Capitolo 26: I forget it

Colton's pov
L'avevo vista cadere sul pavimento con lo sguardo fisso nel vuoto e pareva essere invisibile mentre gli altri lasciavano che il panico avesse la meglio, James fu quello più lucido infatti prese le chiavi della moto e il casco, seguito da Brandon dicendo solamente che sarebbe andato dietro Aaron. Così uscirono di casa, lasciando tutti ancora scioccati mentre io mi limitai a sedermi accanto Charlotte, ancora immobile come se fosse congelata e iniziai a pensare che lo fosse davvero dato che quando toccai le sue mani erano fredde. Era sotto shock. Pareva così piccola in quel momento, troppo piccola rispetto il dolore che le era piombato addosso. Non sapevo a cosa era dovuta questa reazione, non era solo il fatto di aver trovato un pezzo importante dell'auto di suo fratello e non era solo il fatto di avergli gridato contro di essere un coglione c'era qualcos'altro, ma non riuscivo a decifrare cosa. Pareva che indossasse la stessa maschera che indossava il giorno in cui la incontrai, una maschera pregnante di cicatrici, costruita con i sensi di colpa, il dolore e la rabbia che, in quel momento, pareva non essere presente. Mi limitai a stringerla tra le mie braccia, incapace di pronunciare qualcosa, incantato dal suo sguardo, i suoi occhi azzurri parevano essere celati da una tempesta che davano una sfaccettatura grigia, tuttavia quando sbattei le palpebre i suoi occhi erano nuovamente di un azzurro acceso come se la tempesta che avevo visto nei suoi occhi fosse una mia immaginazione. Le appoggiai la testa sul mio petto, dandole un bacio sopra e accarezzandole la schiena. Mi dimenticai che non eravamo soli, che attorno a noi c'era mia sorella, gli amici di Charlotte. E nessuno si apprestò a ricordarmelo. Così lasciai che io e Char entrassimo in quella bolla che il nostro bacio aveva creato, al riparo di ogni tempesta e ogni tipo di catastrofe di abbattersi su di noi. La ragazza tra le mie braccia sussurrò qualcosa, ma lo fece così piano che mi chiesi se lei stessa avesse udito le sue parole.

«Diamante, non sento». Sussurrai, in quel momento la mia voce parve riportarla nella realtà, come se la mia voce fosse una calamita e lei ferro. Infatti si allontanò di scatto da me, spingendomi talmente forte che dovetti mettere le mani dietro per evitare che la mia schiena arrivasse a toccare violentemente il pavimento. Lei iniziò a strisciare all'indietro, guardandomi con gli occhi sbarrati.

«È colpa mia! Mia. Sempre mia. Dovevo dirvi dei messaggi, dovevi dirvi tutto. Dovevo, Colton. Dovevo. Ormai è tardi, come sempre. È tardi. Tardi!». Urlò, facendo voltare tutti verso di lei. Strabuzzai gli occhi nell'udire quelle parole, ma soprattutto una: messaggi. Recentemente avevo iniziato a ricevere messaggi anonimi il cui contenuto non era, di certo, leggero. E dal contenuto capii che non si trattava di uno scherzo e che questa persona mi conosceva abbastanza bene. E avevo già in mente chi potesse essere, inoltre sapevo che se fosse stata proprio quella, avrei dovuto eseguire gli ordini poiché a quel mostro nessuno poteva sfuggire.  Mi avvicinai a lei anche se sembrava che la distanza non azzerava mai dato che indietreggiava, fino a quando non toccò con la schiena la parete.

«Diamante, guardami». Fui davanti a lei, mentre si portava le ginocchia al petto e insinuava le testa fra esse. «Guardami». Alzò la testa incastrando i nostri occhi l'uno nell'altro. I suoi erano un misto di emozioni: rabbia, odio, dolore e ansia. E ciò mi indusse a reprimere ciò che volevo dire. Per quanto volessi rassicurarla dicendole l'opposto, non potevo, non volevo illudere. In quel momento non andava tutto bene, non potevo mentirle. Non guardandola negli occhi, non ci riuscivo. «Non mollare ora». Le spostai una ciocca sfuggita dalla coda, mentre si passava una lingua sulle labbra.

«Colton». La voce di mia sorella arrivava lontana, come se non fosse alle mie spalle, forse era proprio questo l'effetto che mi faceva Charlotte: allontanava tutto da me, da noi, facendomi stare senza pensieri. E per quanto impossibile l'idea, in quel momento ne avevo avuto conferma. «Colton». Mi voltai verso di lei, mentre Charlotte ritornava a insinuare la testa fra le gambe. Chloe invece sorrideva e teneva il telefono poggiato accanto l'orecchio.

«Ha chiamato James, la macchina di Aaron frena normalmente. Quelli non erano i freni della sua auto». Esultò, ciò fece scattare in piedi Charlotte io, ovviamente, mi limitai a seguirla a ruota, sentendo il sollievo insinuarsi in me e potei sentire la felicità della ragazza dagli occhi come il ghiaccio. La quale guardò prima Chloe e poi me, infine si buttò tra le mie braccia dandomi l'opportunità di stringerla tra le mie braccia forti. Il suo profumo di vaniglia invase dolcemente le mie narici, facendomi chiudere le palpebre per assaporare al massimo quel momento.

«Quando tornano?». Chiese Char, staccandosi da me e guardando Chloe, la quale sorrideva dolcemente e guardava me con uno sguardo di una che la sa lunga.

«Sono con Aaron all'aeroporto o, quanto meno, ci stanno andando. Per Kendall». Mia sorella si voltò verso Krystal che l'aveva appena chiamata e insieme sparirono in cucina, così guardai Charlotte che sorrideva sollevata, ma il suo sorriso morì immediatamente.

«Però non capisco, se i freni non era della macchina di Aaron. Di quale macchina erano?». Scrollai le spalle nell'udire la risposta.

«Probabilmente qualcuno voleva solamente divertirsi, avrà preso quei freni da qualche rottame. Di quali messaggi stavi parlando, poca fa?». Si grattò la nuca imbarazzata, posando gli occhi su qualsiasi persona e oggetti presente nella stanza fuorché me. E fu salvata dal suo cellulare che iniziò a squillare, mi fece segno di aspettare e rispose.

«Oddio Kendall! Senti, non prenotare nessun volo, non partire...». Charlotte fu interrotta da Kendall, si portò la mano davanti la bocca e sbarrò gli occhi. «Arriviamo». Charlotte chiuse e cacciò il telefono in tasca, si diresse frettolosamente verso la porta e prese le chiavi della mia auto. «I freni erano dell'auto di Noah, sono semplicemente feriti ma dobbiamo andare». Non me lo feci ripetere due volte, e mi battei il cinque mentalmente per aver indossato dei jeans e una maglietta nera, prima di scendere giù dopo la colazione.

«Dove andate?». Chloe giunse dalla cucina davanti a noi, Chanel che aveva sentito ciò che aveva detto la sua migliore amica si preoccupò di spiegare tutto così noi andammo. Una volta in auto, Charlotte batteva freneticamente il piede e chiamò suo fratello Brandon, ma non rispose.

«Merda». Imprecò per la quarta volta di seguito, quando nessuno dei tre si degnò di rispondere. Volevo ricordarle che erano sulla moto e Brandon era in possesso anche del cellulare di Aaron, di conseguenza era normale non sentire la suoneria. Ma mi limitai ad osservarla. E poi stava riprovando di nuovo.

«Cazzo, finalmente!». Allargò le braccia per enfatizzare il tutto. «Oh». Questo fu tutto ciò che disse prima di posare il cellulare sopra le sue gambe. «Stavano andando all'aeroporto quando hanno visto del fumo al fatto della strada, hanno accostato e hanno visto che oltre il margine della strada, la collina era in discesa e hanno visto una macchina schiantata contro un albero. Noah è ancora bloccato dentro, ma Kendall è fuori e sono entrambi coscienti. Però cazzo, corri Colton!». Il suo tono per pronunciare  l'ultimo periodo si era alzata notevolmente,  per poco non sussultai. Fortunatamente ero già in autostrada e mi meravigliai notando che c'erano poche auto. Correvo abbastanza da non poter distinguere il paesaggio attorno a me. Vedemmo la mia moto e la macchina di Aaron accostate al margine delle strada, capii di essere arrivato vedendo una nuvola di fumo partire oltre esso. Accostai e non ebbi il tempo di spegnere il motore che Charlotte si precipitò fuori, fuori strada era tutto in discesa infatti camminammo lentamente per evitare di cadere. Più avanti c'erano schierati degli alberi tra cui uno leggermente inclinato, su cui la macchina si era schiantata. Un po' distante da essa c'erano tutti gli altri: Kendall tra le braccia di Aaron, Noah disteso sull'erba e Brandon accanto a lui, mentre James si dirigeva verso sua sorella.

«Stanno arrivando i soccorsi». Le parole  di James iniziare a vorticare violentemente nella mia testa mentre mi dirigevo verso l'auto. Era la stessa scena, stesse parole, tutto tranne che le stesse persone e, ovviamente, la gravità della situazione. Mi aspettavo di trovare lui davanti a me che mi puntava la pistola al cuore, come quella sera mentre ero avvolto dalla nube della disperazione e dai sensi di colpa. Invece non c'era nessuno a davanti a me. Nessuno mi ricattava. Solo in quel momento mi arrivò un messaggio e come sospettavo era anonimo, inoltre i miei genitori mi avevano già chiamato e per evitare che potessero localizzare il mio cellulare, non mi chiamarono più. Però non sapevano che mi avevano già trovato. Proprio per questo sapevo che sarei dovuto andare via:

«Oh piccolo Colton, quella scena ti ricorda qualcosa, o meglio, qualcuno ?».

L'istinto di lanciare il telefono era così forte che l'avrei fatto se non fosse arrivato James, parandosi davanti a me, privandomi di quella visione.

«Sono tornati, questo l'ho capito. Ma da quanto? Se non sbaglio ti avevo detto di chiamarmi immediatamente». La tranquillità di questo ragazzo mi sbalordiva sempre, riusciva sempre a essere il più lucido e quello che riusciva a domare l'ira. Aveva decisamente la mia stima.

«Non se ne sono mai andati. Sono sempre rimasti nel buio, aspettando il momento giusto per rovinare nuovamente le nostre vite, James. E penso che sia arrivato il momento di informare tutti, potrebbero morire da un momento all'altro. Questo era solo un avvertimento, potrebbero fare la fine di Gabriel. Te ne rendi conto?». Ero riuscito a tenere un tono di voce abbastanza basso nonostante la collera avesse già invaso il mio corpo. 

«Ho paura, okay? Ho appena ritrovato la mia famiglia e ho paura che inizieranno a vedermi come un mostro, ovvero ciò che sono, ho paura di perderli di nuovo. Ho paura che sarà la verità ad ucciderli e non quelli». Quella confessione era l'ultima cosa che mi aspettavo ma come biasimarlo? Ognuno di noi, o meglio, chi era a conoscenza della verità aveva paura.

«È arrivato il momento di chiamarla. Deve venire assolutamente qui. Probabilmente questa è la volta buona per incastrarli». Consigliai, James annuì capendo immediatamente a chi alludessi. «James, ci tenevo a dirti una cosa: quei mostri che ci stanno facendo del male, possono essere forti facendo queste cose ma la forza di una famiglia vale mille volte di più. Sai cosa potrebbe succedere se le nostre famiglie si unissero? Potrebbero esserci abbastanza testimoni da poterli incastrare. Quindi non avere paura, impossibile, lo so. Vedila come la vedo io: la nostra paura è la loro benzina, benzina che riversano su di noi e basta solamente una piccola fiamma per distruggerci. Mettiamo caso che quella fiamma è proprio la verità che hai celato. Mettiamo caso che arriveremo ad un punto in cui loro useranno proprio questo per metterci contro le nostre famiglie e distruggerci? Quindi è assolutamente arrivato il momento di rivelare tutto». James scosse la testa guardando il suo orologio.

«Sono un fratello di merda. Oggi hanno fatto il compleanno, hanno compiuto diciotto anni. La cosa che mi stupisce è che neanche loro lo ricordano». Se la situazione fosse stata diversa sarei scoppiato a ridere. 

«Che compleanno di merda». Non aggiunsi altro vedendo Charlotte dirigersi verso di noi.

«Sono arrivati i soccorsi, dovresti andarci tu secondo me. Io non ci riesco. Vedo se riesco a rintracciare i suoi genitori, cioè tu credi sia il caso?». Charlotte parlava lentamente come se le venisse difficile parlare e con lo sguardo cercava l'approvazione del fratello.

«Non sembra riportare ferite gravi, allarmare i suoi genitori mi sembra affrettato. Vediamo cosa dicono i dottori, va bene Furia?». James le prese la mano forse per rassicurarla o probabilmente per riscaldarla dato che il colorito del suo viso era così bianco da sembrare un fantasma e i suoi occhi spenti come se fossero provi di vita. Infine andò via dirigendosi verso i paramedici.

«Andiamo a casa, sei pallida. È meglio che ti riposi». Dissi, prendendole la mano, lei parve volerla ritirare ma infine si lasciò guidare da me. Inoltre notai che in ospedale stava andando solo Noah e che Kendall era sulla moto con Aaron, poiché probabilmente Brandon sarebbe andato in ospedale con James e Noah con l'auto. Una volta in auto, Charlotte si accasciò sul sedile con lo sguardo rivolto verso il finestrino mentre un sorriso si faceva spazio sul mio viso e per quando provassi a reprimerlo, mi riusciva difficile.

Quindi Charlotte aveva dato il suo primo bacio da diciottenne a me. Okay, teoricamente sono stato io a darlo a lei. Ma dettagli, futili dettagli.

«Perché sorridi?». Scrollai le spalle, mi limitai ad accendere l'auto e partire, notando che Noah era già dentro l'ambulanza e con lui era salito James. Quando l'ambulanza partì  Brandon in auto gli andò dietro, mentre Aaron e Kendall erano già andati via. «Perché sorridi?». Charlotte potei constatare che era abbastanza curiosa, non si accontentava di una risposta monosillabe. Voleva sempre sapere cosa passasse per la testa di una persona, come se potesse così condividere il suo ricordo felice o triste che sia.

«Perché ho una bellissima dentatura da mettere in mostra». Di certo non avevo un'autostima bassa, bellezze come la mia andavano messe in mostra.

«Per quello esistono gli spot pubblicitari riguardo i dentifrici, eh». Era solita rispondere in questo modo, avevo avuto modo di constatarlo io stesso.

«Mi sto allenando infatti, allora non sono bellissimo?». Il mio scopo era quello di riuscire a strapparle un sorriso nonostante la bruttissima giornata. E ci riuscii solo per metà, mi rivolse un piccolo sorriso divertito e scrollò le spalle tornando a guardare l'esterno.

«Di quali messaggi anonimi parlavi?». Decisi di rompere il silenzio in questo modo, assumendo un'espressione seria. Prima o poi avremmo dovuto affrontare questo argomento.

«Non voglio parlarne». Scossi la testa nell'udire la sua risposta e decisi di accostare. Così da rivolgerle la mia completa attenzione.

«Ma devi, Diamante». Charlotte scosse la testa e mi guardò, semplicemente guardandola negli occhi capii quando potrebbe farle male continuare a parlare di quello. Così mi arresi. «Sai che non c'entri nulla con questa storia, vero?». Non rispose, tornò a guardare fuori.

«Possiamo tornare a casa? Sono stanca». Annuii e accesi nuovamente l'auto, pensando a cosa avrei potuto organizzarle. Era pur sempre il suo compleanno, era vero che era successo qualcosa che l'aveva sconvolta ma almeno la candeline lei e i suoi fratelli dovevano spegnarla, un po' per farla vedere a coloro che ci spiavano che non ci avevano ancora distrutti e che difficilmente potevano riuscirsi. Un'idea si fece largo nella mia mente e un sorriso sul mio viso mentre ripartivo verso casa, guardando di tanto in tanto la ragazza pensando che probabilmente non si sarebbe mai aspettata ciò che avevo in mente.

                                ****

I ragazzi erano tornati prima di pranzo, dopo che la porta di casa si era spalancata, Noah aveva urlato:  «Noah sta bene. Noah non ha nessun problema». E Aaron aveva risposto ridendo: «Nuovo aggiungerei perché ne hai già tanti di tuo».
Krystal era corsa ad abbracciare il suo ragazzo, seguita da tutti gli altri. Charlotte non era scesa, era rimasta in camera sua con Kendall. Forse non l'aveva sentito o forse si considerava colpevole di ciò e pensava di non meritare di abbracciare  Noah. Non sapevo bene il motivo, poiché non avevo avuto modo di parlare nuovamente con lei era proprio per quel motivo che volevo scoprilo. Era l'ora di pranzo e solamente Kendall era scesa,  dicendo che Charlotte dormiva, feci per salire le scale ma mia sorella mi chiamò.

«Colton, vieni un attimo». Il grembiule che aveva legato alla vita metteva in risalto il pancione, spingendomi a sorridere ogni volta che la guardavo.

Chissà quanto sarebbero stati felici i nostri genitori vedendola così.

«Lasciala da sola perora, ha bisogno di tempo per riflettere a tutto ciò. E poi è meglio farla riposare, James è deciso a dirle tutto. La verità la distruggerà. Falla riposare». Annuii anche se indeciso.

«Oggi compie diciotto anni». Sussurrai, Chloe sorrise e annuì facendomi segno di seguirla.

«Proprio per questo ora mi aiuterai con le decorazioni, i gemelli compiono diciotto anni e non dovremo festeggiarlo, inoltre perché? Perché quei pezzi di materiale fecale vogliono distruggerci? Non se ne parla, il bambino ha pure voglia di torta». Mi circondò il collo con il suo esile braccio mettendosi sulle punte essendo più bassa di me.

«Okay tappa, vado a parlare con James a questo punto». Mi diede uno schiaffo sul braccio per il nomignolo e mise il broncio.

«Ti comporti così davanti mio nipote? Che cattiva e violenta madre». Dissi, camuffando il mio tono divertito con uno serio. Roteò gli occhi e mi fece il medio andando in cucina. «Pure ineducata». Le andai dietro e lei scoppiò a ridere.

«Ma soprattutto vendicativa, quindi vai prima che ti lasci senza cibo». Stavolta fui io a roteare gli occhi e li strabuzzai quando Charlotte fece la sua entrata in cucina, notò subito me e sorrise, un sorriso felice e in quel momento ebbi la certezza di quanto fosse forte quella ragazza. Forte e debole nello stesso momento.

                                  ****
Io e James eravamo usciti dicendo che saremmo andati con il carro attrezzi dalla macchina di Noah, dato che si era schiantata contro l'albero, ma la verità era che la macchina era già stata portata via e che stavamo andando a prendere la torta e le pizze per festeggiare in maniera molto ristretta il compleanno dei gemelli. James mi rivelò che i suoi genitori non li avevano chiamati, e i gemelli parevano non ricordare che quel giorno era il 30 Dicembre. Tuttavia James si ricordò che aveva cambiato quella mattina le date dei cellulari di tutti poiché il suo intento era quello di organizzare una festa a sorpresa però a causa di quello che era successo, non c'era riuscito, anche se aveva già tutto quanto nel garage. Quindi era semplicemente una questione di sbrigarci e riuscire lo stesso nell'organizzare tutto.

«Vorresti fare tutto a casa? E poi perché mi hai obbligato a mettere il costume?». Lui scosse la testa, mentre accelerava.

«No, in spiaggia per il semplice motivo che hanno sempre adorato il mare, inoltre, di notte è meraviglioso. Ti ho obbligato perché se volete farti il bagno almeno non lo fai in mutande». Annuii e osservai il paesaggio intorno a me, pareva che quello che era successo quella mattina non fosse mai successo. Il che era davvero sorprendente. A pranzo avevamo riso, parlato tranquillamente, nessuno aveva osato menzionare quell'argomento.

«Quindi andiamo in spiaggia, organizziamo tutto, vado a prendere gli altri a casa inventando qualcosa... che cosa invento?». Il mio quesito era più che ovvio, non potevo di certo presentarmi a casa urlando: «Voldemort sta venendo a prendervi, dobbiamo scappare». Oppure:«Il binario nove e tre quarti ci aspetta!». Oppure:«Dobbiamo andare immediatamente ad Idris,  il Conclave ci aspetta!». Oppure:« Una Furia ci ha accusato di aver rubato il Folgore di Zeus, dobbiamo andare al campo Mezzosangue». Cioè non era minimamente possibile.

«Inventati qualcosa tipo: "Su siamo pronti a salpare con Jack Sparrow?"». Lo guardai divertito nell'udire la sua proposta e scoppiammo a ridere.

«Facciamo schifo nel mentire. A sto punto posso dire: C'è Damon Salvatore in auto, se volete conoscerlo bas... penso che non mi farebbero finire la frase, almeno le ragazze». James annuì e rise nuovamente mentre ci stavamo accostando davanti la spiaggia.

«Per farla breve, di a tutti di venire e che si tratta di una sorpresa. Anzi no, ho un'idea geniale che farà correre tutti, soprattutto Charlotte e Kendall, per farli venire con il costume». Ascoltai la sua idea e nonostante la trovassi abbastanza surreale, poteva funzionare soprattutto quando si trattava di cibo. Scendemmo dall'auto e prendemmo dal portabagagli i palloncini da gonfiare, nastri e legno. Per poi dirigerci verso la spiaggia, iniziammo a lavorare e mentre James si occupava di riempire di acqua alcuni palloncini io mi occupavo di riempirne con la sabbia altri, in quest'ultimi avremmo attaccato il nastro che poi sarebbe stato attaccato ai palloncini con l'elio per evitare di farli volare.  Mentre i palloncini con l'acqua servivano per fare alcuni scherzi. Fortuna che James aveva pensato anche ai teli per la spiaggia. Passammo circa un'ora ad addobbare tutto, mio cognato mi aveva spiegato che quella spiaggia non era molto conosciuta e per questo l'aveva scelta. Era tutto pronto così decisi di andare dagli altri ripassando il piano, prima passai in pizzeria per ordinare le pizze e il beveraggio, poi in pasticceria per confermare l'ordine e infine andai a casa.

«Ragazzi preparatevi!». Urlai superando la soglia del salone attirando l'attenzione di tutti che, ovviamente, aggrottarono le sopracciglia. «In pizzeria stanno facendo una gara, praticamente una gara di apnea, chi resiste di più ha la pizza gratis per una settimana. Mettetevi i costumi, volete o no, James vi ha iscritti tutti tranne Chloe ovviamente però sarebbe bello se venissi indossando il costume, così da non essere l'unica senza, sai... per solidarietà. Comunque la gara è tra mezz'ora infatti James è rimasto lì per evitare che i vostri nomi venissero can-». Charlotte e Kendall mi superarono correndo iniziando a salire le scale, seguite dagli altri mentre Chloe si limitò a scoppiare a ridere, avvicinandosi a me.

«So tutto vedi, scemo! E comunque sarebbe stata meglio un'entrata: Ciurma, Jack Sparrow ci aspetta!». Scoppiammo a ridere mentre lentamente mi resi conto quanto James e Chloe fossero simili nelle loro diversità, ciò mi indusse a pensare quanto siano perfetti l'uno per l'altra. E un ricordo balenò nella mia mente, non persi tempo a volerlo condividete con mia sorella.

«Ti ricordi quando incontrasti James per la prima volta?». Lei sorrise e annuì arrossendo immediatamente.

«Ci scontrammo e lui mi disse: "Non ci vedi ragazza?" E io risposi che io ci vedevo benissimo e che lui non avrebbe dovuto vedermi essendo una Shadowhunter, lui rispose: "Evidentemente hai dimenticato a farti la runa" Da quella risposta ho capito che eravamo fatti l'uno per l'altra». Il suo sorriso stava per illuminare la stanza. «Comunque non metto il costume, non mi va di fare il bagno inoltre il bambino è parecchio confusionario stasera. Non smette di muoversi. Probabilmente ha organizzato una festa con il cibo che ho ingerito oggi. Oppure si sta preparando per la sua prossima entrata in scena, mi sa che James ha ragione, gli piace stare sotto i riflettori». Aggrottai le sopracciglia e lei mi raccontò che molte volte James illuminava una parte del suo pancione con la torcia e proprio in quel punto il bambino metteva in evidenza la forma del suo piede, solo quando la luce si spostava la forma del suo piede scompariva. Chloe aggiunse che ero solito farlo anche io da bambino, infatti aveva visto molti video che aveva registrato mio papà in cui io facevo la stessa identica cosa. Da lì a poco scesero gli altri, così salimmo in auto, in quella di James che guidavo io, un suv nero, Charlotte, Chloe, Aaron e Kendall, mentre gli altri nella macchina di Brandon.

«Abbiamo superato tre pizzerie, dove avete ordinato la pizza?». Chiese Charlotte che fino al quel momento era rimasta in silenzio.

«Più avanti». Mentii, accelerando. Tuttavia Charlotte non mi credette infatti continuava a pormi quesiti e a farmi notare che da lì c'era il deserto, a detta sua, aggiungendo che se non fosse stato vero sarei diventato Dobby e lei la padrona e che non mi avrebbe mai dato un calzino, buttandomi in una cella senza cibo e acqua per i prossimi settant'anni. Così maledissi James mentalmente capendo perché mi aveva augurato "buona fortuna" nella maniera più tragica possibile: facendo il saluto dei Marines. Guardai l'orizzonte notando che il sole stava già tramontando e ciò mi fece leggermente strabuzzare gli occhi, sorpreso che fosse già arrivato il momento del tramonto.
«Siamo arrivati». James aveva avuto la bellissima idea di fare una specie di tragitto con i palloncini legati a quelli con la sabbia. Charlotte guardava davanti a sé scioccata mentre un sorriso si espandeva, scese velocemente seguita da tutti gli altri e togliendo velocemente le converse iniziò a correre verso James che si stava dirigendo verso di noi. Fu seguita da tutti gli altri mentre io aiutai Chloe a togliere i sandali dato che non riusciva ad abbassarsi. Raggiungemmo gli altri proprio nel momento in cui urlarono "Auguri". I tre gemelli si sbatterono una mano sulla fronte ridendo, e Char si diresse verso di me.

«Auguri Diamante». Dissi allargando le braccia, lei sorrise e si tuffò tra esse, ringraziandomi.

«Ciò non toglie il fatto che ti rinchiuderò in una cella per avermi mentito sulla pizza». Sussurrò all'orecchio, strabuzzai gli occhi e lei notò la mia reazione scoppiando a ridere. «Dai, scherzo, invece di settant'anni ti lascio per sessantanove anni». Roteai gli occhi, ritrovandomi nuovamente a constatare quanto fosse meravigliosa quella ragazza, che stava distruggendo la catena attorno al mio cuore, lo stava spolverando e gli stava permettendo di tornare in vita, curando le ferite in una maniera così dolce che neanche sentivo più dolore.

La serata passò in fretta, avevamo mangiato la pizza e Charlotte mi rivelò che dato che la pizza era meravigliosa gli annuì sarebbero stati cinquanta. Eravamo attorno al falò anche se la ragazza dagli occhi azzurri inizialmente era contraria con il volere accendere il falò, dopo una chiacchierata con James in privato, tornò tranquilla e ci aiuto ad accenderlo. Ed era arrivato il momento della torta, che James era andata a prendere cinque minuti prima, accendendomi le candeline disposte su tutta la torta così da poter dare l'opportunità a tutti e tre, dopo aver cantato la canzone e aver notato quanto fossero imbarazzati i tre gemelli, spensero le candeline. Dopo neanche tre millesimi di secondo Aaron aveva già lanciato un pezzo di torta in faccia a Charlotte che non perse tempo a ricambiare dando il via alla lotta con la torta, che finì presto in faccia ad ognuno di noi. James fortunatamente ne aveva prese due, così andò a prendere l'altra che mangiammo normalmente ancora sporchi da quella precedente. L'unica che si era salvata era stata Chloe che si era coperta con il telo da mare.

«Vi conosco troppo bene da sapere che l'avreste fatto, anzi mi aspettavo che l'avrebbe fatto Brandon». Il ragazzo menzionato scrollò le spalle togliendosi la maglia sporca di panna.

«No, ma inizio la gara io. Chi arriva ultimo in acqua è un dugongo!». Iniziò a correre con indosso i jeans verso l'acqua, stessa cosa feci io che non mi preoccupai nemmeno di rimuovere la maglietta. Il contatto con l'acqua ci ripulì dalla panna, era piacevole e a differenza del giorno in cui la temperatura era fredda, l'acqua era calda. Continuammo a giocare in acqua, tutti quanti mentre Chloe si limitava a osservarci, e a passarci i teli una volta fuori. Passammo il resto del tempo a guardare le stelle e commentato le varie costellazione visibili a occhio nudo. Senza rendercene conto erano già le undici di sera, così decidemmo di andare a casa anche se non eravamo totalmente asciutti.Kendall, affinché entrassimo tutti nell'auto di James, dovette sedersi su Aaron ma non le dispiaceva di certo. Infine ci dirigemmo verso casa, lasciando la felicità alle nostre spalle e perdendoci nuovamente nei nostri pensieri.

Il tempo sembrò passare così velocemente che mi pareva solo che fossi sceso dall'auto solo un secondo fa quando, in realtà, era passata un'ora. Infatti avevo già fatto la doccia e gli altri erano già andati a letto, indossai velocemente dei boxer e mi distesi sul letto, addormentandomi in pochissimi secondi:

Ero in un auto con Gabriel, un ragazzo di origini tedesche, biondo cenere, occhi azzurri, della mia stessa altezza e muscoloso, coetaneo. Nemico ai tempi delle elementari, migliore amico ai tempi delle superiori. Il nostro legame era caratterizzato da diversi battibecchi che chiarivamo poco dopo, nonostante spesso arrivassimo ad urlarci contro parole poco carine. Aveva da poco compiuto diciotto anni e i suoi genitori gli avevano regalato un viaggio nella città dei suoi sogni: Miami, lui mi propose di accompagnarlo ed essendo, finalmente, libero: accettai. Finalmente dopo un anno potevo respirare a pieni polmoni, potevo finalmente godermi la vita con tutte le sfaccettature, essere me stesso senza problemi e, perché no, cercare mia sorella Chloe, ormai scomparsa da due anni. Chloe Sanchez scomparsa nella notte tempestosa, che aveva illuminato la mia stanza con i vari lampi.

«Non vedo l'ora di tornare a casa solo per poter rivedere Cassandra». Affermò Gabriel, effettivamente la vacanza era già finita e ci stavamo dirigendo all'aeroporto dato che tra due ore il nostro volo sarebbe decollato. Cassandra era la fidanzata di Gabriel con, tra l'altro, aveva chiarito poche ore prima dato che avevano litigato due settimane prima. Infatti questa vacanza aveva lo scopo di far stare bene il mio migliore amico che non aveva fatto che deprimersi, Cassandra non aveva sofferto di me certo, però entrambi erano troppo orgogliosi per cercarsi così andò a finire che fui io a digitare il numero per poi passare il cellulare al mio migliore amico.

«Tutto merito mio». Mi vantai palesemente, guardandolo di sbieco essendo il guidatore.

«Smettila pavone. L'avrei chiamata prima o poi». Il suo tono era insicuro infatti stava cercando di auto convincersi. Scossi la testa e ridacchiai, assottigliando meglio lo sguardo notando che nella nostra corsia un auto si stava dirigendo verso di noi, probabilmente per superare il camion nella corsia opposta, anche se quest'ultima teoria scemò velocemente dato che il camion era già passato ma quella macchina era ancora nella nostra corsia.

«Amico, quello è nella corsia sbagliata». Sterzai violentemente dato che non potei farne a meno, tuttavia persi il controllo dell'auto nonostante andassi ad una velocità adeguata, provai a frenare prima che la macchina uscisse fuori la strada ma i freni non funzionavano, feci più pressione ma nulla.

«Salta!». Urlai più forte che potei nonostante fosse accanto a me ma avevo il terrore che fosse così spaventato da non udire ciò che succedeva accanto a lui. La macchina era diretta verso un albero essendo uscita fuori strada, mi slacciai  velocemente la cintura e aprii lo sportello: saltando fuori. Atterrai violentemente sull'erba iniziando a rotolare essendo in discesa, appena fermo mi voltai immediatamente verso l'auto che oramai si era schiantata producendo un forte botto, non vidi immediatamente Gabriel infatti mi alzai di scatto provocando un forte giramento, pronto per dirigermi verso l'auto tuttavia lo vidi che si stava mettendo a sedere.

«Gabriel». Corsi accanto a lui e controllai se fosse ferito, ma come me, era uscito in tempo dall'auto. «Stai bene?». Mi misi dietro a lui per aiutarlo in caso volesse mettersi in piedi, annuì alzando la testa e guardando davanti a lui, sbarrò gli occhi. Lo seguii e misi la mano sulla cintura, constatando con dispiacere che non avevo con me la pistola.

«Ci si rivede, Colton». L'uomo fece un passo avanti, guardandoci con i suoi occhi verde smeraldo, con il suo sguardo inespressivo.

«Purtroppo direi proprio di sì». Aiutai Gabriel e mettersi in piedi, mettendosi poi davanti a lui. «Che vuoi?». Per poco non urlai, maledicendomi mentalmente per la forte emicrania che si era presentata seguita da un forte dolore sulla spalla sinistra. Gabriel si mise accanto a me e, nonostante avessi provato più volte a mettersi davanti a lui, me lo proibii.

«Te». Estrasse una pistola dal suo impermeabile nero e sorrise malvagiamente.

«Anche di un corso di moda, tu indossi L'impermeabile ad Agosto? Comunque mi dispiace ma non sei il mio tipo. Io cerco solo tipe». Sapevo di certo che non alludesse ad una relazione amorosa ma bensì al lavoro sporco che mi faceva svolgere, però non mi lasciavo intimidire da uno come lui e forse per questo non voleva perdermi. «Io sono fuori, ricordatelo».

«Oh no, tu sei dentro. Non sarai mai più fuori. Devi finire il tuo lavoro e per farlo devi liberarti delle persone che ami». Non ebbi il tempo di rispondere poiché puntò la pistola e sparò.

Mi svegliai di soprassalto con la fronte pregnante di sudore, il respiro irregolare e i battiti a tremila, mettendomi a sedere. Chiusi nuovamente le palpebre lasciando che, lentamente, mi calmassi e quel ricordo da un'altra parte della strada. Controllai il cellulare che segnava le tre di notte e un messaggio anonimo:

Central Park, New York alle 5.30 p.m. domani.

Lanciai il telefono sopra il letto per poi dirigermi con un passo felpato verso la porta, quando la aprii vidi una ragazza mora cadere, capendo immediatamente che fosse dietro essa. Charlotte scattò in piedi grattandosi la nuca imbarazzata e arrossendo.

«Oh hey, già sveglio? Fantastico! Cioè oddio mi dispiace ma cosa ci fai- okay... che è successo?». Parlava così velocemente che mi scappò un sorriso, averla davanti a me mi aveva già calmato, così mi limitai a tirarla verso di me e dentro la stanza chiudendo la porta alle nostre spalle, baciandola dolcemente. Picchiettai con la lingua sui denti e lei permise l'accesso, così le nostre lingue entrarono in contatto ed ebbe inizio una danza dolce e travolgente, la tenni stretta a me anche dopo essere terminato il bacio, lasciando che la sua fragranza si insinuò nelle mie narici cacciando via definitivamente i brutti pensieri. Ciò mi fece realizzare quanto mi facesse stare bene quella ragazza dagli occhi azzurri.

«Vuoi dormire con me?». La mia era quasi una supplica, infatti quando abbassai lo sguardo su di lei, forse non riuscì a dirmi di no poiché annuì energicamente. Ci distendemmo sul mio letto e lei mi dava le spalle, forse era la prima volta che dormiva con un ragazzo che non fosse uno dei suoi fratelli e potei capirlo dalle spalle rigide, così decisi di tirarla verso di me in un abbraccio.

«Colton, cosa siamo?». La sua domanda mi lasciò abbastanza stupefatto e non sapevo cosa rispondere. Rispondere ironicamente lo scartai immediatamente come decisione.

«Due ragazzi incapaci di voltare le spalle al passato, di lasciarsi andare all'emozioni positive, un ragazzo che probabilmente farà soffrire la ragazza poiché ha sempre seminato sofferenza. Siamo semplicemente noi, Diamante». Le diedi un bacio sulla tempia, proprio quando lei si girò e si accoccolò sul mio petto.

«Ed è questo quello che mi spaventa: essere me stessa». La sua affermazione era la voce dei miei pensieri.

«Ed è la paura che devi superare». Dopo ciò, si susseguì il silenzio assoluto, poco dopo sentii Charlotte respirare regolarmente e di conseguenza capii che si fosse addormentata.

Le accarezzai i capelli, immortalando quel momento nella stanza dei ricordi unici, quelli che distruggevano la monotonia e rendevano la mia esistenza più piacevole. Tuttavia sapevo che tutto questo sarebbe durato poco perché, purtroppo, non ero ancora totalmente libero da poter costruirmi una vita, ero ancora legato inspiegabilmente al passato. Il mio passato era una persona che quando voleva ricordarmi come ero diventato nel presente, il dolore in cui avevo vissuto, i piccoli momenti di felicità che avevo trascorso, le persone che avevo perso e incontrato, i mille errori commessi, le lacrime mai versate che mi stavano facendo annegare, le continue fughe che ero costretto ad affrontare, prendeva il telefono e componeva il mio numero: io avevo sempre risposto e quella volta, purtroppo, non sarebbe stata diversa. Inoltre era tardi per tornare indietro:

Avevo già risposto.

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