Pensavo che in realtà potessimo prendere una pausa dai pensieri, smettere per pochi secondi di pensare, di soffocare i pensieri, i ricordi, le sofferenze ma purtroppo arrivai alla soluzione che era impossibile non pensare quasi com'era impossibile essere felici. Poi in momenti come quelli: seduta in un sedile abbastanza comodo in un aereo, era impossibile pensare a non pensare. Provai ad ascoltare la musica, ma mio padre, seduto accanto a me, mi aveva sequestrato le cuffie poiché non voleva che mi isolassi. Contraddirlo era stato inutile, mi aveva esplicitamente detto di godermi il paesaggio, la vista offerta dal finestrino dell'aereo -dato che, fortunatamente, ero seduta accanto al finestrino- 'Non capita tutti i giorni di prendere l'aereo' aveva aggiunto, ma la cosa buffa era che stava comodamente dormendo con una mascherina davanti gli occhi e non riuscivo ancora a capire che distrazione avrebbe portato la musica. Allungai la mano verso i piedi di mio padre- dove c'era un sacco nero con dentro le mie cuffie, il cellulare e tante altre cose sia mie che dei miei fratelli- e presi lentamente le mie cuffie e il cellulare. Guardai di sottecchi mio padre e vidi che era ancora disteso e russava beatamente, quindi la mia missione era riuscita. Mi soffermai un attimo a guardare mio padre: mascella pronunciata, un filo di barba sul viso, naso dritto, capelli castano scuro così come i suoi occhi. Nonostante i suoi quarant'anni aveva un bel fisico, si manteneva in forma. I suoi lineamenti duri nel viso lo facevano apparire un uomo severo ma in realtà aveva un cuore d'oro, di solito era lui a difenderci dalla mamma quando combinavano qualcosa di brutto. Anche se, quando si trattava dell'argomento 'lavoro' diventava freddo e serio, grazie a queste sue qualità continuava a mandare avanti l'azienda di famiglia, l'azienda di moda 'Hernandez'. Mia madre era una donna bellissima, aveva un sorriso dolcissimo e bellissimo. Portava da sempre un taglio corto nero, occhi chiari, fisico perfetto, naso dritto, labbra carnose. Lei si dedicava alla moda, era una stilista abbastanza conosciuta, si occupava dell'organizzazione delle sfilate e tutto il resto. Sussultai quando mio padre iniziò a russare più forte. Tra tutti i posti proprio accanto a lui dovevo capitare? Sembrava un bue in calore.
I miei fratelli, stronzi quanto deficienti, erano nella fila centrale proprio accanto a noi, con loro c'era mia madre che era abbastanza severa solo che loro erano stati favorevoli quando mio padre tolse i cellulari a tutti e tre poiché, secondo loro, avevano un vista 'perfettamente perfetta' e con vista 'perfettamente perfetta' si riferivano ai sederi delle hostess. La cosa che mi dava rabbia era che erano fidanzati con le mie migliori amiche.
«Signorina che stai facendo?». Non mi accorsi che mio padre si era svegliato, se non quando mi tolse le cuffie dalle mani.
«Qualcosa di più attivo di quello che facevi tu». ripresi le cuffie, mettendomi a sedere. Mio padre si tolse la mascherina che aveva portato sopra la testa.
«Ho già la mia età, ma Brandon dov'è finito?». Chiese mio padre girandosi verso i sedili dov'era seduta il resto della famiglia. Solito di mio padre, quando un discorso non gli garbava o non aveva abbastanza motivazioni per dare la risposta: cambiava argomento.
«Ah non lo so». Neanche mi ero accorta che non era al suo posto. Per quanto mi importava.
«Manca pochissimo all'atterraggio». annunciò, guardando il suo orologio.
«Mi descriveresti la zia?». Chiesi curiosa, solo due giorni fa mio padre ci comunicò che saremmo andati da una nostra zia, nonché sua sorella minore.
«Tu come la immagini?». Chiesi guardandomi negli occhi, azione che mi mise in soggezione.
«Non ho cinque anni, perché dovrei usare l'immaginazione? Cosa ci vuole a descrivermela?». Alzai le sopracciglia, per spronarlo ad avere una risposta.
«Non si è mai troppo grandi per immaginare». Rispose semplicemente, guardando altrove.
«Metti da parte le risposte poetiche e rispondi all'altra domanda». sbuffai.
«Charlotte, c'è una cosa, una piccola informazione che tu e i tuoi fratelli non sapete, una storia che ha distrutto la famiglia, una scelta che ha portato sofferenza, malinconia, rassegnazione nella famiglia-». Iniziò ma fu interrotto dalla voce metallica che annunciò di allacciare le cinture di sicurezza poiché l'aereo stava per atterrare.
«Papà, che cosa?». Chiesi curiosa, anche troppo.
«Non posso raccontartelo ora, allaccia la cintura, stiamo per atterrare». Disse allacciandosi, stessa cosa feci anch'io, sentivo che c'era qualcosa sotto me ne aveva appena dato conferma.
Quando l'aereo atterrò fui sollevata,
mi piaceva viaggiare, ma ero troppo curiosa di sapere la storia della famiglia di mio padre, della mia famiglia. Tutti i passeggeri si precipitarono verso l'uscita diventando una massa affollata, levai gli occhi al cielo alzandomi, mio padre si aggiustò per l'ultima volta i capelli e raggiunse mia madre, che si stava dirigendo verso l'uscita quando fu più libera, mio padre fece segno a me e i miei fratelli di seguirli. Presi la borsa e, con i miei fratelli, mi diressi verso l'uscita. Quando scesi l'ultimo gradino, mi strinsi meglio nel mio cappotto, c'era tanto freddo, nonostante fossimo in pieno giorno. Superammo tutta la pista e ci dirigemmo verso l'entrata per poi prendere le nostre valigie. Quando entrammo, il calore mi abbracciò.Io e mia madre aspettammo mio padre e i miei fratelli che erano andati a prendere i bagagli. I lavori duri aspettavano agli uomini.
«Vorrei tanto capire cosa mettete in questa valigie». Si lamentò mio fratello Brandon, mettendo la mia valigia accanto a me, nel movimento si alzò la manica del giubbotto facendo vedere quelle piccole leggere che per me significavano tantissimo: JBAC. James, Brandon, Aaron, Charlotte tutti e quattro avevamo fatto questo tatuaggio che, secondo noi, ci avrebbe unito per sempre ma alla fine ciò che univa i fratelli era l'amore che provavamo l'uno con l'altra. A differenza degli altri, io, dopo la scomparsa di James, avevo aggiunto alla fine della sua lettera delle piccole ali, ali degli angeli, lui era il mio angelo e purtroppo gli angeli volano e le anime restano.
«Quello di cui abbiamo bisogno, no?!». Ironizzai, alzando gli occhi al cielo. Mia madre rise, il suono della sua risata era dolce e armoniosa, al contrario della mia.
«Ma zitto, brontolone!». Scherzò mia madre, scuotendo la testa.
«Andiamo, il taxi sarà già qui». Disse mio padre, controllando l'orologio che indossava il suo polso destro.
«Non viene a prenderci la zia?». Chiese Aaron, curioso, prendendo il manico della sua valigia.
«Non ha la patente». Rispose distrattamente, passando tra la gente. Nella mia mente l'immagine di un'anziana signora prese forma, continuavo ad immaginarla così zia Katherine.
Arrivai a chiedermi se la zia sapesse del nostro arrivo.
«È giovane o è vecchia?». Chiese Brandon, riproponendo nuovamente la stessa domanda che fece quando mio padre annunciò quelle noiose vacanze con qualcuno di cui l'esistenza era stata celata a noi per tanto tempo.
«Intanto dire vecchia è un'offesa». disse mia madre, guardando distrattamente Brandon.
Brandon alzò gli occhi al cielo e annuì, ma nessuno dei due genitori diede una risposta.
«Alla faccia dell'educazione!». esclamai, così all'improvviso, riferendomi alla risposta di mio padre, ovvero il silenzio.
«La conoscerai». rispose mio padre, sospirando.
Per questione di spazio, anche se secondo me perché i miei non volevano subirsi altre domande, io e i miei fratelli salimmo in un altro taxi. Mi sedetti dal lato del finestrino, ovviamente. Mio padre diede l'indirizzo al tassista e quest'ultimo partì. Sfrecciando tra le grandi e bellissime strade di Los Angeles mi persi nei pensieri, cosa nascondeva mio padre? Cosa aveva fatto la zia Katherine? Ponevo domande a cui non potevo avere una risposta immediata e quello, essendo una ragazza impaziente, mi dava tanta rabbia e nervosismo. Odiavo quando qualcuno provava a nascondermi qualcosa.
«...curioso, vero Charlotte?». Mio fratello mi scroccò le sue dita davanti il viso, sbattei le palpebre e mi gira verso Brandon. Sentii solo l'ultima parte della domanda.
«Che vuoi?». Sbuffai, inclinando la testa.
«Non è strano che papà non ci abbia accennato niente sulla zia?». Chiese, mio fratello Aaron alzò gli occhi al cielo e si girò dall'altra parte, molto probabilmente Brandon non aveva fatto altro che fare domande su domande, almeno conoscendolo.
«Non è noioso parlare in continuazione?». Aaron si girò di scatto e mise le mani davanti il suo viso come per mostrare l'ovvietà della risposta.
«Non è maleducazione rispondere ad una domanda con un'altra?». Richiese Brandon girandosi verso Aaron.
«Non è insopportabile avere un fratello che fa in continuazione domande?». Continuò Aaron.
«È ancora illegale l'omicidio?». Chiesi al tassista che osservava la scena divertito.
«Signorina, purtroppo è ancora illegale».
quel purtroppo suscitò curiosità in Brandon, ovviamente.
«Perché purtroppo?». Io e Aaron sbuffammo ma ci girammo dall'altra parte.
«Un bambino di cinque anni è meno curioso». sbottò Aaron, facendomi ridere. Nell'arco di trenta minuti arrivammo davanti una graziosa villetta, modesta nella grandezza, chiare le tonalità, dal portico in legno mi trasmetteva l'idea di una casa rustica. Non distava tanto dell'aeroporto, eppure non sembrava la tipica casa di città ma più che altro di campagna.
Il taxi si fermò e scendemmo dalla macchina, i miei genitori arrivarono nello stesso momento. Mio padre scese per ultimo dalla macchina e potevo leggere la tensione sul suo viso, Aaron prese, stranamente, anche la mia valigia da bravo fratello.
«La mia valigia posso prenderla da sola». dissi, prendendo il manico della mia valigia.
«Pensavo che essendo una ragazza la tua forza equivale a quella di un criceto». Alzò le spalle con nonchalance, speravo vivamente per lui che stesse scherzando. Sapeva benissimo che ero una femminista convinta.
«I criceti possono essere deboli ma sono veloci». Dissi, ricordando un esperimento di scienze in cui grazie ad un criceto e alla sua velocità ero riuscita a produrre energia elettrica.
«E voi donne siete come i criceti veloci ma deboli». rise per la sua stessa battuta seguito da Brandon.
«L'unica cosa debole è il tuo cervello che non riesce a controllare la tua stupidità». Dissi. «Oh scusa, non hai un cervello. Mi chiedo a cosa ti serva il cranio, insomma se non hai il cervello cosa protegge? La polvere che c'è lì?». Feci un'espressione sbalordita, per poi scoppiare a ridere.
«Smettetela di parlare di criceti e seguiteci». Ci rimproverò la mamma, non mi ero accorta di essere giunta davanti la porta però. Mio padre deglutì e infine suonò il campanello, avevo l'impressione che fosse teso.
Quando si aprì la porta per poco non sussultai, la persona che si presentò davanti era alta, capelli castani con dei morbidi boccoli, occhi chiari, naso dritto, labbra fine ma belle, indossava una maglietta bordeaux che risaltava il suo fisico magro, gambe fasciate da jeans neri e ai piedi delle pantofole.
«Josh». Le parole le uscirono come un sussurro, quasi non si sentirono.
«Katherine». per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva, non potevo credere che quella che avevo davanti era mia zia. La zia abbassò lo sguardo come se quello che avesse detto mio padre l'avesse ferita. Quando alzò lo sguardo i suoi occhi era lucidi.
«Chi non muore, si rivede. Vero Josh?». Il suo tono era tagliente, affilato come una lama di un coltello, ma nello stesso tempo dolce, come se volesse fare del male lentamente.
Sentivo nel profondo del mio cuore che lì c'era qualcosa che non andava.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top