Capitolo 24: Tonight is ours

La notte era pregnante di pensieri, ne avevo avuto più volte conferma. In quel momento seduta sul davanzale della finestra guardando l'esterno, immaginavo cosa stessero facendo i miei genitori, mi chiedevo se sapessero di tutto ciò e il motivo per cui da quando eravamo arrivati a Miami avessero iniziato a chiamare solo Aaron e Brandon, tuttavia lasciai che la mia mente iniziasse a concentrarsi su altro per prevenire l'emicrania che, probabilmente, di lì a poco sarebbe venuta. La luce lunare che illuminava la città la quale aveva distrutto ma, nello stesso tempo, ricostruito la mia vita a distanza di sette mesi rendeva la città, o meglio, ciò che vedevo dinanzi a me magico. Era davvero strano come la stessa cosa potesse compiere gesti di significato completamente diverso, come potesse trasmetterti e farti provare emozioni così contrastanti. Portai le gambe al petto e rabbrividii quando trascinai i piedi lungo il marmo che rivestiva il davanzale, mi strinsi in un abbraccio, continuando a osservare la luna alla quale era stato dato l'appellativo di "scroccona" da mio fratello Aaron, per il semplice motivo che rifletta la luce del sole. Ero a Miami da meno di un giorno, eppure la odiavo già, poiché nella mia mente insinuava i ricordi della notte in c'era stato l'incendio dato che, molto probabilmente, una parte del mio subconscio non credeva ancora che James fosse vivo, seminando incubi e privandomi del sonno. Per questo motivo all'una si notte mi trovavo su quel davanzale, anche se non era completamente per i pensieri che ero venuta fin qui, anzi dopo aver ricevuto un altro messaggio anonimo, poche ore fa, mi ero sentita in dovere di proteggere tutti, poiché pensai agli uomini che mi avevano seguita dopo aver quasi tentato di entrare al cimitero, quel uomo vestito in nero prima davanti casa mia, sempre lo stesso uomo - o almeno credevo- che osservava me e Colton davanti la spiaggia, lo stesso giorno in cui ero arrivata a Miami, non c'erano dubbi: qualcuno mi seguiva e, ricordando il messaggio anonimo, aggiunsi anche che sapeva della mia vita privata:

«Trovi sempre ciò, o meglio chi, che non cerchi ma, prima o poi, tutto riperdi».

Ciò che mi mandava in bestia era avere paura di qualcuno che non conoscevo, non poter sapere chi mi perseguitasse, perché nonostante avessi provato più volte di celare quella sensazione di essere costantemente osservate, quella rimaneva sempre là a torturarmi, a parer mio non c'era cosa peggiore di avere paura di qualcosa di cui non si sapeva l'identità: paura dell'ignoto. La paura in se era già una catena, una catena che legava le tue ali, impedendoti di volare, una catena che sigillava le porte del tuo cuore, era come il freno di un'auto che impedisce a qualcuno di schiantarsi contro un muro. Tuttavia la paura era sovrastata dalla collera, poiché sentivo che questo qualcuno non si stava solo divertendo ma il suo scopo era un altro, non sapevo bene quale fosse, ma ne aveva uno. E io dovevo assolutamente prendere un provvedimento, non potevo tollerare due messaggi anonimi con delle parole che, in quel momento, facevano male psicologico.

«Furia, ancora sveglia?». Nonostante avesse sussurrato, sussultai e caddi dal davanzale sul fianco sinistro, non l'avevo completamente sentito arrivare. James scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti la bocca per attutire il rumore mentre io, dolorante, mi mettevo a sedere. Tuttavia mio fratello si mise accanto a me, chiedendomi se mi fossi fatta male, fortunatamente non provavo tanto dolore, grazie al fatto che la caduta era stata attutita dal braccio, con l'aiuto di mio fratello, mi alzai ed entrambi andammo in cucina dato che aveva proposto una bella camomilla notando l'espressione che avevo, pochi minuti prima osservando l'esterno, ovvero: tesa.

«Come mai ancora sveglia?». Chiese prendendo un pentolino, in cui versò l'acqua e infine lo mise sul fuoco.

«Mamma e papà sanno che sei vivo?». Risposi, sedendomi osservando i suoi movimenti fluidi, movimenti semplici, quotidiani ma che mi erano mancati. Mi sentivo così fortunata in quel momento, c'erano persone che perdevano le persone che amavano per sempre e poi c'ero io che avevo ritrovato mio fratello, anche se non lo cercavo, avevo ritrovato la mia vera e unica ancora. Nel porre quel quesito un groppo si posizionò sulle mie corde vocali, infatti dovetti deglutire sperando che scomparisse ma rimase lì, come se fosse un grosso sacco che conteneva tutto ciò che volevo dire, o meglio, che dovevo dire.

«Che ne dici che ti racconto tutta la storia? Sei pronta?». Mi guardai attorno come se mi stesse domandando di uccidere qualcuno in una stazione della polizia. «Tanto Aaron e Brandon sanno già tutto, gliel'ho raccontato quando tu sei andata via». James non mi dava più le spalle, era dall'altra parte del tavolo con le mani appoggiate su esso, annuii curiosa di sapere come continuasse la storia che aveva diviso due famiglie, che ancora oggi avesse così tante influenza sul presente. James sorrise e si sporse per accarezzarmi amorevolmente la guancia. A quel tocco, chiusi gli occhi lasciando che il calore emanato dalla sua mano mi riscaldasse il cuore, erano quelli i momenti che mi erano mancati di più: quei gesti fugaci fatti per dimostrare il suo affetto, perché sono i gesti che si davano per scontati, che mancavano di più. James tolse la mano, lasciando però che la caloria rimanesse ancora un po' prima di scomparire definitivamente. Da lì a poco, mi ritrovai una tazza fumante sotto il naso e quando provai a toccarla, mi scottai. James si sedette di fronte a me, soffiando sulla sua tazza affinché il contenuto si raffreddasse, tuttavia ci rinunciò e alzò lo sguardo. Si schiarì la voce e iniziò a parlare.

«Andrew Hernandez e Mark Sanchez erano come fratelli, erano uguali in tutto, tranne per la situazione economica e ovviamente i lineamenti facciali. Quando i due iniziarono il liceo, il signor Hernandez non era più un militare anzi aveva completamente abbandonato quella via e si era dedicato all'economia, nel giro di tredici anni riuscì a fondare la sua prima azienda che prima avrebbe dovuto fondare con il signor Sanchez ma quest'ultimo aveva abbandonato il progetto durante i primi tempi, sostenendo che avrebbero fallito miseramente, ma come possiamo vedere anche oggi: non è stato così. Il rapporto tra i due genitori sfociò ben presto in un conflitto verbale in cui si ferirono pesantemente, urlarono ai venti i loro segreti più oscuri, celati per quindici anni. E quel litigio fu uno dei tanti motivi per cui ancora oggi si odiano, il signor Hernandez decise di cambiare casa, così da privare la moglie di avere altri contatti con la signora Sanchez, le quali si volevano ancora bene. I Sanchez rimasero in quello che oggi è il Bronx, gli Hernandez si trasferirono in quello che oggi è Manhattan. Sta di fatto che Andrew e Mark, nonostante frequentassero due scuole differenti, si vedevano ogni giorno e ne combinavano di tutti i colori, la signora Hernandez aveva sempre detto che insieme formavano L'arcobaleno e che da soli formavano il bianco come un foglio che aspettasse solo il suo pittore affinché si tingesse, questi erano loro: pittori l'uno dell'altro e, nello stesso tempo, erano fogli. La loro amicizia era davvero straordinaria, passarono tutti gli anni del liceo continuando questa vita, vedendosi di nascosto. Arrivò il meraviglioso ultimo anno, anno in cui finalmente uno dei due si era invaghito di una ragazza infrangendo la promessa fatta all'inizio del liceo: nessuna ragazza fino alla fine del liceo. Andrew però, come tutti gli altri ragazzi, non era riuscito a resistere alla bellezza di Jessica e in poco tempo iniziarono a frequentarsi, Mark diceva all'amico che andava tutto bene ma non era vero, lui era deluso tuttavia era felice per lui . Comunque sia da lì a poco, Andrew scoprì che la sua ragazza era andata a letto con un ragazzo. Gliel'aveva confidato lei stessa, in lacrime, poiché lei era stata drogata e non ricordava nulla di quella notte fuorché che era andata a letto con qualcuno che non era il suo ragazzo, ovviamente Andrew la lasciò e andò a confidarsi con il suo migliore amico. Due settimane dopo, Andrew stava ancora male, aveva iniziato a fumare, ingerire alcolici stava davvero male per quel tradimento, Jessica durante quei giorni aveva ricostruito il viso del ragazzo e quando capì chi fosse stato, corse da Andrew a rivelargli l'identità del ragazzo. Purtroppo quel ragazzo era il suo migliore amico: Mark». Si fermò per deglutire e bere un sorso della sua camomilla cosa che, a differenza sua, stavo già facendo infatti avevo quasi terminato la mia camomilla. In quel momento, spalancai leggermente la bocca, scioccata da ciò che aveva fatto Mark Sanchez. Portandomi ad affermare che in realtà non erano migliori amici, poiché quest'ultimi non si tradirebbero mai a vicenda né quantomeno lo farebbero per ripicca. Tuttavia tenni quel commento per me.

«Andrew andò su tutte le furie, urlò contro quello che riteneva migliore amico di tutto e di più: che il padre aveva ragione, che i Sanchez sapevano solo tradire, che meritavano di stare nei ceti bassi della società perché non valevano nulla, ponendo fine definitivamente alla loro amicizia e con quelle parole, parole di un diciottenne, diede il via all'odio che si divulgò velocemente nelle vene del resto delle generazioni. Tuttavia non fu solo quel tradimento a mettere fine a quella meravigliosa amicizia ma era un insieme di cose, anzi un insieme di manipolazioni da parte dei genitori che gli dicevano di tutto e di più per odiare l'altra famiglia, gli davano i motivi e aveva fatto un bel lavoro. Jessica non si fece più vedere, era stata come un proiettile sparato da una pistola tenuta da Gerard e France, affinché distruggere l'amicizia dei loro figli. Un anno dopo, entrambi frequentavano l'università, entrambi conobbero l'amore della loro vita, Mark conobbe Stephany, Andrew conobbe Jocelyn, si innamorarono perdutamente. E nonostante gli uomini avessero tagliato qualsiasi tipo di relazione tra loro, Marie e Lena non avevano mai smesso di scriversi, la loro amicizia ormai era epistolare e, ad entrambe, bastava. Raccontavano di tutto, dei successi dei mariti, la scelta dell'università dei figli, parlarono dello stato mentale e quello fisico, si perché Lena aveva un tumore nel cervello e non l'aveva detto ancora a suo marito e a suo figlio, l'aveva detto solo a Marie che aveva provato ad aiutarla economicamente e a convincerla nel dirlo alla sua famiglia ma Lena non voleva farli preoccupare diceva che si sarebbe ripresa, tuttavia Marie non si arrese e continuò a consigliarle di parlarne con la sua famiglia prima che fosse tardi. La sopracitata donna non ebbe risposta alla sua ultima lettera spedita durante i primi di Dicembre, ciò la fece preoccupare ma non sapeva cosa fare dato che in quel periodo suo marito era a casa perché il suo ufficio lo stavano ristrutturando e Marie non poteva mentirgli e di conseguenza spezzare la promessa che lei e Lena avevano fatto una sera dopo la nascita dei bambini: essere sempre sincere. Dato che sapeva che il marito l'avrebbe tartassata di domande se fosse uscita. Due settimane dopo, Marie aveva ricevuto la lettera d'addio una mattina di Dicembre, che non era solo una lettera d'addio, Lena chiedeva il suo aiuto per far riappacificare le due famiglia che, al dire il vero, era il suo ultimo desiderio. Marie ricevette poco dopo una chiamata, inaspettatamente, da parte di Gerard che le chiedeva se poteva raggiungerlo in ospedale perché Lena aveva chiesto di lei. Inutile dire che Marie corse da lei, seguita dal marito preoccupato dalla reazione della moglie una volta posta fine alla chiamata, dalla sua migliore amica. Arrivò giusto in tempo in cui Lena si scusava perché pensava che non ce l'avesse fatta a dirle tutto verbalmente, giusto in tempo di piangere insieme, di soffrire insieme, di stringersi la mano come prima volta che si erano conosciute, prima che Lena esalasse l'ultimo respiro. Come si erano conosciute, una di loro era morta, anche se la mano di Lena scivolò lentamente dalla mano della sua migliore amica, quello per loro non era stato un addio. Marie fu lacerata dal dolore, fu lei a chiudere le palpebre alla sua migliore amica, a sua sorella. Poteva esserci dolore più grande di questo? Per Marie no, pochi mesi dopo morì per un tumore al fegato poiché l'alcol che aveva ingerito in quei mesi dopo la morte di Lena, l'aveva uccisa. Tutto ciò perché l'odio che si stava seminando tra le famiglie, le avevano provato di stare accanto l'una all'altra. I due mariti avevano scoperto le lettere ma ciò non li fece assolutamente riappacificare, anzi, gli Hernandez, ancora disperati per la morte della loro donna, provarono un odio così grande verso i Sanchez che riponevano in loro la colpa della morte di Marie, tuttavia anche I Sanchez non erano da meno, incolpavano gli Hernandez per ciò che avevano fatto in passato, era come se fossero dentro una labirinto da cui non avrebbero trovato mai fine: imboccavano sempre lo stesso sentiero quello dell'odio, dell'ignoranza e degli errori da cui ancora oggi non hanno imparato nulla». Durante il racconto aveva portato più volte la tazza fumante alle labbra per bere un sorso, infatti aveva già terminato la sua bibita e, in quel momento, mi osservava in attesa di una reazione che, di certo, non avrebbe avuto immediatamente. Deglutii sentendo la gola secca, come se fossi stata io quella a parlare e sbattei le palpebre disorientata mi sembrava di essere ritornata bruscamente nella realtà, poiché durante il suo racconto una serie di immagini create dalla mia immaginazione che raffiguravano ogni parte della storia, si sfogliavano nella mia mente come un album fotografico, mi ero persa nell'ascoltare ogni singola parola e avevo permesso alla mia mente di formulare immagini cosicché avessi dei volti a cui dare il nome, erano come ricordo anche se, in realtà, erano momenti che non avevo mai vissuto.

«Ovviamente la storia della zia Katherine ha riportato tutto a galla e devi sapere che il nonno l'ha cancellata ovunque, dalle foto, dal testamento, ha cancellato qualsiasi cosa appartenesse a lei o la ritraesse, ora ti racconterò la sua storia, ma devi dirmi se sei pronta a sapere gli avvenimenti recenti». Boccheggiai alla ricerca di aria e passai la lingua sulle labbra per inumidirle.

«Voglio sapere tutto, ti prego». James annuii anche se incerto, alla fine, allungò la mano e la strinse nella sua.

«Non c'è bisogno che mi preghi, non sono Dio. Ti avverto, ciò che dirò non sarà nulla di bello. Siamo nel 2002, anno in cui a casa Hernandez c'era il putiferio in ogni momento della giornata per una ragazza che oggi rinnegano. Katherine Hernandez era sempre stata una brava ragazza, ottimi voti a scuola, comportamento eccellente sia a casa che a scuola che in qualsiasi luogo si trovasse, amava e tutti la amavano, era la tipica ragazza che sorrideva perché era davvero felice, aveva tanti amici, voleva sempre rendere orgogliosi i suoi genitori che le avevano anche dato libera scelta sul futuro, dato che a dirigere l'azienda c'era già il loro primo figlio, nonché nostro padre che amava quel lavoro e l'aveva scelto lui, volevano che inseguisse il suo sogno ma, nonostante ciò, Katherine non sognava di diventare chissà chi nella vita, non sognava neanche chi volesse diventare da grande, lei voleva semplicemente provare quel sentimento che legava i suoi genitori l'uno all'altro, quello che legava suo fratello a sua moglie, era curiosa di sapere cosa si provasse nel sapere che c'è qualcuno che tiene a te, qualcuno che con un semplice sguardo ti fa arrossire, che ti fa sentire unica e dato che pensava che non avrebbe mai direttamente provato quel sentimento, proprio a quindici anni iniziò a leggere romanzi, storie d'amore di cui si innamorò. Prima aveva sempre letto fantasy, pensando che quelle d'amore fossero smancerie per cui non valeva la pena spendere soldi. Però si dovette ricredere, era diventata una romantica di prima categoria e ogni sera parlava al telefono con nostra mamma, per lei era una migliore amica, e le raccontava che libri aveva letto, delle sensazioni che aveva provato o semplicemente sfiorato, le parlava dei suoi sogni irrealizzabili e mamma l'ascoltava con piacere, nonostante avesse solo ventitré anni, diventava una ragazzina di quindici quando parlava con Katherine e alle volte tu, Charlotte, eri solita dire cosa insensate quando la zia parlava con te al telefono e ti divertivi, se papà non li ha buttati, dovrebbero esserci alcuni video da qualche parte nello scantinato. Ora arriva il motivo per cui iniziarono i litigi a casa Hernandez». James si fermò per deglutire e si alzò per prendere l'acqua che mi offrii, ma rifiutai, nonostante sentissi la gola secca. Nell'udire che avevo già conosciuto la zia, sorrisi anche se non ricordavo nulla.

«Un pomeriggio, Katherine doveva comprare un libro che era uscito proprio quel giorno e che aspettava da mesi, girò quasi tutte le librerie di Manhattan insieme a te e a mamma, dato che ogni volta che sentivi il nome della zia eri una furia e tendevi sempre a starle attaccata come una piovra. La zia ti adorava e tu adoravi lei. Sta di fatto che mamma conosceva una libreria nel Bronx, la quale non essendo molto conosciuta probabilmente possedeva ancora quel libro. Così andaste lì, mamma parcheggiò e iniziaste a dirigervi verso la libreria, entraste e la zia trovò il libro ma tu iniziasti a lamentarti perché volevi comprarti un libro ma mamma non voleva, diceva che non avresti capito avendo tre anni ma tu, essendo la solita capricciosa, continuavi a lamentarti. Sapevamo tutti quando odiavi le favole, nonostante la tua tenera età, ogni sera assistevo alla lettura della mamma solo per guardare la tua faccia schifata dalla lettura. Sei sempre stata terribile, furia. Ritornando al racconto, usciste dalla libreria con te che ti dimenavi per lasciare la mano della mamma e quando ci riuscirai corresti dall'altra parte della strada, nel fare ciò una macchina si diresse verso di te a tutta velocità e, mentre mamma e zia Katherine erano paralizzate per la paura, un ragazzo si era già buttato per salvarti. E quando quel ragazzo incrociò lo sguardo della zia, si innamorarono a vicenda. Quel ragazzo si chiamava e si chiama Richard Sanchez. I Sanchez l'hanno per vizio di salvarti, vero Furia?». Arricciai le labbra divertita in risposta al suo quesito, evidentemente aveva scoperto che stavo quasi per farmi investire. James scosse la testa divertito e fece per procedere il racconto, ma si fermò.

«Questa frase volevo dirle quando l'ho salvata, ma la sua lingua sputa fuoco mi ha bruciato nel tempo». Sentii una voce alle mie spalle, ma non ebbi bisogno di voltarmi per capire che fosse Colton.

«Eh caro cognato, mia sorella di distingue dalla massa». James mi scompigliò i capelli, mentre risi leggermente. Mi domandai se Colton sapesse tutta la storia e, come se potesse ascoltare i miei pensieri, mio fratello annuii. «Colton accomodati, stavo raccontando tutto a Charlotte». Il ragazzo si avvicinò e notai che indossava una maglietta bianca a maniche corte con uno scollo a V, i jeans e le converse, mentre in mano teneva un giubbotto di pelle, un casco e le chiavi probabilmente di una moto.

«Dove devi andare?». Chiesi sentendo l'ansia crescere, Colton scrollò le spalle e arricciò le spalle, sedendosi accanto a me mentre mi limitai a osservarlo. Distolsi lo sguardo quando James mi scroccò le dita davanti il viso e concentrai l'attenzione su di lui.

«I Sanchez erano una famiglia povera, una del Bronx, per gli Hernandez erano una famiglia da cui dovevano stare lontani, un terremoto capace di creare faglie all'interno di una famiglia, dalle quali riuscivano ad intrufolarsi e distruggere tutto ciò che incontravano. Katherine lo sapeva, eppure quando incrociò lo sguardo di Richard si perse nel suo fascino. Premetto che sono parole della diretta interessante, non mie eh. La mamma quando seppe il nome e il cognome, lo ringraziò giustamente, ma prese immediatamente te e la zia e vi portò via. Tuttavia, la zia riuscì a trovarlo, anche se aveva perso le speranza, lei un pomeriggio, quasi un mese dopo, ritornò in quella libreria non tanto per andare lì, ma più che altro per avere una metà e da li avrebbe fatto un giro sperando di trovarlo, anche se, mica si aspettava che si avvicinasse lui o lo facesse lei, voleva semplicemente vederlo dato che fino ad allora l'aveva solamente sognato. Tuttavia quando giunse davanti la libreria, decise di fare un giro all'interno poiché era molto bella, così fece, prendendo anche due libri. Rimase molto sorpresa quando raggiunse la cassa e vide che oltre quella c'era lui, che quando la vide sorrise e un sorriso ricevette in cambio. Parlarono, Katherine scoprì che lui aveva solo sedici anni, un anno in più di lei e che abitava da quelle parti, si scambiarono i numeri di telefono e lui le chiese se volesse uscire insieme, lei giustamente accettò. Si sarebbero visti l'indomani sera. Quando Katherine tornò era molto tentata dal voler chiamare nostra mamma, tuttavia ricordò l'espressione che aveva la sopracitata donna quando il ragazzo si era presentato così decise di evitare. L'appuntamento andò alla grande, si baciarono sai? Katherine non ha mai pensato che hanno le fatto le cose in maniera troppo affrettata, anzi lei è molto felice come si sono svolte le cose. Ritornando al racconto, fin qui tutto chiaro?». Annuii in risposta e lui bevve un sorso dal suo bicchiere d'acqua.

«Quindi tecnicamente è colpa mia se la zia ha conosciuto Richard...». La mia non era assolutamente una domanda, anzi era un'affermazione vera e propria. In quel momento le parole di papà tornarono a ruotare nella mia mente, come un ciclo continuo senza fine.

«Intendi che sei sempre tu la causa di ogni distruzione?»

Forse era proprio a questo a cui alludeva, a un errore che avevo fatto da bambina.

«Alla zia hai fatto un favore». Commentò Colton, mettendo una mano sulla mia spalle rassicurandoli, ma fece solamente creare un vortice all'interno della mia pancia. Maledette emozioni.

«Furia era destino che dovevano incontrarsi, non possiamo cambiarlo possiamo solo accelerare i tempi oppure rimandare, ma mai annullare. Comunque sia situazione a casa cambiò, Katherine cambiò, tornava a casa tardi, non chiamava più nostra mamma, aveva smesso di leggere perché aveva trovato l'amore nella vita reale, stava finalmente provando il sentimento che bramava di provare. Stava tutto il giorno fuori con Richard, con lui stava bene, si sentiva vera, lui le fece provare il senso della libertà che i genitori le avevano sempre privato di provare, i genitori pensavano fosse semplicemente lo spirito di ribellione adolescenziale, una cosa di cui non si dovevano preoccupare, così lasciarono scorrere come l'acqua del rubinetto della vasca lasciato aperto, tieniti a mente ciò. Passò un anno, Katherine era perdutamente innamorata di Richard e lui di lei, si completavano. Erano due facce della stessa medaglia, erano diversi ma simili, erano veri. Erano felici. La ragazza avendo sedici anni prese la patente e così poteva uscire senza che nessuno l'accompagnasse, un pomeriggio, Katherine disse ai genitori che sarebbe uscita sempre con quell'amica con la quale, secondo i genitori, era sempre uscita che, ironia della sorte, si chiama Jessica, e i genitori la lasciarono andare, ma poche ore dopo qualcuno bussò alla porta: era Jessica che chiedeva di vedere Kat, i genitori si sentirono sprofondare nel terrore poiché ebbero paura che fosse capitato qualcosa alla figlia eppure quando chiesero a Jessica se avessero un appuntamento, quest'ultima affermò che non si sentivano da diversi giorni. La sopracitata ragazza andò via, dopo che i genitori le dissero che l'avrebbero fatta chiamare quando la figlia sarebbe tornata a casa. Quando ciò avvenne, non dissero nulla, pensavano che la figlia avesse semplicemente bisogno di stare sola e non volevano farla stare male addossandole il fatto che avesse mentito, ascoltarono la sua richiesta di uscire il giorno seguente sempre con Jessica e i genitori annuirono vedendo la felicità della figlia sprizzare da tutti i pori. Tuttavia quando Jessica li abbracciò sentirono la fragranza di un profumo maschile, così si allarmarono ma non dissero nulla. Il giorno seguente Kat uscì e i genitori chiamarono Josh, nostro padre, per dirgli che poteva partire di casa. Dato che gli avevano chiesto se poteva seguire Kat, suo fratello scoprì tutto, ma non corse dai suoi genitori a dirglielo, no. Scese dall'auto, riconoscendo Richard Sanchez, in preda alla collera, però si fermò nascondendosi dietro un albero dato che erano in un parco e tornò in auto poiché sentì ridere sua sorella, percependo la sua felicità, così si disse che quella sarebbe stata l'ultima volta per Kat che passasse una giornata con lui. Papà parlò con la mamma, avvilendosi non capendo come fosse potuta finire in quella zona, come l'avesse conosciuto e allora la mamma fu costretta a raccontargli quando tu scappasti e che fossi viva per miracolo solo grazie a lui, sentendosi in colpa. Josh non si arrabbiò ma le chiese di essere sempre sincera da quel momento in poi. Quando Katherine tornò a casa, suo fratello si fece trovare in camera sua, parlarono e Katherine lo pregò piangendo di non dire nulla ai genitori, ma Josh aveva mentito già, aveva detto che Katherine stava da sola al parco a leggere, giustificandola che probabilmente quel profumo maschile era per colpa sua che il giorno prima l'aveva incontrata e abbracciata. Però a Josh non andava per niente bene che lei si frequentasse con un Sanchez e glielo disse dandole un giorno per lasciarlo, altrimenti avrebbe detto la verità». Mi portai la mano davanti la bocca, scioccata, mentre James continuò a raccontare.

«Katherine si oppose e papà non ebbe il tempo di ribattere che entrò il nonno, papà avrebbe potuto dire tutto ma non lo fece, facendo sospirare Katherine che pensò che Josh avesse accettato tutto. Ma non era così. Josh pensò che fosse un amore adolescenziale uno di quelli che dura davvero poco, non sapevo che stavano per fare un anno e mezzo, così lasciò la sorella nella sua bolla di felicità. Ma tutto finisce. Il nonno capì che papà non gli diceva la verità, così assunse un investigatore privato che scoprì tutto quanto, la sera che il nonno ricevette le foto, Katherine era rientrata a casa pochi minuti prima e si subì immediatamente una sgridata da parte del nonno, litigarono quella sera, il nonno le chiese da quanto tempo andasse avanti, la offese pesantemente, era stato accecato dai ricordi dolorosi dell'adolescenza perché lui era Andrew e il ragazzo con cui Katherine si frequentava era il nipote di Mark, non poteva tollerarlo, la nonna chiamò papà che li raggiunse velocemente con me. Papà propose al nonno di far andare la zia, distrutta dal dolore e in lacrime, con lui così per farla ragionare il nonno accettò. La zia quando salì in camera per prepararsi la valigia chiamò Richard in lacrime, le spiegò tutto e lui la rassicurò. Quando fu pronta, scese e prima che mise il piede fuori la porta per sempre, il nonno le disse: "se sceglierai l'amore dei Sanchez, di quei pezzenti, in casa mia non metterai mai più un piede". Non la salutò, la lasciò con quella frase, la nonna non poté salutarla. Mi ricordo che la zia in auto pianse tantissimo e ricordo che papà non aveva dato ragione al nonno, aveva detto: "Pascal ha sempre detto che il cuore ha ragioni che la ragione non conosce, il problema è che papà non ha mai avuto la ragione pensa quella del cuore!".Arrivando al punto, la zia quella notte era distrutta e solo tu riuscisti a farla sorridere pregandola di raccontarti una storia tutta sua, invece di quelle noiose della mamma, così fece tu ti innamorasti di quella storia che non ricordo assolutamente quale sia, la zia si addormentò con te. Quella notte, Katherine prese tutte le sue cose e andò via lasciando semplicemente un biglietto: "Seguire l'amore è sbagliato, ma io preferisco seguire ciò che mi ha segnato". Ricordo che la mattina dovevano andare a scuola e ricordo di aver visto papà piangere per la prima volta nella mia vita. Era distrutto. Si sentiva in colpa per non averla fermata e dava la colpa ai Sanchez per averla cambiata. Christian Sanchez, fratello di Richard, l'accolse a casa sua lui aveva iniziato una carriera aziendale, aveva fondato un'azienda a Los Angeles. Infatti Kat e Rich si trasferirono lì, poiché anche quest'ultimo era stato buttato fuori casa. Ricordi il paragono dell'acqua che continua a scorrere? Bene, perché l'acqua erano il menefreghismo dei genitori, Katherine era la vasca. L'acqua aveva iniziato a uscire e Katherine era evasa. Sai, il nonno ha privato papà di cercare la zia, ha detto che dovevamo dimenticarla, che non era esistita. Lasciò andare sua figlia per aver amato la persona che, secondo lui, era sbagliata. Ha dimenticato sua figlia, perché l'odio che i Sanchez e gli Hernandez seminano nel loro orto non distrugge solo cuori, ma soprattutto famiglie. Questa è la storia di una ragazza che ha scelto di seguire il cuore, nonostante la contraddizione dei genitori. Questa è la storia di Katherine Hernandez, grazie alla quale ho conosciuto la donna che amo infinitamente e dalla quale avrò un figlio. Ricordi quando due anni fa sono andato a Los Angeles? Bene, sono andato a cercare la zia Katherine che mi ha raccontato tutto ciò».Spalancai la bocca, scioccata e meravigliata da tutto ciò che era giunto alle mie orecchie, sentii addirittura gli occhi lucidi arrabbiandomi con me stessa per non rammentare mia zia nella mia memoria, soprattutto per aver commesso errori fin da piccola.
«Furia, stai bene?». Mio fratello prese la mia mano e la strinse tra le sue, si alzò e mi incitò a fare lo stesso. Mi abbracciò dandomi un bacio sulla testa. «Mi sei mancata tantissimo, Tempesta».

«Anche tu. Si, sto bene». Stavo davvero bene, solo che mi sentivo più consapevole di ciò che mi circondava e sentivo il disperato bisogno di abbracciare mia zia Katherine. «Su, vai da Chloe e da mio nipote». Dissi, staccandomi dall'abbraccio e incitandolo a salire. Mio fratello annuì e mi lasciò un bacio sulla guancia, per poi darmi le spalle, salutare con un cenno Colton e salire. Mi voltai a guardare il ragazzo che si era alzato e si stava dirigendo verso l'uscita della cucina.

«Quindi dove vai?». Chiesi seguendolo, con le mani incrociate dietro, mi rispose nuovamente scrollando le spalle. Uscire all'una di notte non era di certo normale, ciò che mi fece preoccupare.

«Mi aspetti un attimo qui? Voglio darti una cosa. Non posso dartela domani, ci metto un attimo». Eravamo ormai davanti la porta d'ingresso e, di conseguenza, sussurravo. Colton annuì, così mi precipitai di sopra, fortunatamente indossavo una tuta nera e una canottiera nera, però non andavano bene per uscire così decisi di indossare dei jeans neri, lasciando la canottiera, misi le calzini e le converse, presi il giubbotto di pelle che avevo portato e sciolsi i capelli dalla coda su cui fortunatamente avevo passato la piastra, ero truccata leggermente: solo con il mascara, ma andava bene. Aprii le ante dell'armadio e presi il casco nero che avevo visto oggi pomeriggio, mi chiesi per la seconda volta cosa ci facesse là dentro però ringraziai chiunque ce l'avesse messo e infine scesi.

«Quello bianco dallo a me, il nero ti dona di più». Sussurrai, passandogli il casco nero.

«Tu non vieni con me, non ora». Tuttavia prese il casco nero e mi diede quello bianco.

«Oh si invece». Dissi, aprendo la porta e uscendo fuori. «Dove andiamo?». Colton alzò gli occhi al cielo, uscendo dietro di me.

«Sei tremendamente testarda, te l'hanno mai detto, Diamante?». Mi portai un dito davanti le labbra, con fare pensieroso e infine annuii. Colton rise leggermente, chiudendosi le porta alle spalle e ci dirigemmo verso la porta del garage, la porta basculante. Poco dopo, mi ritrovai una ducati rossa con Colton sopra davanti i miei occhi, ero salita più volte su una moto dato che Brandon ne possedeva una e non avevo paura, anzi mi piaceva tantissimo, così mi allacciai velocemente il casco e salii dietro Colton che mi raccomandò di tenermi forte cosa che sapevo già così allacciai le mie braccia attorno la sua vita. Sentendo che mi ero aggrappata, partì con la mano. Sentii la solita adrenalina che provavo ogni volta ero in sella ad una moto ma stavolta sentivo qualcosa di più, forse era dovuto al fatto che ero aggrappata a Colton o forse semplicemente perché c'era lui, la sua colonia si insinuò nella mie narici, era forte però piacevole tant'era che non volli neanche abbassare la visiera e lasciai che il vento mi schiaffeggiasse. Guardai attraverso lo specchietto il viso di Colton, pareva che stesse assaporando la sensazione più bella della sua vita data la sua espressione rilassata e non potei dargli torto, poiché anche io percepivo quella sensazione di libertà. Colton non era quel tipo di persona che si poteva capire da una semplice espressione, poiché era nella maggior parte dei casi pareva indossare una maschera di apatia. Non potevo negare che anche io avevo indossato più volte una maschera, metaforicamente parlando, poiché la ritenevo uno scudo dalla crudeltà del mondo, per impedire di far percepire agli altri quando avevamo bisogno di un abbraccio, quanto fosse grande il dolore che portavi dentro, un dolore che ti logorava l'anima e che, nello stesso tempo, non ti faceva provare più dolore fisico perché quello mentale era troppo forte, quelle maschera che molte volte era stata distrutta ma che come collante avevamo sempre usato la collera per ricostruirla. Colton era bello e misterioso come un enigma. E forse lui stesso lo era. La luna splendeva alta in cielo, dandomi l'impressione che ci seguisse ma sapevo benissimo che non era così. Le strade notturne di Miami, i cui marciapiedi erano popolati da molti ragazza e l'asfalto da poche auto, mi davano la sensazione di essere a casa. Mi guardai attorno ammaliata da tutto ciò, tuttavia ben presto ci lasciammo la città alle spalle, imboccando l'autostrada.

«Allora? Dove andiamo?». Urlai, cercando di avvicinarmi quanto possibile affinché sentisse.

«Nel posto in cui volevo portarti oggi pomeriggio, ma a che siamo, ci andiamo di notte». Sorrisi nell'udire la risposta e annuii, Colton praticamente andava alla massima velocemente infatti mi aggrappai più possibile a lui affinché non volassi dalla moto. Tuttavia rallentò un poco, andava ancora veloce però non così tanto da rischiare di volare, infatti allargai le braccia come se fossero ali e urlai al vento la mia euforia, mi sentivo così libera in quel momento che ebbi la sensazione di volare. Di lì a poco, sentii la mano di Colton prendere la mia, portarla davanti le sue labbra per lasciarle un bacio infine portarla davanti la sua vita successe così velocemente che lo capii a malapena ma fu abbastanza da farmi intuire che dovevo allacciarmi nuovamente a lui. E così feci però nascondo il sorriso che era nato sulle mie labbra. Dopo circa quindici minuti, imboccammo una strada abbastanza malandata infatti dovette per forza rallentare poiché la moto traballava, ci imboccammo in un bosco e mi persi ad osservare, ammaliata, gli alberi alti e possenti che incombevano su di noi.

«Non vuoi uccidermi e lasciarmi qui, vero?». Urlai, divertita, Colton scoppiò a ridere, ciò mi fece sorridere e perdere nel suono della sua risata.

«Non potrei mai farlo, Diamante». Il mio sorriso si allargò notevolmente nell'udire quelle parole. Ci fermammo in un piazzale circondati da alberi, scesi con l'aiuto di Colton che mise il cavalletto alla moto e si tolse il casco, stessa cosa feci io. Li posammo sulla sella e mi aggiustai leggermente i capelli, alzando lo sguardo verso la luna che continuava a Illuminarci.

«Sai, la luna la paragono alla mia anima spenta così spenta che riflette la luce del sole, che a parer mio, la illumina per far vedere a tutti la bellezza del suo amore perduto». Mi voltai ad osservare Colton annuendo, comprendendo il significato della sua frase. «Lo so, ti porto sempre in posti rovinati, ma tu riesci a trovare la bellezza di questi posti? Io li ho sempre paragonati alle anime distrutte dal dolore, prima splendevano e poi sono stata distrutte così tanto che hanno perso tutta la loro lucentezza». Annuii alle sue parole sorridendo leggermente, non mi ero mai soffermata a pensare alla bellezza di questi posti ma, in quel momento, non potei non dare ragione alle parole veritiere del ragazzo.

«La rovina è sempre data dalla troppa speranza che si da». Sussurrai, giocando con un sassolino che era capitato tra le mie converse. Sentii Colton avanzare verso di me, alzai lo sguardo e in pochi minuti mi ritrovai tra le sue braccia, mi prese davvero alla sprovvista infatti barcollai un po', tuttavia ricambiai immediatamente l'abbraccio. Lasciando che tutte le emozioni che provavo con lui, prendessero il sopravvento, facendomi tremare le gambe e portandomi a credere che avrebbero ceduto da lì a poco, infatti mi aggrappai alle sue spalle.

«Ma guardate chi troviamo qui!». Esclamò una voce, ci staccammo spaventati e tra gli alberi sbucarono due ragazzi vestiti di nero, mi tremarono le gambe nel riconoscere che erano gli stessi che avevano picchiato Colton a New York, ma non per la paura, bensì per la collera che sentii insinuarsi in me. «La puttana e il coglione». Esclamò un tizio, abbassando il cappuccio, aveva i capelli rossi e ricchi, gli occhi verdi, un naso dritto, gli zigomi scavati segnati dai lividi e la labbra con un piercing su quello inferiore. L'altro invece era biondo con gli occhi azzurri, rispetto l'altro che aveva uno sguardo aggressivo questo era più indifferente.

«Nascondi il fatto di essere una donna abbastanza bene, sai?». Esclamai acida, alzando le sopracciglia con fare sorpresa. L'amico biondo reprimesse una risata data l'occhiataccia del rosso.

«Vedo che Colton non ti ha spiegato con chi hai a che fare?». Disse, con un ghigno sul volto avanzando di un passo. Colton si mise davanti a me, per proteggermi, tuttavia mi misi accanto a lui. Notai la sua vena pronunciata, i suoi occhi iniettati di rabbia e la mani strette in pugni.

«Be' quando si tratta di qualcuno che è nessuno, è inutile sprecare fiato». Replicai, mostrando un sorriso in segno di sfida, prendendo la mano di Colton per calmarlo.

«Oh tesoro mio, sono tutto tranne che nessuno». Disse, sfoggiando un altro ghigno.

«Si infatti, materiale fecale. Anzi ti sposti? C'è troppa puzza». Dissi, sventolandomi una mano davanti il viso con fare teatrale. Il rosso notò le mani intrecciate e sghignazzò.

«Come Colton? Non racconti nulla alla tua famiglia?». Sottolineò le ultime due parole usando un tono con una sfumatura di divertimento nel pronunciarle, ciò mi fece capire che con "tua famiglia" non alludeva ai Sanchez.

«Siete così ignoranti che non avete capito, anzi se vi sposate dalla mia cazzo di moto mi fate un piacere e magari se andate anche a fanculo me ne fate due». Colton mi lasciò la mano per mettersi davanti a me, alzai gli occhi al cielo ma rimasi dietro. Quello rosso era pronto ad avanzare quando quello biondo si mise tra i due.

«Il capo ci chiama, andiamo». Annunciò mostrando lo schermo a quello rosso, che scrollò le spalle e fece il medio a entrambi.

«Ficcatelo nel culo». Esclamai mandando a puttane la poca raffinatezza rimasta in me. Ma in quel momento ero così in preda alla collera che non feci caso a ciò che pronunciavo.

«La mia mano non ci arriva». Esclamò, allargando le braccia.

«Potresti sempre amputarla». Replicai, facendolo innervosire di più.

«Spera solo di non trovarti in giro da sola». Volevo ribattere ma mi aveva ormai dato le spalle ed era sparito tra gli alberi con il suo amico.

«Cazzo, ora hanno preso di mira anche te. Merda. Merda. Merda!». Urlò Colton avvicinandosi ad un tronco per dargli un pugno, mi precipitai accanto a lui.

«Hey, calmo, va tutto bene». La collera svanì presto, lasciando spazio alla consapevolezza e alla preoccupazione.

«No, non va tutto bene. Loro sono il mio passato, Charlotte, ti rovineranno la vita come hanno fatto con la mia». Diede un altro pugno e un altro ancora, fino a quando le sue nocche non sanguinarono a quel punto decisi che aveva sfogati abbastanza. Lo fermai e gli presi le mani, conducendolo verso la mano, ci sedemmo sulla sella mettendo i caschi a terra, lui si sedette verso di me. Non mi guardava negli occhi, ero come se fosse troppo stanco per tenere la testa alzata, così gliel'alzai io.

«Colton, il passato è sempre qualcuno che decide di prendere il cellulare e chiamarti, poi sta a te decidere se rispondere o meno, altre volte, è un'ancora che ti trascina nell'acque più profonde dell'oceano, altre ancora è la strada su cui vuoi passare il resto della tua vita, altre volte è un labirinto da chi non puoi uscire. Ha diverse sembianze, ma tu sei sempre lo stesso. Per essere passato, devi essere riuscito a salire a gala, a uscire dal labirinto quindi se ci sei riuscito una volta, puoi riuscirci una seconda, una terza, una quarta volta». Dissi, accarezzandogli la guancia, lui si lascio trasportare dal mio tocco tant'era che chiuse gli occhi.

«Il mio passato non è mai passato. Le cicatrici che ha lasciato non posso cancellarla, non posso dimenticarle soprattutto in momenti come questi. Momenti in cui mi sembra di rivivere gli stessi errori, nella stessa trappola. Trappola costruita da persone di cui mi fidavo. Rivivo momenti che non voglio rivivere più, perché vivono già nella mia mente come se guardassi costantemente una foto e, nonostante quest'ultima fosse sbiadita, rimarranno sempre vivi». Il suo tono di voce era così disperato che mi fece stringere il cuore, presi nuovamente le sue mani e le portai vicino la mia maglietta per asciugare il sangue sovrastante che sgorgava da quelle piccole ferite. «Che fai?».

«Quello di cui hai bisogno: ti curo». Mi sentii terribilmente in colpa, poiché se fossi stata zitta probabilmente non avrebbe sfogato la sua collera contro quel tronco, sentii gli occhi lucidi poiché ancora una volta avevo rovinato tutto. Colton ritrasse la mano leggermente e mi alzò lo sguardo, si avvicinò lentamente al mio viso e ciò mi fece congelare all'istante.

«Devi andartene, stai sbagliando a stare con me». Sussurrò quando fu a un centimetro dalle mia labbra, deglutii e inumidii le mie labbra con la lingua.

«Non sarei io se facessi la cosa giusta». Dissi, socchiudendo le palpebre.

In pochi secondi la distanza si azzerò, prese il mio viso tra le sue mani e io mi aggrappai sulla sua maglietta, per non annegare in tutte le emozioni che quel bacio mi fece provare. Lasciai che la luna fosse l'unica testimone di tutto ciò. In quel momento mi fu chiaro che io e Colton eravamo così simili, che anche a me pareva difficile credere ciò. E quest'ultimo pensiero mi tormentava, poiché entrambi parevano due tempeste e due catastrofi naturali che a contatto: non potevano fare altro che distruggersi. Il freddo si insinuava tra i miei indumenti, potevo sentirlo sulla mia pelle ma non mi importava. Il calore del suo corpo a contatto con il mio era più che sufficiente. Non sapeva come sarebbe finita, ma una cosa era certa, sentendo le sue labbra ancora tiepide per il bacio. Finalmente era a casa.

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