Capitolo 7 - Non capisco

Del tutto fradicia, Melany si fermò sotto il tendone di una gelateria chiusa. La cartella sopra la testa era risultata del tutto inutile per contrastare quell'incredibile diluvio improvviso ed era riuscita a fare poca strada verso casa, giusto il tempo di ritornare vicino alla scuola. Tentò più volte di telefonare a sua madre, ma il numero risultava irraggiungibile. Non che potesse fare granché per lei, in realtà, dal momento che non avevano un'auto, ma almeno sarebbe potuta andare in suo soccorso con un ombrello o un impermeabile per preservare quel poco di asciutto che le era rimasto.

Mentre cercava di placare i tremori, strofinandosi le braccia con le mani, non si accorse che qualcuno ancora più zuppo di lei le si era avvicinata.

«Trovato chiuso?» domandò una voce familiare.

Melany volse il capo e spalancò gli occhi. «Ren! Ma sei fradicio!» esclamò sorpresa di vederlo. Che incontro inaspettato!

«Anche tu sei messa male» ribatté lui alzando di poco il cappuccio della felpa sulla testa, inutile contro la pioggia. «Ma voi ragazze non avete sempre una super-scorta di tutto per ogni evenienza?» la stuzzicò quando fu evidente la sua necessità di un fazzoletto per soffiare il naso.

«Gne-gne. Non ho la borsa di Mary Poppins» rispose falsamente indispettita. «Non accenna a smettere, eh?» Volse lo sguardo al cielo carico di pioggia e si immaginò a letto con l'influenza. «Tu che ci fai qui?» chiese, tornando a guardarlo e constatando che non stava affatto soffrendo il freddo, nonostante fosse conciato peggio di lei. "Forse i ragazzi hanno una temperatura corporea diversa".

«Tornavo a casa. Vuoi venire? È qui vicino» le propose d'improvviso, fissando il temporale.

Melany strabuzzò gli occhi. «C-Come?! Io? A-A casa tua? No no, grazie!» esclamò d'istinto, imbarazzata. Davvero le aveva appena proposto di andare a casa sua? Lui? Il ragazzo che le diceva sempre quanto fosse fastidioso averla intorno? Non ci poteva credere. Non era possibile.

Ren le rivolse uno sguardo di sufficienza. «Intendo per asciugarti. A cosa hai pensato?» ribatté malizioso, divertito del suo evidente disagio.

«Beh, certo... per asciugarmi... L'avevo capito, eh» mormorò Melany, cercando di mascherare la vergogna nei confronti di quei pensieri indesiderati che, per un attimo, le avevano attraversato la mente.

Se non avesse voluto passare giorni interi a letto con la febbre alta, avrebbe dovuto tamponare i capelli e scaldare i vestiti il prima possibile. Tuttavia, il pensiero che a casa di Ren sarebbero stati soli l'agitò, nonostante lui era stato chiaro sulle sue intenzioni. Era indecisa, non sapeva cosa fare. D'altro canto, sarebbe stata un'ottima occasione per scoprire qualcosa in più su Ren.

Alla fine, quando lo vide incamminarsi a passo svelto decise di seguirlo, riparandosi come poté.   

«Permeeesso...» mormorò Melany, superando l'ingresso.

Ren abitava in un piccolo monolocale al secondo piano di un palazzo, non molto lontano dalla scuola. Attraversò un corridoio stretto ed entrò nel soggiorno-cucina, che si presentò piuttosto in disordine. "Allora è vero che i ragazzi sono sciatti" pensò guardandosi intorno. Diversi libri erano sparsi sul divano di pelle, alcuni fogli di carta appallottolati sul tavolino basso in legno e una pila di riviste musicali poggiata a terra, accanto alla poltrona.

«A chi hai detto "permesso"? Lo sai che non c'è nessuno» disse Ren, porgendole un asciugamano. «Tieni, va' prima tu nel bagno» aggiunse indicandolo, poi si avvicinò all'armadietto pensile alle loro spalle.

Melany si asciugò i capelli con il fon a muro, sistemato accanto alla specchiera sopra il lavandino. Guardò il suo riflesso e si domandò che cosa stesse facendo, da sola in casa con un ragazzo. "Dovevo asciugarmi i capelli" rispose a sé stessa per giustificarsi, ma era palese quanto risuonasse di scusa e anche pessima. Perché l'aveva seguito? Che cosa si aspettava da lui?

Uscì dal bagno poco dopo, nonostante i capelli ancora umidi, convinta che la cosa migliore sarebbe stata andar via di lì il prima possibile, così da evitare che la fantasia galoppasse più del dovuto. Tuttavia, la sua attenzione venne subito catturata da Ren e dalla sua insistente ricerca.

«Cosa stai facendo?» chiese mantenendosi a distanza. La sua tensione era quasi palpabile.

«Mi serve un'aspirina» rispose lui senza interrompersi.

«Oh... Hai mal di testa? Ti do una mano» ribatté Melany, avvicinandosi e mettendo da parte il disagio. Sarebbe stata una stupida a non aiutarlo sapendo che non stava bene.

Subito iniziò ad aprire e chiudere cassetti nella speranza di trovare ciò che gli serviva. Era così concentrata nella sua ispezione che, senza rendersene conto, colpì con il dorso della mano un piccolo soprammobile a forma di elefante. Tentò di salvarlo prima che cadesse a terra e sfiorò la mano di Ren, che era riuscito a prenderlo al volo.

«Ehi! Ma tu scotti! Sei una fornace» esclamò Melany, toccandogli d'istinto il collo con le dita.

«Cosa diavolo fai?» lamentò Ren, allontanando di fretta la sua mano.

«S-Scusa... ma hai bisogno di qualcosa per abbassare la febbre. L'aspirina non serve a nulla» incalzò, preoccupata per le sue condizioni e imbarazzata per quel gesto compiuto senza pensare.

«Non ne ho» rispose, spostando la ricerca in un altro mobiletto.

«E allora adesso esco a comprartela» dichiarò Melany, prendendo zaino e giubbotto che aveva posato ai piedi del divano per non bagnarlo.

«Fatti gli affari tuoi, Melany! Se hai finito, va' via. Non voglio nulla da te» gridò Ren prima che potesse uscire di casa. Sembrava molto arrabbiato, del tutto diverso dal ragazzo disponibile che si era mostrato fino a un attimo prima.

Melany si pietrificò, confusa. Perché aveva reagito così? Dove aveva sbagliato? Era stata troppo invadente? Eppure, voleva solo aiutarlo, nient'altro. All'improvviso sentì la rabbia crescere nel petto: non si meritava quel trattamento. Schiuse le labbra per rispondergli a tono, ma decise che non ne valeva la pena. Si rigirò e uscì dall'appartamento, sbattendo la porta.    

Il giorno dopo Melany si presentò a scuola con il naso colante e le borse sotto agli occhi. L'agitazione della mattina precedente l'aveva resa insonne e irritabile. Aveva immaginato conversazioni inesistenti in cui rimproverava Ren per come l'aveva trattata, alternate da altre situazioni in cui soprassedeva sul suo comportamento e lo aiutava porgendogli il medicinale comprato. Ed era proprio quest'ultimo punto a infastidirla più di tutto: uscendo dal suo monolocale, sotto la pioggia, nervosa e indispettita, invece di correre a casa si era fermata in farmacia spendendo i suoi pochi risparmi per prendergli un antinfluenzale.

«...lany? Oh, Melany?!» gridò Risa, scuotendole la spalla.

«C-Che c'è?» mormorò, in ripresa dallo spavento per essere stata riportata dal mondo dei suoi pensieri in modo tanto burbero.

«Il panino. Lo prendi o no? È mezz'ora che Anna te lo sta dando» ribatté seccata. Risa addentò il proprio tramezzino e uscì dell'aula dei bidelli.

Melany si scusò con Anna, prese il panino e le andò dietro.

«Sei molto distratta oggi. Devo per forza chiederti cos'hai?» disse la compagna quando la vide dietro di sé.

«Distratta? Non sono affatto di... stratta...» Rallentò la frase quando, voltando il capo nel corridoio dell'aula di scienze, vide Ren accanto alla porta che conduceva al campetto esterno. «S-Scusa, vai avanti. Ti raggiungo». Cambiò direzione senza degnare l'amica di uno sguardo, tanto da perdersi la sua reazione sconcertata.

Ren era seduto a terra, con la schiena appoggiata al muro, le cuffie nelle orecchie e gli occhi chiusi. Non si muoveva, ma sembrava avere il fiato corto.

«E tu cosa ci fai qui?» chiese Melany, guardandolo dall'alto con le braccia conserte e il panino sporgente.

Ren levò una cuffia e, senza alzare lo sguardo, sospirò. «Vengo a scuola. E tu?» rispose saccente, ancora con gli occhi chiusi. Non aveva bisogno di aprirli per capire chi fosse, la sua voce era inconfondibile.

«Ieri avevi la febbre. Dovresti restare a casa!» lo rimproverò, aggiungendo alla sua posizione di stizza un piede che batteva sul pavimento.

«Ma che cosa vuoi? Vattene e non rompere». Di nuovo non la degnò di uno sguardo, rimise la cuffietta e nascose le mani nella tasca della felpa scura.

Melany era rossa di rabbia. Avrebbe voluto dargli un calcio, tirargli il panino addosso e gridargli quanto lo detestasse, ma girò i tacchi e s'incamminò con passo pesante per tornare in classe.

Quando fu di fronte all'aula di scienze vide Bruno, seduto sulla cattedra a messaggiare con il cellulare. Subito gli si avvicinò. «Prendi! E dalla a quel... cretino!» strillò inviperita, buttandogli sul petto la confezione del farmaco che aveva acquistato, e andò via.

Tutta quella collera la fece ragionare sul perché se la prendesse tanto per lui. Non erano nulla l'uno per l'altro, forse neanche amici dal punto di vista di Ren. E allora perché preoccuparsi fino a quel punto? Le aveva ribadito più volte di voler restare da solo e lei si sarebbe fatta i fatti suoi, come le aveva chiesto già il primo giorno. Sapeva da tempo che quella "relazione" non sarebbe durata a lungo ed era giunto il momento di troncarla. Così, ripetendosi il classico "D'ora in poi non voglio più vederlo", smise di tormentarsi. Ma solo fino al giorno seguente.

Con la scusa di prendere un panino, diede un'occhiata al corridoio dell'aula di scienze, che si presentò stranamente silenzioso. Senza rendersene conto si ritrovò dentro la classe alla ricerca di Ren, tuttavia di lui non vi era alcuna traccia.

«Ma Ren? Dov'è?» chiese rivolgendosi ai ragazzi, intenti a spartirsi dei soldi di cui non voleva conoscere la provenienza.

«E io che ne so?» rispose Bruno. «Però, ci sono io per te. Ti va di farmi compagnia, piccola?» aggiunse con sorriso malizioso.

Melany alzò gli occhi al cielo e mugugnò un lamento senza dargli corda, poi andò via pensierosa. Si disse che, da buon scansafatiche qual era, Ren aveva deciso di saltare la scuola. Poi, però, un pensiero le balenò in testa: e se invece la sua salute fosse peggiorata? Se la febbre si fosse così alzata da impedirgli di uscire di casa? Quei tre incapaci non sapevano dirle nulla e lei non aveva alcun modo per contattarlo.

Oppure sì?  

Quando Melany arrivò di fronte all'edificio trovò il portone chiuso. Si fermò sotto al porticato e osservò il citofono alla ricerca del suo nome, che trovò subito: "Ren Fonte". Mentre combatteva con se stessa, indecisa se suonare o meno, una signora anziana schiuse l'uscio.

«Ehm... mi scusi», mormorò Melany rivolgendosi alla donna, «sto cercando Ren, un ragazzo alto così, capelli neri, occhi luminosi... Ehm, sa s'è uscito questa mattina?» chiese mimando le caratteristiche del ragazzo.

«Penso di no. In genere la mattina si occupa lui del gattino randagio che gironzola da queste parti, ma oggi è rimasto a digiuno» rispose la signora, accovacciandosi con fatica sulle ginocchia e fischiettando per attirare l'attenzione di un piccolo micio bianco e nero nascosto lì vicino «Sei la sua fidanzata?» domandò, riempiendo un piattino con del latte per il piccolo.

Melany avvampò. «C-Cosa?! Io la sua fidanzata? Nossignore! Siamo solo "compagni" di scuola, se così si può dire» ribatté con veemenza, cercando di scacciare ogni dubbio nell'anziana. La signora fece fatica a rialzarsi e si appoggiò al braccio che la ragazza le offrì per aiutarla.

«Vuoi entrare a vedere s'è tutto a posto? Ho le chiavi del palazzo, sai? Comando io qui» ridacchiò facendole segno di entrare nel portone, che Melany richiuse alle spalle.

Quando furono davanti alla porta di Ren la ragazza preparò il pugno per bussare, ma la signora la fermò con un cenno della mano. Aprì la serratura con il passe-partout e, dopo averle dato una pacca sulla spalla e rivolto un sorriso sospettoso, si dileguò.

Melany ingoiò la saliva che si era accumulata per l'agitazione. Era successo tutto così in fretta che non aveva avuto il tempo di pensare a cosa fare, come approcciarlo perché non si arrabbiasse ancora e piombare in casa sua senza preavviso era tutt'altro che un passo avanti.

«P-Permesso?» bisbigliò entrando a passo velato, quasi fosse una ladra. Non ricevendo risposta, si diresse in soggiorno.

L'appartamento sembrava vuoto e tutta la sua tensione sparì quando realizzò che, forse, non lo avrebbe incontrato. Poi, un respiro pesante attirò la sua attenzione. Ritornò nel corridoio e si avvicinò a quella che supponeva dovesse essere la sua stanza. E lo trovò lì, sul letto, coperto da una calda coperta e con le sue medicine poggiate sul comodino di fianco.

«Non ti servivano, eh?» mormorò, guardando la confezione con quattro pillole in meno.

Era una situazione un po' strana, da film, dove lei aiuta lui nel momento del bisogno e si innamorano... "Un momento. S'innamorano? Ma che cavolo mi salta in mente!" sbottò, sconvolta da quel pensiero. Persa nel mondo della sua fantasia, non fece caso al risveglio del ragazzo.

«Cazzo!» gridò Ren, sussultando.

«Eeh, esagerato!» ribatté Melany, agitando le buste di plastica che reggeva in mano.

«Mi hai fatto prendere un colpo!» lamentò fissandola con rabbia.

«Andiamo, non sono mica così brutta» ironizzò lei con un gran sorriso.

Ren sospirò. «Che cavolo ci fai qui?» Sollevò le coperte e si mise a sedere sul letto, massaggiandosi la nuca.

«Passavo di qua per caso e una tenera vecchina mi ha fatto entrare» spiegò mentre rovistava in una delle buste.

«Vecchina? Sarà stata Teresa...» sussurrò Ren fra sé e sé. Prese un bicchiere d'acqua, mise in bocca una pillola e mandò giù un sorso. I suoi occhi erano fissi su Melany e ne analizzavano i movimenti. Aveva come sempre indosso dei vestiti colorati, troppo per i suoi gusti, ma probabilmente avrebbe faticato a vederla con abiti più scuri.

«Questa è per te» dichiarò Melany mostrandogli una delle buste. «Sarebbe la mia spesa, ma ti posso cedere qualcosa per prepararti un buon brodo caldo» aggiunse e, senza attendere risposta, si avviò verso la cucina. Voleva mostrarsi sicura di sé o di certo lui ne avrebbe approfittato per cacciarla via.

«Odio il brodo di pollo» lamentò Ren alzandosi dal letto e seguendola, un po' barcollante.

«Bene, perché è vegetale. Non compro cadaveri se non sono costretta» precisò, appoggiando le buste vicino al piano cottura e tirando fuori alcune verdure.

«Peggio ancora» ridacchiò lui, sedendosi sul divanetto vicino. Infilò le mani in tasca e incrociò le gambe sulla seduta. «Perché sei venuta? Non mi piace avere gente in casa» brontolò osservandola.

Melany alzò le spalle. «Posso andare via, se vuoi» mormorò, conscia di aver esagerato con la sua intromissione improvvisa.

Ren la guardò in silenzio, poi volse il capo di fronte a sé e sospirò. «Ormai sei qui...» bisbigliò, perdendosi il lieve sorriso della ragazza.

«Hai misurato la febbre? Quant'è?» chiese Melany, sbucciando gli ortaggi con il coltello trovato in un cassetto.

«Non lo so». Ren chiuse gli occhi e portò due dita alle tempie nella speranza di mitigare una fitta alla testa.

Melany decise di non tirare oltre la corda e si affrettò a preparare quanto detto, pur essendo molto stupita di non averlo visto sbraitare, ancora.

Quando fu pronto, Ren assaggiò il brodo e si lamentò solo della pastina molto piccola, da ospedale, che lei gli aveva rifilato

«Ci volevi i maccheroni con il brodo?» ironizzò, strappandogli un sorriso.

Stava procedendo tutto molto bene: lui non era arrabbiato e lei parlava poco, il giusto equilibrio. Ma poi, quando Melany gli stava raccontando un aneddoto sulla madre, Ren s'innervosì senza motivo e iniziò a trattarla male.

«Ti preoccupi per me perché ti piace fare la crocerossina, vero?» disse con tono arrogante, guardandola con compassione.

«Ma quale crocerossina! Visto che vivi da solo volevo darti una mano, tutto qui» rispose, indispettita e a disagio per il suo repentino cambio d'umore.

«Certo, per dimostrare che sei meglio di tua madre che ti ignora» ridacchiò. Puntò lo sguardo su di lei, per vedere la sua reazione, e ricevette un sonoro schiaffo.

Melany si drizzò in piedi e lo fulminò con i suoi profondi occhi di giada, carichi di risentimento per le sue perfide parole; si sentiva ferita e aveva reagito senza pensare. Non avrebbe voluto che andasse a finire così, ma lui era stato così stronzo che se ne sarebbe meritato anche un altro. Delusa e quasi sull'orlo del pianto, prese la sua busta e uscì di corsa dall'appartamento, senza neanche chiudere la porta.   

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