Capitolo 34 - Fratello e sorella
Dopo che Melany andò via, Ren si chiuse nella sua stanza ignorando la cena. Come era suo solito fare quando la rabbia lo invadeva con prepotenza, scaraventò a terra i libri posati sulla scrivania, lasciandosi andare a un grido carico d'ira: la risposta che la ragazza gli aveva dato, lo sguardo freddo con cui l'aveva guardato e l'indifferenza con cui l'aveva lasciato su quel balcone, gli fecero temere che per loro non ci fossero davvero più speranze. Melany possedeva un carattere forte e deciso, però lui era sempre riuscito a farsi dire ciò che voleva sentire, ma non quella volta; aveva sperato che tornasse a guardarlo come aveva sempre fatto, arrossendo e rivolendogli un sorriso, che trovasse difficoltà nel comporre le frasi o che schiamazzasse come spesso le capitava quando lui le era vicino, tuttavia nulla del genere era accaduto. Melany sembrava davvero infastidita dalla sua presenza.
Si sedette sul letto, appoggiò un gomito sul ginocchio e la fronte sul palmo: se lei non voleva più vederlo avrebbe acconsentito al suo desiderio e, forse, non cercarla più sarebbe servito anche a lui.
Per quasi una settimana Ren cercò di resistere alla tentazione d'incontrare Melany: occasionalmente si erano incrociati la mattina prima di entrare a scuola, scambiandosi sguardi fugaci o all'uscita, quando lei non si affrettava ad andar via. Ogni volta che la vedeva desiderava avvicinarsi, parlarle, sfiorarla, ma ciò che aveva fatto desistere le sue intenzioni era stata soprattutto la presenza di Irvine, così incredibilmente appiccicoso e perennemente al suo fianco: il ragazzo parlava con lei, scherzava con lei, le era sempre vicino, troppo vicino, tanto che delle voci parlavano di loro come di una bella coppia. Il rosso e la bionda, entrambi con gli occhi verdi, erano diventati argomento di discussione in tutta la scuola o, forse, era Ren che prestava particolare attenzione a quell'argomento. Tuttavia, c'era qualcosa che non lo convinceva: ogniqualvolta l'osservava non la vedeva mai sorridere. Il suo sguardo era spento, la sua espressione così seria. L'ultima volta che le aveva visto un sorriso sincero sul volto era stato poco prima dell'esplosione: lei gli stava andando incontro con la sua solita aria trasognante e poi luce e buio si erano susseguiti.
Se quel giorno si fossero dati appuntamento da un'altra parte, cancellando quel terribile episodio, di sicuro non avrebbero vissuto un solo attimo lontani e invece tutto era andato in malora.
Con sguardo fisso nel vuoto oltre la finestra, Ren era rimasto in classe a seguire le lezioni; negli ultimi tempi aveva persona l'interesse per ogni cosa e l'unico motivo per cui si recava ancora a scuola era la speranza di poterla incontrare. Si era convinto che non parlarle sarebbe stata la soluzione giusta per entrambi, ma più trascorreva il tempo lontano da lei e più si sentiva vuoto, spento. Sentirsi così male per una ragazza non era da lui e si disse più volte di essere un debole, ma sapeva bene che lei non era una fra tante. Ormai l'aveva capito, anche se troppo tardi.
L'arrivo inaspettato di un messaggio sul telefono lo riportò alla realtà e, svogliatamente, prese il dispositivo da sotto al banco per leggerlo:
Sentire Claudia in quel momento lo fece innervosire. Perché continuava a scrivergli? A fornirgli occasioni di vederla? E, soprattutto, perché non era stata dalla loro parte quando avrebbe dovuto? Drizzandosi sulla sedia sospirò seccato.
Le rispose con stizza e buttò subito il telefono sotto al banco. Con le braccia conserte, appoggiando la schiena alla spalliera della sedia, guardò fuori dalla finestra pensando a quanto fosse assurda quella situazione: un tempo era Melany che, con ogni scusa, lo cercava, mentre adesso si sentiva invisibile ai suoi occhi.
Lo smartphone vibrò ancora e Ren, nonostante non volesse leggere cos'altro gli aveva scritto, lo prese.
Scorrendo quelle parole venne pervaso da un terribile senso di colpa per aver anche solo pensato di lasciarla andare. Come lui, anche sua madre aveva capito che Melany stava soffrendo e che a causa di quel dolore aveva deciso di allontanare tutti. Ma lui che cosa poteva fare?
Le rispose d'istinto perché sapeva che quella era la realtà: non avrebbe rinunciato a lei, non finché avrebbe nutrito speranza. Mise il telefono in tasca e si alzò dalla sedia per uscire dall'aula. Era da poco suonata la campanella e se avesse dovuto agire quello sarebbe stato il momento giusto.
Negli ultimi giorni Melany era più nervosa del solito e faticava persino a concentrarsi sulla stesura della tesi per il diploma: credeva che, liberandosi delle insistenze di Ren, sarebbe riuscita a ritrovare un certo equilibrio, e invece era più distratta che mai. Lo vedeva entrare tutti i giorni a scuola insieme ai suoi amici e chiacchierare con estrema tranquillità, come se nulla lo turbasse; ogni tanto i loro sguardi si erano incrociati, ma temeva che fosse stato solo un caso e anche poco gradito. Non aveva il diritto di lamentarsi, lo sapeva molto bene, perché era stata lei stessa a far si che accadesse, ma non riusciva a fingere che la cosa non le stesse bruciando l'anima.
E poi c'era quella stupida ragazza-polipo che sfruttava ogni occasione per mettergli le mani addosso: il braccio, la spalla, la schiena... Più di una volta aveva soffocato un impeto di rabbia che le suggeriva di inveirle contro infinite parole vietate alle orecchie dei più deboli. Ma a cosa sarebbe servito? Non poteva avanzare alcuna pretesa e se Ren avesse deciso di dimenticarla scegliendo di avere al suo fianco quella odiosa vipera, l'unica cosa che avrebbe potuto fare sarebbe stata quella di osservare le conseguenze della sua scelta in silenzio.
Seduta al suo posto, con la pianta delle scarpe sul bordo del banco e il libro di fisica sulle gambe, disegnava scarabocchi in un angolo della pagina, del tutto immersa nei suoi pensieri, quando un'ombra oscurò la scena davanti a sé. D'istinto alzò lo sguardo e sgranando gli occhi sentì il respiro bloccarsi nel petto.
«Esci un attimo?» domandò Ren fissando gli occhi nei suoi, fermo a un passo dal suo banco con le mani nelle tasche dei jeans. Attorno a loro ci fu silenzio e tutti si voltarono a guardarli.
Melany, senza distogliere lo sguardo da lui, chiuse il libro con uno scatto, lo poggiò sul banco e si alzò in piedi. La sorpresa di vederlo e l'emozione che le aveva creato sentire il suono della sua voce le avevano impedito di rispondere con la solita indifferenza. Lo seguì in silenzio fuori dalla classe e poco dopo lo vide voltarsi verso di lei per porgerle il suo telefono.
«Ancora?!» esclamò seccata prendendo il dispositivo e lesse subito il messaggio della madre, non sapendo che il ragazzo aveva cancellato quelli successivi.
Un attimo dopo si toccò le tasche davanti dei pantaloni, poi quelle posteriori e constatando di non avere lo smartphone con sé sbuffò rassegnata. Era uscita di casa di fretta e furia perché in estremo ritardo ed era stata troppo distratta per ricordarsi se avesse preso o meno il cellulare.
Ren l'osservava in silenzio, rimuginando su cosa avrebbe potuto dirle per prolungare quel momento, e quando finì di leggere il messaggio alzò una mano pronto a riprendere il telefono, ma Melany lo stupì.
«Mi dispiace se mia madre ti rompe, ma posso risponderle dal tuo?» domandò guardandolo un po' imbarazzata e bastò quella semplice frase gentile per migliorare la sua giornata.
«Certo, rispondi pure» disse reinserendo la mano in tasca, fissando la ragazza digitare sul dispositivo.
Le sue dita erano affusolate e le unghie un po' lunghe smaltate di rosso scuro. Pensò a quanto gli sarebbe piaciuto sfiorarle o che loro sfiorassero lui. Dopo quella sera passata insieme in montagna, aveva fantasticato più volte su come sarebbero andate le cose se non si fosse fermato. La sognava e la desiderava così tanto da vergognarsene. Era normale che alla sua età avesse certi pensieri e aveva già da tempo soddisfatto le sue curiosità, ma era sempre stata solo un'esigenza fisica, nulla di più. Invece, quando pensava a lei era tutto diverso, sin dal primo incontro.
Melany gli restituì il telefono e, inaspettatamente, abbozzò un lieve sorriso. «Grazie» sussurrò.
Ren restò in silenzio per godere di quel dolce momento fra loro, poi gli balzò in mente un'idea e decise di approfittare di quell'istante per tentare d'instaurare un legame.
«Prego. Lo so che ti dà fastidio quando ti cerco, ma per il bene dei nostri genitori dovresti almeno cercare di sopportarmi. In fondo, diventerai mia sorella, no?» disse rivolgendole un finto sorriso, pietrificandola sul posto.
Melany schiuse appena le labbra per lo stupore, poi deglutì. «Oh... B-Beh, hai ragione...» mormorò poco convinta e lo guardò voltarsi per andar via.
Ren diceva il vero: se i loro genitori si fossero sposati non avrebbe potuto continuare a ignorarlo così, ma avrebbe preferito infinite volte di più non parlargli che diventare sua sorella.
Da quel momento in poi, che le piacesse o no, Ren faceva in modo di trovarsi spesso dov'era lei, additando la scusa "Sono in veste di fratello" per convincerla a passare del tempo con lui. All'inizio era molto restia a quelle conversazioni perché aveva paura di non riuscire a controllare i suoi sentimenti, tuttavia, senza rendersene conto, appena suonava la ricreazione era lei stessa a farsi trovare sulla rampa di scale che portava alla sua aula. Si disse che se i loro argomenti riguardavano sempre la famiglia, allora poteva concedersi quei momenti senza scombussolare i suoi piani.
Mentre camminava a passo svelto, ma non troppo per evitare di palesare la sua impazienza, incontrò Ren nel corridoio del primo piano che subito le fece segno di seguirlo nell'area macchinette. Il ragazzo si fermò davanti al distributore, digitò qualcosa sul tastierino numerico e prese quel che aveva scelto dalla tasca del macchinario.
«Per te» disse porgendole un pacco di tarallini e la ragazza lo guardò confusa.
«Abbiamo invertito le parti?» sussurrò, accettando il suo gesto.
«In che senso?» domandò lui, incamminandosi verso le scale e aprendo la lattina di Coca Cola che aveva preso per sé.
«Tempo fa ero io che pensavo a farti mangiare qualcosa» mormorò divertita, ma subito tornò seria rendendosi conto di aver abbassato troppo la guardia.
"Stupida Melany! Che cavolo vai dicendo?" brontolò nella mente.
Con la coda dell'occhio vide Ren sorridere e il suo cuore batté forte contro la gabbia toracica. Non andava bene, quella situazione non andava bene per niente, eppure era così... perfetta. Quanto aveva sognato di essergli accanto a quel mondo? Finalmente aveva ottenuto ciò che desiderava, ma nel momento sbagliato.
«Mio padre ha detto che vorrebbe svolgere il rito civile nella sua azienda. Che idea assurda» commentò il ragazzo, scendendo i primi gradini della scalinata.
«A mia madre potrebbe piacere un'idea tanto strampalata. A te no?» rispose lei seguendolo, osservando le sue spalle messe in risalto dalla t-shirt blu che gli cadeva perfettamente addosso.
«Odio quel posto» confessò.
Melany lo guardò perplessa. «E come farai quando subentrerai a tuo padre?» chiese istintivamente.
Ren si fermò, voltandosi verso di lei. «Chi te l'ha detto?» domandò fissandola con i suoi splendidi occhi azzurri, risplendenti dei raggi del sole che filtravano dalla finestra accanto alle scale.
Melany si morse la lingua per essersi lasciata sfuggire quella domanda così personale in un momento del genere; non voleva parlare di lui, della sua vita e del suo futuro senza di lei, ma il suo sguardo non riusciva a lasciare i suoi occhi.
«È stata Cecile...» bisbigliò come se stesse confidando un segreto.
Ren sbuffò e si voltò proseguendo il suo cammino in silenzio. Melany gli andò dietro, ma quando capì che la stava portando nell'aula di scienze si piantò sul posto. Non voleva che rimanessero soli in un luogo appartato, girare per la scuola durante la ricreazione era l'unica circostanza che poteva permettersi.
Ren si voltò verso di lei e rimasero fermi sulla rampa di scale.
«Mio padre vorrebbe che diventassi un noiosissimo impiegato, ma, ovviamente, non sono d'accordo» confessò il ragazzo, poggiando la schiena sul corrimano mentre sorseggiava la sua bibita.
Melany rimase sorpresa da quella risposta; ripensando alle parole di Cecile le era parso di capire che la decisione in merito fosse già stata presa, ma in quel momento non riuscì a concentrare i pensieri perché del tutto catturata dallo sguardo del ragazzo posato su di lei.
«Invece, ho saputo che tu vorresti studiare Psicologia» aggiunse Ren, scendendo gli ultimi gradini, poi buttò la lattina in un cestino. «Me l'ha detto il tuo amico» continuò, sparendo nel corridoio dell'aula di scienze.
Melany rimase immobile per qualche attimo, poi le sue gambe si mossero da sole.
«Hai parlato con Irvine? Non lo sapevo» disse, fermandosi a osservare ancora una volta le sue spalle.
Ren si volse dedicandole uno sguardo irritato. «Già. Volevo sapere che tipo fosse. È compito di un fratello conoscere chi frequenta sua sorella, no?» rispose altezzoso.
Lo sguardo di Melany si fece duro e infastidito. Detestava quando doveva definire il loro rapporto a quel modo; purtroppo, lo faceva spesso e ogni volta lei si girava e tornava nella sua classe. Non poteva ribellarsi e sbraitare davanti alla realtà dei fatti, ma prima che la sua rabbia si mostrasse irruenta doveva sparire dal suo campo visivo.
E proprio a causa della tranquillità con cui lui la chiamava "sorella" che quegli incontri iniziarono a pesarle, tanto da farle temere l'ora della ricreazione.
«Mangi qualcosa con me questa volta?» domandò Irvine, fermandola sulla soglia della loro aula.
«In realtà non ho neanche fame» mormorò Melany sconsolata, con sguardo basso. Sapeva che non si sarebbe potuta esimere dall'incontrare Ren o sarebbe stata accusata di essere una "cattiva sorella" e meno sentiva quella parola uscire dalla sua bocca e meglio era per i suoi nervi.
Irvine, vedendola così abbattuta, le accarezzò istintivamente una guancia con il dorso della mano. «Non dovresti andare da lui se ti fa stare così male» sussurrò e i loro sguardi s'incrociarono.
Il ragazzo, che si era dimostrato sempre molto dolce nei suoi confronti, aveva continuato a obbedire ai suoi ordini senza varcare mai quel confine che lei stessa aveva tracciato e quella era la prima volta, dopo tanto tempo, che non era riuscito a controllare il suo desiderio di sfiorarla.
«Io...» bisbigliò confusa su cosa dire, ma s'interruppe non appena si sentì tirare indietro per un braccio.
«Scusa, ma devo parlare con mia sorella» esclamò Ren d'improvviso. Prese Melany per il polso e la trascinò giù per le scale fino all'aula di scienze.
Nonostante le sue proteste continuava ad avanzare senza lasciare la presa su di lei, ma, a un passo della porta d'ingresso, la ragazza si liberò bruscamente, prima che quel tocco prolungato le bruciasse la pelle.
«Ma insomma! Che cavolo ti prende?» sbottò confusa e arrabbiata per essere stata chiamata ancora una volta con quell'odioso appellativo.
Ren si voltò verso di lei, mise le mani sulle sue spalle e la spinse contro il muro, per poi appoggiare i palmi sulla parete all'altezza della sua testa. «Sei sempre in compagnia di quel tipo e adesso ti fai anche accarezzare» disse con tono aspro e irritato, fissandola negli occhi. «State insieme?» aggiunse, facendo trasparire da ogni parola tutto il suo disappunto.
Melany l'osservò cercando di rimanere impassibile, ma il suo sguardo di fuoco sembrò volerle bruciare la guancia dove Irvine l'aveva sfiorata per eliminare ogni traccia di lui.
«Non sono cose che ti riguardano» riuscì a dire senza crollare sotto i suoi gelidi occhi. Erano così vicini che Melany poteva sentire il suo respiro sul viso e il cuore battere all'unisono con il suo. Per un attimo desiderò perdersi nel suo profumo.
L'espressione di Ren divenne seccata e altezzosa. «Sì, invece. Un fratello deve sapere con chi esce sua sorella».
Melany non ci vide più dalla rabbia.
Posò le mani sul suo petto e lo spinse con tutta la forza facendolo indietreggiare di qualche passo; nei suoi occhi verde smeraldo sembrò balenare un fulmine rosso carico d'odio.
«Smettila di chiamarmi così! Non sono tua sorella!» gridò, stringendo così tanto i pugni da mostrare le nocche bianche, poi si voltò per andare via prima che la situazione degenerasse.
Ren rimase immobile osservandola sparire mentre saliva le scale. Abbassando la testa, mise le mani fra i capelli facendole scivolare fino alla nuca e appoggiò la fronte contro il muro. Il respiro era diventato veloce e rumoroso, reso tale dalla gelosia che aveva invaso il suo cuore quando aveva visto Irvine toccare Melany; quel maledetto era sempre lì con lei, mentre lui doveva elemosinare il suo tempo durante la ricreazione e vederli così intimi gli aveva fatto esplodere la rabbia nel petto. Chiuse gli occhi e cercò di placare l'agitazione, amplificata dallo sguardo furioso che gli aveva rivolto la ragazza.
«Lo so. Lo so benissimo che non sei mia sorella!» esclamò, sferrando un pugno contro la parete.
In breve tempo arrivò il momento di partire per la gita scolastica.
Mentre Melany finiva di preparare la valigia, ripeteva a se stessa quant'era stata stupida a cedere alle insistenze dei suoi compagni; non era dell'umore giusto per affrontare un noiosissimo viaggio di sei ore in pullman per vedere il mare. Avrebbe preferito restare a casa per lavorare sulla sua tesi, ripassando gli argomenti per gli esami di Stato e, soprattutto, a trascorrere tre giorni in tranquillità senza dover vedere Ren. In realtà, non sapeva neanche se lui avesse deciso di partecipare alla gita e quel pensiero continuava a darle il tormento.
Inserì un po' di indumenti a caso nella borsa, compresi dei vestiti più leggeri nella speranza di trovare un clima più mite, spense la luce e s'infilò nel letto. Chiudendo gli occhi pregò di non pentirsi troppo della sua decisione.
A causa dell'agitazione non era riuscita a prendere sonno, ritrovandosi a sbadigliare per strada a causa della stanchezza. L'appuntamento era stato fissato per le sei in punto nello spiazzo della scuola e sua madre, già perfettamente agghindata di prima mattina, l'accompagnò fino all'istituto, ignorando le sue proteste e il desiderio di andarci da sola.
Melany si presentò a scuola in abiti comodi: un leggings nero con una maglia rossa lunga che le copriva il fondoschiena e un paio di tronchetti con un tacchetto da cinque centimetri. Aveva sempre sofferto durante i viaggi in pullman e, non appena vide il professore responsabile della sua classe, gli si avvicinò per chiedergli se potesse occupare un posto davanti, così da poter guardare la strada.
«Non c'è problema, Rose. Puoi metterti in prima fila, se preferisci» disse il docente.
«La seconda andrà bene» rettificò, perché non voleva sentirsi troppo osservata. «Hai sentito, mam...» Si voltò verso la donna, ma si ammutolì accorgendosi di essere sola.
Passeggiò per un po' alla ricerca della donna, ma non trovandola si decise a ritornare verso i suoi compagni di classe. All'improvviso un brivido le attraversò il corpo.
«Melly! Sono qui!» gridò Claudia agitando una mano, ma non fu la sua solita irruenza a sconvolgerla, bensì la presenza alle sue spalle. «Ero andata a salutare Gioren per augurare anche a lui buon viaggio» aggiunse, rivolgendo un sorriso al ragazzo. Melany l'osservò impietrita. «Mi raccomando, Gioren, stai attento a mia figlia!» concluse con tono autoritario.
Ren fissò lo sguardo in quello della ragazza. «Non preoccuparti. Non le leverò gli occhi di dosso» affermò deciso.
"Andiamo bene..." commentò Melany nella mente.
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