Capitolo 9

Sullo strapiombo dell'incertezza

"Fasci di luce su un'era interstellare, frastagliata da un passato che involontariamente ci è appartenuto.
Cosa mi nascondi?"

[...]

Per nessun motivo al mondo Levi avrebbe voluto che fosse finita con una macchia bianca sui pantaloni, ma era successo e a dirla tutta non lo screditava

Come poteva screditare qualcosa che gli aveva dato Eren?

Non l'aveva mai fatto e non avrebbe sicuramente iniziato in quel momento. Non gli importava che Eren ora non lo guardasse, nonostante ormai gli avesse dato quella scottante abitudine durante l'unica lezione che avevano in comune. Erano stati i venti minuti più intensi da quando ne aveva memoria e avrebbe voluto solo stoppare il tempo, abbandonarsi tra quelle braccia per l'eternità. Si era sentito finalmente completo, congiunto all'altra anima. Erano state sensazioni ineguagliabili, appiccicose nelle vene e prepotenti all'altezza del cuore.

Eren poteva non sapere ma il suo corpo lo richiamava, esattamente come faceva la sua mente, ma non poteva correre o si sarebbe allontanato, uccidendolo lentamente pur non sapendo.

Non aveva intenzione di ripetere tutto da capo, nella sofferenza di un cammino inconsapevole, cieco alla ricerca della sua meta perduta.
Quando la lezione finì, non si rese conto di essere rimasto solo lui, perso nei suoi pensieri incastrati tra quelle spalle davanti a lui. Era sempre così, non poteva smettere mai di rivolgergli ogni suo singolo sforzo. A labbra strette infilò il libro e il computer in due borse e si levò in piedi.

Dopo che Eren gli aveva regalato quell'orgasmo improvviso, le sue gambe avevano iniziato a rimanere più stabili e i brividi erano di poco diminuiti sotto al suo odore. La pelle non bruciava più come prima e stare nella stessa stanza non lo faceva più soffrire. Ma sapeva che l'effetto sarebbe durato poco. Il tempo che le impronte immaginarie di quelle mani e quelle braccia intorno a lui si sarebbero eliminate, il tempo che quella lingua umida non avrebbe più avuto consistenza sulla sua pelle, bruciandola e pungendola come spilli e sarebbe nuovamente caduto in quella latente astinenza che lo logorava da dentro. Era solo questione di tempo.

Non riuscì a fare un passo fuori dalla classe che qualcuno lo afferrò dal polso e lo trascinò via. Seguì le onde dei lucenti capelli di Eren, che castani come le nocciole gli accarezzavano le orecchie e le spalle. Spesso se li legava con una mezza coda che gli scopriva la pelle pulita della fronte alta, conferendo un'aria maschili marcata.
Non cercò di liberarsi, lo seguì tra quei corpi di studenti che lo guardavano solo di sbieco. Riconobbe una ragazza che sbavava dietro ad Eren che in compenso non mostrava mai nulla.

Tutti la chiamavano apatia. Ma Levi non l'aveva mai trovata strana, non avrebbe potuto. Lui sapeva la verità.

Salirono le scale nel silenzio assoluto, entrando in quella sala che sembrava lontana dalla loro realtà. Quel giorno Eren aveva la divisa scolastica, ed era così bello in quei vestiti semi eleganti che sarebbe potuto semplicemente stare a guardare per ore. Senza muoversi e parlare.

La mascella definita, gli occhi sempre spenti, le labbra disegnate e il collo che usciva dalla camicia, baciando il gilet che scuro risaltava il caramello delizioso.

«Cos'è?» Eren lo spinse dentro privo di delicatezza, chiuse la porta e lo mise con le spalle al muro, senza lasciargli il polso. Non era normale per lui eccitarsi e non lo era pensare a qualcuno come faceva con Levi.
Ma non lo era neanche sentire il suo odore pungergli sempre le narici, la mano bruciare stretta sulla pelle bianca e delicata e la voglia di guardarlo in ogni centimetro di ciò che per lui era perfezione. Non era normale, non lo era niente. E la stranezza era talmente alta da lasciarlo completamente stordito, scottato dall'interno.

«Cos'è ciò che mi fai provare? Perché?» arrancò nelle sue parole, stringendo la stretta, mentre i capelli corvini su quella fronte accentuavano quegli occhi astrali che lo mandavano in altri mondi. Stava esplodendo, non riusciva a trattenersi. Era bastato qualche tocco a sbloccare una macchina complessa che era stata solo spenta per anni in lui. Assopita da una pesante coperta intricata e impolverata. Quella persona lo stava... accendendo.

Levi mosse il polso per la circolazione che stava svanendo verso la mano. Le iridi di Eren erano diventate un semplice e piccolissimo cerchietto ad abbracciare la pupilla dilatata. Doveva sentirsi pazzo. Non poteva immaginare come fosse trovarsi completamente coinvolto dopo anni di vuoto.
Come potesse esserlo senza saperne il motivo.
E se a lui faceva male a Eren doveva starlo distruggendo in silenzio, perforando le radici di ricordi sbiaditi e lontani, estirpando, tirando per farli salire a galla. Non voleva fare altro che abbracciarlo e cercare di rassicurarlo, ma rimase fermo anche quando il polso fu liberato e quello prese a camminare avanti e indietro davanti a lui, come un esaurito su dubbi esistenziali.

«Non capisco cosa intendi...» sussurrò, guardandolo mentre si fermava davanti a una delle finestre coperte.

La sua mano si strinse convulsamente intorno alla tenda, rendendola una straccio tra le dita un tempo troppo potenti.
«Non dire cazzate» proruppe astioso. Indebolito dalla sua presenza che sentiva doppiamente dopo averlo avuto tra le braccia. Aveva passato la notte in bianco, con il fiato corto, la mente poco lucida e una mano fra le gambe; sporco di desideri troppo repressi, ubriaco di ciò che con Levi riusciva a sentire. Il cuore vivido, lo sentiva nel petto, così come sentiva quelle... emozioni circolare a briglia sciolta dentro al sangue.

Era così come tutti vivevano?

Come aveva fatto a sopravvivere senza prima d'allora?

«Lo vedo come mi guardi» lasciò la tenda e andò di nuovo verso di lui. Gli afferrò la mascella e gli alzò il capo, costringendolo a fronteggiarlo negli occhi. Il respiro venne a meno e il cuore si accartocciò, facendogli tanto male da dover coprire un ansito stringendo i denti. Troppo, troppo, tutto troppo senza preavviso. Era come versare acqua su ghiaccio secco. Rottura e vapore prima di tornare alla sua natura.

«Ti ho sentito gemere» grugnì, avvicinandosi al suo volto contratto, a premere il naso contro la guancia che voleva succhiare, imprigionare in lui come tutto il suo corpo. «Due volte» concluse, mordendogli lo zigomo, abbastanza forte da avergli lasciato il segno quando si staccò.

Violento, sporco, represso.

Levi ansimò, estasiato da quei denti sulla pelle, da quella mano contro la mascella. Poi tutto scomparve e si ritrovò a premere la schiena contro al muro per evitare di cedere e cadere al suolo.
Gli occhi lo supplicavano nonostante la violenza palpabile sullo zigomo che pulsava e il polso che doleva appena.
Non riusciva a resistere. Non gli aveva mai tenuto nascosto nulla, non ne era mai stato in grado, così come non era mai stato in grado di mentirli. Le parole premevano e quando le bloccava, il petto andava in tumulto, come se il cuore danzasse su onde in tempesta grigia prima che piombasse direttamente nello stomaco in uno strapiombo alla fine delle cascate.

Strinse i pugni e voltò il capo a destra, senza guardarlo mentre se ne stava là, davanti a lui, a cercare risposte che gli avrebbe voluto dare dal primo giorno in cui l'aveva visto.

Aveva atteso quattro anni.
Cosa aspettava?

Aveva paura, paura che non credesse, paura che non capisse e si allontanasse.
Di meglio, dopo quello, ci sarebbe stata solo la morte, ne era consapevole.

Fanculo, cosa aspettava?
Deglutì un grosso grumo di saliva con nulla da perdere di ciò che già non aveva.

«Questo pomeriggio, presentati nel bosco dopo le lezioni» ebbe il coraggio di masticare mentre la sua presenza lo premeva con calore.

Eren lo guardò dalla testa ai piedi, reprimendo l'impulso di avvicinarsi ancora. «Come ti posso trovare?»

«Mi troverai senza dovermi cercare, segui ciò che dice il tuo corpo»

Affermò solo questo e lo lasciò solo.
Il filo che li stringeva sembrava stargli strozzando ad ogni passo che li allontanava. La verità era vicina e i loro animi ne erano consapevoli.

(...)


Eren si presentò nel bosco sotto richiesta di Levi e camminò senza una vera meta schiacciando l'erba sotto le suole, in un flashback sulla prima volta in cui ci era entrato. Non sapeva dove andare ma quasi come se Levi avesse avuto ragione, una lieve nota di polvere di galassia ruppe la cortina di vegetazione dopo appena cinque minuti.

Semplicemente la seguì; camminò schiacciando rametti e scavalcando qualche pietra troppo grande. Il rumore dell'acqua si fece vicino e davanti a lui si stagliò la visuale di un ruscello in corrente, limpido e cristallino. Voltò il capo a destra e tra le alte rocce ad proteggere il posto, dove scorreva una cascata leggera, una vasca in marmo grigio e bianco era stata posizionata con i quattro piedi come teste di lupo ancorate fermamente sul fondale roccioso.

In un movimento fluido una figura si levò mezza seduta, sino a prima invisibile per essere affondata nell'acqua naturale dentro il recipiente, emerse come un essere divino. I capelli neri parvero seta ricoperta di cristalli che gli colarono sul volto e oltre il collo. La cascata frastagliava la completa veduta, ma al suo cuore bastò per attorcigliarsi e fare capriole costanti: Era il ragazzo che aveva visto tempo prima. Non poteva dimenticarselo.

«Avvicinati» una mano pallida brillò sotto l'ombra che gli alberi sulla parete vegetale regalavano quando allungò il braccio. Quelle dita le poteva riconoscere ovunque, la pelle pallida come la luna. Rivolse il palmo al mondo e le dita lunghe erano impreziosite da anelli incastonati con diverse pietre che luccicarono.
Come richiamato letalmente, entrò in acqua dopo essersi tolto le scarpe.
Il ruscello lo bagnò sui piedi nudi fino alle caviglie mentre camminava lento verso quella vasca, senza neanche chiedersi cosa ci facesse in mezzo al bosco tanto ne era ammaliato. Quando la raggiunse a pochi passi, rimase in piedi a fissarlo dall'alto mentre la mano si ritirava e il corpo si faceva più indietro, scostandosi dal getto delicato concentrato sul centro.

L'uomo lo guardò e Eren si fece vicino cadendo sulle ginocchia ora in sangue per le pietre conficcate nei pantaloni e nella pelle. Con gli occhi spalancati guardò dal basso il volto sottile fissarlo. I capelli neri, zuppi, appiattiti. Il collo da cigno e quell'unico occhio astrale, oltre all'umano, fissò poi la cicatrice che partiva dal sopracciglio e tagliava l'altro occhio, rendendolo bianco come il paradiso di ghiaccio cieco e si fermava sullo zigomo. La cicatrice cercava di deturpare tutta la bellezza di quel volto, ma non ci era riuscita. Le due mezzelune erano belle come a poche cose avesse mai visto nella vita. E tutto era riservato a lui. La sua pelle, quei capelli, gli occhi...

Vide Le labbra pallide tremare un attimo e guardo giù, dove le vesti della scorsa volta si aprivano come un fiore appena sbocciato sulla superficie dell'acqua, circondandolo delicatamente sino a sopra i fianchi.

L'acqua colava giù dalla vasca straripante ma i diversi petali di rose... grigie, galleggiavano senza cadere, come imprigionate da una forza invisibile.

«Levi?» sussurrò, esterrefatto, ammaliato e soggiogato fino al midollo, ora completamente messo a nudo davanti a lui. Non si era mai sentito più pieno di quel momento.
Ed era così potente che ne era già diventato drogato. Era consapevole che non sarebbe più tornato indietro.

I bracciali che seguivano la stoffa ancorata ai polsi tintinnarono sugli avambracci smilzi e il palmo liscio gli si poggiò contro la guancia.
Una scarica elettrica partì da quel punto, gli colpì il cervello e scese in corsa giù, prendendogli tutto il corpo e azionandolo completamente con la giusta pressura delle dita invisibili.
Schiacciarono bottoni che conoscevano solo loro e qualcosa fiorì caldo nel profondo del suo cuore, seguita da una dolce emicrania a danzare contro la scatola cranica.

«Sì, Eren. Mio Eren»
Eren rimase imbambolato da come le labbra parlassero delicatamente ma potenti allo stesso tempo. Le sue mani erano ancora ferme sulle cosce, come troppo pesanti per poterle muovere, mentre i pantaloni erano ormai zuppi.

Qualcosa scintillò sul suo capo e quando ci poggiò lo sguardo, trovò tra i ciuffi una sottile corona in argento e oro bianco che si allungava nel centro in una punta che ospitava un diamante prezioso e grigio. Questo conteneva in sé un mondo di sfaccettature diverse, impossibile impersonarne la vera tonalità.

«Cosa sei?» sussurrò, con la voce roca e rotta dalle emozioni.

«Cosa siamo, Eren» lo corresse Levi e scostò la mano da quella guancia. Piegò le braccia sul bordo della vasca, lentamente poggiò sull'intreccio la guancia e lo osservò mentre si voltava, ingordo del suo sguardo. Quello verde si era fatto lucente, prezioso come se lo ricordava. Perse qualche battito e le gambe tremarono nell'acqua. Si sentì bellissimo sotto la sua attenzione, come se la cicatrice non avesse avuto nessun effetto su di lui. Una parte del loro passato. «Noi siamo i re di Accidiam in Ghərvenan»

Eren si sedette a terra mentre l'emicrania avanzò. Sentì il respiro incespicare su se stesso, completamente confuso credette di star sognando.

«Cosa?» sussurrò, balbettando.
Levi si rimise eretto e poggiò la schiena contro al bordo della vasca, gli occhi persi sulla vegetazione, addolorati su quei ricordi mancati, suoi loro preziosi ricordi. Addolorati su tutto quello che era successo. Addolorati su quella incredulità anche se già se lo aspettava.

«Questa notte» strinse le labbra fini «Quando il sonno ti sarà giunto, la consapevolezza si insedierà nei tuoi sogni, Eren»

Eren si mise in piedi, senza nessuna intenzione di toccarlo. Credette di essere ammattito mentre scappava da ciò che aveva sentito e visto, da tutto quello che stava provando.

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