Capitolo 23: Sea

Le mie scarpe non producevano nessun rumore a contatto con il pavimento, mentre mi dirigevo verso il divano a tre posti bianco, il quale era di fronte una poltrona del medesimo colore. La stanza era illuminata parzialmente dalla poca luce che filtrava dalle tende color mogano che rendevano la stanza più cupa di quello che era. Aaron e Brandon si accomodarono nel divano lasciando uno spazio tra di loro per permettermi di sedermi, tuttavia rimasi accanto la poltrona osservano James che scostava le tende permettendo alla luce di penetrare violentemente nella stanza, tant'era che chiusi le palpebre e portai una mano davanti gli occhi, per alleviare il leggero bruciore. Sedendomi tra i miei fratelli notai che anche James fece lo stesso, ci guardammo negli occhi e gli sorrisi per rassicurarlo percependo il suo nervosismo e vedendo il suo piede picchiettare velocemente sul pavimento, mi sporsi in avanti e, dato che non c'era nulla a dividerci, gli presi le mani gesto che lo fece sorridere. In quel momento, mi parve di prendere il suo nervosismo, un po' come facevano i licantropi con il dolore, poiché sentii l'ansia crescere a dismisura.

«Ti ascolto». Dissi, lasciando che un sospiro di sollievo uscisse dalle mie labbra. James e Brandon avevano il carattere di papà, tranquillo e pacato. In qualsiasi situazione si trovassero non lasciavano che le emozioni prendessero il sopravvento, l'opposto di me e Aaron che avevamo il carattere di mamma che non si avvicinava lontanamente a ciò che si poteva definire tranquillo o paziente.

«Era il 1947, anno in cui due signore dopo aver lavorato nella fabbriche per fornire armi ai soldati in guerra, goderono di due anni di pace insieme ai rispettivi mariti che dopo aver scoperto delle loro gravidanze dovettero per forza tornare in Russia poiché furono chiamati per chissà quale motivo, sta di fatto che quelle donne si ritrovarono a lottare tra la vita e morte in una stanza pregnante di umidità e sporcizia che, a quei tempi, fu definito ambulatorio, per dare alla luce i loro figli. Le donne in questione erano Marie moglie di France Hernandez e Lena moglie di Gerard Sanchez, si conobbero lì, i loro letti erano vicini ed entrambe mentre stettero per partorire si tennero la mano per infondersi forza, dato che erano sole. Le loro madri non sapevano neanche che fossero in procinto di partorire e i loro mariti erano dall'altra parte del mondo. In quel momento ebbero la forza solo da parte di una sconosciuta. I mariti ricevettero una lettera solo dopo tre mesi e tornarono a Boston solo dopo due, ormai i bambini avevano cinque mesi ma l'importante era che erano lì, finalmente erano tornati e non dovevano più partire. Durante l'attesa Lena e Marie strinsero un rapporto via via sempre più forte, diventarono migliori amiche, si volevano così tanto bene che per non rimanere sole Lena acquistò una piccola casa proprio accanto quella di Marie, entrambe condivisero la paura di perdere il proprio marito, la paura di sentire esplodere altre bombe, costruirono lentamente un legame che sarebbe durato fino la fine dei tempi, o meglio fino ai tempi del liceo. Anche i mariti instaurarono un rapporto solido, loro a differenza delle mogli condividevano il dolore, condividevano i pensieri più profondi riguardo ciò che avevano visto nelle trincee, il dolore di aver dormito accanto i corpi inerti dei compagni, senza il bisogno di addossare questo grandissimo supplizio alle loro mogli che amorevolmente crescevano i loro figli che chiamarono Andrew Hernandez e Mark Sanchez, crebbero davvero insieme. Si conobbero fin da piccoli, condivisero i ricordi più imbarazzanti, erano fratelli. Il loro legame era così forte che era la fonte di invidia ai tempi del liceo, ed ecco che la storia continua nell'autunno del 1965, anno in cui i due ragazzi avevano diciotto anni erano in procinto di scegliere il college che avrebbero frequentato» Si fermò per poter deglutire, il suo tono era caratterizzato dalla tranquillità, non lasciava trasparire nessuna emozione riguardo ciò che provava nel raccontarlo, reazione che non mi stupii, mentre io rimanevo ammaliata dalle sue parole, oltre che terribilmente scioccata. Tutto era iniziato così tanto tempo fa? Perché mio padre mi aveva raccontato che tutto era iniziato dopo il tradimento della zia?
Durante il racconto avevo sentito una porta sbattere talmente forte che fece tremare i muri ma nemmeno quell'azione fece fermare James, era come se stesse seguendo una scaletta e che sarebbe bastato fermarsi per perdere il filo del discorso.

«I due ragazz-» fu bruscamente interrotto dalla porta che si spalancò, che mi fece sussultare sul posto dato che ero concentrata ad ascoltare e mi voltai verso la porta da cui entrò Kendall con gli occhi spalancati.

«Chloe sta male». Non era bastato aggiungere altro poiché James l'aveva già scansata ed era uscito.

«Che ha?». Chiesi alla mia migliore mica mentre uscivo dalla stanza seguita dagli altri, Kendall rispose blaterando frasi senza senso e muovendo la braccia in aria enfatizzando il fatto che stesse entrato nel panico. L'unica parola che riuscii a captare fu un nome: Colton. Quella mattina avevo sentito più volte un vuoto al petto, come se mancasse qualcosa e per quanto non volessi ammetterlo quando avevo udito la porta sbattere avevo percepito che quel buco si allargasse sempre di più e per quanto fossi testarda o, forse, troppo orgogliosa per ammetterlo avevo la sensazione che Colton, da lì a poco, sarebbe andato via lasciando come segno del suo passaggio quella scia caratterizzata dal mistero che, in realtà, non mi avrebbe mai condotto da lui. Chloe era seduta in cucina che teneva un bicchiere d'acqua in mano, di fronte a lei c'era Noah che le aveva messo tre dita davanti il viso chiedendole quant'erano, mentre Krystal le aveva messo le mani sulle spalle come se volesse reggerla, Chloe aveva un colorito bianco come se avesse visto un fantasma, le palpebre socchiuse e la bocca semiaperta. James si abbassò davanti a lei in modo che i loro visi fossero nello stesso livello, facendo spostare Noah, le prese il viso tra le mani e le chiese di guardarlo negli occhi ma lei guardava un punto fisso davanti a lei come se fosse incantata, ciò mi fece preoccupare ma non mi mossi, James iniziò a sussurrarle alcune cose mentre io cercai Colton con lo sguardo ma di lui neanche l'ombra, sentii il presentimento lacerarmi dentro, eppure era così forte che dovetti portarmi una mano sul petto.

«Dov'è?». Chiesi, voltandomi verso Kendall, quest'ultima sgranò gli occhi come se le stessi domandando qualcosa fuori dal comune.

«Charlotte, prima di chiedermi dov'è lui, dovresti chiedermi perché Chloe sta così e ti risparmio il fiato: è stato lui a causare questo». Kendall aveva riposto con un tono esageratamente alto, tant'era che Chloe si risvegliò da quello stato di trance sgranando gli occhi e James si voltò verso di noi, spalancando leggermente la bocca.

«Oh merda, Colton» Chloe si alzò di scatto dalla sedia e, fortunatamente, James la prese prima che toccasse terra dato che aveva perso i sensi. Mio fratello la prese in braccio ed uscì dalla stanza, sentii che salì le scale e inspirai profondamente. Seguendo mio fratello con lo sguardo mentre saliva le scale con Chloe tra le braccia, sembrava che il peso non fosse il problema principale, era preoccupato, come lo eravamo tutti, ma nella sua espressione c'era qualcosa di più una sfaccettatura che capii subito: paura.

«Dov'è andato?». Chiesi nuovamente, stavolta chiudendo le mani in pugni, mentre nella mia mente balenavano una serie di quesiti a cui non riuscivo a dare una risposta, non capivo nulla in quel momento, nel mio cervello c'era una tale confusione che era paragonabile a ciò che c'era nel mio cuore. Kendall scrollò le spalle andando a sedersi, respirando profondamente, una volta seduta si massaggiò le tempie con fare pensieroso.

«Nessuno sa dove va, almeno che non sia con lui. Colton è quel tipo di persona che allontana le persone per evitare di ferirle, perché si definisce la notte capace di inghiottire tutti con la sua oscurità, che diventa sempre più scura a causa del suo passato caratterizzato solamente dal nero come la pece». James entrò in cucina, andando verso il bancone, appoggiando le mani su esso. «Chloe si riprenderà, questi svenimenti ormai sono normali sono dovuti allo stress, al fatto che in questi mesi non abbiamo avuto una posizione stabile e poi è molto stanca non ha dormito questa notte perché aspettava voi, ed è per questo che sono più preoccupato per Colton, non averlo qui con noi mi rende terribilmente frustato perché ha sempre avuto cattive amicizie, era solito sparire anche nel bel mezzo della notte tornando anche dopo tre settimane, tornando sempre peggio, però per i suoi genitori era importante o meglio è solo importante che torni».James ci diede le spalle e iniziò a respirare profondamente, il suo tono di voce era caratterizzato dalla preoccupazione.

«Perché lui si sente come un leone che non ha ancora trovato la propria casa e i suoi genitori si appoggiano su questo, per questo l'hanno sempre lasciato andare?». Ricordai ciò che mi aveva detto quella notte sotto il ponte di Brooklyn. James annuì e potei giurare di sentire borbottare Aaron qualcosa del tipo:« E ti pareva che non sapeva qualcosa che riguarda Colton». Tuttavia decisi di ignorarlo dato che in quel momento il campanello suonò, corsi ad aprire e quando mi ritrovai la sua figura davanti a me, mi catapultai tra le sue braccia mente lui si limitò a stringermi tra esse, sentii lo stomaco sottosopra e un calore improvviso avvolgermi delicatamente permettendo ai miei muscoli, tesi per i nervi, di rilassarsi. Sentii addirittura un sospiro di sollievo dietro, Colton si staccò da me e guardò oltre le mie spalle, mi spostai per permettergli di passare, mio fratello James gli fece cenno verso sopra e il ragazzo accanto a me lo prese beatamente come un invito, infatti corse salendo le scale per raggiungere sua sorella.

«La prima porta a sinistra». Lo informò James, infilando le mani dentro le tasche dei jeans. «Bluster, vieni qua». Feci come aveva detto e quando mi ritrovai davanti a lui, mi diede un bacio sulla fronte mettendo le mani sopra le mie spalle e io misi le mie mani sulle sue braccia.

«Finiamo di parlare stasera, ora tieni Colton occupato, divertitevi ma state attenti. Io starò con Chloe, va bene?». Annuii in risposta al suo quesito, così sorrise e salì le scale. Sorrisi anche io, constatando che avesse dato quel compito a me e ciò mi fece sentire che aveva ancora fiducia in me. Mi girai verso gli altri, o meglio, la maggior parte dato che mancavano sia Noah, che Krystal che Chanel e strofinando le mani entusiasta, domandai:

«Allora chi ha voglia di divertirsi?»

***

Convincere Colton era stato difficile, non perché avesse risposto negativamente bensì perché la sua espressione malinconica mi aveva resa triste, tant'era che volevo abbandonare l'idea di uscire e rimanere a casa ma, sorprendentemente, Aaron si oppose giustificandosi dicendo: «Non lo faccio mica per Colton, solo che è giusto cambiare aria e poi dobbiamo visitare questa città, eh». Facemmo finta di crederci ma sapevo che sotto sotto voleva bene Colton. Tuttavia, al ragazzo sopracitato era bastato dire: «ti va di...» che mi aveva interrotta urlando un sonoro «si». Be' più facile di così?

«Quindi in Spiaggia?» Chiese indifferente Colton, allacciandosi la cintura, annuii un po' demoralizzata dal suo tono di voce, facendo la stessa cosa che aveva fatto il ragazzo. Avevamo perso tempo per scaricare i bagagli, preparare i panini da portare in spiaggia e, ovviamente, metterci i costumi infatti era già l'una e noi stavamo partendo solo in quel momento da casa. Chloe stava decisamente meglio, avevamo chiesto se la sentiva di venire con noi ma aveva detto che James le aveva promesso che avrebbero finito di guardarsi l'ultima puntata della prima stagione di Skam e una promessa era una promessa, soprattutto quando riguardavano le serie televisive o libri. La stanza in cui avremmo alloggiato, ovvero una delle due stanze degli ospiti, l'avrei condivisa con le altre dato che era un letto matrimoniale baldacchino meraviglioso, nel quale vi erano lenzuola bianche e tende color mogano che richiamavano il colore delle pareti e il pavimento era di granito bianco, il letto era abbastanza grande per tre ma fortunatamente c'erano un letto da una piazza e mezzo proprio dalla parte opposta del grande letto, c'era una grande finestra a due che era incorniciata da tende dello stesso colore delle pareti. Il costume l'avevo indossato nel bagno il quale aveva le piastrelle del muro bianche, il pavimento di linoleum grigio in cui c'era sia una doccia che era una vasca e il resto delle cose che si trovavano comunemente in un bagno.

«Stai bene?». Chiesi quando partimmo, Colton mi rinfilò un sorriso tirato e annuì, gli puntai un dito contro. «A che gioco stai giocando?».

«Attualmente Candy Crush, perché?» stavolta il suo sorriso era sincero, tant'era che contagiò anche me, anche se provai a reprimerlo. «Diamante, sto bene».

«Sei malinconico e non puoi negarlo, è fottutamente evidente». Replicai, notando che stavamo superando l'auto in cui c'erano Aaron, Brandon le due ragazze mentre Krystal e Noah erano nell'altra auto dato che in quella di Colton sarebbero stati troppi stretti essendoci uno spazio piccolo, avevano deciso di andare con la loro auto.

«Magari è la città, tranquilla bellezza». Mi fece l'occhiolino, ciò mi fece arrossire e sorridere. «Domani dovrei andare in un posto, ti va di venire con me?». Annuii velocemente, felice che mi avesse proposto di andare con lui.

«Dove?». Chiesi alzando lentamente il volume della radio sentendo la voce di Dan Reynolds, componente degli Imagine Dragons, diffondersi in auto.

«In un posto, ne parliamo dopo. Adoro questa canzone». Annunciò e ciò confermò mentalmente la mia teoria che avesse dei meravigliosi gusti musicali. Alzò notevolmente il volume, forse per questo mi sentii carica di adrenalina, iniziammo a canticchiare, io inizia anche a muovere la testa a tempo di musica e infine le nostri voci si unirono quando arrivò la parte prima del ritornello:

«Take up my message from the veins
Speaking my lesson from the brain
Seeing the beauty through the...» i miei capelli nonostante fossero legati una coda alta, mi andarono sempre davanti il viso che ritornavo subito indietro, Colton picchiettava sul volante a tempo di musica, mi scatenai quando arrivò il ritornello:

«You made me a, you made me a believer, believer...» Sembravo un'oca quando cantavo, tuttavia non mi vergognavo a sembrare tale davanti Colton nonostante fosse ancora uno sconosciuto, mi immaginai di essere una cantante ed enfatizzai ciò prendendo l'abbronzante nella mia borsa e lo portai davanti la bocca immaginando fosse un microfono, Colton rideva di gusto osservandomi e non solo lui. Eravamo fermi al semaforo e accanto a noi c'era una coppia sul motore che mi osservava, mi fermai e ricambiai lo sguardo, sorrisi alzando il medio nello stesso momento in cui scattò il verde. Il ragazzo accanto a me, rise ancora più forte e in quel momento la canzone finì, mi voltai verso di lui e continuai a sorridere, felice della reazione che avevo innescato. Mi persi ad osservare i suoi lineamenti duri per via della risata, mi dispiacque di non poter vedere gli occhi essendo nascosti dagli occhiali da sole. Colton, a quanto potevo aver capito, era quel tipo di persona che non amava che tutto fosse organizzato, era una persona che viveva al momento, era libero come un leone ma nello stesso tempo non era mai riuscito ad assaporare la libertà, forse ne aveva solo percepito la sensazione ma mai toccata veramente, era un leone libero ma era contenuto in una gabbia troppo grande affinché potesse trovare l'uscita, era un leone che pareva un angelo pronto a salvare tutti affinché potessero vivere felici, un leone che viveva nel mistero, che si era tuffato nel mio oceano durante la mia stessa tempesta, la quale lentamente aveva iniziato a dissolversi dopo aver incrociato gli occhi di James. La sua risata cessò e mi guardò per un attimo.

«Sono magnifico, vero?». Scossi la testa divertita alla sua domanda, notai l'ombra di un sorriso sul suo viso. «Me lo dico sempre guardandomi allo specchio, bellezze come la mia meritano di avere attenzioni». Risi leggermente, come se non fossi capace di mostrare altro, poiché iniziai a sentire un peso sul mio cuore che più passavano i secondi e più acquisiva peso e nella mia mente balenò la domanda a cui non ero sicura di voler sapere una risposta, ma che dovevo sapere una risposta.

«Dove sei andato?». Sapevo che ero davvero un'impicciona nel porgli un quesito del genere per il semplice motivo che era libero di fare ciò che voleva e che non doveva dare nessun tipo di spiegazioni a nessuno.

«Sicura di voler sapere la risposta, Diamante?». Il tono che usò mi fece completamente allontanare quel quesito dalla mente, come se avessi ricevuto un pugno che l'aveva scaraventato lontano dalla mia bocca. Tuttavia, la curiosità si insinuò velocemente come se quella risposta fosse una calamita e lei il metallo, ma decisi che per quel giorno era meglio evitare, guardai per un attimo sullo specchietto e notai che dietro non c'era nessuno.

«Non c'è nessuno dietro». Gli feci notare e Colton accostò immediatamente, proprio nell'esatto momento in cui il mio cellulare squillò.

«Dove siete?». Risposi alla chiamata di Brandon, guardando nuovamente dietro.

«Noi vi stiamo raggiungendo ma Noah e Krystal sono con voi?». Effettivamente vidi spuntare l'auto di Aaron che in pochi secondi si accostò dietro, slanciai la cintura e scesi dall'auto seguita da Colton, che raggiungemmo la macchina di mio fratello.

«Ma dove sono finiti?». Chiese Kendall, prendendo il cellulare. Ero davvero divertita dalla situazione, dovevo aspettarmelo da Noah. Colton aveva detto che dall'altra parte della città c'era una spiaggia bellissima, siccome l'orario non era certo uno dei migliori sicuramente le spiagge vicino casa erano già piene e in quella in cui voleva portarci Colton era difficile da trovare, per questo voleva portarci là.

«Benzina? Ma siete seri? Potevate avvertirci!». Esclamò Kendall scuotendo la testa, appoggiai le braccia sul suo finestrino e le dissi di passare il cellulare. Prima di imboccare la strada che ci aveva condotti fino al semaforo, ce ne era un'altra in cui c'era una stazione di rifornimento quindi facendo due più due erano fermi lì e, per una volta, la mia memoria non mi aveva ingannata quindi avevo la strada in mente. Sapevo come farli arrivare nel punto in cui eravamo noi e poi ero l'unica disponibile dato che Colton stava parlando al telefono, arrivai a chiedermi quando questo presunto qualcuno avesse chiamato.

«Krystal, esattamente dove siete?». Mi appoggiai allo sportello della macchina di Aaron, socchiudendo le palpebre e godendo della luce solare dritta in faccia.

«Hai presente dove c'è la stazione di servizio poi c'è anche una pasticceria e persone che camminano?». Mi sbattei una mano sulla fronte nell'udire le sue parole, alle volte, mi preoccupavo seriamente della sanità mentale di Krystal e la colpa era solamente di Noah. Tuttavia non c'erano migliore amiche più vere di quelle che reggeva la stupidità dell'altra.

«Aspetta non è che per caso ci sono pali della luce?». Immaginai Krystal annuire vigorosamente, dimenticando che magari non potessi vederla se non con l'occhio della mente.

«Si e non indovinerai mai cosa c'è alla fine della strada?». Provai a trattenere una risata mentre mi voltavo verso Kendall.

«Il segnale dello Stop?». Chiesi divertita, sentii una risata dall'altro capo del telefono.

«Esattamente, cinque punti a tassorosso!». Urlò euforica e ciò mi fece scoppiare a ridere, tuttavia ritornai seria e decisi che era arrivato il momento di darle le indicazioni.

«Allora, andate avanti, girate a sinistra e vi troverete davanti un semaforo, più avanti ci siamo noi». Dissi velocemente, guardando Colton che rideva di gusto, udivo bene la sua risata dato che era proprio davanti lo sportello di Aaron.

«Ma dobbiamo uscire dalla strada da dove siamo entrati? No perché non c'è nessun semaforo e poi Noah dice che è la strada sbagliata. Quanto è ottuso! Ha appena fatto retromarcia sta prendendo l'altra strada. Noah! È l'altra strada». Effettivamente sentivo il mio migliore amico borbottare, la mia migliore amica strillava così tanto che divetti allontanare il cellulare dall'orecchio per salvare il timpano e roteai gli occhi in risposta.

«Andate avanti a questo punto». Disse Colton, al tizio che stava dall'altro capo del cellulare, aggrottai le sopracciglia e lui mi guardò probabilmente perché aveva percepito il mio sguardo. Alzò le spalle come se volesse farmi una domanda. «Deve esserci un semaforo vedi».

«Ma stai parlando con Noah?». Chiesi divertita, capendo perché il mio migliore amico si era opposto alle indicazioni della sua ragazza. Colton gliene stava dando delle altre. Infatti, il ragazzo sopracitato annuì. Attaccai in faccia a Krystal constatando che non avevano assolutamente bisogno del mio aiuto. Da lì a poco, vedemmo spuntare l'auto di Noah, Colton restituì il cellulare ad Aaron e ritornammo in auto. Dopo venti lunghi minuti, eravamo giunti davanti una spiaggia deserta e pulita, stavolta durante il viaggio avevo controllato più volte, soprattutto durante gli incroci, se gli altri fossero dietro o meno e, fortunatamente, erano sempre lì. Scendemmo e dopo aver preso il necessario, mi tolsi le scarpe e in poco tempo i miei piedi vennero a contatto con la sabbia calda, tant'era che invece di camminare normalmente io e Kendall saltellammo come due sceme, dato che eravamo le uniche a esserci tolte immediatamente le converse. Il cielo era terso, ciò fece volare la mia mente fino a New York dove in corso c'era una tempesta di neve, trovavo affascinante come potesse cambiare il clima allontanandosi semplicemente di 1757 chilometri, appena posammo le cose sul punto in cui volevamo fermarci, vicino la riva, io e Kendall ci scambiammo uno sguardo d'intesa, ammiccando. Eravamo decisamente migliori amiche.

«Chi arriva per ultimo compra i gelati per tutti». Urlammo all'unisono io e Kendall iniziando a correre verso l'acqua, non preoccupandoci dell'acqua leggermente fredda o dei vestiti ci tuffammo, l'impatto con l'acqua fu devastante, fu come uno schiaffo che diventò una carezza, appena uscii, rabbrividii e notai che accanto a me c'era Noah. Me l'aspettavo, lui era un tipo di scroccone di quelli rari: era disposto a buttarsi sotto un camion, se quello vendesse dei gelati, per fare sentire in colpa il guidatore e nei miglior casi finire con un gelato gratis tra le mani. L'ultima ad arrivare fu Brandon, dato che era stato l'unico a pensare di togliere il portafoglio dalla tasca dei jeans. Vedere Colton con la maglietta nera bagnata, mi fece arrossire non esattamente per lo spettacolo ma per ciò che la mia mente perversa era riuscita ad immaginare, arrossii ancora di più quando rimase in costume, dovetti per forza tornare in acqua dato che Aaron aveva iniziato fare battute del tipo: «Guardate Crik Crok si è già abbronzata».
Gli aspetteva sicuramente un'altra vendetta e stavolta pure un giro in ospedale. Ovviamente in risposta avevo alzato il dito medio. Brandon aveva comprato il gelato a tutti e scoprii che Colton odiava i gusti alla frutta, soprattutto la fragola, quindi un'altra caratteristica che avevamo in comune. La giornata era passata velocemente, tra le risate, gavettoni d'acqua, gelati in faccia, testa sotto la sabbia, teli lanciati in acqua, crema abbronzante nei luoghi in cui non dovrebbe andare, Colton era stato l'ideatore di alcune idee che fecero ridere tutti oppure sostenitore delle mie che avevano la stessa reazione. Quando decidemmo di tornare a casa, ero distrutta infatti quando appoggiai la testa sul sedile chiusi le palpebre, non ero mai stata così felice e non mi ero mai sentita così tanto in compagnia come quella giornata, il vuoto che sentivo al petto non lo percepivo più come prima e ciò mi fece dubitare se fosse dovuto alla presenza di Colton, perché per quanto provassi a negarlo solamente guardarlo mi rendeva tranquilla e ciò mi spaventava.

«Allora domani dove andiamo?». Chiesi, appoggiando il braccio sul finestrino e la guancia sul palmo della mano, osservando Colton. Tutti eravamo notevolmente abbronzati, Kendall poi da mozzarella era diventata pomodoro e non faceva altro che lamentarsi delle spalle che sembravano voler imitare l'inferno, nonostante avesse messo la protezione solare. Io non sapevo bene se mi fossi abbronzata poiché avrei avuto modo di confermarlo dopo la doccia, che non vedevo l'ora di fare.

«Per te sono ancora uno sconosciuto, no? Bene, tu mi conoscerai attraverso i luoghi in cui ti porterò. Domani mattina alle sei giù, vestiti comodi e tennis, mi raccomando». Strabuzzai gli occhi nell'udire l'orario infatti Colton,
notando di sbieco la mia reazione, rise leggermente. Le sue guance avevano assunto un colorito più scuro, di quello che già erano prima e il suo sorriso risaltava tantissimo, i suoi denti perfetti e bianchi entravano in contrasto con la pelle scura.

«Scherzavo, neanche io sono un tipo mattiniero, facciamo che ci andiamo di pomeriggio». Tirai un sospiro di sollievo, annuii in risposta e mi voltai a guardare l'orizzonte, chiudendo nuovamente le palpebre che in quel momento sentivo terribilmente pesanti. Nel compiere quell'azione caddi tra le braccia di Morfeo, trasportandomi in un luogo che conoscevo bene: il mondo dei sogni, costruito con le storie che avevo letto, con gli obbiettivi che mi ero posta e le persone a cui tenevo, la domanda che però balenò nella mente fu quella che mi mise i brividi:

Perché nei miei sogni era presente anche Colton?

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