Capitolo 4

Ti guardo perché mi va

"Uno sguardo prettamente asciutto,
senza motivo di esistere e vivere ma che insiste e resiste nella sua voce silenziosa"

[...]

Eren blandì la penna con più forza, la punta stridette sul foglio ma non ne volle sapere di continuare ad inchiostrare parole indelebili. Il professore parlava a macchinetta, senza dare conto al suo momentaneo blocco, vista la distanza che li separavano mentre stava raggiungendo un certo limite di impazienza che era meglio non superare e tutto per quell'inutile aggeggio malfunzionante. La lasciò cadere dalla presa arrendevole e con un sospiro si slegò i capelli solo per legarli ancora, in un gesto nervoso. Non aveva compagni di banco; dovette massaggiarsi il ponte del naso per recidere la voglia di lanciare la penna fuori dalla finestra, situata alla sua sinistra.

Alla fine lo fece, si voltò e parlò per la prima volta in quattro anni con un compagno di classe, per un motivo che non fosse inerente a progetti in cui gli era stato affibbiato qualcuno, che gli avrebbe fatto alzare gli occhi al cielo e camminare in quarta per svolgerlo nel minor tempo possibile.

«Ei» borbottò con voce bassa, guardando il foglio sporco dalla calligrafia impeccabilmente ordinata, dalle lettere oblique e allungate. Era una bellissima scrittura, secondo la sua, prettamente veloce e poco curata. «Hai una penna da prestarmi?» chiese, senza alzare gli occhi.

Il compagno dovette semplicemente annuire perché poi ci fu qualche rumore e alla fine la penna dell'inchiostro nero gli venne porta sotto al naso, quando Eren allungò il braccio per prenderla si trovò a tentennare un attimo di troppo alla vista delle dita lunghe e sottili, le unghie curate, rosate un minimo e della pelle colore del latte, quasi smorta. Per quanto potesse sembrare strano, quelle mani gli si erano piantate nel cervello, era raro che ricordasse particolari del genere, eppure in quel momento la parola venditore gli lampeggiò in testa come un faro. Non alzò il volto, notò appena qualche ciocca di capelli neri e ancora una volta, senza ringraziare prese l'oggetto e si voltò, tornando ai suoi appunti.

Quindi era così;  I venditori non erano tutti poveri o il creatore di cioccolatini di fiori non avrebbe potuto frequentare un'accademia privata. Se lo sarebbe dovuto immaginare però; quella pelle era troppo sottile e priva di imperfezioni per aver fatto qualcosa di estremamente pesante nella vita.
Il professore lo richiamò per rispondere ad una domanda che accese un dibattito interessante in classe, fino alla conclusione dell'ora, dove sentì la sedia dietro di lui spostarsi pacamente e prima che potesse restituirli la penna, il ragazzo oltrepassò i banchi, scese i gradoni e scomparve dalla classe, dandogli la sola visuale delle spalle minute che gli regalarono un flash accennato di qualche giorno prima: Una figura che lo sorpassava di fretta e entrava nell'aula dei recuperi.

Sbuffò una risata di scherno. Certo, un venditore, per quanto ricco, non poteva essere intelligente.
Gettò la penna nel fondo della borsa, raccolse le sue cose e con calma uscì anche lui, diretto nella prossima classe.

I due avevano in comune solo la teoria della percezione, Eren non ne era sicuro, alla fine non si era mai guardato intorno quand'era in classe, ma nelle due settimane a venire,  aveva iniziato ad accorgersi della sua presenza silenziosa e scivolosa, per quanto di tanto in tanto parlasse con qualcuno senza eccessiva trepidazione. Non aveva un vero motivo per cui lo guardava entrare dalla porta poco dopo di lui e camminare in silenzio sino a sedergli dietro, eppure se ne stava là, con la mano sotto al mento o sotto la guancia a giocare con la penna nera che ancora non gli aveva restituito. Il gomito puntato sul banco di legno massiccio e gli occhi pigri, ad accompagnarlo tra la marma di studenti aggrovigliati di cui evitava sapiente il tocco. Lo aveva visto stringersi nelle spalle per fare passare, o ritirare un braccio dietro la schiena per evitare un contatto non voluto, nonostante le felpe spesse che di solito indossava non gli avrebbero fatto percepire nulla.

Non provava sensazioni particolari a riguardo ma aveva iniziato a distinguere in lui, qualcosa di diverso ogni volta; durante il primo episodio per esempio, quando si era accorto di averlo involontariamente guardato, il sole lo aveva colpito facendogli socchiudere gli occhi e aveva fatto splendere i capelli lucenti e color nero avorio.
Quel primo giorno aveva notato quindi le ciocche scure, differenti da quelle di Mikasa. Era un nero impenetrabile e viscerale e scorreva sul capello naturalmente liscio che portava sui due lati della nuca, lungo fino alle orecchie copriva a mala pena la rasatura sottostante.
Si era fatto scorrere le ciocche sugli occhi, in cerca di protezione dal sole violento e Eren aveva deciso che fosse un taglio abbastanza buono. Quel giorno non aveva ponderato di iniziare a fissarlo e alla fine era divenuto un buon passatempo.

Il secondo giorno invece, aveva notato che fosse piuttosto esile di statura; uno dei ragazzi più alti della classe, lo stesso che aveva la sua altezza, lo aveva superato sfiorandolo appena e allo scultore era bastato quel frangente per scorgere la differenza di stazza molto visibile tra i due. Gli arrivava forse alla spalla.
Quella volta gli era sembrato quasi ridicolo, in un pensiero di solita tracotanza ma prima che potesse finire la frase nella sua mente, aveva afferrato tra le braccia coperte dalla felpa verde petrolio, una pila di tomi piuttosto consistenti e senza battere ciglio si era seduto dietro di lui. Quindi quel giorno aveva deciso che per quanto basso potesse essere, almeno era resistente, non poteva essere altrimenti o avrebbe lasciato le braccia sul pavimento una volta alzati i libri.

L'incontro dopo invece, era stato leggermente più particolare. Non c'era nulla che avesse contribuito alla scoperta ma aveva notato per la prima volta il suo viso e non solo di sfuggita. Non si era soffermato molto sulla raffinatezza del taglio maschile, ma aveva raccolto le labbra sottili e pallide, la mascella ben delineata e un naso piccolo, difficile da trovare sui ragazzi. Ben proporzionato e che se visto di profilo balzava in una piccola curva verso l'alto, in una posizione da naso alla francese. Poi, ancora una volta la pelle. Pallida, sottile, quasi inumana. Sembrava perennemente malato, eppure non era quel tipo di biancore e se ne rese conto in quel momento. Era più acceso, faceva quasi male agli occhi fissarlo, sembrava un bianco ghiaccio, con quella punta di grigio che lo rendeva più naturale ma meno umano.
Eran aveva poi distolto lo sguardo con uno sbadiglio prepotente e dopo essersi stiracchiato aveva iniziato a disegnare cerchi immaginari sul banco, completamente annoiato.
Non era sicuro se il compagno fosse bello o no, ma non si sforzò neanche più di tanto a darsi una risposta, semplicemente lasciò correre.

Anche quella giornata di mercoledì lo stava aspettando, attendendo il prossimo particolare che arrivò, preciso e netto. Per la prima volta il ragazzo entrò in classe e come se lo stesse cercando, piantò gli occhi nel suo cinabro spento, come consapevole del suo sguardo senza nessuna consistenza e forse sempre presente nelle occhiate prolungate che lo seguivano ormai da qualche giorno.

Eren si poggiò allo schienale, non cedendo a quelle strane mezze lune che gli rendevano lo sguardo tagliente di lava, per quanto fosse possibile nella freddezza particolare di quel colore che sembrava prettamente blu opaco mezzo nascosto dalle palpebre, sottili come le sopracciglia.
Il colore cadeva bene con la pelle chiara, ammise perdendo quella piccola gara, distogliendo per primo lo sguardo per piantarlo fuori, dopo aver visto gli zigomi accennati farsi di un tenuissimo rosato, cosa che non avrebbe neanche notato se la carnagione fosse stata appena appena più scura.
Dopo qualche attimo, sentì la sedia spostarsi ed entrò il loro solito professore.

Non era sicuro che fosse timido, o non avrebbe mai infilato le iridi invasive nelle sue, forse era solo a disagio o infastidito nell'essere osservato. Ma non poteva davvero farci nulla, non c'era altro che poteva guardare mentre aspettava la lezione. Quindi decise che avrebbe continuato a farlo, almeno finché non avrebbe espresso la sua contrarietà e solo dopo avrebbe cercato altri appigli.
Mentre prolungava quei pensieri, per la prima volta guardò da sopra la propria spalla e lo osservò fuori dai soliti tre minuti giornalieri.
I capelli cadevano fuori dalla loro piega pulita, seguendo la nuca leggermente china nel portamento adottato dal ragazzo, concentrato sul libro di testo. Le ciocche fine gli coprivano gli occhi e si chiese come non gli infastidissero le gote solleticate. Guardò i fili scuri, stringendo leggermente le palpebre; Non sembravano avere doppie punte, erano molto curati e riflettevamo persino la luce artificiale della classe.

Quanto tempo passerà a prendersi cura di sé stesso?

La domanda nacque spontanea mentre si spostava con l'attenzione sulle mani. Una poggiata aperta sul libro e l'altra nascosta sotto al banco. Non sapeva perché lo attirassero in quella maniera particolare ma in un modo o nell'altro era già la terza volta che le fissava con insistenza consapevole e per nulla imbarazzata.

Poteva sembrare persino un manico se si rifletteva sulla situazione generale ma non si sentiva tale... In realtà non sapeva neanche come spiegarlo e forse era proprio perché non c'era nulla da spiegare.
Eren, per quanto disinteressato al mondo oltre alla scultura, passava tre minuti alla settimana a guardare un suo compagno di classe in semplici azioni che ripetevano tutti gli studenti, quali entrare e sedersi. Senza nessun apparente motivo, senza fare nulla di speciale o risaltare in nessun modo, era stato in grado di rubargli quei tre minuti a settimana come non risiciva mai neanche la combriccola che chiamava potenzialmente amici, giusto per sentirsi nella norma umanitaria.

Le dita estremamente proporzionate ebbero un sussulto e nella loro finezza si strinsero in un pugno debole, quasi come se volesse inglobare su se stessa la mano. Quel movimento gli fece alzare gli occhi verdi che si scontrarono in quelli opachi tra la cortina di capelli. Non fece notare la sua sorpresa, contò fino a dieci per evitare di sembrare ridicolmente spaventato e si voltò, avendo appena percepito quelle labbra stringersi in una linea. La mano, senza più quello sguardo addosso, si nascose, raggiungendo la gemella incastrata tra le cosce.

Eren attese il rumore della campanella e quando vide appena il bomber dell'altro con l'angolo dell'occhio, allungò il braccio bloccandolo al suo fianco, arrestandolo completamente e quasi facendolo inciampare in avanti. Lo vide seguire il braccio sino a ciò che impugnava, poi finalmente raccolse la penna.
«Grazie» fu proprio Eren a rompere il silenzio e quel grazie non era solo riferito all'oggetto; aveva sentito la parola girare in bocca, grattarli il palato e dare pugni sui denti prima che la liberasse apertamente.

Quante volte aveva  detto grazie a qualcuno?

Poteva contarle sulle dita di una sola mano; era molto efficiente e indipendente, non aveva quindi bisogno di chiedere favori e il suo poco contatto sociale sfavorivano situazioni in cui c'era bisogno di dirlo. Era strano assaporare quella semplice parola diretta ad un semplice studente che disegnava fiori sui cioccolatini e portava di cognome Ackerman, così come veniva chiamato dal professore.

Grazie per avermi dato spunto quella notte.

Borbottò rumorosamente la sua testa, ma quella volta risucì a chiudere la bocca prima che perdesse la lotta. Tanto non lo sapeva e non poteva neanche immaginarlo.
Aveva ritirato il braccio da un po' e stava sistemando la borsa mentre rifletteva, consapevole che il ragazzo fosse ancora là, con lo sguardo puntato su di sé.

«Perchè mi guardi?»

Poi arrivò quella domanda, in una voce che senza il rumore della altre risultava appena profonda e pastosa, come una crema senza grumi, scivolosa e scottante e venne fermato come quel giorno davanti alla bancarella. Il braccio sospeso con i fogli in mano e la testa piegata verso la borsa. Voltò la schiena e lo guardò da sotto le ciglia, notandolo fissare ostinatamente altrove, quasi come se non stesse davvero parlando con lui, anche se ormai erano gli unici rimasti in classe, oltre a due piccioncini che stavano uscendo ora.

«Come?» parve stupido persino alle sue orecchie, ma cosa avrebbe dovuto dire?

«Lo vedo che mi guardi quando entro in classe e lo hai fatto anche prima... Quindi, perché? Hai bisogno di qualcosa?»

Eren chiuse la tracolla e si mise in piedi. Con lentezza se la passò oltre il collo e poi si voltò, dandogli la sua completa attenzione mentre si sistemava i polsini della camicia. Non poteva passare, non se se ne stava fermo là sulla sua uscita.
Era davvero basso, gli arrivava sul serio alla spalla o leggermente più in giù, impossibile capirlo davvero senza fronteggiarlo.
Ackerman voltò di poco il capo e come attirato in qualche modo dai suoi movimenti, gli fissò i polsi che portò lungo i fianchi.

Almeno ora lo guardava, anche se velatamente.

«Nulla di particolare» disse la verità, ma le sopracciglia scure dell'altro si aggrottarono un po', come se non gli credesse. Lo osservò meglio e ancora una volta, poté vedergli quel rosa pesca sulle gote, forse imbarazzato nonostante avesse parlato fermamente: «Mi fai passare?» e forse risultò brusco e maleducato ma non gli importava, voleva andare nella sua sala visto che le lezioni erano finite.

Ackerman si morse un labbro rendendolo più colorato della sua normalità e con un passo verso destra gli concesse di oltrepassarlo e uscire dalla classe, lasciandolo a fissare l'inizio del corridoio che poteva notare anche da là.

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