Capitolo 25: Nothing is impossible
Il vento accarezzava il mio viso leggermente, dovuto anche al fatto che il mio contatto con il vento era attutito dalle spalle di Colton su cui ero appoggiata, mentre con le mani mi limitavo a stringergli la vita. Nel frattempo continuavo a guardare quel satellite che era stato testimone del primo bacio tra me e Colton, stavamo tornando a casa nel silenzio assoluto come se anche una semplice parola potesse distruggere la magia che era piombata su di noi alla fine di quel bacio, il quale al solo pensiero faceva tingere le mie guance di un rosso intenso che, fortunatamente, lo si poteva nascondere dato che indossavo il casco. Mi sentivo più libera, tutto ciò che percepivo era questo, pareva che quel bacio avesse portato con se tutte le emozioni negative che, attimi prima, provavo ed era gratificante. Tuttavia quando guardavo l'espressione di Colton la felicità che provavo scemava velocemente come una nuvola di fumo, lasciando spazio alla preoccupazione. Perché aveva l'espressione di uno pronto a lasciare che l'ira prendesse il sopravvento sull'emozioni, lo si poteva notare dalle mani che stringevano il manubrio così forte da fare diventare le nocche, ancora incrostate dal sangue, bianche tanto da indurmi a voler mettere le mani sulle sue se ci fossi arrivata. Però, probabilmente, non ne avrei mai avuto il coraggio. Pareva che le emozioni fossero piombati su di lui, così come i pensieri, così violentemente da schiacciarlo e fare rimanere di lui solo la maschera che aveva costruito lui stesso. Il tragitto verso casa era durato poco, di fatto mi stupii quando vidi la casa davanti i miei occhi. Nonostante ciò rimasi sulla moto, slanciando le mani dalla sua vita e mettendo le mani sopra le gambe.
«Scendi». Le sue parole uscirono gelide tanto da farmi aggrottare le sopracciglia. «Sei sorda?».
«Ma mi spieghi che problemi hai? Prima mi baci, poi mi tratti come se fossi una puttana con la quale ti sei solamente divertito». Misi le mani sui fianchi, pregando Dio di non cadere. Ero davvero incazzata, non poteva tirare la pietra e poi nascondere la mano perché altrimenti la pietra se la trovava in testa.
«Ne ho abbastanza da non volerne altri». Spostò lo sguardo altrove, come se avesse paura di instaurare un contatto visivo tra noi. Mi ferii con quelle parole, perché capii il motivo per cui mi stava allontanando: mi considerava un problema e ciò mi indusse a scendere frettolosamente dalla moto, per non mostrargli quanto mi avesse ferita con quella semplice frase. Spesso mi ero definita un problema che andava eliminato ma mai mi era stato detto ciò da una persona con parole cosi gelidi da congelarmi sul posto.
«Guardami negli occhi e dimmi che sono un problema». Dissi, sbattendo più volte le palpebre sentendo gli occhi bruciare e di conseguenza speravo che le lacrime non mi avrebbero tradito in quel momento. Colton si voltò a guardarmi, parve per un attimo colpito dal mio sguardo, parve congelarsi ma non solo lui, parve anche per un attimo che tutto attorno a noi si fermasse. Mi sentii mancare il respiro dalla profondità del suo sguardo, i suoi occhi erano come frammenti di cielo notturno durante una tempesta, talmente scuri da farmi perdere lì dentro.
«Diamante, non sei tu il problema». Si voltò, strinse le mani attorno il manubrio così mi affrettai a mettere la mia mano sul suo braccio. Lui salì lo sguardo dalla mano fino ad incrociare i miei occhi, rimanemmo in quella posizione per quelli che sembrarono minuti interminabili, nessun rumore se non quello emesso dalla moto, nessun movimento se non quello dei nostri petti che si alzavano e abbassavano. Pareva che la bolla di magia in cui c'eravamo insinuati avesse perso la maggior parte del suo volume, si era ridotta così tanto da bloccarci. Nel suo sguardo leggevo chiaramente la sofferenza che stava provando a celare, non lo nascondeva per orgoglio, lo faceva perché la causa della sua sofferenza era orribile, così tanto da spaventare gli altri. Affermavo ciò perché conoscevo troppo bene quello sguardo, l'avevo visto troppe volte guardandomi allo specchio per sbagliare. Lui stava gridando aiuto attraverso quello sguardo e solo io sentivo quell'urlo insinuarsi nelle mie orecchie, martellando la mia testa e scuotendomi violentemente tanto che mi fece sussultare. Mi tolsi velocemente il casco e lo misi accanto a me, mi affrettai a mettere le mani sopra il casco di Colton affinché non partisse mentre lui non fissava me, stava fissando un punto davanti a se, il marciapiede. Come se, urlando con lo sguardo, avesse perso le forze. Come se, dato che ero riuscito a sentirlo, avesse smesso di urlare ed era caduto nell'abisso più totale.
Gli tolsi il casco e lui lo lasciò fare, spense la moto e mise il cavalletto, mentre mi feci da parte nel vederlo scendere, nel compiere quel semplice movimento perse definitivamente le forze cadendo a terra. Lanciai il casco accanto al mio e mi misi accanto a lui, era disteso sull'asfalto con lo sguardo fisso sul cielo. Pareva perso in qualche mondo a me sconosciuto, pareva che i pensieri fossero ormai troppo pesanti, pareva che, quello stesso passato che non era mai passato, gli fosse piombato di sopra così tanto da paralizzarlo.
«Hey Colton». Misi la sua testa sulle mie gambe, iniziando ad accarezzargli i capelli, lui sbatteva lentamente le palpebre e respirava con la stessa velocità. Pareva incantato da qualcosa presente in cielo, nascosto nell'oscurità del cielo notturno, illuminato parzialmente dalla luce della stelle, non del tutto ma abbastanza per attirare l'attenzione di Colton. Un piccolo sorriso prese forma sul suo viso, mentre le palpebre iniziarono a chiudersi.
«Colton? Hey!». Iniziai a scuotergli le spalle in preda all'ansia, il suo sorriso si spense e di scarto aprì gli occhi, sussultai alla sua reazione improvvisa e lasciai un sospiro di sollievo. «Hey».
«Che cosa è successo?». Aggrottai le sopracciglia realizzando che a parlare non era stato Colton, infatti quando alzai lo sguardo vidi James con dei pantaloni blu e una canottiera bianca, sulla soglia della porta che avanzava frettolosamente verso di me, dietro di lui c'era Chloe con una camicia da notte bianca, i suoi occhi erano sbarrati dalla paura e i suoi capelli arruffati facendomi comprendere che, probabilmente, si era appena alzata dal letto. Vidi le sue labbra muoversi appena, ma non capii le parole da essa pronunciate, pareva stesse ripetendo il nome di suo fratello.
«Portiamolo dentro». Esclamò James, tuttavia non ebbi il tempo di aiutarlo che lo mise in piedi e mettendosi un braccio di Colton attorno al collo, lo portò velocemente dentro guardandosi velocemente attorno, come se avesse percepito la mia stessa sensazione: quella di essere osservata. Presi i caschi e feci la stessa cosa di James, tuttavia non pareva esserci nessuno nei dintorni, nel salire i scalini non mi accorsi che Chloe era rimasta sulla soglia della porta infatti quando mi voltai, sussultai leggermente. Abbracciava il suo corpo come se fosse alla ricerca di calore, anche se la temperatura era abbastanza alta, così alta che dentro il mio giubbotto di pelle stavo squagliando. Posai i caschi dentro casa, rimanendo sempre davanti la porta.
«Sono tornati, vero?». Sussurrò, guardando oltre le mie spalle, sentii gelarmi il sangue nelle vene per il tono di voce usò: pareva troppo spaventata per parlare con un tono di voce normale e, nello stesso tempo consapevole, voleva mostrare una forza che, probabilmente, in quello stato non poteva di certo avere. Mi limitai semplicemente ad abbracciarla, non comprendendo la domanda e di conseguenza non sapendo la risposta.
«Sposto la moto, entrate. Amore, vai un attimo da Colton. È nel salone». James sciolse il nostro abbraccio con quelle parole, mettendo una mano sulla spalla di Chloe, quest'ultima annuí e si diresse a passi svelti verso il salone, feci per seguirla ma James mi prese il braccio.
«Poco fa, Aaron e Kendall hanno litigato. Non ho capito bene che cosa sia successo esattamente, ma ho sentito Kendall piangere. Va da lei prima, Colton deve stare solo con Chloe». Roteai gli occhi, abituata ormai a sentire parlare dei litigi tra la mia migliore amica e Aaron sapevo benissimo che il giorno seguente avrebbero chiarito.
«Va bene, buonanotte puffo». Dissi, sorridendo e lasciandogli un bacio sulla guancia, lui mi arruffò i capelli e sorrise.
«Quante volte ti ho detto di non chiamarmi puffo ma Grande Puffo?». Volevo scoppiargli a ridere in faccia, ma mi limitai a scrollare le spalle e ridacchiare leggermente, lentamente la sua mano scese fino a incrociare le nostre dita. «Furia, ho visto mille volte litigare Aaron e Kendall ma questa volta sembra più seria delle altre. Sono sempre stato da Aaron per dargli consigli decenti dopo un loro litigio e stavolta l'ho visto distrutto, aveva voglia di piangere e ce ne vuole per quella testa dura bionda». Sbarrai gli occhi nell'udire quelle parole e annuii, gli lasciai la mano e iniziai a salire velocemente le scale, togliendomi nel frattempo il giubbotto. Andai verso la mia stanza dove prima di uscire avevo lasciato vuota, anche se con me doveva dormire Kendall, quest'ultima era andata da Aaron ma quanto sembrava era tornata in camera mia. La porta, infatti, era chiusa. Sospirai prima di aprirla lentamente, avevo il terrore di trovarvi una scena vomitevole tra la mia migliore amica e mio fratello ma ciò che trovai fu un figura seduta sul letto di spalle, con lo sguardo rivolto verso la finestra e nonostante il buio potevo vedere il suo corpo tremare. La riconobbi immediatamente.
«Kendall». Mi avvicinai cautamente a lei, la quale non si voltò nemmeno per un attimo a guardarmi, aveva le ginocchia al petto e la testa tra di esse. La sollevò di poco quando le fui davanti e con uno slancio si buttò su di me, fortunatamente non persi l'equilibrio, di conseguenza avvolsi le mie braccia attorno al suo corpo mentre lei continuava a soffrire nel suo pianto disperato, bagnando velocemente la mia spalla. Mi limitai ad accarezzarle i capelli amorevolmente, mentre una piccola lacrime sgorgava dai miei occhi per poi sparire velocemente. Vedere la mia migliore amica ridotta in quello stato mi spezzava il cuore tanto che avevo il terrore che si sentisse il rumore, la strinsi abbastanza forte da non farla cadere e la lasciai fare quando aumentò la presa attorno al mio collo.
«Mi ha lasciata, questa volta è per sempre Char, per sempre». La allontanai immediatamente a aggrottai le sopracciglia, formando una ruga tra esse.
«Cosa è successo questa volta?». Tenni le mie mani sulle sue spalle, mentre dai suoi occhi continuavano a sgorgare lacrime colme di dolore incapace di essere trattenuto.
«Un casino». Si allontanò da me, mettendosi le mani tra i capelli arruffati e singhiozzando si sedette sul letto.
«Sono pronta ad ascoltarti, lo sai». Mi sedetti accanto a lei, togliendomi velocemente le scarpe e lanciandole dall'altra parte della stanza.
«Poca fa, io e Aaron eravamo svegli, parlavamo del più e del meno, scherzavamo insomma le solite cose che facciamo quando siamo soli. Eravamo nella pace più assoluta, lui mi raccontava quanto fosse felice di poter realizzare che suo fratello non fosse morto, e altre cose. Quando d'un tratto, il suo cellulare iniziò a squillare e lui senza guardare il nome sullo schermo, aveva direttamente bloccato il suo cellulare dicendo che nessuno doveva interrompere i nostri momenti...poi...». Scoppiò nuovamente a piangere, deglutii accarezzandole i capelli. Era troppo brutto avere il fratello fidanzato con la proprio migliore amica, certo aveva I propri aspetti positivi, ma in quei momenti non ne trovavo. Sapere che la causa del suo dolore fosse sangue del mio sangue, faceva insinuare a me un senso di vergogna impossibile da colmare.
«Racconta tutto con il tuo tempo». Inoltre conoscevo Kendall tanto da sapere che quando stava male, non aveva bisogno di qualcuno che la calmasse, bensì qualcuno che l'ascoltasse, dicendole sinceramente cosa ne pensasse. Mi aveva sempre detto che odiava tenersi tutto dentro, lei voleva semplicemente qualcuno che le prestasse le attenzioni che da piccola non aveva ricevuto, perché Kendall non era soltanto sociale, solare e altruista. Kendall era anche triste, piangente e in ricerca di affetto.
«Il suo telefono continuava a squillare, così gli ho detto di rispondere, nonostante non fosse d'accordo decise di farlo. Ma non ebbe il tempo poiché la chiamata terminò, restammo a guardare il cellulare pensando che avrebbe richiamato ma nulla, tuttavia arrivò un messaggio che illuminò lo schermo. Aaron lesse il messaggio dandomi le spalle, poco dopo si voltò verso di me con la bocca spalancata e lo sguardo indignato, lanciandomi il cellulare vicino. Sullo schermo c'era una foto che ritraeva me in un locale che mi baciavo con un ragazzo che non era Aaron. Quest'ultimo mi ha urlato contro tutte le parole di questo mondo, parole che in altri litigi non ha mai detto come: sei solamente una troia, vuoi andartene gentilmente? Possibilmente anche dalla mia vita. Non mi ha dato il tempo di dargli spiegazioni, ma Char io non ho mai baciato nessuno oltre Aaron, non ho mai indossato un vestito così corto come quello della foto e soprattutto rosso acceso, non sono mai stata in un locale se non con Aaron, io non sono quella della foto. Non sono io. Io non ci capisco più niente, credimi. Non sono io, Char. Non ho mai tradito Aaron, lo amo troppo per farlo». La conoscevo abbastanza bene da sapere che amava la vaniglia e le orchidee, il gelato alla fragola, preferiva essere chiamata con il nome intero perché il diminutivo le ricordava quell'uomo senza palle innamorato di Barbie, odiava non essere ascoltata, era divertente e amava lasciare i suoi capelli al naturale, ovvero mossi, ma molte volte si era ritrovata a passarsi la piastra ma di un'altra cosa ero certa: amava Aaron, tanto da sopportarlo ogni giorno e non mandarlo a quel paese ogni volta che gli capitavano giorni simili a quelli in cui le ragazze avevano il ciclo. Sentii la rabbia crescere in me mentre Kendall si ributtava tra le mie braccia, la strinsi forte a me mentre chiusi le palpebre lasciando che condividesse il suo dolore con me, lasciando che bagnasse la mia spalla e che si aggrappasse per non cadere nella voragine del dolore. Le credevo, sapevo quanto fossero veritiere le sue parole ed ero molto delusa da Aaron per non averla ascoltata, tuttavia sapevo benissimo che quando noi Hernandez ci lasciavamo pervadere dalla collera: era la fine.
«Vuoi che vada a parlargli?». L'avrei fatto ugualmente, ma non avevo intenzione di lasciare Kendall da sola anche solo per pochi secondi, conoscevo abbastanza bene il suo passato da sapere che aveva tentato il suicidio due volte ed entrambe le volte Aaron l'aveva salvata, entrambe le volte aveva lasciato che il dolore pendesse il sopravvento su di lei, entrambe le volte era rimasta troppo tempo da sola con i suoi pensieri, entrambe le volte non ero arrivata in tempo per salvarla. Nonostante fosse andata più volte da psicologi, nonostante quei pensieri si fossero allontanati dalla sua mente, avevo ancora il terrore che in futuro potesse accadere una cosa simile. Sapevo che un litigio non l'avrebbe portata a tal punto, ma sapevo che ancora annegava nei sensi di colpa per quel pomeriggio in cui non era riuscita a fermare suo padre, quando andò via non tornando mai più. Da allora, non riusciva a darsi pace. L'aveva ammesso una sola volta, in una chiamata prima di tentare il suicidio per la seconda volta. Sentii la testa di Kendall scuotere energicamente, la percepii come una risposta negativa. Così misi quel pensiero da parte.
«Vuoi una camomilla?». Scosse nuovamente la testa, così decisi di non dire più nulla limitandomi a starle accanto, realizzando che in alcuni momenti le parole erano niente, l'importanza di certi momenti erano i gesti. Le parole erano per tutti ma i gesti per i più coraggiosi. Poco dopo smise di piangere e si allontanò da me, per distendersi e raggomitolarsi. I panda quando erano tristi si sedevano da soli, lei invece quando era triste piangeva tanto e infine si distendeva sul letto osservando un punto fisso davanti a se, ma non vedendolo veramente. Vagava attraverso i ricordi, quelli belli, lasciando che la sua mente entrasse in una pace da cui non voleva uscire e che quei stessi ricordi la cullassero come se fossero le braccia di Morfeo. Infatti non mi meravigliai di vederla già con le palpebre chiuse, era molto stanca e non c'era da meravigliarsi, sapevo quanto fosse insopportabile percepire le palpebre pesanti per le troppe lacrime versate e sapevo quanto fosse insopportabile la stanchezza mentale. Non avevo bisogno di essere ringraziata dalla mia migliore amica per esserle stata accanto, perché il grazie più bello che avevo ricevuto era stato quello della sua fiducia e mi bastava. Mi allontanai dal letto per mettermi velocemente il pigiama e, reprimendo il desiderio di andare da Colton, mi distesi accanto a lei, coprendo i nostri copri con il lenzuolo bianco e non perché sentissi freddo, anzi, era perché quel semplice lenzuola mi infondeva un senso di protezione. Tutto ciò era colpa di Aaron e Brandon che, all'età di cinque anni, erano sbucati, nel bel mezzo della notte, da sotto il letto facendomi morire dalla paura. Nonostante fossero passati tanti anni, lo ricordavo come se fosse successo ieri, certo era un ricordo sbiadito ma era immortalato nella mia mente come una fotografia. Tuttavia quel ricordo fu sostituto, quasi violentemente, da quello del bacio tra me e Colton, facendomi arrossire. E con quel ricordo mi addormentai, sentendomi in colpa nel provare un'emozione simile alla felicità quando accanto a me c'era la mia migliore amica in preda al dolore.
****
Mi parve di aver chiuso gli occhi da solo cinque secondi, tuttavia quando li stropicciai e li aprii la luce solare che penetrava dalla finestra mi fece realizzare che avessi dormito di più ma che, come sempre, non era stato abbastanza. Passai in lingua sulle labbra secche, mente mi voltavo verso Kendall ancora dormiente nella stessa posizione in cui si era addormentata, cosa davvero strana dato che quando dormiva lo faceva con la stessa tranquillità di un toro durante le corse. Mi sedetti sul letto e guardai l'esterno, constatando quanto palesemente diverse New York da Miami e quanto mi mancasse la mia fredda città natale. Tuttavia il mio pensiero si spostò nuovamente sulle corse dei Tori o quelle cose che facevano fare agli animali, trovando estremamente crudeli quelle azioni poste dall'uomo che alcune volte si concedeva attimi per scrivere post del cavolo su Facebook, basandosi su argomenti come l'umanità quando neanche loro ne sapevamo il significato. Notai che Kendall si era girata e distesa con la pancia in su, stiracchiandosi e muovendo le labbra come se stesse assaporando qualcosa.
«Buongiorno». Esclamai euforica per farla ridere, ma l'unico risultato che ottenni fu il silenzio, mentre apriva le palpebre e si metteva a sedere. Sulle sue labbra si formò un piccolissimo sorriso per giunta finto, mentre si legava i capelli in una crocchia con l'elastico che aveva al polso.
«Vedrai che oggi andrà meglio, ieri era incazzato e mi pare normale, certo ha sbagliato a non aver chiesto spiegazioni ma stiamo parlando di Aaron quello neanche chiede spiegazioni a se stesso. Con ciò non voglio difenderlo, perché non ci sono abbastanza giustificazioni per il suo comportamento, però vorrei tanto trovare un modo per convincerti anche solo a regalarmi un piccolo sorriso che sia vero, mi piacciono troppo le tue fossette». Dissi, sporgendomi e stritolandole le guance, gesto che la fece ridere leggermente.
«Char, non è così facile». Sospirò, sottraendosi dalla mia presa e alzandosi, passandosi una mano sui vestiti.
«Niente è facile ma ciò non significa che devi rinunciarci immediatamente». Mi alzai, andandole dietro quando si mise davanti lo specchio osservando i suoi occhi gonfi.
«Mi dai un pizzicotto?». La sua voce uscì debole e supplicante, mi parve una bambina di cinque anni che chiedeva alla mamma di non accusarla al papà dopo aver fatto la monella. Mi fece tenerezza. «Così mi sveglio da questo incubo». Non potei rispondere, poiché bussarono alla nostra porta -che non ricordavo aver chiuso- così mi voltai verso essa, dando il permesso di entrare.
«Hey, la colazione è pronta. Se volete mangiare, vi conviene scendere. I ragazzi sono dei bufali». La chioma rossa di Chloe fece capolino nella stanza e poco dopo anche il suo corpo fasciato da una canottiera bianca in tema floreale e i pantaloncini neri, mettendo in evidenza il suo pancione.
«Si, stiamo scendendo». Risposi ricambiando il sorriso di Chloe, mentre si portava una ciocca sfuggita dalla sua treccia laterale dietro l'orecchio.
«Char, poi vorrei parlarti da sole». Aggrottai le sopracciglia ma annuii, ansiosa e curiosa di sapere quale sarebbe stato l'argomento di cui Chloe voleva parlarmi. Kendall si mise le infradito mentre Chloe usciva dalla stanza, lasciando la porta aperta, feci la stessa cosa della mia migliore amica mentre continuavo ad osservarla.
«Non sono pronta a vederlo». Annunciò quando uscimmo dalla stanza e ci dirigemmo verso le scale. «Neanche ho fame, non sopporterei lo stesso sguardo di questa notte. Ne morirei, credimi».
«Non puoi rinunciare alla colazione per mio fratello, okay magari non ne capisco nulla d'amore e queste smancerie ma so benissimo che per questione di orgoglio dovresti scendere. Fagli vedere che non ti ha distrutta». Le misi una mano sulla spalla massaggiando quella zona amorevolmente.
«C'è un problema: mi ha distrutta, se gli facessi vedere il contrario probabilmente penserebbe che non mi interessa nulla quando, in realtà, mi interessa, tanto da stare male. E poi Cara Char, rispetto te, non metto mai l'amore e l'orgoglio sullo stesso piano. L'orgoglio può distruggere l'altro e non voglio questo». Scrollai le spalle nell'udire la risposta e roteai gli occhi mentre mi legavo i capelli in una coda. Entrammo in cucina trovando il tavolo vuoto, tuttavia quando vidi la porta che dava sul giardino spalancata intuii che erano tutti fuori. Presi per mano la mia migliore amica e la condussi fuori. Il giardino era enorme, pulito e verde in alcune parti spuntavano bellissimi fiori che gli davano quel tocco di colore, al centro c'era un enorme gazebo bianco in cui dentro c'era un tavolo lungo del medesimo colore, occupato dal resto della mia famiglia. Aaron fu il primo a notarci, la mia migliore amica si aspettava uno sguardo schifato ma tutto ciò che si poteva leggere negli occhi di mio fratello era il dolore. I loro sguardi erano l'uno il riflesso dell'altro: mostravano il dolore causato dal troppo amore. Io e Kendall ci accomodammo e solo in quel momento notai che James, Chloe e Colton non erano presenti, così decisi di andarli a chiamare e inoltre avrei chiesto a mia cognata di parlarmi così da avere meno ansia. Entrai nuovamente in casa, risalendo le scale, sentii delle risate proveniente dalla stanza da letto di James così mi diressi verso essa. Bussai leggermente e quando sentii il permesso, aprii lentamente la porta trovando Chloe distesa sul letto con la pancia scoperta e James accanto a lei seduto, con una torcia in mano la cui luce era riflessa verso la pancia della sua fidanzata. Aggrottai le sopracciglia non comprendendo bene la situazione e James notando la mia espressione scoppiò a ridere.
«Vieni qua». Mi invitò mio fratello, così feci mi avvicinai mettendomi davanti il letto. Notai che dove si rifletteva la luce c'era una protuberanza, capii che fosse il piede del bambino. «Guarda bene, eh». Mi raccomandò James, annuii e quando mio fratello tolse la luce il piede si ritirò, e diede un altro calcio solo quando mio fratello rimise la luce in quel punto.
«Vedi? A nostro figlio piace stare sotto i riflettori». Scoppiai a ridere dopo la sua affermazione, mentre Chloe si limitava a scuotere la testa ridendo.
«Amore, devo parlare con Charlotte, potresti andare?». James annuì e dopo averle dato un bacio a fior di labbra, me ne diede uno a me sulla fronte sussurrandomi: «Buongiorno Furia». Infine uscendo dalla stanza. Chloe si abbassò la maglietta e fece per mettersi a sedere ma la fermai, sedendomi ai suoi piedi.
«Rimani distesa, tranquilla». Le sorrisi e lei annuì, mettendosi una mano sulla pancia.
«Cosa provi per Colton?». Sbarrai gli occhi nell'udire il quesito, tuttavia mi ricomposi subito e riflettei sulla risposta. Non sapevo bene neanche io cosa provavo nei suoi confronti, ma era palese che non lo vedevo solo come un amico. Non potevo dire di conoscerlo bene, ma potevo dire che lo stavo facendo. Non potevo negare che con lui provavo emozioni che non avevo mai provato, non potevo negare che stavo iniziando a provare un sentimento più forte del semplicemente voler bene ma più debole dell'amore.
«Non lo so. Non nego che lo vedo di più come un amico, non nego che non gli voglio solamente bene, non nego che forse sto iniziando a provare un sentimento che va oltre il volere bene. E non nego neanche che ho paura, paura di farlo soffrire. Non nego che quando sono con lui, sto bene». Chloe sorrise soddisfatta della mia risposta, mentre si metteva a sedere nonostante le avessi detto che poteva stare distesa.
«Tu e mio fratello vi state innamorando l'uno dell'altra e ancora non ve ne rendete conto». Scossi la testa, non essendo d'accordo con la sua teoria anche se da un lato sapevo che aveva ragione. «Non provare a dare torto a una donna incinta, eh». Alzai le mani in segno di resa leggermente divertita quando mi puntò il dito contro con fare minaccioso, ma fallí miseramente.
«Entrambi dite di non poter amare e tante altre chiacchiere, ma sono proprio quest'ultimi che si innamorano senza rendersene conto, tesoro». Allungò la mano per accarezzarmi la guancia sorridendo. «Non sto dicendo che le tue parole non siano veritiere, anzi, sto dicendo che credete così tanto alla logica che lasciate spazio al cuore di fare ciò che vuole e senza che ve ne rendiate conto, i vostri cuori saranno uniti da un filo invisibile che potrete vedere solo con gli occhi dell'amore e dalla consapevolezza. Non vergognarti di amare, non vergognarti di avere un cuore, non vergognarti di mostrare chi sei, non vergognarti di mostrare quanto la forza della tua tempesta possa renderti forte. Non vergognarti e basta. Goditi questi anni, goditi le emozioni, goditi la gioventù e la vita. Buttati nella voragine dell'amore, assaporandole i momenti belli e i momenti brutti, perché l'amore è proprio questo e non c'è amore più forte di quello nato nel dolore. E tu e Colton siete ancora legati al passato, così tanto da stare male, voi avete imparato a vivere nel dolore ed è per questo che forse non ve ne rendete conto, siete presi a non cadere totalmente nel dolore. So che probabilmente la causa della tua sofferenza era proprio James, la sua morte più che altro, ma so che ti senti ancora in colpa per quella notte, so che la scoperta che tuo fratello fosse vivo ti ha tolto il peso ma so anche che non è facile accettarlo, ci vuole tempo. Come sempre, ci vuole tempo. Non devi rispondermi ora, prenditi tutto il tempo che vuoi per riflettere sulle mie parole, ricordarti che niente è impossibile». Non seppi come rispondere, così mi limitai ad abbracciarla o meglio abbracciarli. Sentii la spalla bagnarsi e, di lì a poco, realizzai che Chloe stesse piangendo. Aggrottai le sopracciglia ma lasciai che piangesse sulla mia spalla. «Grazie Char, perché nessuno ha mai reso felice mio fratello». Quelle parole mi resero stranamente felice, così tanto da formare un sorriso. Chloe si allontanò asciugandosi le lacrime e sorridendo. «Ora è il caso che vai da Kendall». Annuii sorridente e mi alzai.
«Scendi?». Ma Chloe scosse la testa, distendendosi. «Che aveva ieri Colton? E dov'è adesso?».
«Evidentemente non ti ha parlato del suo passato e non sarò io a farlo, deve essere lui. In questo momento sta dormendo nella sua stanza. Vai a fare colazione, ti ho trattenuta abbastanza». Le mandai un bacio volante ed uscii dalla stanza, proprio quando Colton uscì dalla sua, indossava solamente un paio di boxer neri e ciò mi fece arrossire, tentai in tutti i modi di distogliere lo sguardo dai suoi addominali scolpiti e fortunatamente ci riuscii proprio quando alzò lo sguardo verso di me e sorrise.
«Buongiorno Diamante». Si avvicinò a me e mi lasciò un bacio a fior di labbra. Sbarrai leggermente gli occhi alla sua azione, sorpresa da quest'ultima, tuttavia sulle mie labbra si formò un sorriso.
«Emmh Buongiorno a te, riguardo ieri...» abbassai lo sguardo incapace di continuare il contatto con il suo sguardo e mi stupii quando mise due dita sotto il mento per alzarmi la testa. Facendomi rabbrividire.
«Stasera usciamo e parliamo, va bene?». Vidi passare Kendall, che camminava velocemente verso la nostra stanza, non ci notò neanche.
«Meglio un'altra volta, stasera devo pensare a rallegrare l'umore alla mia migliore amica». Per quanto desiderassi uscire con Colton, la mia migliore amica e il suo dolore venivano prima.
«Mmh va bene, perché ti devo alcune spiegazioni». Annuii notando che teneva ancora le dita sotto il mento, come se avesse paura che potessi interrompere il nostro contatto visivo. Tuttavia, forse perché fu certo che non avrei abbassato lo sguardo, tolse le dita da sotto il mio mento e si appoggiò sullo stipite della porta incrociando le braccia, continuando a osservarmi.
«Come stai?». Chiese, per il nervosismo iniziai a giocare con le dita, deglutendo. Sentivo delle strane emozioni in me e le gambe che sembravano gelatina non aiutavano per niente.
«Normale, tu?». Non sapevo bene se stavo bene o stavo male e in queste situazioni la mia risposta era quella.
«Normale». Mi prese una ciocca sfuggita dalla coda, iniziando a giocarci e ciò mi fece sorridere. Non amavo tanto quando mi si toccavano i capelli, ma fatto da lui quel gesto mi faceva sorridere.
Oddio, mi sono bevuta il cervello?!
«Ci vediamo dopo, okay? Devo andare da Kendall». Mi ricordai che pochi secondi prima era passata la mia migliore amica ed ero sicura che durante la colazione fosse successo qualcosa. Colton annuì e dopo avermi lasciato un bacio a fior di labbra mi diede le spalle, dirigendosi verso le scale.
Non devo abbassare lo sguardo. Non devo abbassare lo sguardo.
Tuttavia lo feci lo stesso e, per mille istruttori, invidiavo coloro che l'avevano visto fare gli squat. Sbattei più volte le palpebre e camminai verso la stanza, entrai trovando Kendall che era intenta a mettere roba nel suo borsone.
«Che cosa fai?». Per poco non urlai, andandole vicino e bloccandole i polsi. Alzò lo sguardo e mi cadde il mondo addosso, i suoi occhi erano nuovamente colmi di lacrime che si riversano sulle sue guance e ciò fece confermare la mia teoria che era successo qualcosa. «Che ti ha detto?».
«Mi ha detto che senza di me sarebbe felice. Bene, me ne vado, Char. Me ne vado, ci vediamo a New York». Si ritrasse dalla mia presa, continuando ad uscire dal borsone i vestiti per ripiegarli e rimetterli nella valigia.
«Stai perdendo tempo perché pensi che Aaron rientrerà in camera e ti chiederà scusa». Annunciai la mia teoria e lei si fermò.
«È vero, lo spero. Ma sto iniziando a pensare che forse è meglio che vada, io lo amo così tanto da volere la sua felicità e se questo significa che deve rifarsi una vita con un'altra, bene. Me ne vado e lo lascio stare, gli lascio vivere la sua vita senza una rompipalle come me. Ma prima deve ascoltare le mie spiegazioni, perché non me ne vado con lui che pensa che l'ho tradito. Perché posso essere di tutto ma non traditrice». Prese una maglietta nera a maniche corte su cui c'erano stampati i doni della morte (tanto per la cronaca quello era un mio regalo) e dei pantaloni blu a vita alta. Si tolse il pigiama, inziando a vestirsi frettolosamente mentre io mi allontanai per prendere anche i miei vestiti, decidendo di vestirmi con dei pantaloncini a vita alta neri e una maglietta nera con la runa angelica, era la mia maglietta preferita me l'aveva regalata Chloe dopo che aveva scoperto che amavo la saga shadowhunters, ho amato da quel momento quella ragazza. Decisi di farmi la doccia la sera, così da non perdere tempo e far cambiare idea alla mia migliore amica, che aveva già chiuso il borsone e messo i sandali neri, mentre io indossai le converse. Kendall sciolse i suoi capelli facendo una treccia, mentre io decisi di lasciare i miei capelli legati in una coda.
«Cosa risolvi andandotene?». Dissi, mettendomi dietro di lei mentre si aggiustava la treccia.
«Ci vediamo a New York, okay? Io ho bisogno di staccare la spina, Aaron pure, me ne vado io, lui deve restare». Scrollò le spalle, asciugandosi le ultime lacrime. Nonostante non fossi per niente d'accordo, dovevo ammettere che trovavo il gesto estremamente coraggioso. Stava rinunciando alla sua felicità, non c'era atto di coraggio più bello di questo.
«Almeno lasciati accompagnare all'aeroporto». Dissi, ma il suo sguardo mi fece capire che non voleva.
«Renderesti la partenza ancora più dolorosa, mi accompagnerà Noah. Grazie, stai rispettando la mia decisione e per me è importante. Vado a parlare un'ultima volta con Aaron e poi vado, devo ancora prenotare il volo tra l'altro». Mi abbracciò e sorrise, o meglio ci provò. Infine mi lasciò sola nella stanza con un vagone simile a quello di un treno. Mi andai a sedere sulla finestra, perdendomi a osservare l'esterno. Passarono quelli che sembrarono minuti in silenzio interminabili, fin quando non entrò la mia migliore amica prendendo il borsone e la sua borsa, si posizionò davanti lo specchio aggiustandosi gli occhiali da sole. Mi avvicinai a lei e l'abbracciai, sussurrandole che la volevo bene, dandole un bacio sulla guancia. Infine l'accompagnai giù, dove salutò gli altri evidentemente confusi nel vederla entrare in quel modo nel salone. Tuttavia non fecero domanda, Noah e Kendall uscirono di casa e solo quando la porta si chiude fui invasa da domande. Ma non risposi a nessuna domanda, mi limitai a raggiungere la soglia della porta e chiamare mio fratello proprio come faceva Klaus Mikaelson con sua sorella Rebekah.
«Aaron». Tuonai e, da lì a poco, mio fratello iniziò a scendere le scale svogliatamente.
«Scusa se ho perso tempo, stavo parlando con un tizio di Roma, ti ha sentito urlare». Roteai gli occhi nell'udire la sua risposta sarcastica. «È andata via?».
«Mi fai vedere quella cazzo di foto?». Aggrottò le sopracciglia, tuttavia mi passò il suo cellulare. Feci tutto da sola, aprii i messaggi e notai immediatamente che si trattasse di un numero anonimo. Aprii la foto e la ingrandii per quanto possibile, ma bastò per farmi notare una piccola differenza nella foto che mi fece realizzare che si trattasse di un photoshop. Qualcuno aveva ritagliato una foto di Kendall e sovrapposta al viso di questa ragazza. «Lo sapevo, tu hai bisogno degli occhiali». Ero emozionata di aver scoperto una cosa simile, mi avvicinai ad Aaron e gli feci notare quella piccola linea bianca appena sotto i capelli di Kendall, in cui se ci si prestava più attenzione si poteva intravedere una ciocca bionda. Aaron sbarrò gli occhi, indietreggiando di un passo come se fu schiaffeggiato. Ed effettivamente era stato così. La mia mano si era mossa prima che me ne rendessi conto e passando il telefono a Brandon che era giunto accanto a me, iniziai a colpire ripetutamente Aaron ovunque mi capitasse.
«Sei un grandissimo coglione. Perché sei mio fratello? Hai visto come l'hai fatta soffrire? Io ti uccido». Aaron cercava di coprirsi il viso, ma continuavo a colpirlo e mi fermai solo quando James avvolse le sue braccia muscolose attorno la mia vita, prendendomi di peso e allontanandomi da Aaron, anche se continuavo a dimenarmi non mi lasciava. Provavo così tanta rabbia nei confronti di mio fratello che neanche con una pizza l'avrei perdonato.
«Io... sono un coglione». Aaron iniziò a passarmi freneticamente una mano tra i capelli, mentre James raccomandandomi di fare la brava mi metteva giù, continuai a trucidare con lo sguardo Aaron mentre mi dirigevo verso la porta e prendevo le chiami della sua auto.
«Lo sei, ora tieni e vai a prenderla. Tu l'hai distrutta e tu puoi ricostruirla. Vai ora o sei morto». Gli lanciai le chiavi che prese immediatamente e annuí, correndo fuori avrei voluto dirgli che indossava le infradito ma non sembrò importargli. Di lì a poco, era salito in macchina ed era andato via. Tirai un sospiro di sollievo mentre spostavo la rabbia sull'anonimo, decidendo che era arrivato il momento di parlarne con gli altri, tuttavia non ebbi il tempo poiché suonò il campanello ed essendo vicina la porta, fui io ad aprirla. Fuori non c'era nessuno, ma quando abbassai lo sguardo vidi una scatola, la presi ed entrai. James notandomi, si avvicinò e me la sottrasse dalle mani guardando l'oggetto con la mia stessa espressione confusa. Tuttavia quando l'aprí il suo sguardo cambiò radicalmente, era spaventato, così mi sporsi per controllare il contenuto e capii perché. Nonostante non fossi esperta in questo argomento, sapevo di cosa si trattasse.
«Ragazzi, cosa c'è lì dentro?». Chiese Chanel, visibilmente preoccupata quanto me. Nel frattempo mi arrivò un messaggio, sempre da parte di un anonimo.
«Ci sono i freni di un auto e un biglietto scritto con parole prese dai giornali, che dice: "povero Aaron"». La voce di James arrivava ovatta alle mie orecchie, tutto il mio corpo parve entrare in trance, mentre le lettere del messaggio anonimo giravano vorticosamente nella mia mente, bloccandomi nel tempo e macchiando la poca felicità che avevo provato con un nero come la pece, rendendo tutto intorno a me del medesimo colore:
«Te l'avevo detto, ne trovi uno, ne perdi un altro».
Sentii un tonfo fortissimo, mentre un urlo si propagava nella mia mente facendomi annegare nei sensi di colpa, solo quando Colton giunse accanto a me, capii che quel tonfo l'avevo prodotto proprio, cadendo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top