Capitolo 11: Cemetery

Se c'era una cosa che odiavo la mattina, okay una delle tante cose, era sentire sbraitare come forsennati. Kendall, di certo, non aiutava a mantenere i nervi saldi, tuttavia non reagii subito: rimasi ancora con la testa, girata verso destra, appoggiata sul cuscino, le palpebre sigillate, le labbra socchiuse, stringendo l'orlo del piumone, ascoltando -purtroppo- la voce di Kendall proveniente vicino il letto.

«Vi taglio, avete capito? Anzi no, vi raso. Si avete capito, cari capelli, vi raso a zero quindi fate i bravi.» Sbraitò nuovamente, conoscendola, era seduta davanti lo specchio a pettinarsi i capelli che al naturale erano ricci.

«Io ti decapito se continui a parlare.» Mugugnai ancora con la voce roca.

«Buooongiorno.»Urlò, rischiando di ritrovarsi fuori la mia stanza se avessi avuto la forza di alzarmi, era fortunata. Poco dopo sentii un peso sopra la mia schiena, che mi fece scappare un gemito di dolore, una cascata di capelli ricci e rossi mi coprii la vista quando aprii le palpebre, mettendo a fuoco la vista.

«Ti faccio volare.» Annunciai, ma non ne avevo la forza, mia madre con che coraggio diceva che di mattina si era più in forza rispetto gli altri momenti della giornata?

«Nah, non ti credo. Sei troppo pigra per muoverti.» Si appollaiò completamente su di me.

«Non sottovalutare il potere del cibo, mi richiama ed è come se fosse il canto delle sirene, tra l'altro: ho fame.» Effettivamente se avevo fame, ero capace di farla cadere dal letto.

«Indovina chi ti ha preparato la colazione?» Chiese, scivolando accanto a me, girai la testa verso di lei e vidi che era struccata, i capelli ricadevano sul cuscino, i suoi occhi sprigionavano felicità e le sue labbra erano piegate in un sorriso.

«Di certo non tu.» Risposi sicura, richiudendo le palpebre, a causa della forte luce solare che penetrava nella stanza. Kendall era brava a cucinare, o meglio, sapeva mettere qualsiasi cosa dentro il microonde.

«Effettivamente è stato qualcun altro.» Annunciò felice, sentii che si alzò e poco dopo dei passi leggeri come una piuma, se non fosse stato per il silenzio rilassante che c'era nella stanza neanche li avrei sentiti.

«Non mi interessa sapere chi l'ha preparata, voglio solo mangiare qualcosa.» Mi lamentai, aprendo nuovamente le palpebre e, una volta raggruppate un bel po' di forze, mi misi a sedere, sbadigliando e stiracchiandomi. Misi a fuoco la vista, dopo aver strofinato gli occhi con le mani e vidi Kendall davanti lo specchio con due vestiti tra le mani che, tra l'altro, erano di mia proprietà, e li metteva davanti a sé alternativamente, come se stesse scegliendo cosa mettersi.

«Allora? La mia colazione?» Chiesi scioccata, non vedendo nessun vassoio sul mio letto ricco di cibo. Io che pensavo di svegliami ed essere trattata come una regina.

«Hey, non sono mica la tua cameriera.» Si girò per guardarmi un secondo, poi ritornò a decidere quale vestito indossare: uno era rosso lungo fino sopra il ginocchio, le spalle le lasciava scoperte ma era a maniche lunghe, e con un cinturino bianco appena sotto il seno. L'altro era uguale, ma con l'unica differenza che era blu notte ma il cinturino sempre bianco. Erano stati due dei tanti regali da parte di Aaron e Brandon per il nostro compleanno, i quali erano rimasti stupiti vedendo che un regalo era uguale, almeno così avevano fatto sembrare. Poi scoprii che si erano messi d'accordo poiché non sapevano che colore scegliere.

«Sei la mia schiava, zitta Dobbyna.» Dissi fingendomi autoritaria, be' oltre essere una fan della saga di Harry Potter amavo follemente Dobby e approfittavo di ogni momento per tirarlo fuori, rattristandomi successivamente pensando che cosa succede al mio elfo.

«Ma...» si girò vero di me e allargò le braccia, i miei vestiti per un attimo mi parvero delle ali e mi immaginai Kendall come una gallina, non potei non scoppiare a ridere.

«Scusa sei un gallina di nome dobbyna. Fa pure rima.» Dissi, rotolando sul letto ridendo.

Kendall rise ironicamente, mi parve offesa ma realizzai troppo tardi che aveva preso la rincorsa per buttarsi sopra di me, me ne accorsi solo quando fui sotterrata da un balena rossa. Si mise a cavalcioni su di me e iniziò a farmi il solletico, mi dimenai non riuscendo a parlare per via delle risate.

«Ti ordino di smettere.» Urlai ridendo, provando ad avere un tono serio ma non ci riuscii.

«Dobbyna non eseguire i suoi ordini.» Rispose Kendall ridendo.

«Ma che cazzo...?» Una voce fece fermare Kendall, girammo la testa e vedemmo sulla soglia della porta Aaron con solo i pantaloni grigi del pigiama. Una visione celestiale per Kendall, ma non per me.

«Amore, tua sorella dice che sono dobbyna.» Si lamentò scherzosamente Kendall, scendendo sia da me che dal letto, avvicinandosi ad Aaron, il quale si accigliò.

«Dobbyna?» Chiese confuso. L'avevo sempre detto che era stupido, tuttavia ignorai la sua domanda e mi tolsi un calzino, mettendomi a sedere. Mi alzai dal letto e mi aggiustai la maglietta che mi era salita fin sopra la pancia, mi avvicinai a Kendall e le diedi il calzino.

«Vai dobbyna, ora sei un elfo libero.» Dissi, con un tono degno di un premio Oscar, con un pizzico di finta tristezza.

«Ah parlate di Harry Potter.» Capì Aaron, gli lanciai un'occhiata, scioccata.

«Sei più lento di un bradipo a capire.» Dissi, sconsolata.

«Non ne sarei così sicura, ho capito immediatamente che non hai mangiato. Mamma è di sotto che sta preparando la colazione, la tua l'ho mangiata io.» Aaron mi fece la linguaccia, mentre io mi portai una mano sul petto, ferita.

«Come hai potuto?» Chiesi, facendo finta di esserci rimasta male. Dovevo farlo sentire in colpa, risi maleficamente dentro di me.

«Be' non arrivavi, quindi l'ho mangiata io.» Disse e ritornò serio, stava funzionando, lo capii quando si grattò il retro del collo sconsolato.

« E se mamma non me ne avesse preparata ancora, sarei morta di fame. Vergognati.» Dissi, scioccata. Meritavo il premio Nobel.

«Scusa, ma non volevo. Mi stai facendo sentire in colpa per una colazione.» Disse Aaron, mortificato.

Sporsi il labbro inferiore e sbattei continuamente le ciglia. «Sei un cattivo fratello.» Dissi, facendo finta di essere triste e avanzai verso di lui.

«Dai non fare così.» Indietreggiò, io tolsi quella maschera da bambina di cinque anni e tornai seria.

«Hai ragione, devo essere più naturale. Ora sei morto, stronzo.» Dissi e Aaron iniziò a correre con me dietro, scese velocemente le scale io lo imitai e stranamente non caddi, tutto con il dolce sottofondo della risata di Kendall, lo seguii fino nel salone, in cui lui si mise dalla parte opposta della mia della tavola, fece prima per andare a destra e poi a sinistra vedendo che lo imitavo, mi guardò negli occhi divertito.

«Non mi prenderai mai.» Annunciò sicuro, poi iniziò a indietreggiare fino a sbattere contro il divano, avanzai lentamente: era in trappola. Feci un'espressione divertita ma nello stesso tempo perfida, Aaron levò gli occhi al soffitto ma rimase fermo, anzi incrociò le braccia al petto. Esitai ad avanzare, non stava facendo nulla per scappare. Mi fermai a pochi passi da lui.

«Cos'hai in mente?» Incrociai le braccia al petto e fu la mossa sbagliata, mi ritrovai in pochi secondi sulla spalla di Aaron con la testa capovolta. Prendendomi alla sprovvista.

«Di scappare.» Mi buttò sul divano, così non ebbi il tempo di reagire. Sentii Aaron ridere e correre, poco dopo dei passi sulle scale e una porta sbattere.

«Codardo.» Urlai, ma sapevo che non mi avrebbe mai sentito. Mi alzai dal divano e uscii dal salone, annotandomi mentalmente di vendicarmi di lui più tardi, avanzai verso la cucina da dove proveniva un odorino troppo buono di pancake. Avevo già l'acquolina in bocca. Avendo solo un calzino, altro piede era a contatto con il pavimento freddo, così iniziai a saltare ed entrai in cucina, compiendo quell'azione.

La cucina era semplice, così come i gusti di mia madre: era moderna, alternata con i colori grigio e bianco. Le pareti erano bianche mente il pavimento un parquet.Mi era sempre piaciuta per il lungo bancone che incombeva al centro, così come le sedie alte e girevoli, mi ricordava un bar. In cucina era presente una finestra, vicino al frigo, a sinistra e una porta a destra vicino i fornelli, la quale dava nel giardino.

Mia madre mi dava le spalle, stando ai fondelli, mio fratello Brandon era seduto e stava consumando quello che aveva nel piatto, ad interrompere il chiacchierio di una giornalista, proveniente dalla televisione, la quale chiedeva ai passanti nel Central Park cosa ne pensassero del Natale, furono i miei salti pesanti, i quali attirarono l'attenzione di mio fratello che si girò e sorrise divertito.

«Sei una cretina.» Mi fece notare mio fratello, al quale alzai il medio, tuttavia smisi di saltare per sedermi sulla sedia, accanto Brandon.

«Sarà una caratteristica che avrò preso da te, insomma sei il maggiore.» Dissi, scrollando le spalle.

«Ah ora sono il maggiore.» Disse Brandon, con il tono di chi la sa lunga.

«Buongiorno e auguri, tesoro.» Disse mia madre, girandosi tenendo la padella da cui intravidi due pancake, sbuffai mentalmente: ne volevo di più.

«Ah già, buongiorno.» Mi avvicinai il piatto e mia madre ci mise i pancake, per poi girarsi e ritornare ai fornelli mettendo altro impasto nella padella. Mia madre lasciò i pancake cucinare e fece il giro del bancone, dando un bacio in testa sia a me che a Brandon. L'odore dei pancake si insinuò nelle mie narici e non vedevo l'ora di mangiare.

«Non ho detto niente a papà di quello che avete fatto, ma non fatelo più.» Ci pregò mia madre abbracciandoci. «Mi sono preoccupata.» aggiunse. Mi sentivo terribilmente in imbarazzo, non ero un tipo da baci e abbracci.

«Va bene, ma cucina quei pancake.» Dissi, prendendo la forchetta, non preoccupandomi di tagliare quella delizia, la presi tutta intera e iniziai a mangiarla. Ricevendo sguardi divertiti dagli altri due tizi presenti in cucina, tra cui una ritornò ai fornelli.

«Sei proprio una maialina.» Mi fece notare Brandon, ingoiai il primo pezzo di quella delizia prima di rispondere.

«Oh mai vai a fanculo.» Dissi, addentando nuovamente il mio pancake.

«Charlotte...» mia madre mi lanciò un'occhiata, girandosi. «Parla bene, sei una ragazza.» Disse, alzai gli occhi al soffitto. Ma perché era così sessista?

«Oh ma vai da Cade, e a che ci vai devi dire a Sybil e a Selene che le odio.» Dissi a mio fratello, citando dei personaggi di The Vampire Diaries, che odiavo con tutto il cuore, il che era ironico. Se odiavo come facevo a farlo con quel organo che, solitamente, era simbolo d'amore?

«Perché ho l'impressione che tra le righe ci sia qualcosa di cattivo?» Chiese, confusa mia madre, che si girò verso di noi tenendo un cucchiaio sporco di impasto alla punta.

«Perché mi hai sentita sclerare dopo aver visto alcune puntate di The Vampire Diaries.» Dissi, con la bocca piena, mia madre sbuffò vedendo che stavo parlando, ma non disse nient'altro.

Brandon si alzò e uscì dalla cucina, mia madre mi chiese se volevo caffè, ma rifiutai, non perché non mi piacesse ma perché non mi andava.

«Brandon?» Lo chiamai, ma non ricevetti risposta. «Oddio è davvero andato a fanculo.» Dissi, divertita. Nonostante la battuta poco raffinata, mia madre rise.

Era vero: a Natale potevi fare quello che non potevi fare mai.

Dopo due pancake, ero stranamente sazia, quindi mia madre rimise gli altri nel frigo dicendo che se avessi avuto fame bastava che li prendessi. Mi disse anche che mio padre era andato in azienda per una piccola festa con i dipendenti, per fare a tutti gli auguri. Capii che parlava così tanto perché voleva evitare una conversazione, tuttavia, non ci riuscii e quando si sedette, rovinai l'atmosfera tranquilla che si era creata.

«Sapevi di Chloe?» Spostai il piatto, per enfatizzare il fatto che avevo finito di mangiare.

«Charlotte, non voglio parlarne.» tagliò corto guardandosi le mani, lisce.

«E quando mai.» Sbottai, guardandola.

«Abbassa il tono di voce.» Mi avvertì, alzando lo sguardo.

«Perché? Vuoi nascondere ai miei fratelli di cosa parliamo? Be' dai hai nascosto abbastanza cose, l'aggiungeresti alla lista.» Dissi, abbandonandomi nella sedia.

«Charlotte, papà mi ha chiesto di non parlavene perché non c'era una sicurezza. Ora basta, tagliamola qui.» Disse prendendosi la testa tra le mani.

«Va bene, non vuoi parlarne tu? Neanche papà, scommetto. A questo punto scoprirò tutto da sola.» Dissi, arrabbiata, alzandomi.

«Charlotte...» non sentii cosa disse mia madre, ero già fuori la cucina che salivo le scale, arrivata al piano superiore, andai nello studio di mio padre, vicino la stanza da letto. Era sulle tonalità chiare del marrone: le pareti erano beige e il pavimento un parquet, la stanza era illuminata dalla lieve luce che entrava dalla finestra che era resa tale a causa delle tende bianche, al centro incombeva un tappeto persiano sul quale c'era una scrivania marrone, in cui c'erano fogli disposti ordinatamente, un computer nero portatile e una cornice ma la foto era rivolta verso la superficie della scrivania. Alla mia destra una libreria marrone in cui c'erano molti libri che narravano storie noiose, più che altro.

Chiusi la porta alle mie spalle e mi avvicinai cautamente alla scrivania, ma mi fermai. Cosa stavo cercando? Avevo già il fascicolo di Chloe, perché sentivo il bisogno di sapere di più, come se i miei stessero nascondendo altro?

«Char?» Mi chiamò Kendall, d'altra parte della porta, mi girai e mi avvicinai alla porta, fino ad aprirla.

«Si?» Uscii e chiusi la porta alle mie spalle, indossava il mio vestito blu, ma ormai era abitudine nostra scambiarci i vestiti.

«Aaron non può- stai bene? Sembri confusa.» Mi fece notare, così annuii e sorrisi.

«Sto bene.» Non lo sapevo neanch'io se fosse la verità, negli ultimi sei mesi ho guardato il mio riflesso nello specchio ripetendo più volte che stessi bene per cercare di convincere me stessa, poi ridevo, ridevo per mascherare le lacrime di dolore che solcavano le mie guance, per riempire ogni spazio della mia stanza un suono che non era quello dei singhiozzi, poi mi rannicchiavo e piangevo silenziosamente, facendo ritornare quel terribile silenzio nella mia stanza.

«Sicura?» Insistette Kendall, odiavo parlare del mio stato d'animo.

«Si, che stavi dicendo?» Misi da parte gli ultimi momenti della mattinata e sorrisi. "Aaron non può fare molte cose, quindi devi essere più specifica." Dissi, ridendo e iniziando a camminare verso la mia stanza.

«Be' posso confermare che le uniche cose che sa fare le sa fare bene, eccome se le fa venire bene.» Kendall mi superò e alzò le sopracciglia con fare di chi la sa lunga. Mi fermai sconcertata in mezzo al corridoio, capendo il doppio senso della frase. Mi infilai due dita in bocca facendo finta di avere un conato di vomito.

«Non voglio sapere niente della vita sessuale di mio fratello.» Dissi, ancora profondamente traumatizzata. Kendall scoppiò a ridere e alzò gli occhi al soffitto.

«Comunque non può accompagnarmi, quindi...» non la feci finire di parlare.

«Prendi un taxi.» Dissi, scherzosamente ma entrambe sapevamo che l'avrei accompagnata a casa.

«Certo.» Disse, ironicamente Kendall andando verso la stanza di Aaron.

«Tra cinque minuti andiamo, quindi fatti trovare giù.»Dissi, aprendo la porta della mia stanza.

«Okay.» Disse Kendall, entrando nella stanza di Aaron. Mentre io entrai nella mia, mi ricordai che ero ancora in pigiama quindi quei cinque minuti si sarebbero trasformati in quaranta, ne ero sicura.

Dopo aver preso una tuta nera, la stessa della sera precedente, la indossai e mi truccai con un filo di mascara, dopo aver passato fatto una crocchia ordinata, misi le converse nere continuando a pensare come e quando avrei dovuto vendicarmi di Aaron, e uscii dalla stanza, erano passati esattamente trenta minuti da quando avevo detto a Kendall di farsi trovare giù e infatti Kendall era davanti la porta d'ingresso, con il suo cappotto addosso, ma prima di scendere le scale chiamai Brandon e mi feci portare la schiuma da barba, gli sussurrai di scendere e registrare tutto: iniziai a scendere le scale e in ogni gradino spalmai un po' di schiuma, tanto i gradini erano bianchi.

Brandon e Kendall avevano capito le mie intenzioni, infatti Brandon stava già registrando con il suo cellulare mentre Kendall scuoteva la testa, perché non era d'accordo. Dissi a Kendall di chiamare Aaron ma lei non volle, così ci pensò Brandon.

«Aaron, corri subito qui. Kendall è svenuta.» Urlò Brandon, spaventato, Kendall scosse nuovamente la testa, non poteva avvertirlo: le avevo messo una mano sulle labbra. Poi tutto successe in un attimo, mia madre uscì dalla cucina pulendosi le mani nel grembiule e con un'espressione spaventata mentre Aaron corse fuori la sua stanza e non ebbe il tempo di realizzare che Kendall stesse bene che scivolò dal primo gradino delle scale.

«Aaron.» Urlò allarmata mia madre, che mi lanciò un'occhiataccia mentre io e Brandon battemmo il cinque, ridendo. Sapevo che non si era fatto nulla, infatti quel
ruba-colazione si mise a sedere e scoppiò a ridere. Mentre Kendall e mia madre gli si sedettero accanto, spaventate. «Ti fa male qualcosa?» Chiese mia madre, Aaron ancora ridendo scosse la testa. «Charlotte, Dio mio, non fare più queste cose.» Mi rimproverò mia madre, annuii ma non l'avrei mai ascoltata.

« Sei proprio una stronza, sorellina.» Disse Brandon, divertito. In confronto a tutte le mie vendette questa era la mia più... innocua. Presi il mio giubbotto nero e lo indossai, sorridendo a Brandon.

« Mamma accompagno Kendall a casa, a proposito: andiamo.» Dissi, avvicinandomi a lei per tirarla dal braccio, la mia migliore amica diede un bacio sulle labbra ad Aaron e si alzò, salutò anche mia madre e Brandon, infine uscimmo di casa, poi mi ricordai che la mia macchina era nel garage quindi rientrammo, mentre Aaron si stava alzando, quest'ultimo quando mi vide passare mi alzò il dito medio, io gli mandai un bacio volante. Entrammo nel garage e presi la chiave della mia macchina appesa sopra la porta così come le altre chiavi, entrammo nel mio suv in cui c'era molto freddo. Così accesi immediatamente la macchina e i riscaldamenti, mettemmo le cinture di sicurezza e con un'altra chiave aprii la porta basculante del garage. Uscii sia da quest'ultimo che dal viale nello stesso momento in cui arrivò mio padre.

«Cazzo, un infarto mi stava venendo.» Disse Kendall, riferendosi all'episodio di pochi minuti fa, accendendo la radio, partì echo di Jason Walker e non potei non rabbuiarmi, Kendall lo notò e provò a cambiare ma glielo impedii.

«Non cambiare.» Dissi, malinconica, stringendo il volante con entrambe le mani.

«Aaron mi ha raccontato tutto, sai?» Chiese ma io scossi la testa, così lei continuò. «Sai perché ti hanno portata lì?» Chiese e capii che si riferiva al cimitero.

«Perché, forse, secondo loro è il posto in cui siamo più vicini a James.» Dissi, guardando la strada, per evitare di fare quale incidente.

«La pensi così anche tu?» Chiese Kendall, era raro vederla nelle vesti da psicologa.

«No, James è nei nostri cuori, nella sua stanza, in quella casa, è nel suo bar preferito, è davanti il camino, è dentro la sua auto, è sopra il tetto, è con Chloe, James è ovunque ma il posto in cui è più vicino è nel nostro cuore.» Dissi, malinconica. «Ma non sarà mai qui fisicamente, non potremo mai abbracciarlo, guardarlo negli occhi.»

Per colpa mia.

Kendall non disse nulla, il resto del viaggio proseguì in silenzio, presi diverse scorciatoie e arrivai a Brooklyn evitando il traffico. Il silenzio non era insopportabile, ma era un silenzio ricco di domande, che nessuna della sue aveva il coraggio di pronunciare, di dolore che non potrà mai terminare e di compassione che non potrò mai evitare.

«Vuoi cercare Chloe?» Chiese, guardandomi.

«Se sapessi da dove cominciare.» Risposi, pensai alla cartella: dovevo vedere se c'era scritto dove si trovava.

« Nella cartella c'è scritto, se non mi sbaglio l'ultima volta che è stata vista è stata in Georgia.» Disse, mi domandai che cavolo ci facesse in Georgia, quando svoltai nel viale che portava a casa sua, inchiodai all'improvviso.

Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima!

Mio fratello e Chloe volevano trasferirsi a Miami, quindi se la mia teoria era giusta Chloe dalla Georgia si sarebbe spostata in Florida, sempre se non l'avesse già fatto. Sempre se voleva realizzare il suo sogno.

«Charlotte?» Kendall appoggiò una mano sulla mia spalla.

«Miami.» Sussurrai, come se fossi ipnotizzata. «Dobbiamo andare a Miami.» Urlai felice, di essere arrivata a una conclusione.

«Ferma ferma ferma. Non è una cosa che possiamo fare così da oggi a domani, dobbiamo pensarci. La Florida non è dietro l'angolo.» Disse, aveva ragione ma non potevamo aspettare. «Promettimi di non fare niente di affrettato.» Disse.

«Okay.» abbassai le mani dal volante.

«Vabbè casa mia è dopo due case, vado a piedi da qui. Mi raccomando: chiamami appena arrivi.» Disse scroccandomi un bacio sulla guancia, poi si slanciò la cintura e scese dalla macchina, la salutai e dopo averla vista arrivare a casa sua, partii con la macchina diretta verso un posto che al solo pensiero mi faceva stare male, quel luogo che, secondo i miei fratelli, eravamo vicini a James: il cimitero.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top