Capitolo 30 - Disperazione
N.B. Il Sound Track di questo capitolo, Silence di Beethoven, è perfetto. Ascoltalo in sottofondo mentre leggi ;)
***
Seduta nella sala d'aspetto, con i gomiti sulle ginocchia e le dita delle mani incrociate sulla fronte, Melany ripeteva nella sua mente continue suppliche, stringendo sempre più le mani e sperando di ricevere buone notizie il prima possibile, ma nessuno parlava con lei perché ai loro occhi non era nessuno. La paura e il terrore di perderlo aumentavano i suoi sensi di colpa: se avesse ascoltato le parole di Cecile, se avesse smesso di vederlo e se si fosse allontanata da lui non gli sarebbe mai successa una cosa del genere. Era stata lei a dargli appuntamento quel giorno, lei l'unica responsabile di tutto.
All'improvviso sentì una voce profonda gridare; voltandosi a destra vide Giorgio, Cecile e sua madre correrle incontro. Subito si alzò in piedi e Claudia le si avvicinò per porle molte domande, ma lei non riuscì a sentire una sola parola e osservava Giorgio cercare un medico con cui parlare per avere notizie sul figlio. Cecile, in un impeto di rabbia, spinse violentemente Melany contro il muro e iniziò a gridarle contro, carica d'odio.
«È tutta colpa tua! Lo sapevo che gli avresti rovinato la vita e ti avevo anche avvertita! Ma tu sei una stronza egoista e non hai neanche pietà per un ragazzo che prova dei sentimenti per te! Che cos'hai nella testa?!» urlò con disprezzo mentre Melany, inerme di fronte alla realtà, ascoltava ogni singola parola con lo sguardo perso nel vuoto.
In quell'istante uscì dalla sala operatoria un medico che, slacciandosi la mascherina, si avvicinò a loro; Melany lo fissò speranzosa mentre Giorgio gli andò subito vicino.
«Sono il padre del ragazzo. Come sta?» domandò con voce tremante. Aveva indosso un completo senza giacca, forse si trovava al lavoro quando Claudia gli aveva telefonato e nella foga di correre in ospedale era uscito solo con la camicia, senza curarsi del freddo.
«Non le posso ancora dire che sia fuori pericolo: ha riportato molte lesioni e un trauma cranico, ma siamo riusciti a controllare subito la pressione intracranica senza che il cervello riportasse gravi danni. Dovremmo aspettare che si risvegli per valutare eventuali complicanze, ma siamo ottimisti» spiegò con tono calmo e pacato.
Giorgio ringraziò l'uomo per quello che stavano facendo per il figlio, poi andò ad abbracciare Claudia, stringendola a sé con forza. Melany continuava a fissare l'ingresso della sala operatoria, sentendo i rumori attorno a sé ancora ovattati, ma probabilmente era lei stessa che non voleva ascoltare nulla, concentrata sui suoni provenienti da quel corridoio dalle pareti gialline di cui aveva osservato ogni dettaglio attraverso la finestrella sulla porta. Ancora una volta Cecile si girò verso di lei con sguardo torvo e pugni stretti.
«Se dovesse morire o vivere come un vegetale sarà solo colpa tua!» sbraitò con rabbia. Tuttavia, vedendo che la ragazza non accennava alcuna reazione, neanche a guardarla, alzò una mano pronta a schiaffeggiarla, ma s'interruppe quando il medico le si avvicinò.
«In realtà, è grazie a lei se adesso il ragazzo ha la possibilità di salvarsi: ha continuato imperterrita a praticargli il massaggio cardiaco. Se non dovesse riportare alcun danno cerebrale sarà solo grazie a lei» disse, poi si volse verso Melany. «Grazie per il coraggio e la tenacia che hai dimostrato» aggiunse, ma la ragazza non rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo. Non si sentiva affatto coraggiosa, si sentiva inutile, inerme. Vuota.
Tutti i presenti si voltarono a guardarla restando in silenzio; sua madre le si avvicinò ponendole una mano sulla spalla e, quando la ragazza rifiutò quel gesto allontanandola, la donna si accorse che le sue mani erano sporche di sangue. A guardarla bene, aveva il volto graffiato, i capelli arruffati e sporchi, i vestiti impolverati e le calze rotte e infangate, essendo senza scarpe. Pur di seguire Ren aveva rifiutato ogni cura, nonostante le fosse stato chiesto più volte di farsi visitare, ma non poteva pensare a se stessa perché non riusciva ad avere altro per la testa se non il viso dormiente del ragazzo, di un sonno da cui poteva non risvegliarsi mai più.
Melany rimase appoggiata al muro, immobile, finché un altro medico uscì dalla sala operatoria; vedendolo non riuscì a trattenere la speranza e gli andò incontro, con le mani giunte sul petto.
«Il ragazzo sta bene e lo stanno trasportando nella sua stanza» disse l'uomo con un sorriso.
A quelle parole le gambe di Melany cedettero: cadde in ginocchio e accovacciandosi su se stessa si abbracciò, per poi lasciarsi andare a un pianto disperato.
Le lacrime si facevano strada sul suo viso, rigando il nero sporco che lo ricopriva, copiose, calde, incessanti. Non piangeva così da quanto aveva compreso che suo padre non sarebbe più tornato, si era ripromessa di esser forte, di non farsi dominare mai più dalle emozioni a quel modo, ma in quel momento l'unico sentimento che avvertiva in ogni fibra del suo essere era una profonda e immensa disperazione.
Senza volerlo le tornarono alla mente alcune immagini del passato: il primo incontro in quell'aula, i pranzi insieme che gli imponeva, l'accettazione dei suoi sentimenti, il loro primo bacio. Per lei ciascun istante passato con lui era stato importante, bello, colorato, e in un secondo ogni ricordo si fece scuro, freddo, avvolto dalla consapevolezza di come aveva distrutto tutto quanto e di cosa avrebbe dovuto fare per rimediare.
La soluzione le parve una soltanto.
Claudia, sull'orlo del pianto, le andò vicino, l'abbracciò forte e cercò di aiutarla a rialzarsi, ma sembrava faticare persino a reggersi in piedi.
«Adesso puoi andare a farti visitare, potrai vederlo più tardi» affermò il dottore, guardando la ragazza.
Nella mente di Melany era ormai tutto chiaro. Riacquistando un po' di forza nelle gambe, si drizzò bene in piedi, spinge con una mano la madre lontano da sé e fissò l'uomo con sguardo spento e privo di ogni emozione.
«No, non voglio mai più vederlo» disse, poi si voltò per dirigersi al pronto soccorso.
Melany fu ricoverata per degli accertamenti: aveva riportato delle abrasioni per essere strisciata a terra dopo l'onda d'urto e, essendo reduce da un lieve trauma cranico subìto poco tempo prima, i medici vollero essere scrupolosi prenotando una risonanza per il giorno successivo.
Sua madre era rimasta con lei tutta la notte e la mattina dopo, nella speranza di risollevarle il morale con la sua parlantina, ma lei non emise un suono restando per la maggior parte del tempo seduta sul letto con lo sguardo perso nel vuoto. Intorno alle dieci del mattino fu condotta al piano inferiore per sottoporsi alla risonanza magnetica, in cui restò per mezz'ora, poi venne accompagnata da un infermiere in sala d'aspetto dove avrebbe dovuto attenderla Claudia, ma che al suo arrivo non si fece trovare. Sospirando, si sentì sollevata perché non voleva né sentire né vedere nessuno e decise di avviarsi da sola verso la sua stanza.
Passando per il corridoio vide oltre le vetrate sua madre, Giorgio e Cecile conversare nel giardinetto dell'ospedale; li osservò per un attimo, immobile, poi riprese a camminare cambiando direzione. Si mosse verso la sala ascensori e salì fino al terzo piano per andare nel reparto di neurologia, fermandosi di fronte alla stanza numero ventitré; anche se aveva detto di non volerlo più vedere, in realtà era lui che non doveva vedere lei, per cui se lo avesse osservato senza che se ne fosse accorto non ci sarebbero stati problemi.
Lentamente aprì la porta della stanza guardando bene all'interno, per assicurarsi che non ci fosse nessuno, e voltando il capo a sinistra lo vide lì, steso sul letto.
Richiuse la porta dietro di sé e, con il cuore in gola, gli si avvicinò: il volto di Ren era segnato dai graffi e dalle contusioni, aveva una flebo attaccata al braccio destro, gli elettrodi per il controllo dell'ECG sul petto, un sondino all'interno della calotta cranica (per il monitoraggio della pressione intracranica) e il ventilatore per la respirazione. Il ragazzo era in coma farmacologico, ma i medici contavano di svegliarlo il giorno successivo.
Con le lacrime agli occhi, prese una mano fra le sue, baciandone delicatamente le nocche, poi gli accarezzò la fronte spostando un ciuffo di capelli; la sua folta chioma nera era stata maldestramente rasata a causa dell'intervento, ma anche così lo trovava splendido. L'aveva sempre trovato affascinante, ma non era solo per quello che gli piaceva tanto: adorava il suono della sua voce, la melodia della sua risata e tutte le sue espressioni, anche quando la guardava in modo strano.
Aveva saputo da Claudia che l'esplosione, come le era stato anticipato, era stata causata da una fuga di gas proveniente dal palazzo in costruzione e originata, probabilmente, da un tubo rotto. Una fatalità, insomma, qualcosa d'impossibile da prevedere e che capita raramente, ma Melany prese quell'evento come un segno del destino.
Ci aveva rimuginato su tutta la notte e alla fine aveva deciso: lasciare Ren, allontanarlo per sempre da lei l'avrebbe tenuto al sicuro. Ne era convinta.
Posò la mano del ragazzo sul letto, s'incamminò verso la porta e poco prima di uscire lo guardò ancora una volta.
«Perdonami, se puoi...» sussurrò fra le lacrime e uscì.
La mattina dopo intorno alle dieci, Melany fu dimessa dall'ospedale e insieme a sua madre stava riponendo nelle buste le ultime cose da riportare a casa.
«Passiamo da neurologia a salutare?» domandò la donna, avvilita nel vedere sua figlia così priva di vita.
«No, non c'è bisogno» rispose lei con tono profondo, senza guardarla.
Melany infilò il giubbotto, prese due buste e uscì dalla stanza seguita dalla madre. Scesero le scale fino al piano terra e, quando furono vicino alle porte d'ingresso, una voce arrestò il loro cammino.
«Aspettate!» esclamò Cecile, correndo verso di loro. «Melany, aspetta...» Si fermò di fronte a lei, annaspando aria, e la ragazza la guardò senza alcuna emozione. «Ascolta: Gioren si è svegliato e chiede di te. Vai a salutarlo» affermò con un sorriso, ma Melany le rivolse uno sguardo di stizza.
«Non m'interessa» replicò, muovendo qualche passo verso l'esterno.
«Aspetta, Melly...» chiamò sua madre.
«Mamma, andiamo o ti lascio qui. Non voglio perdere altro tempo» sbottò e senza voltarsi si allontanò dall'ospedale.
Quell'incidente l'aveva profondamente sconvolta e qualcosa in lei era cambiato: il suo cuore era diventato freddo come il ghiaccio.
Quando Ren si svegliò era confuso, non riusciva a capire cosa fosse successo né dove si trovasse. Al suo capezzale sua sorella strillava felice mentre il padre continuava a ripetergli quanto fosse contento che si fosse risvegliato. Ma risvegliato da cosa? Aveva un forte mal di testa e dolori in tutto il corpo; i suoi ricordi erano offuscati, ma all'improvviso gli balzò un'immagine in mente.
«D-Dov'è... Melany?» sussurrò. Ricordava vagamente di averla vista, anzi no, aveva un appuntamento con lei, ma poi che cosa era successo? Più si sforzava di ricorda e più il dolore lancinante alla testa aumentava.
I suoi famigliari lo guardarono senza riuscire a replicare, poi Cecile attirò la sua attenzione.
«V-Vado a chiamarla!» esclamò e subito uscì dalla stanza.
Ren provò a mettersi seduto, facendo leva con le mani sul materasso, ma Giorgio glielo impedì.
«Devi stare a riposo, Gioren, hai subito un intervento e non devi sforzarti» spiegò l'uomo, risedendosi sulla sedia dietro di lui.
Ren lo guardò disordinato. «Cos'è successo?» domandò con un filo di voce sofferente, guardandosi intorno.
«C'è stato un incidente, una fuga di gas, e sei stato coinvolto nel disastro» raccontò Giorgio guardando il figlio, che poco dopo incrociò il suo sguardo.
«Una fuga di gas...» mormorò e, in un flash, gli ritornò alla mente il ricordo di un forte lampo di luce che lo aveva accecato. «Io... stavo incontrando Melany... Dovevamo andare al cinema e...» ragionò a voce alta e subito cercò di mettersi a sedere, invaso dal terrore di non sapere che cosa le fosse successo.
Suo padre si alzò nuovamente dalla sedia ponendogli le mani sulle spalle affinché tornasse a stendersi.
«Calma, tranquillo. Melany sta bene, ha riportato solo delle contusioni. Chi sta messo peggio sei tu» cercò di rassicurarlo e lui si ridistese. «Il tuo cuore si è fermato, figlio mio, ma i medici hanno compiuto un miracolo!» aggiunse visibilmente commosso.
Il ragazzo restò in silenzio non riuscendo bene a capire le sue parole; l'unica cosa che aveva compreso era che Melany stava bene e non vedeva l'ora di vederla.
Poco dopo Cecile ritornò nella stanza, aprendo la porta con lentezza, amareggiata e sola.
«Ehm, Melany è stata dimessa. Quando sono arrivata nella sua stanza non c'era già più» disse a disagio. Aveva capito che la decisione della ragazza di non rivedere più suo fratello era nata soprattutto dalle parole crudeli che le aveva rivolto. Ma come dirglielo?
«Ma come...? Claudia e Melany sono andate via senza salutare?» chiese Giorgio stupito e la figlia alzò le spalle.
Ren iniziò a guardarsi intorno, poi si rivolse al padre.
«Dov'è il mio cellulare?» domandò e l'uomo rivolse uno sguardo verso Cecile, perché era stata lei a occuparsi degli effetti personali del ragazzo.
Subito la donna si avvicinò al fratello. «È-È rotto, cioè scarico... lo metto a caricare un po', ok?» disse, tuttavia era una bugia. Il telefono di Ren era ammaccato, ma ancora funzionante. Sapeva che l'avrebbe usato per contattare Melany e aveva paura che la ragazza gli rivelasse quanto era stata meschina con lei.
Ren sospirò nervosamente: aveva capito che c'era qualcosa che non andava perché, conoscendo Melany, era strano non trovarla lì nella sua stanza. La ragazza si era dimostrata fin troppo appiccicosa e invadente per non presentarsi in un momento del genere, un tipo di attaccamento a cui lui non riusciva più a rinunciare. Per questo voleva vederla il prima possibile, aveva bisogno perdersi nel suo sorriso e rispecchiarsi nei suoi meravigliosi occhi di smeraldo.
La bugia di Cecile non servì a molto perché, quella sera, Ren tentò di alzarsi dal letto pur di prendere il cellulare che la sorella non voleva consegnargli; quando riuscì finalmente ad averlo fra le mani scrisse subito un messaggio a Melany, poi un altro e un altro ancora, ma la ragazza non gli rispose mai.
Nei giorni successivi Ren ricevette varie visite: principalmente colleghi di lavoro del padre, dispiaciuti per l'accaduto, i suoi amici teppistelli, molto affezionati al ragazzo, e anche Erika, che, dopo aver appreso la notizia, si recava da lui ogni pomeriggio per assisterlo, ma di Melany neanche l'ombra.
Dopo cinque giorni dal suo risveglio, tanti messaggi mai letti, numerose chiamate senza risposta, Ren era giunto a una brutta conclusione che quel giorno stesso avrebbe ricevuto conferma.
Le vacanze invernali erano terminate ormai da quattro giorni, ma Melany non volle tornare subito a scuola, approfittando del consiglio del medico secondo cui sarebbe dovuta rimanere a riposo per almeno una settimana. In quei giorni non uscì quasi mai di casa e continuava a pensare e ripensare a come avrebbe dovuto comunicare a Ren della loro rottura, ma soprattutto cercava il coraggio e le forze per farlo. Era diventata molto taciturna, introversa, persino con Becca faticava a parlare.
Un giorno, saputo che sua madre avrebbe pranzato con Giorgio e conoscendo gli orari di lavoro di Cecile, commessa in una boutique di lusso, decise di non aspettare oltre; la chat di Ren contava un elevato numero di messaggi che aveva faticato a non leggere e il suo telefono squillava almeno quattro volte al giorno. Non era giusto sparire così, senza neanche una spiegazione; prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con la propria decisione e quel momento era arrivato.
Per tutto il tragitto da casa all'ospedale, Melany parve molto convinta sul da farsi, ma giunta di fronte al corridoio di neurologia si pietrificò: non era lì per vedere Ren o chiederli come stesse, ma per lasciarlo, per chiudere quel rapporto che dopo mesi di tentennamenti sembrava aver trovato la giusta via.
Ci sarebbe riuscita?
Lentamente avanzò verso la stanza numero ventitré
«Sei una parente?» domandò l'infermiera, che la vide piantata davanti alla porta.
«Una specie...» rispose lei senza spostare lo sguardo.
«Il paziente ha detto di non voler vedere nessuno, oggi. Mi è sembrato molto nervoso».
«Oh... ma sicuramente per me farà un'eccezione» sussurrò Melany e prendendo un profondo respiro chiuse la mano a pugno e bussò.
All'interno sembrava non esserci nessuno, ma lei sapeva che non rispondere era un suo modo di fare quando non voleva essere disturbato. Si passò nervosamente una mano fra i capelli e aprì la porta.
«Ho detto di non voler vedere nessuno» disse Ren con stizza, quando ancora la ragazza era nascosta dietro alla porta.
Melany strinse la maniglia con forza, era bastato sentire la sua voce perché tutta la sicurezza vacillasse, ma non poteva arrendersi in quel momento. Prese ancora un altro profondo respiro e mosse qualche passo dentro la stanza, poi volse lo sguardo alla sua sinistra e lo vide: Ren, seduto sul letto, con i capelli rasati da un lato e un po' più lunghi dall'altro, aveva lo sguardo basso, fisso sulla rivista che stava leggendo, poi, seccato da quell'intrusione forzata, alzò il capo e spalancò all'istante i suoi intensi occhi azzurri, per rivolgerle un secondo dopo uno sguardo carico di rabbia.
Melany richiuse la porta dietro di sé e avanzò fino ai piedi del letto; con le mani nelle tasche del giubbotto osservò il ragazzo cercando di regolarizzare il respiro accelerato, mentre lui la osservava tentando di mantenere la calma. Non si dissero nulla per qualche attimo, poi mentre Melany stava per aprir bocca lui la precedette.
«Cercherò di non incazzarmi subito, ma vedi di darmi una motivazione plausibile per la quale hai deciso di non rispondere ai messaggi o alle telefonate» disse con tono aspro, senza smettere di fissarla.
Melany chiuse un attimo gli occhi e quando gli riaprì il suo viso cambiò espressione, mostrandola fredda e distaccata.
«Non sono qui per fare conversazione. Sono venuta per dirti di smetterla di cercarmi. Mi dai fastidio» affermò senza tradire alcuna emozione, nonostante il cuore le battesse all'impazzata.
Ren la guardò sconvolto e la rabbia gli crebbe incontrollata nel petto. «Che cosa hai detto?!» inveì, irrigidendo la schiena.
«Mi hai sentito. Questa cosa fra noi non ha più senso e...» s'interruppe quando vide Ren alzarsi dal letto, andarle incontro e fermarsi di fronte a lei, a pochissima distanza.
«Coraggio, continua. Finisci la frase» sussurrò, guardandola con occhi piedi d'ira.
Melany cercò di reggere il suo sguardo e raccolse tutte le forze per finire quel che aveva incominciato.
«Ci dobbiamo lasciare. Non voglio più stare con te» affermò decisa, mentre Ren non riusciva a credere alle sue parole. La osservò in silenzio e gli parve di non conoscere la persona che aveva di fronte.
Che fine aveva fatto la ragazza combattiva che faceva di tutto pur di avere le sue attenzioni?
«Se è uno scherzo non è divertente» disse il ragazzo, che sperò di vedere in lei un barlume d'incertezza che non apparve.
«Ascolta, io adesso ho da fare e devo andare via, ma mi sembrava giusto mettere in chiaro le cose» replicò con fare scocciato voltandosi verso la porta, ma subito Ren le afferrò una mano.
«Aspetta!» esclamò arrabbiato, ma Melany si liberò bruscamente dalla sua presa.
«Non mi toccare! E smettila di telefonarmi. Ciao!» gridò, poi aprì la porta e superò la soglia senza preoccuparsi di richiuderla.
Camminò per i corridoi. Accelerò il passo nel cortile dell'ospedale. Corse fino a casa: veloce, sempre più veloce cercando di spazzare via il suo dolore e la sua disperazione.
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