Capitolo 36 - Una speranza

Ren, nonostante il resto della sua classe si fosse unito al gruppo di evasi, era rimasto chiuso nella sua stanza. Non aveva voglia di vedere né sentire la voce di nessuno. Si era sistemato sul letto, seduto con la schiena contro il muro e le cuffie nelle orecchie, quando Bruno gli mandò un messaggio; vide lo schermo del telefono illuminarsi e lo prese. Un attimo dopo tirò via le cuffiette e ne strinse con forza i fili.

Scaraventò il telefono sul fondo del materasso e si alzò dal letto passandosi nervosamente le mani fra i capelli. Ciò che era successo fra loro quella mattina lo aveva completamente demoralizzato, tanto da fargli decidere di smetterla di dannarsi per lei: ogniqualvolta gli sembrava di aver fatto qualche passo nella sua direzione, Melany ne faceva il doppio in senso contrario. Non voleva più tormentarsi, non voleva più soffrire e smettere di sentirsi così patetico. Quella foto, però, aveva fatto salire alle stelle la sua gelosia insieme al desiderio di andare lì, picchiare quel tipo e riprendersi la sua ragazza.

Recuperò il telefono e visualizzò ancora quell'immagine: Melany era davvero molto bella e il suo atteggiamento nei confronti di Irvine non ammetteva equivoci. Invidiò terribilmente quel maledetto che era riuscito a conquistare la sua fiducia, e forse anche il suo cuore. Come aveva potuto una ragazza semplice come lei scatenare in lui emozioni tanto forti? Più volte si era posto la domanda, chiedendosi quale fosse stato il momento in cui avesse abbassato le difese permettendo a uno stupido sentimento come l'amore di prendere il controllo su di lui. E perché mai era riuscita a penetrare così in profondità la sua anima? Odiava ciò che le aveva permesso di fargli, rendendolo debole e schiavo delle sue emozioni, schiavo di lei.

Nonostante ciò, non riusciva a smettere di guardarla: così bella e delicata, desiderò trovarsi al posto del ragazzo dai capelli rossi. Dov'era finito il suo orgoglio? Lui non era mai stato così, non si faceva trascinare dai capricci delle ragazze. Non gli era mai importato nulla.

All'improvviso spalancò gli occhi dallo stupore.

«Non è possibile...» sussurrò, ingrandendo l'immagine. La sua impressione si rivelò veritiera: al collo, Melany portava la collana con la farfalla.

Ma perché? Perché mettersela dopo tutto quello che gli aveva detto? Che significato aveva? Forse niente. Magari, semplicemente le piaceva portarla. No. Doveva esserci una spiegazione. Non era il tipo da fare una cosa del genere con leggerezza, o almeno non lo era la ragazza di prima.

Bloccò la schermata del telefono per lanciarlo nuovamente sul letto, ma improvvisamente questo squillò e Ren, leggendo il nome di chi lo stava chiamando, seccato, decise di rispondere.

«Che cosa vuoi?»

«È questo il modo di rispondere a tua sorella?» disse Cecile con tono di rimprovero.

«Sto chiudendo» replicò lui, allontanando lo smartphone dall'orecchio.

«A-Aspetta! Io... ho una confessione da farti» esclamò, facendogli percepire una certa tensione.

Ren sbuffò e si sedette sul letto. «Parla, ma sappi che non sono dell'umore giusto» borbottò, appoggiando il gomito sul ginocchio e la fronte sul palmo della mano, per poi socchiudere le palpebre. Proprio non era il momento di ascoltare le scemenze di sua sorella e si pentì di aver risposto.

«Io so perché Melany ti ha lasciato» bisbigliò lentamente e Ren spalancò gli occhi all'istante.

«Che cosa?!» gridò incredulo.

«Mi dispiace, Gioren, mi dispiace da morire! Io l'ho fatto solo per il tuo bene!» strillò Cecile con voce tremante.

«Di cosa diavolo stai parlando?» sbottò arrabbiato, alzandosi dal letto.

«Io... le ho detto che la colpa era sua se... se tu sei rimasto coinvolto in quell'incidente» confessò, pentita per quello che aveva fatto. Vedere suo fratello soffrire ogni giorno per la loro separazione le stava logorando l'anima. Non poteva continuare e nasconderglielo.

Gli occhi cristallini di Ren, che in quel momento abitavano un cielo grigio in tempesta, si spalancarono caricandosi d'odio mentre il petto si gonfiava di rabbia.

«Tu le hai detto... COSA?!» urlò come se la sua voce dovesse raggiungerla da quella distanza, stringendo forte il telefono con la sinistra, tanto da sentirlo scricchiolare.

«Cerca di capirmi, ero spaventata! Quando sono arrivata in ospedale con papà ero terrorizzata e vederla solo con qualche graffio mentre tu lottavi per la vita mi ha fatto andare il sangue alla testa e le ho gridato contro quello che pensavo. Io non credevo che...» raccontò, impaurita dal tono di voce adirato del fratello. Sapeva che si sarebbe arrabbiato, ma mai avrebbe creduto di sentirlo così alterato.

«Come cazzo ti è venuto in mente di darle la colpa?! Ma tu lo sai che ha tentato di rianimarmi fino all'arrivo dei soccorsi? Lo sai?! Hai provato anche solo a pensare cosa deve aver passato?!» inveì furioso, camminando con passo pesante per la stanza, imprimendo i polpastrelli di una mano sulla testa per mitigare il forte dolore scoppiato all'improvviso. Il suo respiro era veloce e affannato e le pupille strette per la rabbia.

Come aveva potuto farlo? Come si era permessa di dar voce ai suoi stupidi e vergognosi giudizi?

«Io non lo sapevo! Ce l'ha detto il medico poco dopo. Se solo lo avessi saputo, io...» La voce di sua sorella tremava e sembrava stesse piangendo, ma Ren non ebbe pietà per le sue lacrime.

«Sta' zitta, Cecile! Sta' zitta! Non ti azzardare mai più a parlarmi, hai capito?!» sbraitò, chiudendo la telefonata e buttando il cellulare sul letto.

Ren passeggiò nervosamente per la stanza con le mani nei capelli. Adesso tutto aveva un senso: Melany si era convinta di essere la causa dell'accaduto, caricandosi del peso di quella tragedia come fosse stata colpa sua e aveva deciso di allontanarsi da lui per la paura che capitasse ancora. Tutto tornava e finalmente aveva scoperto la motivazione del suo comportamento, ma temeva che ormai fosse troppo tardi per porvi rimedio.

Ripensando alle parole di sua sorella, sentì la rabbia prendere possesso del suo corpo: quella maledetta stronza l'aveva accusata in un momento così delicato e, a quanto aveva capito, anche suo padre avrebbe assistito alla terribile calunnia senza informarlo di nulla o intervenire. E Claudia, invece? Perché la donna, invece di mandargli stupidi messaggi, non gli aveva raccontato com'erano andare le cose? Com'era possibile che nessuno sembrasse essere dalla loro parte? Si ripromise che, una volta tornato in città, non avrebbe mai più messo piede in quella casa di serpi e sarebbe tornato nel suo appartamento.

Smise di muoversi freneticamente e cercò di riacquistare un po' di lucidità: aveva deciso che non avrebbe più infastidito Melany, ma, dopo quanto saputo, voleva fare un ultimo disperato tentativo. Sentiva, anzi sperava che i suoi sentimenti per lui non fossero cambiati, quegli stessi sentimenti che all'inizio aveva rifiutato, mentre in quel momento bramava sentirli sulla sua pelle e nel cuore.

Tuttavia, cosa dirle? Quali parole sarebbero riuscite a smuovere il suo cuore ferito e impaurito? Tutto quello che desiderava era poterla stringere forte a sé per rassicurarla e dirle che non era stato affatto colpa sua; al contrario, era stata la sua salvezza, il suo angelo e se non lo avesse amato a tal punto da tentare il tutto per tutto in quel momento non sarebbe lì, ma in una cassa di mogano sottoterra.

Sciolse le braccia lungo i fianchi e si guardò nel piccolo specchio appeso al muro: dentro di sé sentì di aver trovato le parole giuste.

Melany, dopo aver vomitato l'anima ed essersi sfogata in un lungo pianto nel bagno del locale, aveva deciso di tornare in albergo da sola, rifiutando la proposta di Irvine che voleva accompagnarla: non voleva infierire oltre, dopo il suo rifiuto.

La discoteca era abbastanza vicina e in circa dieci minuti fu nella Hall dell'Hotel, salendo al terzo piano per raggiungere la sua stanza. Sganciò i laccetti dei sandali, lasciò cadere gli shorts a terra e sfilò il top; indossò un pinocchietto e una t-shirt lunga, che usava come pigiama, e andò nel bagno a sciacquare la faccia e a lavare i denti, per rimuovere quell'orribile sensazione che sentiva ancora in bocca e nel naso. La gola le bruciava, così come l'esofago e il petto. Si guardò allo specchio osservando gli occhi gonfi e rossi, in contrasto con la pelle pallida: aveva davvero toccato il fondo.

Prese degli spiccioli dal borsellino dentro alla borsa e uscì dalla stanza; avanzando lentamente si diresse verso i distributori di bevande di quel piano, per prendere qualcosa al gusto di limone che le aggiustasse lo stomaco. Si fermò di fronte al macchinario osservando quel che c'era al suo interno. Che cosa stava combinando? Si trovava in un periodo importante della vita e doveva concentrarsi sul futuro; invece, l'amore aveva offuscato la sua mente soffocando ogni altro tipo di pensiero. Faticava a riprendere le redini della sua vita e questo la faceva sentire debole e immatura. "Sono patetica..." pensò, osservando la sua immagine riflessa dal vetro del distributore.

Inaspettatamente comparve un'ombra alle sue spalle e Melany spalancò gli occhi senza riuscire a muoversi o a respirare.

«Divertita in discoteca?» le domandò Ren, fermo a un metro dalle sue spalle.

Melany osservò il riflesso del ragazzo catturata dai suoi splendidi occhi azzurri che risplendevano cristallini, fissi su di lei, poi la sua attenzione scese sulla maglia bordeaux che risaltava perfettamente il suo affascinante fisico asciutto. Deglutì. Perché era lì? Cosa voleva ancora? Non gli era bastata la conversazione avuta quella mattina? Non voleva più trattarlo male, non riusciva a sopportare di vedere ancora sul suo viso quell'espressione affranta a causa delle sue parole. Perché non la lasciava in pace?

«N-Non voglio parlare con te» borbottò, mantenendosi di spalle perché non notasse il suo imbarazzo e gli occhi rossi per il troppo pianto. "Ti prego, va' via! Va' via!" supplicò nella mente, stanca e dolente. Il cuore aveva accelerato i battiti e strinse la maglia sul petto nella speranza di soffocarne l'insistente rimbombo.

Ren sospirò e guardò altrove. Aveva osservato il volto della ragazza riflesso sul vetro guardarlo con espressione sofferente: se fosse davvero lui la causa dei suoi mali, allora sarebbe scomparso dalla sua vita. Non avrebbe mai voluto causarle tanto dolore.

«Sì, lo so... Ho capito. Volevo dirti solo questo: non ho più intenzione di darti fastidio, Melany, te lo giuro. Non voglio che tu soffra e se avermi vicino ti fa stare così male, allora sparirò come desideri: non ti cercherò, non ci parleremo e non ci vedremo più...», mormorò a disagio tornando a guardare i suoi splendidi occhi riflessi, spalancati e fissi su di lui, «... ma questo non vuol dire che smetterò di pensare a te. Non potrei mai, perché ormai ho capito che ti amo» aggiunse con un sorriso amaro, soffiando quelle cinque lettere che non aveva mai pronunciato per nessuna. Poi avvicinò la mano ai capelli della ragazza, ma prima di toccarli la ritrasse e si voltò per andare via. Non credeva che ammettere ad alta voce i suoi sentimenti per lei potesse renderlo tanto triste.

Melany rimase impietrita, in apnea: posò una mano sul vetro del distributore, per evitare di perdere l'equilibrio, e l'altra sul petto cercando di fermare il cuore che, indubbiamente, voleva sfondarle lo sterno.

Mai si sarebbe immaginata che le avrebbe confessato con sincerità ciò che sentiva, ancor meno che scegliesse proprio quelle parole. Né, tantomeno, riusciva a credere che i suoi sentimenti per lei fossero tanto forti. Aveva sempre creduto che l'ago della bilancia pendesse vertiginosamente dalla sua parte, tuttavia il loro amore era perfettamente alla pari.

Dunque, come poteva continuare a ignorarlo? Come poteva soffocare ancora l'emozione e il desiderio che scavavano fin dentro alle ossa per poter incidere il suo nome?

Di fretta si diresse nella sua stanza, scordandosi di prendere la bibita, e spegnendo la luce si nascose sotto le coperte, che tirò fin sopra alla testa. Si rannicchiò abbracciando le gambe e un sorriso nacque spontaneo sulle sue labbra. Il gelo che aveva sempre avvertito nel cuore aveva lasciato spazio a un tiepido calore.

«Quest'oggi passeremo tutto il giorno a visitare i posti indicati nell'itinerario, ma avrete due ore di tempo libero verso pranzo» dichiarò il professore, poco prima di avviarsi verso la prossima tappa descritta nella cartina.

Melany era completamente fuori, il suo cervello si rifiutava di inviare sinapsi fra un neurone e l'altro estraniandola dal resto del mondo. Aveva passato tutta la notte a ricordare le ultime parole di Ren come fossero un mantra, ragionando su cosa avrebbe dovuto fare: lui non sarebbe più andato a cercarla, quindi stava a lei muovere il prossimo passo, tuttavia il senso di colpa sembrava non volerla lasciare in pace. E se si fosse confidata con lui chiedendogli perdono per il male che gli aveva fatto? Sicuramente lui l'avrebbe rimproverata dicendole di essere impazzita. E quindi no, doveva pensare a qualcos'altro, ma, a quel punto, era stanca di mentirgli. Stanca di essergli lontano.

«Melany, cosa prendi tu?» le domandò Risa, ridestandola dal suo pianeta immaginario.

La ragazza si guardò intorno e capì di essere finita in una paninoteca insieme al resto del gruppo. «Oh... è già ora di pranzo? Comunque, non ho fame» disse, allontanandosi dal bancone dov'erano esposti i panini già pronti. Tuttavia, Irvine la fermò afferrandola per un braccio.

«Ehi! Vedi di mangiare qualcosa» esclamò irritato.

Melany si sentiva molto imbarazzata a stargli vicino, dopo quanto aveva detto e fatto la sera prima, e si liberò subito dalla sua presa. «Davvero, non ho fame...» farfugliò in difficoltà.

«Niente ma! Se non scegli tu, sceglierò io» insistette il ragazzo, fissando lo sguardo nel suo, e lei, pur di evitare che continuasse a preoccuparsi, dovette cedere optando per un panino alla caprese.

Uscirono tutti dal bar e si sedettero su un muretto lì di fronte per consumare il pasto; Melany si accomodò appoggiando i piedi sulla superficie in pietra e, staccando un morso dal panino, fissò la spiaggia e il mare alla sua destra. Nonostante i gruppi classe formati in precedenza avessero preso strade diverse, sembrarono ritrovarsi tutti là per la pausa pranzo e molti ragazzi giocavano a piedi nudi sul bagnasciuga.

Melany osservò le onde infrangersi sulla spiaggia con sguardo perso, tornando a perdersi nei pensieri, poi la sua attenzione venne catturata dai teppistelli amici di Ren. Raddrizzò la schiena e, staccando un altro morso, cercò il ragazzo per tutta la spiaggia, convinta di trovarlo nei paraggi, tuttavia non le parve di vederlo da nessuna parte.

Quando ormai aveva perso le speranze si rese conto di aver totalmente sbagliato i parametri di ricerca. Aveva dato per scontato che avrebbe trovato Ren in qualche angolo della spiaggia con il suo solito muso e la poca voglia di trovarsi lì, mentre lui era in riva al mare a giocare a calcio con un gruppo di ragazzi e, per di più, a petto nudo. Melany sgranò gli occhi e, anche se si sentiva tremendamente in imbarazzo, non riuscì a distogliere lo sguardo; addentò distrattamente il panino, ma tirò su solo un pezzo di mozzarella che rimase appeso fuori dalla bocca perché troppo concentrata a guardare Ren divertirsi con i compagni. Era decisamente una vista più unica che rara e anche molto interessante. Le sembrò di vederlo ridere spensieratamente e, di rimando, le venne da sorridere, ma subito s'incupì perché gelosa di quell'espressione che desiderava avere solo per sé.

Non era passato molto tempo da quando era lei a provocargli un sorriso con i suoi strani modi di fare un po' da cartone animato, così come le era stato imputato dai vecchi compagni di classe, e, per quanto quella considerazione le avesse sempre dato fastidio, ne era diventata orgogliosa se significava osservarlo divertirsi. Adorava vederlo ridere e ultimamente non gli capitava mai. Sorrideva, per circostanza, ma mai una risata sincera. E anche quello era colpa sua. Doveva rimediare al più presto.

«Ma che combini?» commentò Risa, vedendo il panino della ragazza perdere pezzi.

Melany si voltò a guardarla, poi mosse gli occhi verso ciò che aveva in mano e quando tentò di parlare la mozzarella le cadde sul pinocchietto di jeans, sporcandolo.

«Fantastico...» sussurrò sarcastica. Prese un fazzoletto dallo zaino per raccogliere e buttare la rotellina bianca nel bidone fuori dal bar.

Tornando verso il muretto vide Ren e i suoi amici camminare diretti alla paninoteca: quando Melany si accorse di lui lo sguardo del ragazzo era già fisso su di lei. Continuarono a procedere in direzioni opposte senza smettere di fissarsi finché passarono uno accanto all'altro. Non si dissero nulla, eppure sembrò che i loro occhi si fossero sussurrati parole d'amore.

Spontaneamente, Melany sorrise.

Rientrati in albergo, tutti gli studenti cenarono nella sala da pranzo per poi tornare nelle loro stanze; Melany si fermò nel corridoio a parlare al telefono con sua madre e, quando terminò la chiamata, camminando verso l'ascensore si accorse della presenza di Bruno e degli altri fermi nella Hall, pronti a uscire. Poggiò il telefono sulle labbra e non vedendo Ren si chiese dove fosse; poco prima che i ragazzi varcarono la soglia dell'ingresso, mosse qualche passo verso di loro.

«Dove andate?» domandò, fermandosi a pochi metri.

«Oh, Melany. Andiamo a fare un giro» rispose Bruno, sorpreso di vederla e di parlare con lei. Non capitava da tanto.

«E Ren?» incalzò, cercando di non sembrare troppo smaniosa di ricevere risposta.

«Il capo non è dell'umore giusto per uscire» rispose il ragazzo.

Melany restò qualche secondo in silenzio, osservandolo. Sembrava così contento all'ora di pranzo, in compagnia degli amici, e allora cosa gli era successo?

«Ho capito» mormorò, infine, muovendo qualche passo pronta ad andar via. «Dovresti smetterla di chiamarlo "capo". Lo sai che a lui non piace» aggiunse rivolgendogli un sorriso amareggiato, poi si voltò diretta al piani superiori.

«Melany!» gridò Bruno. Le si avvicinò e dondolò una chiave di fronte al suo viso. «Se avessi voglia di andare da lui» aggiunse, porgendogliela.

Melany arrossì spalancando gli occhi, poi il ragazzo le prese una mano per poggiare la chiave sul suo palmo e andò via. Rimase ferma a fissare l'oggetto, indecisa sul da farsi: la questione non era "se ne avesse voglia" ma "che cosa avrebbe dovuto dirgli". Mise la chiave in tasca e si avviò per tornare nella sua stanza.

E adesso?

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