Capitolo 3
Non fermamente attento
"Aggiustare con un gesto calzante e silenzioso, senza credere di fare o sapere di poterlo fare...
O forse... Fingere"
[...]
Eren giocò con i primi due bottoni della giacca lunga, gli fece splendere sotto i lampioni arancioni abbelliti da striscioni festanti, i ghirigori intrinsechi in essi, volteggiarono luccicanti.
Il bordo della giacca gli solleticò i polpacci quando con un sospiro pesante si fermò a osservare il gruppo sostare davanti a una delle mille bancarelle, di quella serata straripante di persone lungo le vie, d'aria pungente di fiori.
Le scarpe batterono contro le pietre lisce e dovette attirare l'attenzione con la sua poca pazienza per nulla celata, perché la bambina che gli passò accanto, lo guardò dal basso, mano per mano con il padre. Era l'unica ad averlo guardato con quell'aria giudicante sotto le sopracciglia, curiose in occhi d'ambra.
Chiunque avesse incontrato fino ad ora, si limitava a guardare in basso o altrove quando capitava nelle sue iridi disattente.
Semplicemente si voltò senza degnarla di ulteriore attenzione e prese a osservare la bancarella a pochi metri da loro; era l'unica senza fila, sembrava una piccola grazia di Dio in quell'orda di corpi viaggianti e ridenti lungo le vie di diverse dimensioni nel centro città, ove era sicuro che se non fosse stato abbastanza alto, sarebbe soffocato oppresso senza respiro e poi sotto le diverse suole scricchiolanti e rumorose, era meglio fare attenzione a qualcosa che avrebbe ridotto in tragedia una festa ma forse esagerava, non c'era davvero tutta quella gente.
Neanche ci pensò di avvisare il suo gruppo che si sarebbe allontanato, tanto i componenti erano impegnati a lanciare anelli intorno alle sfortunate paperelle in gomma, in gesti prettamente ridicoli. Si chiese come non si sentissero designati come stupidi scolari a giocare a qualcosa di così sempliciotto e a sembrarne pure divertiti, tanto da sgozzarisata e risse delicate per la vittoria, ma in fondo era ciò che la gente intorno a lui stava facendo, notò; di certo non si piantavano come pali in mezzo alla strada, con nessuna voglia di raccogliere i fiori dai cesti che venivano porti o giocare nei diversi stand vivaci e colorati. Era ciò che le persone normali facevano; godersi il festival dei fiori senza avere nulla in mente, ridere con amici e famigliari per una serata diversa dalle altre e per qualcuno anche "magica".
In realtà non aveva neanche ben capito da cosa fosse nato quel festival, nè perché si svolgesse ma poco importava, non si era mai posto il problema e quella era la prima volta dopo anni e anni che ci tornava.
Alla fine le opportunità che si era trovato davanti erano due; stressarsi davanti all'argilla in casa sua o annoiarsi tra le strade rumorose. In qualunque caso, le urla e le risate sarebbero arrivate sino alla sua abitazione, ne era certo.
Dovette svogliatamente sgomitare e si pentì di non essersi portato la mazzetta per usarla nei limiti della decenza. Facendosi beffa di quel pensiero cavernicolo e privo di fondamenta, arrivò alla meta, meno sfarzosa delle sue coetanee. Di certo non gli importava di quella minuzia anche se forse era proprio per quello che non attirava la gente in ondate, facendo arricchire i proprietari come il resto dei lavoratori dalle tasche belle grasse.
Le mani finirono di nuovo nelle tasche e le dita si rilassarono sulla stoffa fresca graziate dal caldo che i corpi aggiungevano alla temperatura, mentre osservava da vicino i grandi vassoi che contenevano molti dolciumi. I fiori disegnati egregiamente con l'ausilio di un pennellino, abbellivano graziosamente ogni mini portata chiusa nei propri pirottini.
Eren non conosceva nemmeno la metà di tutto quel cibo e non si sforzò neanche di darne nome.
Respirò e la dolcezza fu in grado di strappare via quello delle piante troppo prepotenti e uniti in un unico grumo tra le strade. Ne fu grato, non era sicuro di poter resistere ancora a quella che secondo lui era solo un'unica e fastidiosa puzza:
Non tutti i fiori erano nati per stare bene insieme, per quanto i colori potessero combaciare e sposarsi bene.
Il proprietario dello stand parve balzare nel limite del suo raggio visivo abbassato, quando, una volta voltato da qualsiasi cosa stesse facendo con quelle pinze luccicanti, se lo trovò davanti.
«Buonasera» parlò la sua voce che si mescolava tra tutte le altre, non dando alcuna sfumatura differente da ciò che aveva sentito sino ad ora «Cosa posso servirle?»
A Eren parve naturale trovare la piacevolezza nel suo tono, infondo era uno dei suoi pochi clienti della serata. Poteva quasi fargli tenerezza la sua voglia di accalappiarli qualcosa ma sfortunatamente doveva proprio spegnere quella fiammella soffusa che prediceva entrate.
Quei venditori cosa facevano una volta finito il festival? Come lavoravano?
«Niente, non mi piacciono particolarmente i dolci» proruppe senza provare colpevolezza per l'illusione che la sua presenza aveva creato. Rimase un attimo in più a guardare una margherita stilizzata, poi si voltò, notando il suo gruppo girare le testa alla sua ricerca, già resosi conto di quella assenza silenziosa.
«Aspetta» e di certo non si aspettava di essere fermato mentre aveva già un piede davanti all'altro, con quell'esclamazione che aveva alzato di un'ottava la tonalità per scalare le altre.
Cosa poteva volere da lui quel venditore scarno?
Si voltò con le sopracciglia aggrottate che raccontavano il disappunto e nella sua visuale rientrò il pallidume di quel volto sottile che ancora non aveva guardato davvero. Gli occhi simbolicamente di mezza luna eclissale, non facevano riconoscere il loro colore per via della penombra creata dalla bandana, stretta sulla testa a coprirne completamente i capelli, ma non se ne curò; non ci provò neanche a carpirne i dettagli, nè a studiarlo meglio oltre il grembiule nero, ricamato in rosette appuntite. Erano particolari poco avvincenti.
Attese, lasciando che la gente lo sorpassasse toccandolo nel minimo della decenza, finchè le dita lunghe e sottili gli allungarono un fiocchetto ricoperto di cacao. Di quella mano studiò i nodi sulle giunture e le unghie lucide che non presentavano pellicine, quasi regalmente curate. La manica della camicia scura copriva egregiamente il polso, rendendo invisibile altra pelle sotto il verde scandagliante. Rimase a fissare quel dolce con la domanda sospesa sulla sua testa come un'ascia e il venditore parve capire che gli stesse facendo perdere inutilmente del tempo, forse carpì anche la nota di fastidio sul volto apatico, perché finalmente separò le labbra per parlare e terminare quell'inutile silenzio che strideva nel caos sgargiante.
«Questo non è per niente dolce... Se vuoi provarlo, lo offre la casa»
Riuscì a distinguere appena quella frase prima che il gruppo che lo aveva accompagnato al festival lo raggiungesse, curiosando in giro con l'acquolina in bocca. Non seppe perché la mano destra sgusciò via dalla tasca, ne perché afferrò il cubetto, attento a non toccare altro. In qualunque caso, ora aveva pollice e indice occupati mentre si limitava a dire che non avesse più voglia di stare là e lasciasse il resto della combriccola, a guardarlo senza grandi aspettative su come la serata avesse preso piega, consapevoli che la sua presenza fosse già unicamente rara.
Neanche ringraziò quella gentilezza troppo virtuosa che trasudava, infastidendolo in qualche maniera nelle viscere come un dardo sottile e avvelenato, in grado di colpire nei punti giusti. Aveva accettato in silenzio solo perché aveva bisogno di mettere su quella maschera che aiutava a non spaventare chi non aveva voglia di spaventare, non era un caso che i loro occhi non si fossero neanche incrociati.
Sulla via del ritorno, quando ormai si era allontanato dalla folla, allungò la presa abbastanza delicata da non averlo spezzato, verso un cestino della spazzatura. Una folata di vento alzò il cacao in polvere e solo l'orchidea che risaltò disegnata, fu in grado di bloccarlo e incatenarlo nei movimenti. Con una scrollata di spalle scartò il pirottino e addentò il cubotto croccante al cioccolato fondente e tenero dentro. Il caramello salato gli devastò le papille gustative, esplodendogli sulla lingua in una cascata d'oro colato che lambiva la lingua e il palato.
Era ancora troppo dolce.
L'altra metà non fu salvata dalla sua spietatezza e la adesso mezza orchidea fissò il cielo scuro, consapevole di non poter mai essere terminata mentre i passi si allontanavano.
Non aveva nessuna fretta nel suo camminare che lo guidò senza remore verso casa. Aprì la porta, per quanta poca voglia avesse di entrare nel silenzio che parve fischiare dopo il macello della piazza e si spogliò dalla giacca, appendendola all'attaccapanni. Alla fine parve sciogliere le spalle nella solitudine pacifica ritrovata.
Dopo qualche ora, l'ultimo tepalo, esattamente quello basale dalla forma rigonfia, venne attaccato ai restanti cinque. L'argilla era stata modellata in un'orchidea che l'occhio artistico aveva incastrato nella sua testa senza neanche dargli il suo parere; era la stessa che giaceva sulla superficie del dolce che gli aveva donato il venditore.
Con l'indice accarezzò il tepalo in cima, quello sovrano ai restanti, senza dargli pieghe non volute data la distanza che tenne accuratamente. Certi modelli li aveva creati solo molti anni fa, all'inizio della scoperta di ciò che era in grado di fare, eppure gli piacque il modo delicato in cui venne fuori, fragile sul principio dello stelo sottile. Era molto bello da rimirare, l'esperienza aveva sicuramente migliorato anche un'arte così semplice.
Piegò le braccia sul tavolo ben fermo e vi poggiò il mento sopra, ammirandolo da vicino: non poteva essere una delle opere più prerompenti agli occhi di molti ma a quelli suoi, abituati a cose sfarzose, non sembrava dispiacere. E bastò per acquetare il senso di perdizione disagevole che lo aveva avvolto come un telo di cellofan.
Era ora di farla asciugare. Si prefisse, mettendosi seduto, sentendo la stanchezza tramontare lentamente negli occhi appiccicosi.
Rimase fermo nello stesso punto, quasi come se qualcosa sarebbe potuto andare storto e rovinare quella piccola punta di gioia, prima di risucire a staccarsi da là.
Le mani vennero risciacquate dall'acqua calda, il rosso granulare colò nel canale di scolo attecchendo al viaggio verso le vie fognarie. Con le dita grattò qualche ferita nuda, facendole bruciare e ripulendole come meglio poteva, senza pazienza. Ascoltò il rumore del suo respiro mite che si abbatteva nel bagno vuoto e tornò nella piccola sala illuminata, odorosa di diversi materiali, dove si sedette ancora sullo sgabello in legno; si era dimenticato il grembiule e aveva sporcato la tuta e il torso nudo, pizzicato dalla freschezza delle finestre semiaperte: Era costretto a farsi una doccia prima di andare a dormire.
Tenne le mani in grembo mentre a labbra tese in espressione tranquilla, guardava quella piccola opera d'arte; la prima soddisfacente dopo parecchio tempo.
Quel venditore non aveva nulla di speciale, non ricordava neanche come fosse il suo volto, un vago ricordo solo nelle dita magre e nel grembiule scuro ma si ritrovò ad ammettere un ringraziamento pensante, perché la sua creazione lo aveva portato finalmente a qualcosa di concreto, per quanto stupido e piccolo fosse.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top