentre questo processo. Finora i sopracitati ragazzi non erano mai stati visti nel mondo della stampa, Christian voleva crescere I propri figli lontani dalla fama tuttavia non poteva nasconderli per sempre. Infatti quando i giornalisti videro questi favolosi bambini, non furono di certo in grado di celare il proprio stupore. Non esitarono a pubblicare pagine su di loro, che avevano come titolo:"Gli eredi di Christian Sanchez". Neanche fossero principi. Sta di fatto che il sopracitato uomo, li denunciò per violazione di privacy e annullarono la pubblicazione. Ma una copia del giornale era già andato nelle mani sbagliate. A Gustave Brown. Be' tutti credevano che dicesse sul serio alla zia, ma non era vero invece no, non aveva smesso di tormentarsi. Voleva Katherine a tutti i costi». Ero affascinata dal racconto, tuttavia mi stavo ancora chiedendo cosa c'entrasse James con tutto ciò.
«Tuttavia non fece nessun passo. Passarono sedici anni, un bellissimo ragazzo con i suoi meravigliosi capelli biondi, di nom-». James nel raccontare l'ultimo pezzo si passò le mani tra i capelli con fare vanitoso.
«Lo sappiamo tutti che stai parlando di te!». Commentò Chloe, ridendo leggermente. Il suo viso aveva un colorito troppo chiaro per i miei gusti, stava male. Lo si notava a metri di distanza.
«Okay okay, tengo i commenti su cose ovvie da parte. Sta di fatto che questo diciassettenne decise di cercare nello scantinato della casa del nonno, una fionda. Di quelle vecchie che usava il nonno, per soddisfare il desiderio della sua sorellina, Charlotte». Ricordavo perfettamente quel pomeriggio, eravamo a casa del nonno che raccontava le sue avventure da bambino, di quante finestre aveva rotto con una pietra e una fionda. Ricordo che parlando con James entrambi stavamo nutrendo il desiderio di usare una fionda vera e non una di quelle di quei tempi, ma antica. Così James aveva avuto il compito di cercare la fionda mentre io mi limitai a cercare le pietre "perfette". «Trovai uno scatolone con su scritto:" Buttare". Così pensai che probabilmente la dentro potevo trovare tutto ciò che mi serviva, tuttavia quando lo aprì ci trovai dentro solo foto e documenti. Ovviamente, preso dalla curiosità, decisi di guardarle. Sperando di trovare qualche foto imbarazzante di papà, però soprattutto per capire perché i nonni volessero buttare uno scatolone con delle foto di famiglia. Tuttavia notai che c'era sempre una ragazza, inizialmente pensai fosse la prima ragazza di papà, però notai la differenza di età e anche che c'era la mamma. Notai anche un documento, c'era scritto tutto. Katherine Hernandez divenuta Sanchez, presa sotto la custodia di Christian Sanchez, la residenza e una sua foto. Decisi di voler scoprire di più. Chiesi ai nonni che mi sgridarono per aver frugato tra la loro roba, intimandomi a posare tutto e che quella persona non era mai esistita. Non li ascoltai, gli feci credere di si ma portai tutto a casa nostra. Chiedendo a papà, il quale con gli occhi lucidi diceva di non ricordarsi di lei. Io quella stessa sera inizia a ricordarmi di lei, ricordai che era la zia, trovai alcuni disegni che avevo fatto io in cui c'era pure lei. Così decisi di andare a cercarla, inventai che c'era un amico a Los Angeles che volevo assolutamente vedere e grazie alla mia eccellente condotta, papà acconsentì. E con facilità ottenni un volo per la città degli angeli».James scrollò le spalle, alzandosi per prendere l'acqua. Notai in quel momento che i loro visi non mostravano nessuno segno di stanchezza, come se non stessimo parlando alle tre del mattino.
«Una mattina stavo correndo per andare in libreria, era uscito un nuovo libro e dovevo assolutamente comprarlo. Correndo mi scontrai con un ragazzo, il quale teneva un borsone su un spalle e un'espressione scocciata sul volto. Sbottò:"Non ci vedi ragazza?". Inizialmente volli ignorarlo, tuttavia la mia lingua aveva vita proprio e parlò per me:" Hey, non dovresti vedermi, sono una shadowhunter!". Feci il tono più acido che potessi fare. Lui sempre pronto a scattare, disse:" Evidentemente hai dimenticato a farti la runa". Gli feci il medio e andai via». Non era la prima volta che Chloe mi raccontava come lei e James si fossero conosciuti, tuttavia non mi stancavo mai di ascoltare quel racconto. Amavo follemente la loro storia d'amore, era una di quelle vere anche se nella vita reale, una di quelle che ti faceva sognare, ridere, piangere. Una di quelle che ammiravi e invidiavi nel profondo del tuo cuore, perché amori così erano rari se non unici. «Dopo aver comprato il libro decisi di andare da mia zia, quando entrai il ragazzo che c'era in cucina spalancò la bocca mentre io scoppiavo a ridere. Era tuo fratello». Non eravamo mai arrivati a questa parte del racconto e sorriso immaginando la scena. Era proprio destino che stessero insieme.
«E anche il nostro incontro non fu un caso, il tassista mi conosceva bene, mi aveva portato nell'indirizzo sbagliato quella mattina e Chloe è stata spinta su di me. Tutto era un piano purché ci incontrassimo. In sintesi, Gustave aveva preso di mira me. Il motivo? Ancora non me lo spiego, è come se sapesse sempre tutto di tutti. Sapeva che sarei andato a Los Angeles ma che prima di tutto avrei trovato le foto della zia. È come se vivesse con noi, come se fosse la nostra ombra. La cosa è solo una: ha informatori ovunque». Aggiunse James, sedendosi con tre bicchieri d'acqua, offrendoceli così bevvi un sorso dal mio bicchiere.
«Inoltre suo padre è morto, dieci anni fa. Ora è lui ad essere capo di questa banda». mi informò Chloe, il suo sguardo andò su Colton che si sedette accanto a James.
«A quanto pare neanche lui è vivo, è morto in un incidente stradale in Giappone. Comunque prima di arrivare a ciò continuate a raccontare, tra un po' arrivo io che entro in scena». Spiegò Colton, lasciandosi andare sulla sedia e intimando James a continuare.
«Come ho detto: sapeva sempre tutto. Ovviamente sapeva anche della storia della famiglia Sanchez e Hernandez, facendo incontrare me e Chloe, secondo lui, avrebbe dato via ad una specie di guerra tra le famiglia e nel frattempo avrebbe potuto catturare l'attenzione di Katherine. In tutto ciò, vorrei aggiungere che si era sposato anni prima e aveva una figlia che aveva quattordici anni, tuttavia non è mai stata vista insieme a lui. Lei e la madre hanno cambiato città per proteggerle a quanto ho capito. Ritornando a noi, la zia mi raccontò tutto quel giorno. Dalla storia della famiglia, alla sua storia da quando ha conosciuto Richard a quegli anni». Continuò James, bevendo un altro sorso. Facendo segno a Chloe di continuare.
«La zia propose a me di fare vedere a James la città, io accettai. Un pomeriggio, eravamo in un parco, erano già dieci giorni che facevo conoscere la città a James. Nel frattempo, avevamo iniziato a frequentarci e quel pomeriggio ci baciammo per la prima volta, mentre avvenne ciò, ci arrivò un aeroplano di carta, James pensò che fosse di qualche bambino che stava giocando ma non c'era nessuno lì, quando capii che era per noi, lo aprii e dentro c'era una nostra foto, mano nella mano e sotto c'era scritto: "Caro James, cosa ne penserà paparino?". Il sopracitato ragazzo sbiancò letteralmente e andammo via. Raccontammo tutta a zia Kat, solo quella sera James conobbe Rich che stava lavorando proprio sul caso di Gustave. Volava incastrarlo, non poteva perdonargli tutto ciò che aveva fatto in passato. Non era solo una questione personale, sai? Gustave aveva seminato altre vittime e Rich, svolgendo un lavoro che si occupava di difendere i cittadini, non poteva perdonarselo. Rich capí subito che si trattava di Gustave, così decise di intervenire. Propose un patto a James, ovviamente Rich non era solo, essendo direttore del dipartimento dell'FBI di Los Angeles, aveva organizzato tutto con la sua squadra. Allora lo scopo di Gustave era quello di rovinare le due famiglie, bene, a Josh erano già arrivate le foto di me e James, infatti aveva richiamato il figlio a casa, bastava semplicemente girare le carte. Allora Rich mi fece avere dei documenti falsi, il mio nome rimase Chloe ma il cognome diventò Smith. Sta di fatto che non potevo parlarne con i miei genitori che avevano ricevuto anche loro le foto e avevano iniziato a dare di matto. Non potevano accettare la relazione tra me e James. Litigavo ogni sera con loro, ma non sapevano che stavo facendo tutto ciò per proteggerli. Ritornando al piano, avevo cambiato identità e ora dovevo andarmene. Dovevo andare a New York per continuare il piano, così una notte andai via da casa mia, con l'aiuto dello zio che continua a sentirsi in colpa nei confronti di mio padre, al quale questa situazione è ancora ignota. Il piano prevedeva che andassi via con James, per far credere a Gustave che i genitori del mio ragazzo mi avevano accettato così ci avrebbe lasciati in pace e parve per una settimana così. Ma non tutto ciò che sembra è vero». Spiegò Chloe allungando la mano per stringerla a sua fratello che, per un attimo, parve volersi ritrarre ma, alla fine, le strinse la mano.
«Una sera, papà ricevette delle foto che ritraevano Chloe e James mano nella mano. Litigarono con Chloe, la ferirono con le parole che usarono, mia sorella piangendo andò in camera sua e io, in preda all'ira, litigai con mio padre e uscì di casa sbattendo la porta. Iniziai a correre, ma mi fermai di scatto quando vidi che di fronte casa mia c'era un ragazzo con una macchina fotografica tra le mani. Alla mia visione, lui iniziò a correre e io lo seguii e lo acciuffai immediatamente. Gli presi, quasi con forza, la macchina fotografica e vidi le foto scattate da poco che ritraevano Chloe e papà litigare dato che l'avevano fatto davanti la finestra. Gli ruppi la macchina fotografica e lo massacrai, fui fermato da un ragazzo che dopo avermi fatto cadere, aiutò il suo amico. Avevo colto di sorpresa coloro che seguivano mia sorella, come potevano permettersi di provare a calmarmi? Loro, sconosciuti? Dissi loro chiaramente che se si fossero avvicinati un'altra volta a mia sorella, li avrei fatti fuori e inoltre, aggiunsi, che se non avevano una vita amorosa e invidiavano quella di James e Chloe, potevano andare a puttane. Tanto pezzi di merda come loro, non potranno mai trovare l'amore. Loro parevano spaventati, così iniziai a correre per calmare la mia ira. Non mi resi conto quanto corsi, ma abbastanza da allontanarmi dalla mia zona. Fui affiancato da un furgone nero lucido, notai che andava alla mia stessa velocità così accelerai decidendo di svoltare bruscamente su una traversa, purtroppo la strada era deserta. Tuttavia sentii uno sportello sbattere e da lì a poco qualcuno mi tappò la bocca, altri ragazzi mi presero con forza e infine mi buttarono dentro il furgone. Fu lì che incontrai la prima volta Gustave, mi guardava come un cane guarda un gatto, come un gatto guarda un topo, come se fossi il suo spuntino. Volevo scappare ma non potevo, il furgone era ripartito e là dentro c'era si e no sei persone, più grandi e muscolose di me». Mi sentii una bambina in quel momento, prima del giorno del suo compleanno, quando tutti sanno cosa avrà come regalo ma lei no. E solo in quel momento un pensiero invase la mia mente, lo sconosciuto non era Colton, la sconosciuta ero io. Io che non sapevo nulla di tutto ciò, io che non ho aiutato loro quando ne avevano bisogno, io che invece di fare qualcosa annegavo nei sensi di colpa. Ero stata così egoista.
«Colton so che il discorso sta diventando abbastanza personale, non c'è bisogno che mi racconti tutto. Io sono una perfetta sconosciuta, so quanto può essere difficile parlarne proprio con me. Quindi va bene così, non devi dirmi più nulla». Le mie parole erano veritiere, Colton si era fermato bruscamente poc'anzi come se avesse paura di andare oltre.
«No Charlotte, la verità è che devi sapere. E non puoi neanche lontanamente immaginare quanto le nostre vite possano essere legate». Spiegò Colton, sotto lo sguardo accigliato di Chloe e anche il mio. «Fatemi raccontare tutto, capirete». Annuii, incapace di negargli l'opportunità.
«Io mi alterai inizialmente per nascondere la paura, ovvio. Chiesi dove mi stavano portando, cosa volevano farmi. Loro risero. Gustave disse che non mi avrebbero fatto del male, che volevano parlare. Io dissi che non ci credevo e se volevano parlare non era di certo questo il modo. Allora Gustave si presentò ed essendo a corrente della sua figura nella vita della zia, gli sputai sul viso prendendo per pezzo di merda. I suoi scagnozzi erano pronti a picchiarmi ma Gustave scoppiò a ridere e mi fece i complimenti per il mio coraggio. Al che mi disse perché mi aveva rapito. Mi voleva con lui. Mi voleva addestrare per essere uno dei suoi. Mi voleva aiutare a proteggere la mia famiglia perché diceva di non essere lui la spia di mia sorella e che qualcuno la voleva morta. Lui voleva farmi diventare più fort...e». Colton abbassò lo sguardo sul tavolo e lasciò la mano di Chloe, stringendo i pugni sopra il tavolo per placare la collera. «Mi raggirò e io gli credetti. Accettai su due piedi, accettai perché ero disperato, mi sentivo debole, per il disperato bisogno di proteggere la mia famiglia: accettai. Anche se non ho firmato nessun contratto, a me è parso di firmare quello di morte». Alzò lo sguardo e se fosse stato un vampiro avrebbe già canini aguzzi e occhi rossi.
«Mi portarono al porto dove avevano una nave che fungeva da loro quartiere segreto, non mi legarono, mi lasciarono libero e portandomi in una cabina mi dissero tutto ciò che dovevo sapere per non essere ucciso da loro stessi. Dovevo far parte delle gare clandestine organizzate sempre a fine mese, fortunatamente non dovevo far parte delle rapine, e dovevo essere sempre disponibile ogni volta che mi chiamavano. Aggiunsero che chi entra lì, non esce più. Io prendevo parte solamente delle gare e vincevo sempre inoltre la velocità non mi ha mai spaventato. Mi chiamavano: Thunder. Sta di fatto che mi allenavo da loro ogni giorno, i miei muscoli erano visibilmente notevoli, la mia forza era aumentata. Mi sentivo in grado di aiutare chiunque. Loro in quel periodo mi avevano anche detto che mi avrebbero aiutato a difendere mia sorella, quindi mi sentivo più che forte. Arrivò la notte in cui scappò mia sorella, mi svegliai per colpa di un tuono e quella notte, come tutte le altre, mi svegliavo in preda all'ansia perché sognavo la mia morte. Avevo iniziato ad avere paura, una paura vera che ti porta ad essere coraggioso. Stavo dicendo, scoprii che mia sorella era andata via, andai su tutte le furie. Così andai da loro e cogliendoli di sorpresa, vidi che coloro che avevano fatto le foto a mia sorella parlavano amichevolmente con Gustave, da lì capii la bugia in cui avevi vissuto. Mi arrabbiai ancora di più, lanciai la pistola che mi avevano dato, picchiai uno di loro, infine sputando a Gustave dissi che per me era morto, che non doveva contare su di me, che ero fuori. Lui scoppiò a ridere e disse: "Hai dieci secondi per scusarti e se non lo farai, uscendo di qui sarai tu quello morto". Io uscii non avendo più paura. Mi seguirono ovunque, mi picchiavano se potevano, facevano di tutto per rendermi la vita un inferno e non potevo denunciarli. Non avevo prove. Passò un intero anno così, fin quando non mi arrivò la notizia che uno di loro fu arrestato per spaccio di droga, così pensai che probabilmente avrebbero arrestato anche loro. Pensai di essere libero, finalmente». Sentivo freddo improvvisamente, tanto che mi strinsi portandomi le ginocchia al petto. Il dolore nel tono di voce di Colton era così palpabile da farmi stringere il cuore. Per quanto cercasse di celare il dolore, la sua voce lo tradiva e se avesse alzato lo sguardo, avrei giurato che avrebbe avuto gli occhi celati dalle lacrime.
«Avevo un migliore amico, Gabriel. Era di origini tedesche, si era trasferito quando aveva tre anni a Los Angeles e lo conoscevo dai tempi dell'elementari anche se a quei tempi ci odiavamo, eh. Mi conobbe meglio un anno prima, ero stato picchiato e lasciato in mezzo al parco. Era una delle tante volte, ma quella era stata la peggiore. Gabriel mi vide e non esitò ad aiutarmi, i suoi genitori avevano deciso di comprargli una casa dato che poi sarebbe andato all'università, volevano renderlo libero. Anche se aveva ancora diciassette anni, si fidavano ciecamente di lui. Era davvero maturo quel ragazzo. Mi portò a casa sua, mi aiutò tantissimo, mi medicò le ferite e infine mi offrì il suo letto per la notte ma prima di tutto bevemmo per ridere su. Era stato gentile. Diventammo amici in breve tempo, lui non mi chiese nulla di quella notte e neanche quando capitarono altre volte, ma quando finii in ospedale per un trauma cranico, volle scoprire tutto. Ero stato egoista, sai? Non volevo dirgli nulla perché non volevo allontanarlo. Era il primo vero amico e ne ebbi conferma perché quando seppe la verità mi abbracciò, disse che ci sarebbe sempre stato. Condivisi con lui la gioia della mia libertà, quando scoprii che quello era stato arrestato. Mi stupii ancora di più quando Gabriel, compiuti i diciotto anni e avendo ricevuto due biglietti per Miami, la città dei suoi sogni, chiese a me di andare con lui. Inoltre voleva svagarsi, aveva litigato pesantemente con Cassandra la sua ragazza e nessuno dei due aveva il coraggio di chiamare. Stupidi orgogliosi. Sta di fatto che mentre eravamo in vacanza, ci pensai io a farli chiamare. Composi il numero di Cassandra dal cellulare di Gabriel e gli poggiai il cellulare sull'orecchio, si chiarirono e lui decise di tornare a casa. Stavamo andando all'aeroporto quando una macchina ci fece andare fuori strada. La macchina si schiantò contro lo stesso albero su cui oggi si schiantò quella di Noah, tutto programmato, fortuna che avendo i riflessi pronti avevo urlato a Gabriel di saltare dall'auto e lo soccorsi immediatamente. Dal buio, spuntò un'ombra che camminando velocemente verso di noi riconobbi immediatamente: Gustave. Dopo uno scambio di battute, lui mi comunicò che non sarò mai fuori e che per continuare a lavorare per lui dovevo eliminare le persone che amo, aveva estratto la pistola e la puntava su Gabriel che, nel frattempo, si era messo davanti a me. Puntò sul suo cuore e non ebbi il tempo di muovermi che sparò». Mi mancò incredibilmente il respiro e mi portai la mano sopra il cuore.
«Ma non sparò a Gabriel, non sparò a me, sparò all'aria e, da lì a poco, Gustavo scoppiò a ridere. E si avvicinò per prendere Gabriel, che mi guardava con gli occhi così tristi da farmi stringere davvero il cuore. Gustave mi rivelò che ora ero libero, che Gabriel si era offerto per la mia libertà. Il mio migliore amico aveva preso il mio posto per lasciarmi libero. Gustave ci lasciò un ultimo minuto per salutarci per sempre, altrimenti se ci fossimo visti altre volte, saremmo morti entrambi. Le ultime parole del mio migliore amico furono:" Trova la tua strada, gustati la libertà che tanto hai bramato, trova l'amore, trova tua sorella. Amico mio, vivi. Fai quello che non potrò fare io: ama". Lì capii perché non voleva chiamare Cassandra per proteggerla e che voleva tornare a casa non per vederla, non soltanto per quello. Doveva lasciarla. Non lo vidi più, mi accasciai a terra quella notte non sentendo più nulla. Avevo perso tutto. Anzi, ho perso tutto. Dentro mi è rimasto un desiderio di vendetta grande quanto l'odio, che mi stanno distruggendo». Chloe era in lacrime, io triste e arrabbiata, James comprensivo, Colton impassibile.
«Nel frattempo, nella stessa Miami, una ragazza aveva organizzato la festa a suo fratello. Lo sapevo da tempo, come lo sapevano gli scagnozzi di Gustave che dopo aver fatto sbandare Colton si erano intrufolati alla festa. Aspettarono che entrassi, per far scoppiare l'incendio, tutti erano fuori tranne loro, dopo aver lasciato te, Char, cadde quella trave. No? Era stata buttata giù a posta, infatti quando mi girai vidi quei due pezzenti che cercavano di uscire, uno ci riuscì, l'altro no. Io fui portato fuori da qualcuno con la divisa dell'FBI. Fuori dalla porta del retro, trovai Chloe, in lacrime tra le braccia di un altro agente e solo, in quel momento, mi rivelò che fosse incinta. Dissi di andare agli agenti e che sarei tornato dalla mia famiglia, ma mi fermarono. Non potevo. Era arrivata la seconda parte del piano: fingermi morto. Ci allontanammo, dall'altra parte della strada dove c'era il loro furgone, mi dimenai volevo raggiungerti ma dissero che non potevano. Mi accasciai lì dentro e aspettammo che tutto si calmasse, vidi il fuoco spegnersi, esportare fuori l'unico corpo rimasto carbonizzato, quello che giudicarono fosse il mio quando, in realtà, era di quella banda. Ovviamente voi avevate la lista e vedendo che tutti erano fuori tranne Chloe scomparsa e l'unico corpo è quello del presunto James, unico ad essere rimasto lì dentro. È stato facile dire che fossi morto ed è stato un bene. Vidi i pompieri, le volanti andare via, vidi tutti andare via, tranne una persona che si accasciò a terra, urlò. Il suo grido fu così straziante che ancora rimbomba nella mia mente, così forte da farmi rabbrividire, pregnante di rabbia, dolore. Volli venire da te, Furia. Ma non potei. Urlai anche io, volevo uscire e mi sedarono. Quando mi svegliai mi trovavo di nuovo a New York, ci saremmo sposati in seguito. Così iniziò il mio viaggio, per cercare Gustave, per vendicarmi. Sapevo tutto di te, lo zio Rich era riuscito a ricavare informazioni. Dopo quattro mesi dal mio incidenti, arrivai qui, lo zio disse che forse avremmo avuto più possibilità di rintracciare Gustave se tu fossi venuta qua. Insomma, così mettemmo in atto il piano di incontrarti. Il motivo lo sai perché Gustave vuole rovinare la famiglia e per tanto vuole che un Hernandez e un Sanchez si incontrino, così da mettere guerra. Così lo zio organizzò l'incontro tra te e Colton, anche se alla fine avete tutto voi. La sera dell'incendio, un'altra squadra dell'FBI localizzò Colton e gli offrirono aiuto».Ora tutto mi era più chiaro, ora riuscivo a leggere veramente bene il quadro riuscivo a distinguere i colori, la situazione, anche se, ancora un lato risultava sbiadito. Anche se mi faceva arrabbiare il fatto che volessero organizzare la mia vita.
«Non mi davo pace, non riuscivo ad accettare di aver perso il mio migliore amico. Tornai a Los Angeles proprio quando ci andasti tu, andai nel loro rifugio, cercai Gabriel e loro mi sentirono, così scappai. Corsi così tanto velocemente da non accorgermi che li avevo seminati, mi accorsi però di te, fui così veloce che mi meravigliai di me stesso. Ti salvai. Come non ho potuto salvare Gabriel. Dovetti scappare, papà mi disse che doveva andare a New York, allora inventai una scusa al volo:" c'era Natale, non mi andava di stare a Los Angeles" e andai da solo ma con i miei genitori. Non era la prima volta che fuggivo da Los Angeles, in passato era capitato tante altre volte ma non ero mai stato a New York. Mi trovarono anche lì. Mi picchiarono e, ironia della sorta, stavolta a salvarmi fosti tu. Ora siamo giunti ad oggi, un mese fa a quanto pare Gustave Brown è morto in un incidente stradale a Tokyo, ora qualcun altro sta continuando il suo lavoro. Non sappiamo chi sia, ma è qualcuno abbastanza potente da reggere lo stesso lavoro del vecchio capo. Ed è qualcuno che ci vuole morti. Tutti. Ed è proprio per questo che sto andando via, devo cercare Gabriel e stavolta devo trovarlo». Colton si alzò di scatto dalla sedia e solo quando compresi le sue parole, mi alzai anche io.
«No!». Urlai, sbattendo la mano sopra il tavolo. «Non ci provare neanche lontanamente». Ma Colton mi guardò solo per un attimo prima di uscire dalla cucina, Chloe lo seguì a ruota e lo stesso feci io.
«Ti prego, non andartene. Non di nuovo». Chloe piangeva, a me vennero le lacrime agli occhi che affrettai a far sparire, chiudendo e riaprendo le palpebre, mi si stringeva il cuore vedendo la tristezza della donna davanti a me.
«Amore, dobbiamo lasciarlo andare». James giunse dalla cucina, circondando Chloe in un abbraccio. «Se ora glielo proibiamo, lui lo farà lo stesso». Colton aveva preso il borsone e rivolse un piccolo sorriso a James di ringraziamento.
«No, no, no. James ma hai fumato qualcosa? Lui sta andando dritto all'inferno. Lo capisci? Oh ma che ne parlo a fare con voi, siete tutti stupidi voi uomini». Sbottai, mandandoli a quel paese mentalmente. «Tu non puoi andartene. Stai facendo stare male a tutti». Colton finalmente mi guardò, sostenendo il mio sguardo. Infine, scosse la testa e abbracciò Chloe.
«Tornerò, te lo prometto». Le baciò la testa e poi abbracciò James dandosi delle pacche sulle spalle. Si rivolse verso di me e fece per avanzare, ma si fermò come se ci avesse riflettuto. Si limitò ad un semplice cenno con la mano. Avanzò per uscire, lo seguii a ruota chiudendo la porta alle mie spalle. Lui come se non aspettasse altro, si girò e mi baciò. Un bacio che mi tolse il respiro, ma non potevo permettere che lui andasse via. Così lo allontanai.
«No non andartene, ti sto pregando. Colton. Ti prego». Mi si spezzò la voce vedendo anche i suoi occhi lucidi e spenti.
«Non rendere le cose più difficili». Appoggiò la fronte sulla mia e capii quanto i miei sforzi potessero essere inutili. Non avrebbe cambiato idea. «Diamante, non puoi nemmeno immaginare quanto io tenga a te ed è per questo che sei il mio segreto, il mio più grande segreto. Tornerò, te lo prometto. Ma ora devi lasciarmi andare. Non puoi venire con me, se stai pensando a questo, non puoi perché se ti accadesse qualcosa non me lo perdonerei mai e poi mai, vivrei nei sensi di colpa fino alla fine dei tempi». La sua fronte era ancora appoggiata alla mia e chiusi un attimo gli occhi per godermi il momento. Le sue mani erano sui miei fianchi. Le sue labbra vicino le mie. Il suo respiro all'unisono con il mio. Nessun muro a dividerci, nessun segreto ad opprimerci. Solo noi. Io e Colton. «Stanotte mi dicesti che hai paura di essere te stessa, non ti ho dato una vera e propria risposta, ma ora te la darò. La paura è un muro, un ostacolo, che non è mai più alto di te. Tu sei sempre più grande della paura e hai abbastanza forza da poterlo superare. E nella vita gli ostacoli si saltano, non puoi rimanere a guardare oppure pensi che potresti cambiare strada, ma vuoi o non vuoi, prima o poi ritorni lì. Quindi Diamante, salta ora quel muro. Vedrai che cadrai sulle tue ginocchia e non sentirai dolore». Mi baciò e prima che riuscissi ad aprire gli occhi, ogni tipo di contatto era cessato e lui stava velocemente scendendo i gradini. Un vuoto mi logorò l'anima e un senso di impotenza lo riempì lentamente. Saltò in macchina e non ebbi la forza di salutarlo così come il tempo, che sfrecciò via come un fulmine. Un fulmine che mi aveva incantato con la sua bellezza e folgorato con quel sentimento che stavo provando nei suoi confronti. Mi sentii terribilmente stanca, come se avessi lottato tanto per tornare a galla ma non ne avevo più forze così mi abbandonai al mare in tempesta in cui mi trovavo.
«Colton è difficile da capire, è come un puzzle, però i pezzi non sono nella stessa scatola, sono sparsi perché lui li ha nascosti e non li uscirà finché non vorrà veramente sistemare la sua vita, finché non guarderà il suo passato e dirà che ha veramente superato tutto». Non mi ero accorta della presenza di Chloe che teneva una mano sul suo pancione con fare protettivo. «Entriamo?». Scossi la testa e decisi di voler stare ancora un altro po' fuori da sola con i miei pensieri. Guardai un'ultima volta Chloe con lo sguardo ancora distrutto e la tristezza notevole, che rientrava in casa. Mi sedetti sui scalini, guardando ancora la strada da cui era andato via Colton. Sentii la porta aprirsi dietro di me, non mi voltai pensando esattamente che fosse nuovamente Chloe.
«Chloe, entro dopo». Dalle mie labbra uscii uno sbuffo poco udibile, volevo semplicemente stare sola. La porta si richiuse, così pensai che fosse tornata dentro.
«Non sono Chloe». La voce della mia migliore amica giunse fredda, quando mi voltai strabuzzai gli occhi.
«Hey K-». Non ebbi il tempo di formulare il suo nome che mi colpì con qualcosa di abbastanza duro da farmi cadere a terra, non ebbi la forza di urlare, dimenarmi, alzarmi. Un fortissimo dolore alla testa mi fece rimanere a terra come se fossi paralizzata, rimasi distesa sul cortile, osservando il cielo scuro come la pece che parve cadere sopra di me, che come un mantello mi trascinò in un modo tutto nero, nero come un cielo senza stelle dove potevo urlare ma nessuno mi avrebbe mai udito, come se fossi intrappolata in una bolla.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top