Capitolo 22 - I sentimenti di Irvine

Le strade della città erano già imbiancate: poiché nel suo vecchio paese nevicava di rado, essendo più esposto a sud, Melany decise di prendersi del tempo per ammirare quello spettacolo naturale, arrivando a scuola poco dopo il suono della campanella d'ingresso. Entrò in classe, incastrò le bretelle dello zaino sulla spalliera della sedia, levò il cappotto e si sedette al suo posto.

«Allora, hai pensato alla mia proposta?» domandò Irvine, alla sua sinistra.

Melany restò un attimo in silenzio, estraendo il materiale scolastico dalla cartella. «Quale proposta?» chiese senza guardarlo.

«Come sei cattiva, Melly! Sai bene a cosa mi riferisco» replicò sorridendo.

«Certo che lo so. Sono giorni che me lo ripeti» ribatté lei sarcastica, guardandolo di sfuggita.

«E allora? Posso avere una risposta?» incalzò lui sfoggiando una certa sicurezza.

Melany distolse lo sguardo dal ragazzo e sospirò. «Non so se sia il caso di uscire insieme, Irvine. E poi ancora non ho deciso cosa farò durante le vacanze natalizie» mormorò.

Nei giorni trascorsi, Melany si era cullata della compagnia del ragazzo accettando di essere riaccompagnata a casa dopo la scuola e, persino, d'incontrarlo, talvolta, a metà strada la mattina presto. Però, si era resa conto di non poter continuare così: Irvine era un bravo ragazzo, si preoccupava per lei e la trattava con dolcezza, ma, per quanto qualunque ragazza si sarebbe sentita lusingata da tali attenzioni, lei non riusciva a lasciarsi alle spalle il suo unico pensiero fisso.

«Senti, io...» borbottò la ragazza, ma venne subito interrotta.

«Hai da fare domani?» domandò lui, ignorando le sue parole.

«Domani? No...»

«E allora usciamo, così potremo capire se stiamo bene insieme o no. Se non ci proviamo neanche una volta non lo sapremo mai» spiegò serioso.

Melany era indecisa, non sapeva cosa fare, e quando provò a rispondergli venne distratta dall'entrata del prof di matematica: il docente, sedutosi alla cattedra, reggeva in mano dei documenti che le fecero tornare in mente una terribile dimenticanza.

«Ragazzi, chi di voi deve ancora consegnare il Test orientativo? Oggi è l'ultimo giorno» disse il professore, guardando l'elenco. «Rose, manchi solo tu. Hai il questionario con te?» aggiunse fissandola.

«Sì, prof. Chiedo scusa...» rispose Melany alzandosi dal posto per consegnare il foglio; lo poggiò sulla cattedra e, quando si voltò per tornare al suo banco, l'insegnante la fermò.

«Aspetta. Visto che con questo ho completato la raccolta, portali tutti alla professoressa Mazzavigni. È lei che si occuperà della consultazione» dichiarò porgendole i documenti.

Melany cercò di soffocare un sospiro seccato e li prese con sé. «Ok. Devo andare in sala professori, giusto?» chiese rassegnata.

«No. La professoressa oggi ha lezione in IV B» spiegò il docente senza rivolgerle uno sguardo, tuttavia vedendola immobile sul posto si voltò a osservarla. «Tutto bene?»

«N-Non ho capito bene... devo andare in... IV B?» Di tutte le classi di quella grande scuola, proprio in IV B doveva recarsi? Non era possibile. Doveva esserci un errore.

«Sì. Adesso va'» replicò il prof, tornando a guardare il registro.

«N-Non può andarci qualcun altro?» provò a chiedere, incapace di nascondere un tono sofferente.

Aveva fatto di tutto per evitare di recarsi o farsi notare ai piani inferiori: non comprava più i panini con Risa, quando scendeva in palestra si nascondeva fra i suoi compagni e aveva persino finto di sentirsi male, restando in aula, quando il professore d'informatica aveva deciso di portare la classe nei laboratori, accanto all'aula di scienze. Adesso, invece, non solo avrebbe dovuto scendere quelle detestabili scale da sola, ma doveva proprio entrare nella IV B: la classe di Ren.

«Forza, Rose, non perdere altro tempo» replicò il docente, ignorando la richiesta della ragazza.

Melany prese un bel respiro e, meccanicamente, si voltò verso la porta d'ingresso, l'aprì e uscì. Mosse qualche passo nel corridoio, poi si fermò a ragionare: c'era un'alta probabilità che Ren non fosse nella sua classe. Passava la maggior parte del tempo nell'aula di scienze e non vedeva il motivo per cui, proprio in quel momento, dovesse comportarsi da bravo studente presenziando alle lezioni. Forte di quel pensiero, continuò il suo cammino, scese le due rampe di scale, si fermò di fronte alla porta e, dopo aver inspirato profondamente, bussò.

«Buongiorno. Devo consegnarle questi da parte del professor Sparìo» annunciò Melany, entrando decisa e dirigendosi dritta verso la cattedra, dove poggiò i questionari. Guardò solo di fronte a sé per la paura che, a discapito dei suoi pensieri, Ren ci fosse davvero. «Allora io torno in cla...» aggiunse, ma la docente la interruppe.

«Aspetta un attimo. Visto che sei qui, ti do delle dispense che devi consegnare al professor Sparìo. Ma dove le ho messe?» farfugliò la Mazzavigni, guardando nella sua borsa.

Melany era incredula: in che razza di situazione era capitata? Senza volerlo, con la coda dell'occhio, diede uno sguardo alla classe e si tranquillizzò quando non vide Ren da nessuna parte. Al solo pensiero che lui potesse essere così vicino si sentiva agitata, a disagio, tuttavia non poté negare una punta di delusione.

Al posto del ragazzo, però, incrociò lo sguardo di Erika, seduta in seconda fila, e subito si volse a guardare l'insegnante: vederla le dava troppo ai nervi e temeva che il banco vuoto accanto a lei fosse quello del ragazzo. "Smettila di pensarci, basta!" si rimproverò.

«Eccoli. Vai pure, Rose» disse la donna, porgendole un blocchetto di fogli.

«Buongiorno, professoressa» salutò lei, voltandosi: non vedeva l'ora di uscire da lì!

Di fretta, portò la mano sulla maniglia per aprire la porta, ma questa si spalancò all'improvviso. Aveva sperato troppo presto di non incontrarlo e, invece, lui era lì, di fronte a lei, così vicino che sarebbe bastato un movimento per toccarlo. Con la sua classica felpa col cappuccio, Ren fissò Melany stupito e lei si sentì pietrificata dai suoi profondi occhi di ghiaccio. Dopo pochi secondi di apnea ritornò in sé e, riuscendo a farsi spazio fra lui e il telaio della porta, uscì rapidamente dalla classe. Con i documenti stretti sul petto, imboccò le prime scale, ma, mentre stava salendo la seconda rampa, sentì dietro di sé dei passi.

«Aspetta, Melany!» gridò Ren che, con poche falcate, la stava già raggiungendo.

Dopo giorni di silenzio, imposti da lei stessa, adesso lui aveva deciso di affrontarla, ma Melany non si sentiva pronta al confronto. Non desiderava ascoltare cosa le volesse dire: aveva paura che le chiedesse scusa per non averle detto la verità, che sarebbero diventati fratelli, e non voleva ancora scontrarsi con quella realtà.

Ignorando il suo richiamo, prese a salire le scale con velocità fino al terzo piano; ancora una volta, si sarebbe rinchiusa nell'infermeria aspettando che lui smettesse d'inseguirla. Avrebbe dovuto parlargli prima o poi, lo sapeva, tuttavia desiderava vivere ancora un po' nell'illusione che non sarebbero diventati parenti, almeno finché non avesse smesso di provare quei sentimenti per lui.

Quando fu di fronte alla porta della stanza, si fermò: annaspando aria per la fatica, si domandò se mai sarebbe arrivato il momento adatto in cui si sarebbe sentita in grado di sostenere quella conversazione. Probabilmente, la cosa giusta da fare sarebbe stata approfittare di quell'occasione per chiarire le cose fra loro, così, forse, sarebbe riuscita ad andare avanti.

D'improvviso, non voleva più scappare. Si voltò verso le scale, vide Ren con le mani in tasca avanzare lentamente dalla rampa inferiore; era la prima volta, dopo tanto tempo, che si soffermava a guardarlo senza distogliere in fretta lo sguardo. Quanto le era mancato? Prese un profondo respiro e, quando si mosse per andargli incontro, venne afferrata da qualcuno che la tirò dentro l'infermeria, chiudendone la porta.

Appoggiato al muro accanto all'ingresso, Irvine la teneva stretta a sé, con una mano sulla bocca per impedirle di parlare. Appoggiò la fronte sulla spalla della ragazza e sospirò.

«Non andare da lui... non parlargli» mormorò.   

Melany era immobile, stretta da quell'abbraccio tremante. Delicatamente spostò con la mano quella del ragazzo che aveva sul viso.

«Irvine, io...»

«Melany» chiamò Ren oltre la porta. Alla ragazza si spezzò il respiro, mentre Irvine alzò la testa voltandola in direzione dell'entrata. «Non mi vuoi proprio parlare, eh?»

Melany aprì la bocca pronta a rispondere, ma la presa di Irvine sul suo ventre si fece più forte e non riuscì a dire nulla. Avrebbe voluto urlare, aprire la porta e soccombere ai suoi sentimenti, ma, se lo avesse fatto, che cosa ne sarebbe stato di Irvine, così fragile in quel momento? Oltre la porta ci fu silenzio.

«Volevo solo dirti che domani sera ci sarà una festa e vorrei che venissi. Hai capito?» la informò Ren, sempre così serio e impassibile ma che, in quell'istante, fece trasparire tutta la sua tensione.

Melany ingoiò la saliva che si era accumulata per l'ansia. «Ho-Ho capito...» riuscì a rispondere. Poco dopo, udì i passi di Ren farsi sempre più lontani.

Quando ci fu completo silenzio, Melany si rivolse a Irvine. «Adesso puoi lasciarmi».

Il ragazzo la liberò, poi si mosse verso la finestra di fronte a loro. «Perché ti ha invitato a una festa? Non vi siete lasciati?» domandò senza voltarsi. Il suo tono di voce era duro, arrabbiato, ma anche rammaricato.

Melany si mise le dita fra i capelli facendole scivolare fino alla nuca. «È una storia complicata» rispose sottovoce.

«Ho tutto il tempo che vuoi. Racconta» ribatté Irvine, aprendo la finestra ed estraendo una sigaretta dal pacchetto che aveva nella tasca dei jeans.

Melany non aveva nessuna intenzione di affrontare quel discorso, ma era palese che il ragazzo non le avrebbe permesso di andare via se non fosse stata sincera con lui. Si avvicinò alla cattedra, al centro della stanza, e si sedette al di sopra.

«Il motivo per cui io e Ren ci siamo lasciati... è perché, forse, diventeremo fratelli» ammise, perdendo lo sguardo nel pavimento.

Quella confessione, che mai aveva fatto ad alta voce, le strinse il cuore in una morsa. Faceva male, faceva davvero tanto male ammettere la verità.

Irvine la guardò stupito. «Fratelli? Ma come...?» mormorò incredulo.

Melany appoggiò le mani sul bordo della scrivania e prese un bel respiro. «Mia madre e suo padre si sono conosciuti per caso, innamorandosi. Sono sicura che alla festa di domani annunceranno il loro matrimonio. È per questo che mi ha invitato, perché i nostri genitori ci tengono alla presenza di tutti» affermò rassegnata, passandosi una mano dietro al collo, nervosa.

Irvine, che non aveva ancora acceso la sigaretta, la ripose nel pacchetto e si avvicinò alla ragazza. «E tu non vuoi perché... sei innamorata di lui» affermò, osservando il suo evidente stato emotivo.

Melany gli rivolse uno sguardo confuso, poi scese dalla cattedra muovendo qualche passo di fronte a sé. «Innamorata, dici? Come ci si può innamorare di qualcuno in così breve tempo? Voglio dire, siamo stati insieme davvero poco... È una cosa che non mi riesco a spiegare. Riflettendoci, non credo neanche che lui sia il mio tipo» confessò con un sorriso amaro.

Di certo non aveva mai sognato per sé un ragazzo così schivo e restio alle manifestazioni d'amore. Voleva un fidanzato che la facesse sentire desiderata, amata, e nei giorni trascorsi con Ren non c'era un momento in cui non si chiedesse cosa provasse realmente. No. Di certo non avrebbe mai scelto uno come lui, se l'amore le avesse permesso di ragionare.

«E io?» domandò Irvine.

Melany si voltò a guardarlo, confusa dai pensieri nella sua mente. «Tu, cosa?»

«Sono il tuo tipo?» incalzò lui, avvicinandosi.

La ragazza, dopo un'espressione sconcertata, gli rivolse un sorriso scherzoso. «Non so se il rosso sia il mio colore» replicò giocosa per allentare la tensione fra loro.

Il ragazzo, che negli ultimi minuti non aveva accennato neanche un sorriso, le prese una mano, accarezzandone delicatamente il dorso con il pollice.

«Nonostante il tempo passato insieme, non mi hai mai considerato, vero? Ti chiedi come si faccia a innamorarsi di qualcuno che si conosce da poco... Beh, me lo sono domandato anch'io, sai...» confessò Irvine, guardandola negli occhi.

Melany si sentì terribilmente imbarazzata e non riuscì a sostenere il suo sguardo, voltando il capo in un'altra direzione.

«Io non capisco... Hai una schiera di ragazze che morirebbero per te. Perché proprio io? Ormai mi conosci, sono un disastro: emotiva, impulsiva, insicura... Perché proprio me?» domandò a disagio, tornando a guardarlo.

Conosceva benissimo i suoi difetti e non capiva perché lui, che forse aveva visto tutti i suoi lati peggiori, continuasse a nutrire quei sentimenti.

«Perché... non lo so, ma mi sento a mio agio quando sono in tua compagnia. Mentre se non ci sei non smetto di pensarti» ammise, poi le accarezzò il viso. «Mi fai ridere, mi fai arrabbiare... mi fai ingelosire e mi fai impazzire» aggiunse, avvicinandosi per baciarla.

Nei loro occhi, illuminati da correnti di smeraldo, si palesarono pensieri contrastanti: sicuri e ostinati, incerti e confusi. Quando le labbra furono a un passo dallo sfiorarsi, Melany abbassò leggermente il capo e Irvine le baciò la fronte.

«Non... non so cosa dirti...» sussurrò la ragazza imbarazzata e rammaricata per quella situazione.

«Non devi dire niente. Va bene così» disse lui abbozzando un sorriso, allontanandosi da lei per avvicinarsi alla porta. «Però, sappi che non rinuncio così facilmente. Non credo che l'unico problema siano i vostri genitori, c'è dell'altro. E se ti fa stare così male allora non ti merita» aggiunse prima di uscire dall'infermeria.

Melany rimase immobile: Irvine le piaceva, non poteva negarlo, ma il suo sentimento per lui non era abbastanza da poterlo ricambiare. "Quanto dev'essere triste un amore non ricambiato?" pensò. Forse, entrambi, vivevano un dolore molto simile.

Si avviò verso l'ingresso, ma subito pestò qualcosa. Abbassò lo sguardo e sospirò amareggiata.

«Cavolo... i documenti del prof» sussurrò e si chinò per raccoglierli.  

Tornata a casa pranzò da sola con delle verdure avanzate dalla sera prima, poiché non aveva granché appetito. Finito di lavare i piatti, si diresse nella sua stanza per buttarsi sul letto, a pancia in giù, poi prese il telefono dalla tasca del pantalone e chiamò Becca, alla quale aveva già anticipato per messaggio quanto accaduto a scuola.

«Allora?» rispose l'amica.

«Allora, cosa?» ribatté Melany svogliatamente.

«Come cosa? Non vi siete detti altro? Parlo di Irvine».

«No. Dopo che sono tornata in classe, non ci siamo più parlati. Però, poi, all'uscita mi ha chiesto se potevamo fare la strada insieme. Gli ho risposto di no... non mi sembrava il caso» replicò, ripensando al volto dispiaciuto del ragazzo.

«Uhm, capisco. Beh, sei stata un po' cattiva... ma capisco».

«Cattiva? Come potevo passeggiare con lui dopo la sua dichiarazione! Allora sì che sarei stata veramente cattiva» sbottò seccata.

«Ma mettiti nei suoi panni. Adesso sei single e, secondo me, dovresti dargli una chance. Anche perché, considerando la foto che mi mandasti tempo fa, sarebbe davvero un peccato mettere da parte un ragazzo come quello!» ridacchiò l'amica, nel tentativo di risollevarle il morale.

«Sei una vera cretina! Non cederò alle sue avance solo perché è un bel ragazzo. Non posso farci niente se non riesco a vederlo come ipotetico fidanzato» borbottò Melany.

«Il problema è che tu non vedi nessun altro a quel modo, a parte...»

D'improvviso la porta della sua stanza si spalancò e Claudia entrò sfoggiando un abbagliante sorriso.

«Non si usa bussare?» lamentò irritata la ragazza, stanca della sua solita irruenza.

«Ho sentito una cosa interessante! Chi sarebbe questo ragazzo che ti fa le avance? Eh?!» schiamazzò sua madre, acutizzando sempre più la voce e avvicinandosi al letto della figlia.

«Hai origliato?!» sbottò Melany spalancando occhi e bocca, incredula.

«Solo un pochino!» ammise lei, poi si sedette sul letto. «Coraggio, dimmi: Chi è? È bello? È alto? Ha gli occhi chiari? A te piacciono i ragazzi con gli occhi chiari» domandò a raffica, con le mani giunte in preghiera.

Melany si alzò di scatto dal letto, le prese una mano e l'accompagnò verso la porta. «Non hai visto che sono al telefono?» palesò seccata.

«Richiamerai Becca più tardi. Adesso racconta tutto alla tua adorata mamma!» disse con tono mieloso e per tutta risposta la figlia la spinse oltre la soglia, chiudendo la porta.

Attese un attimo in silenzio, poi portò lo smartphone all'orecchio.

«Cosa stavamo dicendo? Ah, beh, non puoi capire... Ero così concentrata a levarmi dalla testa R...», riprese a raccontare, ma si zittì e si voltò verso la porta sospettando che la madre stesse ancora origliando, «... a quell'altro, volevo dire, che non mi sarei mai immaginata che i sentimenti di Irvine fossero tanto seri. Credevo scherzasse con me così come faceva con le altre e invece...» continuò, stendendosi ancora una volta sul letto a pancia in giù.

«In ogni caso, è apprezzabile il fatto che non abbia preteso una risposta e trovo molto romantico, quasi da film rosa, la sua dichiarazione d'amore. "Non rinuncio così facilmente", ha detto così, no? Io ci farei un pensierino. Seriamente. E magari stando insieme potresti innamorarti di lui. Che ne sai?» confessò l'amica.

«Che palle...» sospirò Melany avvilita, poi sentì bussare. «Aspetta in linea...» borbottò seccata. Abbassò il telefono, ponendolo sul petto, e volse la testa verso l'entrata «Che c'è?» chiese a sua madre, rientrata nella stanza.

«Hai parlato con Gioren?» domandò la donna.

Melany sbarrò gli occhi. «In un certo senso...»

«Allora ti ha detto di domani sera? Verrai con me?» incalzò.

«Boh. Ci devo pensare». In realtà non aveva alcuna intenzione di andarci.

«Ci tengono molto tutti quanti» affermò Claudia con tono mesto.

«Ho detto che ci devo pensare!» ripeté Melany stizzita.

«Io ci tengo molto...» precisò, incurvando le labbra per enfatizzare un'espressione triste.

La ragazza sbuffò rumorosamente tuffando il viso nel cuscino. «Va bene, va bene! Ci vengo...» rispose rassegnata, con la voce soffocata dal guanciale.

«Davvero?!» richiese sua madre, avanzando verso il suo letto e battendo le mani per la felicità.

«Sì, ho detto di sì! Adesso lasciami finire la telefonata!» sbottò, guardandola e agitando la mano per farle capire di uscire.

«Evviva! Domani pomeriggio usciamo a comprare un vestito nuovo!» dichiarò contenta la donna, voltandosi verso la porta.

«Non ho bisogno di nessun vestito nuovo» replicò Melany, riavvicinando il telefono all'orecchio.

«Pensaci, Melany. E se comprassi un vestito super sexy?» le domandò Becca.

«Io, vestirmi super sexy? Ma scherzi?» ribatté sconcertata.

«Metti da parte, per una volta, la tua timidezza e fallo bruciare dalla gelosia con un abito sensuale! Così impara» incalzò con fervore l'amica.

Melany ci pensò un attimo. «E tu pensi che gli importerà? Io non credo» ragionò a voce alta.

«Questo non lo sappiamo, ma, nel dubbio, perché non tentare?» spiegò lei.

Allora la ragazza provò a immaginare la scena del loro incontro, prendendo una decisione.

«MAMMAA! Ho cambiato idea!» urlò.  

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