Capitolo 14 - Uomo lupo

Il giorno dopo, uscendo da scuola, Melany aveva tutte le intenzioni di recarsi a casa di Ren: non si era ancora fatto sentire e incominciava a innervosirsi, seriamente preoccupata. Considerando il tipo di ragazzo che aveva scelto non si aspettava un normale fidanzamento, ma neanche di essere ignorata dopo mezza giornata passata insieme. Odiava tantissimo quella parte di sé così debole: pur di risolvere la situazione era sempre lei a farsi avanti per prima, cosa che le impediva di ragionare con calma sull'accaduto. Tuttavia, sentiva che la situazione le sarebbe sfuggita di mano se non avesse insistito e, ormai, aveva capito che ci teneva troppo a lui perché accadesse.

All'improvviso il suono del cellulare annunciò un messaggio e lo prese dalla tasca del giubbotto.

"Ah! Ma allora sei vivo!" brontolò nella sua mente, seccata, e stava anche per scriverglielo ma lo cancellò subito, scuotendo la testa. Non voleva litigare tramite messaggi.

Optò per una bugia perché non voleva dargli la soddisfazione di sapere che avrebbe voluto vederlo. Troppo comodo per lui apparire e scomparire quando gli andava.

Melany camminava con il telefono fra le mani quando si arrestò bruscamente, incurante dei passanti che potevano finirle addosso. Guardò ancora per un attimo il cellulare, attivò il blocco dello schermo e lo rinfilò in tasca.

"Oddio... e adesso? Sono nel panico. Completamente nel panico..." borbottò procedendo a passo svelto. Fino a un momento prima era decisa ad andare da lui, ma solo dopo il suo messaggio iniziò a rendersi conto della reale situazione. "Gli uomini sono lupi" le disse una volta Becca ed entrare nella tana del lupo non era l'ideale, soprattutto adesso che stavano insieme. Detestava farsi condizionare da quel pensiero, accendeva in lei brutti ricordi. Tuttavia, non voleva che le cose fra loro restassero così o, peggio ancora, precipitassero prima ancora di aver avuto una reale opportunità.

Continuò a camminare, cercando di risolvere il suo conflitto interiore; si sentiva imbarazzata e a disagio, mala sua voglia di vederlo andava oltre ogni altro pensiero. Si fermò, prese il cellulare dalla tasca e visualizzò la chat di Ren.

Nonostante il suo conflitto interiore non aveva cambiato direzione e adesso era lì, ferma a guardare la sua immagine riflessa dalla porta a vetri. Non dovette aspettare molto, qualche secondo, e subito il portone si aprì. Lei deglutì ed entrò.

Fermò il pugno a pochi centimetri dalla porta, nella speranza di trovare il coraggio per bussare. Prese un lungo respiro e, quando si decise a battere, Ren le spalancò l'entrata.

«Hai fatto presto» le disse sorridendo e si allontanò verso il soggiorno.

Melany rimase pietrificata sulla soglia, con il braccio alzato, osservandolo allontanarsi nel corridoio. Poi, scuotendo la testa, ritornò in sé entrando in casa e chiudendo la porta alle sue spalle. Con passo felpato raggiunse Ren, ma non disse una parola.

«Accomodati pure, se vuoi» mormorò lui, porgendole un bicchiere di succo alla pesca, il suo preferito. Lei si sedette sul divano e lui fece lo stesso sulla poltrona di fianco. «Mi si è rotto il telefono» aggiunse, sorseggiando dalla lattina di Coca-Cola

Melany inarcò un sopracciglio, cercando di soffocare un sorriso isterico. «È davvero questa la tua scusa?» rispose prima di assaggiare il succo, senza distogliere lo sguardo da lui. Ren sbuffò con evidente espressione di colpa.

«Hai ragione, è una bugia» ammise, poggiando la lattina sul tavolino di fronte a loro.

«E allora?» incalzò Melany sentendo l'agitazione invaderle lo stomaco. Quella situazione non le piaceva: gentilezza, sincerità e succo alla pesca erano troppo sospetti per un tipo evasivo come lui.

Ren appoggiò le spalle allo schienale della poltrona e, incrociando le braccia al petto, sospirò. «Cosa vuoi che ti dica, Melany? Non sono adatto a fare il fidanzato di cui hai bisogno» confessò fissando lo sguardo nei suoi occhi, che l'osservavano imperterriti. La ragazza sbatté le palpebre confusa.

«E quale sarebbe il fidanzato di cui ho bisogno?» chiese, perché neanche lei lo sapeva realmente.

«Sicuramente qualcuno che ti coccoli, con cui uscire per un appuntamento romantico e che ti risponda ai messaggi» spiegò guardando altrove, visibilmente a disagio per quel discorso.

Melany rimase in silenzio a riflettere. Forse aveva capito dov'era l'intoppo. «Uhm... se mi dici così, capisco che il problema non sei tu, ma io» disse poggiando il bicchiere vuoto sul tavolino, rigirandolo con le dita. «Qui non si tratta del fidanzato di cui io ho bisogno, ma della ragazza che vuoi tu» aggiunse, spostando lo sguardo su di lui. Gli occhi di Ren erano fissi sul suo viso, immobili, seri, concentrati su quelle parole. Concentrati su di lei. «Quelle cose che hai detto, uscire, messaggiare, non saranno azioni che faresti, ma ti vien voglia di farle se trovi la persona giusta» continuò Melany, alzandosi dal divano. «Per cui, in pratica, mi stai dicendo, ancora una volta, di aver commesso un errore e che io non vado bene» concluse con tono accusatorio, muovendo qualche passo verso il corridoio.

Ren, istintivamente, le prese una mano e la fermò. «Aspetta! Dove vai?» esclamò alzandosi dalla poltrona.

Sul viso di Melany spuntò un velato sorriso compiaciuto. La rabbia per le sue parole esigeva libertà incontrollata, ma aveva imparato a dominare quella parte impulsiva di sé. Ciononostante, decise di tendergli una trappola inscenando una finta fuga e la sua reazione, unita allo sguardo realmente dispiaciuto, la tranquillizzò, facendole sperare di non essere la sola a credere nel loro rapporto.

«Volevo poggiare il bicchiere nel lavandino, vedi?» mormorò sorridendo, agitandolo davanti al suo viso, e quando la lasciò si voltò per dirigersi in cucina. Ren restò immobile, stupito da se stesso e dal timore improvviso al solo pensiero che lei lo stesse lasciando, nonostante fosse convinto del suo discorso.

Scosse la testa, ridacchiò e la seguì. «Sei furba, non c'è che dire» le disse, appoggiando i gomiti sul banco snack che lo divideva da lei.

«E tu sei lunatico» rispose Melany con stizza, sciacquando il bicchiere nel lavello.

«Ma quale lunatico... È solo che...» farfugliò grattandosi la testa. Melany si voltò a guardarlo con sguardo indagatore: sembrava molto confuso e combattuto, come se dentro di sé stesse lottando una battaglia personale, ma se avesse riguardato entrambi allora avrebbe dovuto parlargliene.

«Ren, dobbiamo essere sinceri. Perché non mi dici cosa c'è che non va? Ne possiamo parlare?» mormorò, poggiandosi anch'ella sul ripiano, ponendosi di fronte a lui.

I loro sguardi s'incontrarono, fissi, imperturbabili, ricchi di tante parole celate. Lei avrebbe voluto fargli tante domande, chiedergli cosa lo tormentasse, ma sentì la sicurezza svanire nel silenzio dei loro occhi. In fondo, le sarebbe bastato anche rimanere così se significava averlo vicino, nonostante sapesse che avrebbe potuto soltanto soffrirne.

«Usciamo?» disse Ren improvvisamente.

Melany si stupì sbattendo più volte le palpebre. Era sicura che non avrebbe risposto alla sua domanda, ma non si aspettava di essere zittita con una proposta del genere.

«U-Uscire? Tu e io?» chiese confusa. Non aveva appena dichiarato di non essere un tipo da appuntamenti? O magari doveva semplicemente svolgere qualche servizio.

«Sì. Svelta, infilati il giubbotto» incalzò voltandosi e dirigendosi nel corridoio per prendere il cappotto. Melany rimase sbigottita, quasi a bocca aperta e lo guardò prepararsi per l'uscita. «Allora? Andiamo?» insisté lui, rivolgendole un sorriso spaventosamente affascinante. «Guarda che ti lascio qui».

A quelle parole Melany scattò sull'attenti correndo a prendere il giubbotto sul divano, rischiando di cadere a causa dei repentini movimenti. Avrebbe pensato un altro giorno alle sue domande perché in quel momento non poteva di certo rifiutare un invito tanto allettante.

Passeggiarono l'uno a fianco all'altro, senza tenersi per mano o lasciarsi andare ad altre cose sdolcinate. Melany non aveva idea di dove la stesse portando e più volte sperò che estraesse le mani dalle tasche della giacca, anche solo per provare a sfiorarlo, tuttavia camminare a così poca distanza da lui era più che sufficiente. Le bastava poco per sentirsi contenta e non desiderava tirare la corda più del dovuto.

Non intavolarono discorsi particolari e per lo più restarono in silenzio. La ragazza, ancora un po' imbarazzata dalla sua proposta, si guardava intorno per distrarsi e più di una volta notò sguardi femminili, inequivocabili, osservare il suo accompagnatore. Con la coda dell'occhio fissò Ren, intento a guardare davanti a sé: senza quel suo solito cappuccio sulla testa, i lunghi capelli neri incorniciavano perfettamente il viso dalla carnagione chiara e bastò un raggio di sole perché i suoi occhi di ghiaccio risplendessero come gemme preziose, mentre il giubbotto blu mostrava perfettamente il suo fisico asciutto, slanciato dall'altezza. Inconsciamente s'impettì, lasciandosi sfuggire un sorriso da scema. Lui era il suo ragazzo!

Passarono accanto a un panificio e Melany annusò il buon profumo che ne usciva. Adorava l'aroma del pane appena sfornato. Subito dopo le brontolò lo stomaco, rumore che cercò di soffocare chiudendo bruscamente il giubbotto. All'improvviso Ren si fermò.

«Entriamo qui? È ora di pranzo» disse indicando un locale alla sua destra.

Melany si voltò e sbiancò, incredula: era la tavola calda in cui la sera prima aveva cenato in compagnia di Irvine. Non ci voleva proprio!

«Naa, io non ho fame! Continuiamo a camminare» rispose un po' isterica, facendo qualche passo in avanti, ma Ren l'afferrò per il braccio.

«Ma io sì. Forza, andiamo» disse lui e la trascinò dentro.

Si ritrovò seduta in un tavolino a due, di nuovo.

Quel déjà-vu non le piacque affatto; si sentiva molto a disagio e, per completare il quadro imbarazzante, ai tavoli serviva la ragazza che per tutta la serata aveva rivolto occhiate languidi a Irvine. Inutile dire che, vedendo Melany con un altro, la squadrò con sguardo truce.

«Cosa prendi? Verdure?» chiese Ren mentre leggeva il menù.

«S-Sì... verdure» mormorò facendo finta anche lei di consultarlo, nonostante sapesse benissimo cosa ci fosse scritto.

Che terribile situazione le era capitata. Si augurò di concludere il pranzo quanto prima, nonostante desiderasse allo stesso tempo che durasse il più possibile. Chissà quando le sarebbe ricapitato di pranzare insieme a lui.

All'improvviso la cameriera sbatté con stizza la brocca d'acqua sul tavolo, tanto che Melany sobbalzò dallo spavento. «Acqua?» gracchiò acida, rivolta alla ragazza.

«F-Faccio da sola, grazie...» biascicò lei, prendendo la caraffa e riempiendosi il bicchiere. Ma cosa voleva? Non sapeva niente di lei e la stava giudicando senza conoscere la situazione; tuttavia, dovette ammettere che recarsi lì con due ragazzi diversi non favoriva di certo pensieri lodevoli nei suoi confronti.

A Ren non sfuggì quella particolare scenetta fra due. «Amica tua?» chiese quando la cameriera si fu allontanata.

«N-No. Non la conosco» replicò imbarazzata, un tono sopra il normale, scuotendo la testa.

In quella scomodissima situazione non riusciva a concentrarsi sul soave momento che stava condividendo con Ren. Durante il tragitto aveva elaborato un piano: quella più compromessa fra i due nella loro storia, se così si poteva chiamare, era senza ombra di dubbio lei e doveva escogitare qualcosa perché anche lui si sentisse più coinvolto, sperando, così, che non gli venissero più attacchi psicotici come quello di prima. Ma come fare? Lui la considerava già una gran chiacchierona e non aveva idee decenti a disposizione.

Bevve un sorso d'acqua, poi tossì per schiarirsi la voce. «Alloora... Quando ti riammetteranno a scuola?» chiese titubante. Il discorso non era dei migliori, lo sapeva, ma meglio del solito silenzio.

«Non ne ho idea. Se ne sta occupando mio padre» rispose Ren senza guardarla, ancora intento a scegliere qualcosa sul menù. Melany lo fissò stupita: era la prima volta che sentiva nominare suo padre. Ren spostò lo sguardo su di lei, dedicandole un sorriso di stizza. «Pensavi non avessi un padre?»

«N-No, cioè, vivi in casa da solo e mi sono domandata come mai. Non sei neanche maggiorenne» spiegò Melany, ben sapendo frequentasse ancora il quarto anno e che, saputo da fonti sicure (i bulletti), il suo compleanno fosse verso la fine di dicembre.

Ren sistemò il menù sul tavolo e la guardò incrociando le braccia al petto. «Io e lui non andiamo molto d'accordo. Così ho deciso di restare nel nostro vecchio appartamento, dove abitavamo quando c'era ancora mia madre» le rivelò facendole un sorriso di circostanza.

Melany impietrì al ricordo della confessione che le fece quel terribile giorno a casa sua. Non ne aveva più parlato e lei di certo non desiderava riaprire il discorso, troppo delicato e personale. L'immagine di un ragazzino angosciato per la perdita di sua madre comparve nella sua mente, rattristandola; per quanto volesse dirgli che riusciva a capirlo, suo padre, anche se lontano, non era morto e non se la sentiva di paragonare i loro sentimenti. La ragazza abbassò il capo, bevendo un sorso d'acqua e sperando che le venisse in mente qualche altro argomento.

«Non devi» sussurrò Ren catturando la sua attenzione.

«Cosa?» mormorò confusa, osservandolo sospirare e distogliere lo sguardo da lei.

«Non devi provare pietà. Non te l'ho raccontato per questo» spiegò tornando a guardarla. 

Melany stette in silenzio qualche secondo; non credeva avesse voglia di parlarne, ma non voleva essere fraintesa. «Ma no, nessuna pietà. È solo che...», bisbigliò a disagio, poi fissò gli occhi nei suoi, «... mi dispiace, ecco. Mi dispiace perché non dev'essere stato facile per te. E se avessi voglia di parlarne sappi che ti ascolterò, in qualunque momento. Tutto qui» aggiunse alzando le spalle, sapendo che lui difficilmente si sarebbe aperto ancora una volta con lei.

Tuttavia, Ren la stupì rivolgendole un dolce sorriso che le parve un sincero "grazie". Ah, se era bello quel sorriso! Avrebbe voluto vederlo più spesso sul suo viso, sarebbe rimasta a fissarlo per ore. E più lo guardava e più capiva che per lei non c'era altra via di scampo, se non accettare ciò che cresceva nel suo cuore.

Fortunatamente per Melany e i suoi nervi, fu un altro cameriere a servire le loro ordinazioni e il pranzo sembrò procedere senza difficoltà, soprattutto perché Ren le apparve inaspettatamente loquace. Quell'istante d'indecisione iniziale sembrava essere del tutto sparito e loro non erano altro che due fidanzati intenti a pranzare insieme. Un vero idillio.

Quando arrivò il momento del dessert fu la cameriera scontrosa a servirlo a entrambi.

«Tartufo bianco per lei», disse gentilmente rivolgendosi a Ren, «e tiramisù per te, come ieri» aggiunse in modo scortese, posando nervosamente il piattino di fronte a Melany.

La ragazza guardò il dolce con occhi spalancati e un brivido freddo le attraversò tutta la schiena: quella maledetta aveva detto due parole di troppo. Prese il cucchiaino e assaggiò il tiramisù senza degnare Ren di uno sguardo, il quale la stava fissando indispettito.

«Non vi conoscete, eh?» commentò seccato per l'evidente bugia che gli aveva rifilato. Melany tentò invano la ricerca di un fosso in cui sotterrarsi e deglutì il dolce a disagio.

«M-Ma certo che non la conosco! Solo che sono stata qui ieri e ci ha serviti lei» spiegò senza pensare. 

Ren inghiottì il boccone del suo tartufo e il suo sguardo su di lei si fece glaciale. «Ci?»

"Cazzo! Sono una vera stupida!" si rimproverò da sola, terribilmente imbarazzata. Sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, cercò le parole giuste per raccontargli l'accaduto. Alla fine, non era successo nulla di cui dovesse vergognarsi o scusarsi.

«Ieri sera mia madre aveva un appuntamento, come sempre, e non volevo restare a casa da sola. Così sono uscita. Passeggiando mi sono fermata davanti alla vetrata di questo locale e ho incontrato un compagno di classe che mi ha invitata a entrare. Tutto qui, niente di che. Una semplice cena in amicizia» chiarì, sorridendo isterica.

«Capisco. È per questo che ti ha riconosciuta» disse lui, mangiando un altro boccone.

«Macché, a stento mi avrà notata. Non ha fatto altro che guardare Irvine perché è un bel ragazzo» replicò subito, per poi rendersi conto di aver parlato ancora a sproposito. «Sì, beh... V-Voglio dire, alla fine non c'è nulla di male nel cenare in compagnia, no?» aggiunse tentando di difendersi. Riusciva perfettamente a distinguere lo stridere delle sue unghie mentre tentava di arrampicarsi sugli specchi, nella speranza di non peggiorare la situazione, ma ormai il danno era bello che fatto.

Ren la fissò senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, finendo di assaporare il dolce che aveva in bocca e i suoi pensieri non erano mai stati tanto palesi. «Assolutamente. Un compagno di classe, anzi Irvine, che è anche un bel ragazzo, t'invita a cena in un locale come questo, pieno di coppie, e tu accetti senza porti alcun problema. Mi sembra tutto regolare» sbottò visibilmente innervosito. Con stizza abbandonò il cucchiaino nel piatto del tartufo, non ancora finito, e si alzò per dirigersi alla cassa.

Melany rimase a bocca aperta. Ammetteva il suo errore, ma non si aspettava che lui reagisse in maniera così esagerata. Si drizzò in piedi, raccolse le sue cose e lo raggiunse al bancone, affiancandolo per fare la fila.

«N-Non hai finito il dessert» borbottò. Fu la prima cosa che le venne in mente di dirgli.

Ren le rivolse uno sguardo di sfuggita e avanzò per pagare il conto. Intanto lei mise le mani nelle tasche dei pantaloni per prendere i soldi e pagare la sua parte, tuttavia lui saldò il conto senza aspettarla e si diresse deciso verso la porta d'uscita, incurante di lasciarla indietro. La cameriera impicciona, che aveva assistito alla scena, si avvicinò a Melany e le sorrise soddisfatta.

«Ben ti sta!» ridacchiò.

La ragazza, visibilmente scossa dal comportamento del ragazzo, sfogò la sua frustrazione sulla pettegola. «Sta' zitta, cretina!» sbottò d'istinto, senza modulare il volume della voce, tanto che in tutto il locale calò un silenzio imbarazzante. Rossa per la vergogna, si coprì con una mano la parte del viso rivolta verso i clienti e scappò fuori dal locale per inseguire Ren. «Aspettami, Ren!» gridò sottovoce, raggiungendolo, ma lui non rallentò il passo per nulla interessato al suo richiamo. «E dai, ti prego! Era solo una cena con un compagno!» esclamò incredula.

Ren si fermò all'istante, voltandosi di scatto verso di lei, rivolgendole uno sguardo di sufficienza. «Pensi che m'importi?» disse irritato.

«Ehm... parliamo della cena o di Irvine?» mormorò senza riflettere. A quel punto lui non era più solo irritato, ma realmente arrabbiato e si rigirò per andarsene. Melany, istintivamente, si mosse veloce ponendosi davanti a lui per impedirgli di andare oltre. «Ok, ok, scusami! Sono una scema... Penso poco prima di parlare, è un terribile difetto. Però, se controlli la cronologia dei messaggi che ti ho mandato, vedrai che ti avevo chiesto se fossi libero ieri sera, ma tu non mi hai risposto, non rispondi mai» gli disse, credendo di aver trovato la difesa giusta per sistemare la situazione.

«Ohh, capisco. Quindi io non ti rispondo e tu ne approfitti per uscire con Irvine» ribatté Ren con tono accusatorio. Melany rimase sconcertata dalla terribile piega che stava prendendo quell'uscita che, fino a poco prima, sembrava quasi perfetta.

«Ehi, aspetta! Io non sono uscita con Irvine! Ti ho detto che l'ho incontrato e... Argh... Questa relazione mi ucciderà...» replicò affaticata, ponendo una mano sulla fronte in segno di sfinimento.

«Relazione? Quale relazione? Non c'è nulla del genere fra noi» precisò Ren con tono duro e deciso, per poi superarla e continuare a camminare.

Melany, che stava facendo del suo meglio per mantenere la calma, s'innervosì così tanto da sentire le vene pulsare sulle tempie e non riuscì più a trattenersi. Sbatté un piede a terra e incrociò le braccia al petto.

«Adesso basta! Non capisco perché stai avendo una reazione del genere. Quella cena per me non ha significato nulla e invece tu stai ingigantendo tutto. Se non conoscessi il tuo carattere freddo e distaccato, direi quasi che sei geloso!» affermò irritata fissando le sue spalle, per nulla interessata di star urlando in mezzo a un marciapiede.

Ren si fermò e scosse la testa, poi si volse a guardarla con sguardo infastidito, senza dire una parola. Ancora una volta, il ghiaccio nei suoi occhi tentò di aggredire il mare nelle iridi di Melany, perdendo la battaglia contro le impetuose onde di burrasca. Alzò gli occhi al cielo e proseguì il cammino.

La ragazza si ammutolì, sciogliendo le braccia lungo i fianchi. Era pronta a un acceso confronto, lì, in mezzo alla strada, e invece lui si era tirato indietro, come se fosse rimasto ferito dalle sue parole. "No, dai! Non è possibile..." brontolo incredula verso quel pensiero e subito gli andò dietro per porsi al suo fianco, con le mani nelle tasche del giubbotto, rispettando il silenzio.

Dopo qualche metro, Ren sbuffò seccato. «Perché mi stai seguendo? Va' a casa» le disse irritato. Si sentiva confuso perché arrabbiato con lei e avrebbe voluto che andasse via, lasciandolo solo, ma allo stesso tempo averla a fianco era diventato qualcosa a cui non riusciva a rinunciare.

«Ho dimenticato il mio zaino nel tuo appartamento. Mi spiace, ma dovrai sopportarmi» replicò rivolgendogli un sorriso smaliziato. Lui la guardò di sfuggita, alzò gli occhi al cielo e soffocò un sorriso compiaciuto. Anche se gli dava il tormento, non poteva negare che fosse una piacevole tortura.

Quando arrivarono davanti al portone, Melany salutò la signora Teresa, intenta a sfamare il solito gattino, e continuò a seguire Ren tenendosi alle sue spalle. Non appena la porta venne aperta, mosse due passi oltre l'uscio, ma subito Ren l'afferrò per il braccio. Chiuse l'ingresso con forza e spinse Melany contro la parete, bloccandole ogni via di fuga con le mani appoggiate all'altezza delle sue spalle.

«Chi è che sarebbe geloso?» mormorò seccato e, posandole una mano dietro alla nuca, la baciò assaporando il dolce calore delle sue labbra.

«Tu» bisbigliò lei, scostandosi di poco.

«Non mi piacciono questi sentimenti» confessò stringendola forte a sé, incapace di distogliere lo sguardo dalle sue labbra.

«Dovrai farci l'abitudine» spiegò portando le braccia dietro al suo collo mentre lui, stanco di parlare, riprese a baciarla dimenticando ogni altro pensiero.

"Gli uomini sono lupi" le tornò in mente.  



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