Capitolo 21 - Rabbia
«Sono a casa» gridò Melany, chiudendo la porta d'ingresso dietro di sé.
Irvine l'aveva accompagnata quasi fin sotto al portone, cosa che la fece sentire a disagio, tuttavia accettare la sua proposta era stata una gran fortuna: uscita dall'aula e imboccato il corridoio centrale, aveva sentito alle sue spalle la voce cavernosa di Bruno e sapeva che il teppistello non si staccava mai da Ren. D'istinto aveva preso il braccio di Irvine per trascinarlo oltre la soglia dell'ingresso, il più velocemente possibile; probabilmente non era stato un gesto molto rispettoso nei confronti del ragazzo ma, in fondo, si era offerto lui di farle da diversivo, aveva pensato.
Entrò nella sua stanza, poggiò lo zaino a terra, tolse il cappotto e si buttò a pancia in giù sul letto; avrebbe dovuto preparare il pranzo se non voleva morire di fame, ma prima desiderava rilassarsi un momento. Con il ritorno di Ren a scuola sarebbe stato tutto più difficile. Molto più difficile.
«Tesoro, tutto bene?» chiese la madre entrando nella stanza, invitata dalla porta aperta.
«Sì, adesso arrivo a preparare» rispose Melany con il mento puntato sul materasso. Poi si volse a guardarla, quando si accorse che non aveva ancora lasciato la sua stanza. «Cosa c'è?»
«Volevo sapere se oggi Gioren fosse rientrato a scuola» spiegò muovendo un passo verso di lei.
Melany le rivolse uno sguardo di sufficienza e tornò a poggiare il mento sul letto. «Sí, a metà mattina» replicò stizzita.
«Bene, e non vi siete parlati?» incalzò.
«No, mamma, non ci siamo parlati!» affermò con veemenza, aggiungendo "per fortuna" nella sua mente.
«Oh... non fa niente. Prima o poi vi parlerete. Vado a preparare il pranzo!» esclamò Claudia, battendo le mani e uscendo dalla stanza.
Melany posò le mani sul materasso alzando il busto di fretta.
«Vai a preparare, cosa? Ehi, mamma! Non toccare niente, hai capito?!» esclamò, scendendo dal letto per correrle dietro.
Per quale motivo avrebbe dovuto parlare con Ren? La relazione di sua madre sarebbe andata avanti anche senza che loro avessero avuto alcuna interazione.
La mattina dopo Melany si alzò di soprassalto: aveva fatto un brutto sogno, ma per fortuna non lo ricordava già più; le erano rimasti solo i brividi e una brutta sensazione in corpo, come se avesse realmente vissuto qualcosa di spaventoso, quella notte. Scese dal letto, andò in bagno a sciacquarsi e infilò dei vestiti puliti, poi, finita la colazione uscì di casa per dirigersi a scuola.
Mentre camminava, prese dallo zaino il Test orientativo e lo fissò: era ancora bianco, aveva scritto a stento il nome. I questionari erano stati distribuiti in tutte le classi del quinto anno per portare i professori a conoscenza delle intenzioni future degli studenti, attraverso domande generali: Dopo il diploma ti iscriverai all'università? Quale università? Saresti disposta a lasciare la tua città per frequentare un indirizzo specifico? "Certo che sarei disposta a lasciare questa città" pensò lei. "Non mi è mai piaciuta e adesso ancora meno. Voglio andare via di qui".
Continuava a fissare il foglio, persa nel suo personale mondo immaginario, e non si accorse di essere ormai arrivata a scuola. Ritornò in sé quando sbatté contro qualcuno.
«Guarda dove vai» le disse una voce femminile e Melany alzò gli occhi.
«R-Risa. Scusami» mormorò confusa, non sapendo se la ragazza avrebbe gradito che le rivolgesse la parola, e si chinò a riprendere il test scivolato dalle mani dopo l'urto improvviso.
«V-Volevo scusarmi» bisbigliò inaspettatamente la compagna di banco. Melany fissò i suoi occhi di giada in quelli nocciola di Risa, sorpresa dalle sue parole. «N-Non c'è bisogno che mi guardi con aria di superiorità! Se fai così, me ne vado!» esclamò irritata, incrociando le braccia al petto.
«Ma non sto facendo niente...» disse Melany distogliendo lo sguardo dall'amica.
La sua attenzione venne catturata dallo stridere delle rotelle del cancello, che ne annunciavano l'apertura, poi i suoi occhi si fissarono in un punto preciso: appoggiato al muro, sotto la targhetta della scuola, c'era Ren, immobile, con le braccia conserte e lo sguardo basso, intento a osservare il cellulare. La ragazza impietrì: voleva nascondersi, confondersi fra gli altri studenti, ma allo stesso tempo desiderava che la notasse. Come avrebbe reagito nel vederla? Non avrebbe fatto una piega? Oppure si sarebbe mostrato emozionato? "Ren emozionato di vedermi? Forza, Melany, non dire stupidaggini".
La figura del ragazzo era parzialmente coperta da altri liceali, ma quando questi si spostarono per entrare nell'istituto Melany assistette a una scena che non avrebbe mai voluto vedere: di fronte a lui c'era una ragazza con un caschetto castano, un giubbotto di pelle nero e dei jeans davvero attillati con la quale sembrava avesse molta, troppa confidenza.
«... per cui le motivazioni sono queste. Ehi... ma mi stai ascoltando?» sbottò Risa, che aveva appena tenuto un lungo monologo per scusarsi del suo comportamento, tuttavia Melany non aveva ascoltato una sola parola.
«Chi diavolo è quella?» domandò sottovoce la ragazza, senza distogliere lo sguardo.
Risa si volse per capire cosa stesse guardando e vide Ren attraversare il cancello insieme alla donna incriminata.
«Ah, quella... Si chiama Erika ed è la figlia del preside. Ora che ci penso, prima che ti appiccicassi al tuo ex, quei due erano spesso insieme, tanto che in giro si vociferava che stessero insieme» spiegò Risa osservandoli, poi si volse verso Melany e il suo viso colmo di irritazione la fece sussultare. «M-Ma non è detto che stiano insieme anche adesso, eh!» cercò di rimediare alle informazioni troppo dettagliate appena fornite.
Melany sbuffò con aria di sufficienza. «Non me ne frega assolutamente niente! Per me, può fare quello che gli pare» esclamò inviperita, per poi recarsi dritta nella sua classe senza aspettare la compagna.
Incastrò le bretelle dello zaino sulla spalliera della sedia e si sedette a braccia conserte. "Dunque, quella è la sua ex, eh? Cioè, in realtà, sono io la sua ex, quindi lei è la ex ex" iniziò a formulare pensieri contorti, così contorti che non si accorse dell'inizio della lezione e venne ripresa dalla professoressa che l'ammonì sbattendola fuori dalla classe.
Melany, ferma nel corridoio, si appoggiò con le spalle al muro e sospirò; per fortuna la docente non le aveva messo una nota, altrimenti sarebbe stato un bel problema per l'ammissione agli Esami di Stato. Certo che quella prof era davvero molto antipatica: mandarla fuori solo per una distrazione le fece credere che provasse dell'antipatia nei suoi confronti, tuttavia aveva imparato a conoscere da subito il carattere lunatico della Mazzavigni.
Poiché non aveva alcuna intenzione di rimanere in piedi per il resto dell'ora, decise di sgattaiolare via, abbassando la testa per non essere vista dall'oblò sulla porta, diretta verso l'infermeria, diventata un po' come il suo rifugio personale. Imboccò le prime scale, ma dalla rampa inferiore sentì provenire una voce familiare.
Istintivamente si accovacciò a terra, sui gradini, e si sporse adagio oltre la ringhiera, fra le sbarre, per guardare giù: aveva sentito bene perché, al piano di sotto, appoggiato alla cattedra al centro del pianerottolo, c'era Ren, di cui, però, non riusciva a vedere il viso. Lo ascoltò parlare, non sentiva bene e neanche capiva chi fosse il suo interlocutore, finché accanto alle Converse rosse del ragazzo comparve uno stivaletto nero con il tacco.
«Allora, dopo la scuola dove andiamo? Non vedevo l'ora di tornare da quello stupido viaggio» disse Erika con tono compiacente.
Melany si drizzò in piedi carica di rabbia e disprezzo. Evidentemente per lui era davvero facile dimenticare ogni cosa dall'oggi al domani. Si girò verso il piano di sopra e con passo pesante salì le scale. Quando si trovò fra le due scalinate, si voltò leggermente a destra: di lì vedeva benissimo Ren e anche lui la vide. Lo sguardo di Melany, se avesse potuto, lo avrebbe distrutto, incenerito e polverizzato, tuttavia non desiderava osservare oltre quella disgustosa scena e, guardando davanti a sé, proseguì la salita fino all'infermeria. Aprì la porta, prese la chiave nascosta nel cassetto della scrivania e si chiuse dentro, poi si sedette a terra accovacciandosi.
Che razza di vita era quella? Possibile che tutto potesse andare in pezzi a causa di un maledettissimo ragazzo? Se lo avesse saputo prima, se qualcuno gliel'avesse spiegato che l'amore poteva essere anche così, allora, forse, non gli avrebbe mai rivolto la parola quel giorno.
«Melany» sussurrò una voce attraverso la porta. Ren era lì, a pochi passi da lei.
La ragazza entrò nel panico: non voleva vederlo, non voleva parlargli, o meglio non doveva. Piano piano riprese la posizione eretta, strisciando con la schiena sul muro, e rimase in silenzio. Pensò che, forse, sarebbe andato via se si fosse reso conto che in quell'aula non c'era nessuno.
«Melany, lo so che sei lì. Vorrei parlarti» disse gentile e alla ragazza si sciolse quasi il cuore. Da quanto non sentiva la sua voce? Iniziò ad annaspare aria e, per non far troppo rumore, si mise le mani sulla bocca. Oltre la porta ci fu silenzio.
«Ti aspetterò nell'aula di scienze. Melany, per favore, cerca di venire...» mormorò Ren, appoggiato con la fronte sulla porta, come se sapesse che lei era a pochi centimetri da lui, poi andò via.
Melany sentì i suoi passi allontanarsi e per quanto cercasse di essere forte, di ripetersi che di lui non le importava nulla, non riuscì a trattenere una lacrima. Perché era andato da lei? Perché l'aveva inseguita? E cosa voleva dirle? Non era sicura di volerlo sapere.
Quando suonò la campanella della ricreazione Melany rimase seduta al suo posto e, con un piede sul bordo del banco, scorreva a vuoto le pagine di Facebook sul cellulare. Il fatto che Ren le avesse chiesto di recarsi nell'aula di scienze non implicava che lei dovesse necessariamente andarci: come poteva pretendere di tornare da lei convinto che l'avrebbe ascoltato senza fare una piega? Dopo giorni interi di silenzio da parte sua, perché mai avrebbe dovuto obbedirgli senza opporre resistenza? In fondo, era lui in errore.
Continuò a rimuginare su quel pensiero persistente senza accorgersi di tre losche presenze ferme di fronte al suo banco. Quando alzò lo sguardo e le vide, roteò gli occhi al cielo infastidita.
«Mi era sembrato di essere stata abbastanza chiara» proferì la brunetta a braccia conserte. Melany decise di ignorarla continuando a scorrere le pagine dell'applicazione sul telefono.
«Ehi, Sonia, la stronzetta sembra ignorarci» dichiarò la biondina sbattendo una mano sul banco di Melany.
«Cos'è, stupida?» ridacchiò la terza.
«Ehi, ehi...» mormorò Risa, spettatrice involontaria della scena.
«Ignorale, Risa. Si fanno forti perché Irvine non c'è» affermò Melany voltandosi appena verso la compagna di banco.
«Ma che cazzo dici?» sbottò la biondina.
Melany, senza rivolgere loro uno sguardo, sorrise con sufficienza. «Vorreste dirmi che non è così? Che avreste la faccia tosta di fare le bulle davanti a lui? Ma per piacere. Non ci credo proprio» ridacchiò. Era già parecchio nervosa per conto suo e le tre ragazze non fecero che irritarla ancora di più.
«Hai sentito Sonia quanto è spavalda la ragazza, oppure pensi che sia solo stupida?» disse la biondina, innervosita dalla saccente affermazione di Melany.
Sonia, la brunetta, guardò la ragazza ignorarle del tutto e il suo volto si caricò di rabbia ma poi, inaspettatamente, le rivolse un sorriso malizioso. «Ho capito perché fai tanto l'insolente: il tuo ragazzo è tornato, o forse dovrei dire "ex". Te la fai con quelli più piccoli, eh?» la canzonò con arroganza, sfoggiando un'espressione soddisfatta quando Melany alzò lo sguardo mostrando tutto il suo disprezzo. «Beccata!» ridacchiò sostenuta dalle altre. «Adesso puoi lasciare in pace Irvine e tornare da quel tipo, anche se proprio non capisco come tu lo possa preferire. È solo uno stupido maschio che si è fatto sospendere per le sue bravate. Un vero idiota. Però ha un bel visino. Dev'essere uno spasso a let...»
Sonia venne bruscamente interrotta da Melany che con un calcio buttò a terra il suo banco, mancando di poco i piedi della giovane.
La ragazza si alzò di scatto avvicinandosi alle vipere e con una mano afferrò la maglia della brunetta, tirandola verso di sé. «Che cosa diavolo hai appena detto?! Ripetimelo in faccia se ne hai il coraggio, brutta stronza!»
Melany era furiosa: non le importava nulla di essere insultata, ma sentir screditare Ren a quel modo le mandò il sangue alla testa, riesumando quel carattere aggressivo che aveva tentato di rifiutare.
Per fortuna, dietro le ragazze comparve Irvine che corse subito verso di loro, sciogliendo la presa della ragazza su Sonia.
«Ehi, che cosa ti prende? Vuoi passare dalla parte del torto?» disse preoccupato, ponendo le mani sulle spalle di Melany. La ragazza, con lo sguardo fisso su Sonia, sembrava non riuscire a controllare la sua rabbia, nonostante si rendesse conto di aver commesso un'azione troppo avventata.
«Lasciami stare!» sbottò, liberandosi dalla presa di Irvine e uscì dalla classe.
La situazione le stava sfuggendo di mano: quella di prima non era lei, o meglio non lo era più da anni, eppure le era bastato davvero poco perché la rabbia prendesse ancora il controllo del suo corpo. Era da tanto che non le capitava e detestava la sua incapacità di pensare prima di agire.
Scese le scale fino al piano terra, fermandosi qualche gradino prima del corridoio che l'avrebbe portata all'aula di scienze. Forse non era proprio il caso di vedere Ren in quello stato, rischiando di peggiorare ulteriormente le cose a causa del suo umore nero, ma le gambe si erano mosse da sole portandola fin lì. Prese un bel respiro, scese le ultime scale e si voltò alla sua destra.
Alzando lo sguardo, in lontananza, vicino alla porta della classe vide Ren poggiato con le spalle al muro, ma non ebbe il tempo di gioirne poiché non era solo. Erika era lì, al suo fianco, vicino, troppo vicino per i suoi gusti; parevano chiacchierare in tranquillità e Melany trovò davvero meschino da parte sua costringerla ad assistere ancora una volta a quella scena. "Adesso sto con lei" sembrava volesse dirle.
Si piantò sul posto, immobile, incapace di mascherare il suo disappunto. Erika, accortasi di lei, le andò subito incontro con un gran sorriso e la salutò dandole un bacio per guancia, come fossero amiche di vecchia data.
«Tu devi essere Melany! Molto piacere, mi chiamo Erika. Ren ti stava aspettando. Sono molto contenta di conoscerti. Ho sentito tanto parlare di te e volevo proprio incontrare la futura sorellastra» esclamò con un sorriso.
Melany spalancò gli occhi dallo stupore: Ren, che non parlava mai con nessuno, che non confidava i suoi pensieri, i suoi sentimenti neanche sotto tortura, aveva raccontato a quella ragazza una cosa tanto personale? E soprattutto era stata presentata come "futura sorellastra" e non come ex ragazza. Rimase in silenzio, senza riuscire a emettere un fiato.
«Ehi, sei rimasta senza parole? Tranquilla, non dirò a nessuno di voi finché non si ufficializzerà il matrimonio dei vostri genitori» disse Erika.
Melany, volgendo uno sguardo di sfuggita oltre le spalle della ragazza, vide Ren avvicinarsi. I loro occhi s'incontrarono e se nel cielo azzurro di lui aleggiava una calda emozione, nelle profondità marine di lei non c'era nulla di affettuoso.
«Sai...», continuò Erika, «... a me Ren dice ogni cosa» confessò, poi avvicinò la bocca all'orecchio di Melany. «Perché si dice tutto alla propria ragazza, no?» Tornò a guardarla. «Beh, ragazza suona meglio di amica di letto, giusto?» ridacchiò, rivolgendole uno sguardo compiaciuto.
Aveva capito tutto, sapeva di loro, dei loro trascorsi o, molto probabilmente, era stato Ren stesso a dirglielo. Forse, ridendo, le aveva raccontato di come la sua futura stupida sorellastra si era innamorata di lui, di come gli avesse ingenuamente aperto il cuore e di quanto desiderasse restare al suo fianco.
Quando Ren le fu di fronte Melany gli rivolse uno sguardo di disprezzo.
«Erika, adesso vattene. Devo parlare con lei» affermò, prendendo Erika dal braccio e spingendola verso la rampa di scale.
«No, Erika, resta pure qui» disse Melany guardandola, poi volse il capo verso Ren. «Tu. Sei pregato di non rivolgermi mai più la parola. Non voglio più vederti né sentire la tua voce e se ci dovessimo incrociare qui a scuola, fa' finta che non esista. Così come io farò con te» precisò glaciale, con tono profondo e privo di emozione, quasi gioendo dello sguardo ferito che le stava rivolgendo il ragazzo. Infine, si voltò e andò via.
Quelle terribili parole che erano uscite dalla sua bocca senza controllo, avevano definitivamente distrutto ogni tipo di rapporto fra i due e a Melany sembrò andare bene così.
Nei giorni successivi le capitò d'incontrare Ren a scuola poche volte e, in ogni occasione lui, come Melany aveva richiesto, non la degnava di uno sguardo né tantomeno lei osservava lui, ma almeno in apparenza. Perché quando le loro strade si dividevano, un attimo prima che si perdessero di vista, si voltavano per guardarsi di sfuggita, senza che l'uno o l'altro se ne accorgesse.
«Melany, non hai ancora parlato con Gioren?» le chiese sua madre, impaziente.
«No, e non credo che lo farò!» sbottò, infilando il giubbotto e prendendo lo zaino posato sul pavimento.
«Ma perché? Deve dirti una cosa importante!» incalzò la donna, nervosa.
«E perché non me lo dici tu, allora?» chiese Melany irritata, mentre apriva la porta di casa.
«Non posso, ha detto che ci teneva a dirtelo lui stesso» spiegò e l'espressione corrucciata di Melany si sciolse in una smorfia di tristezza.
"Vorrei parlarti" le aveva detto giorni prima. "Parlarmi di cosa? No. Non m'interessa" borbottò nella sua mente.
«Non credo che ci parleremo. Se c'è qualcosa che devo sapere, dimmelo tu, ma non ora, sono in ritardo» dichiarò uscendo, chiudendo la porta dietro di sé.
Quando fu fuori dal portone, Melany alzò una mano ponendo il palmo verso l'alto per catturare un fiocco di neve. Era il 20 dicembre e quello sarebbe stato l'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie.
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