Capitolo 13 - Fra le nuvole

In qualche modo, Melany riuscì a trovare la strada per rientrare a casa. Chiuse la porta d'ingresso dietro di sé, lasciò cadere a terra lo zaino della scuola e rimase immobile sul posto. Che cosa era appena successo? Si diede un pizzicotto sulla guancia e strillò leggermente per l'inaspettato dolore. Non riusciva a crederci. In quel piccolo parco, fortunatamente deserto, Ren l'aveva baciata senza il minimo riserbo. Sedutosi sulla panchina, le aveva preso una mano per attirarla a sé, costringendola a sedersi su di lui a cavalcioni, per nulla frenato dal suo evidente imbarazzo, per poterle afferrare il viso e baciarla ancora.

Dopo tutti quei rifiuti, quelle cattiverie gratuite che le aveva detto, era come se ogni cosa fosse stata spazzata via per lasciar posto unicamente al suo desiderio di lei. Melany, per quanto avesse millantato chissà quale esperienza amorosa con il suo ex fidanzato, non era riuscita a reggere il suo ritmo costringendo il ragazzo a darle un momento di tregua. Non si erano detti granché, anzi non si dissero proprio niente, limitandosi a guardarsi: lei, incredibilmente imbarazzata, aveva fissato i suoi luminosi occhi di cristallo e lui, con un lieve sorriso compiaciuto, aveva osservato le sue guance arrossate, che accarezzava con il pollice.

Erano rimasti lì per un tempo che Melany non seppe definire e di cui neanche si diede pensiero. Sarebbe voluta restare in sua compagnia il più possibile, per paura che, una volta separati, lui potesse cambiare idea, considerato il suo carattere lunatico, tuttavia fu costretta a rientrare a casa, preoccupata per la madre. La donna, che aveva il brutto vizio di tartassarla di messaggi anche durante le ore scolastiche, non si era fatta sentire per tutta la mattinata, e non era un buon segno, per quanto gradito.

Ondeggiò lentamente verso la cucina, come una piuma trasportata dalle onde del mare, riacquistando la consapevolezza di sé non appena vide la borsa di Claudia sul tavolo e, realizzando che la donna era in casa, si accigliò perplessa. Aveva ipotizzato che essendo in compagnia dell'uomo che stava frequentando avesse dimenticato le sue cattive abitudini, e invece lei era lì, nel loro umido appartamento. Le parve molto strano, soprattutto perché, ultimamente, non rientrava mai per quell'ora.

Alzò gli occhi al cielo pensando a tutte le domande moleste che le avrebbe rivolto sul suo inusuale ritardo; non aveva alcun problema a confessare quel che le stava succedendo, semplicemente lei stessa ancora faticava a crederci. Un attimo dopo sentì dei rumori provenire dalla camera da letto di sua madre e si diresse lì, decisa ad affrontarla per levarsi subito di torno ogni seccatura. "Mi auguro che sia sola. Se la dovessi beccare in atteggiamenti intimi con il suo partner poi avrò gli incubi per il resto della vita" pensò avanzando con timore. La porta era accostata e, aprendola, si rese conto che la situazione era più grave del previsto: sua madre era lì, impegnata a tirar fuori dall'armadio tutti i vestiti che, presumibilmente, gli aveva comprato il fidanzato, per buttarli sul letto con rabbia. La sua stanza, spaziosa e dalla mobilia bizzarra, come la poltrona indiana che richiamava l'aspetto di un elefante, si presentò un vero disastro.

«Mamma, ma che succede?» chiese Melany entrando.

«Faccio pulizia, non vedi?» rispose lei senza neanche guardarla.

«Sì, ma... perché?» domandò la ragazza, prendendo fra le mani un vestito rosa corallo di purissima seta. Caspita, quant'era morbido!

«Non ho bisogno di tutte queste cose. Non sono una bambolina da vestire!» sbraitò nervosamente, con le lacrime agli occhi.

«Mamma, che cos'è successo?» incalzò, avvicinandosi e poggiandole una mano sulla spalla.

Claudia scoppiò a piangere abbracciando sua figlia e sfogando tutta la tensione. Quante volte aveva assistito a scene del genere? Sua madre sembrava come ossessionata dalla ricerca di un compagno e Melany si sentiva profondamente addolorata poiché ne aveva intuito la ragione: darle la figura paterna che le aveva negato. La donna si sentiva colpevole, lei lo sapeva, soprattutto perché aveva contribuito alla crescita di quella colpa attraverso ingiuste accuse che le aveva rivolto in passato. Ma Melany non voleva un padre, non più. Si era ripromessa di andare avanti da sola, smettendo di sperare in qualcosa d'impossibile. Perché nessun uomo le avrebbe donato la gioia delle braccia forti del suo adorato papà.

Tuttavia, vederla così disperata, piangere a dirotto senza alcuna vergogna, le fece pensare che quell'uomo fosse diverso, non solo un probabile sostituto. Che si fosse realmente innamorata? La ragazza non poté far altro che abbracciarla e attendere che si tranquillizzasse.

«Ti sei calmata? Ti va di parlare con tua figlia?» le chiese dopo che entrambe si furono sedute sul letto, sopra la montagna di vestiti.

«Sì, grazie, tesoro. Se non ci fossi tu...» e le lacrime ripresero a rigarle il viso.

«Mamma, non vado da nessuna parte. Su, dimmi» incalzò.

La madre rigirò la sciarpa di velluto fra le mani, declassata a semplice fazzoletto, tirò su con il naso e decise di parlare.

«Giorgio... ti ho parlato di Giorgio?» mormorò incerta.

«No, ma posso intuire che sia il tuo fidanzato» rispose lei sorridendo.

«Sì, beh, ormai ci frequentavamo da un po' e lui... lui...» tentò di spiegare la donna, ma il magone le impediva di proseguire il racconto.

«Lui... cosa?» domandò Melany, perplessa e incuriosita.

«Beh, lui... mi ha chiesto di andare a vivere insieme» confessò timidamente.

«Ah. E quindi?» chiese stupita la ragazza, perché non era quello che si aspettava di sentire.

«Come "e quindi"? Non posso! Non può chiedermi una cosa del genere! Lui lo sa benissimo. Perciò, è palese che l'abbia fatto perché così, dicendogli di no, lui può troncare la nostra relazione. È ovvio! È stato così... così... meschino!» sbottò confusamente, alzandosi dal letto e camminando in cerchio per la stanza.

Melany inarcò un sopracciglio sentendo l'irritazione invaderla. «Mamma... ma sei scema? Il tuo fidanzato ti chiede di andare a vivere con lui e tu capisci che ti vuole lasciare? Ma stiamo scherzando? Roba da matti!» sbottò la figlia, sbattendo le mani sulle cosce e scuotendo la testa, incredula

«Tu non capisci. Io ho te! Come posso chiederti, dopo un trasloco in fretta e furia, dopo quanto successo con Alex, di andare a vivere a casa di un altro uomo?» le disse preoccupata.

«Ma è semplice: io rimango qui e tu vai lì» dichiarò candidamente Melany.

Ci fu un attimo di silenzio. La donna fissò i suoi occhi nocciola nel mare silenzioso delle iridi della figlia, sfumatura ereditata dal padre, e sbatté più volte le palpebre, confusa. «In che senso?» domandò infine.

«Nel senso che non ti devi sentire legata a me. Ho diciotto anni, mamma. L'anno prossimo me ne andrò chissà dove all'università, credi che cambierà molto se iniziassi a vivere da sola già da ora?» spiegò convinta.

«Ma... non vuoi vivere più con tua mamma?» piagnucolò la donna con sguardo afflitto.

«Per favore, non fare la lagna. Non ho detto questo... volevo solo farti capire che, se ami davvero quest'uomo, non dovresti perdere un'occasione del genere, più unica che rara» chiarì lei, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla madre. «Poi, se ci tieni, puoi anche presentarmelo. Così saprò chi mi sta portando via la mamma» aggiunse sorridendo affettuosamente.

Claudia scoppiò ancora una volta a piangere e l'abbracciò forte, quasi impedendole di respirare.

«Io non ti merito. Non ti merito! Certo che te lo farò conoscere! Organizzo subito un incontro! Ti piacerà tantissimo, me lo sento» strillò felice, correndo fuori dalla stanza per prendere il cellulare lasciato nella borsa.

"Cosa devo fare con questa mamma? A volte mi domando chi sia l'adulta e chi la ragazza. Credo che per quest'oggi non le dirò che mi sono fidanzata. Magari domani" pensò fra sé e sé sorridendo felice.

«Oddio! Non ci credo! Ma sul serio?!»

«Sì, Becca, è la quarta volta che te lo dico. Sembri più incredula di me» ridacchiò Melany al telefono.

«Ma no. Solo che lui sembrava così... lunatico! Sinceramente non ci avrei sperato».

«Puoi anche dire bipolare! Ha questi atteggiamenti che proprio... boh, non mi spiego. Ora che ci ripenso, ha detto qualcosa anche quando ci siamo messi insieme» rifletté, poggiando indice e pollice sul mento.

«Tipo?»

«Qualcosa come che ce ne saremmo pentiti. Ma perché? Potrebbe evitare di essere così enigmatico e parlare con sincerità... sono la sua ragazza, dopotutto. Cavoli! L'ho detto ad alta voce» ridacchiò, sbattendo i talloni sul letto su cui era stesa.

«Tu sei scema... Comunque, potrebbe essere un problema. Magari ha un segreto e le relazioni con dei segreti non finiscono mai bene».

«Segreto? Quale segreto?» domandò seriosa e preoccupata. In effetti, se avesse dovuto dare una spiegazione razionale al suo comportamento, l'ipotesi di un qualche segreto inconfessabile sarebbe stata plausibile. Deglutì a disagio.

«Ma non lo so. Magari... magari ha già una ragazza! O... presto partirà per un viaggio sabbatico da cui non tornerà più. Oppure... è gay!» ipotizzò l'amica con evidente tono divertito.

Melany socchiuse gli occhi indispettita. «Adesso stai esagerando... Che senso avrebbe mettersi con me se avesse già una ragazza o, peggio ancora, se fosse gay!» rispose con stizza.

«Non c'è niente di male, eh. Ognuno è libero di fare le proprie scelte».

«Ma che cavolo vai dicendo! Meh, mi stai facendo innervosire...» borbottò mettendosi a sedere sul letto. Ormai il seme del dubbio era stato piantato e la ragazza incominciava a farsi delle domande.

Becca rise. «Scherzo, tesoro. Però ci rifletterei. Non sul fatto che sia gay, ma sul perché si comporti così. Perché non glielo chiedi direttamente?»

«Scherzi? Non voglio creare nessun problema e poi già dice che parlo troppo... No, no! Per il momento mi godrò questi giorni al suo fianco e, se non dovesse cambiare atteggiamento, ci penserò» rispose decisa. Non aveva voglia di arrovellare il cervello, solo di gioire della sua inaspettata felicità.

«Eh sì, il primo periodo è quello più bello. Si fanno un sacco di cose interessanti ed è anche ora che tu le faccia, amica mia» sghignazzò divertita.

«Becca! Sto chiudendo! Buonanotte!» sbottò imbarazzata e concluse la telefonata.

A volte, Becca era davvero insopportabile con le solite allusioni sessuali. Le sue esperienze d'amore erano superiori a quelle di Melany, ma questo non le dava il diritto di comportarsi da donna vissuta, facendola sentire una ragazzina alle prime armi. Tuttavia, la ragazza non poteva negare la forte sensazione che le dava l'idea di vivere il suo primo vero fidanzamento, o forse era il tipo di sentimento che provava per Ren che la emozionava e la travolgeva senza controllo.

Dopo aver svolto i compiti di letteratura e filosofia, Melany uscì dalla sua stanza pronta a soddisfare un languorino che risuonava nello stomaco già da tempo, tuttavia trovò il frigorifero sguarnito di alimenti già pronti. Se avesse voluto mangiare avrebbe dovuto cucinare e non ne aveva voglia. Quello che desiderava era che Ren le rispondesse ai messaggi, anche solo per dichiararsi vivo, ma non poteva pretendere troppo, lo sapeva. Sua madre, poco dopo essersi riappacificata con il fidanzato, era uscita di casa, tutta agghindata, abbracciandola felice, e non sarebbe tornata per cena, forse neanche per la notte. Melany era troppo su di giri per restare in casa e decise di uscire: prese cinque euro dalla zuccheriera di porcellana, infilò il giubbotto, sistemò il cellulare in tasca e si avviò verso l'ingresso. 

Il giorno prima aveva scoperto un'adorabile paninoteca a pochi metri da casa sua, la stessa in cui si era fermata in compagnia di Risa, e il pensiero di un buon sandwich e di un'insalata aumentò il suo languorino. Diversamente dal solito, guardandosi intorno, la città le apparve molto bella e accogliente: nelle strade affollate risuonava un piacevole chiacchiericcio, il traffico scorreva ordinato e le luci dei lampioni scaldavano l'atmosfera. Incredibile come un singolo evento avesse influenzato persino il modo di vedere ciò che la circondava.

Proseguiva a passo svelto quando un dolce profumo attirò la sua attenzione, invitandola a fermarsi di fronte alla vetrata di una tavola calda.

"Questo posto era chiuso ieri. Sembra carino" pensò leggendo il menù esposto fuori. Oltre il vetro osservò un bancone bar circolare al centro e tanti tavolini in legno sparsi per il locale. Le dava l'idea di un posto intimo, accogliente e tranquillo. Mise la mano in tasca per tirare fuori i soldi e controllare se, oltre alla banconota di piccolo taglio, avesse altri spiccioli, tuttavia, a malincuore, dovette constatare di non avere altro con sé e quindi di non poter entrare. Sospirando, si voltò per proseguire il suo cammino, concentrandosi sulla meta precedente, ma venne improvvisamente fermata da una voce che chiamava il suo nome.

«Melly! Ma tu guarda quante volte ci incontriamo oggi!» esclamò Irvine con un sorriso smagliante. «Ceni qui anche tu?» aggiunse avvicinandosi alla ragazza. Melany non era particolarmente contenta di vederlo, dato il suo carattere eccessivamente esuberante, ma non voleva sembrargli maleducata ignorando le sue parole.

«Ci stavo pensando, ma poi ho cambiato idea. Meglio la paninoteca più in là» rispose volgendosi verso di lui, infilando le mani nelle tasche del soprabito.

«Cosa ne dici se mangiamo qualcosa insieme? Così ci conosciamo. Ho sempre stretto amicizia con tutti i compagni di classe e tu non farai eccezione» le disse facendole l'occhiolino.

La ragazza non dubitò delle sue parole, memore di tutti i baci e gli abbracci ricevuti quella mattina, ma, a parte il discorso monetario, non le sembrava molto adeguato cenare in compagnia di un altro ragazzo, ora che si era fidanzata.

«Mi dispiace, ma non ho denaro sufficiente. Mangerò un panino più avanti» rispose, convinta di aver declinato la sua proposta in modo garbato.

Irvine le sorrise. «E che problema c'è? Offro io!» sentenziò, per nulla incline ad accettare un rifiuto. Le afferrò un braccio e la trascinò nella tavola calda, ignorando le sue lamentele.

Melany tentò di divincolarsi, ma il suo sorriso spensierato e i modi di fare accomodanti le impedirono di protestare con la giusta convinzione. E così si ritrovarono seduti di fronte a un piccolo tavolino per due.

"Questo è un bel casino... Passare la prima serata di fidanzamento... con un altro!" borbottò nella sua mente sentendosi molto a disagio.

«Beh, allora dimmi... pecché ti shei trashferita in guesta shittà?» domandò Irvine, masticando il pane appena servito e lei sospirò, arrendendosi all'ormai inevitabile confronto.

«Dunque... io e mia madre avevamo bisogno di cambiare aria» rispose Melany, sconcertata dal suo modo di parlare tanto confidenziale.

«Ohh, capisco. E ti trovi bene qui?» le domandò seriamente interessato.

«Non mi posso lamentare... E tu? Perché ti sei assentato da scuola?» incalzò lei, tanto perché non sembrasse un interrogatorio a suo sfavore ma una vera conversazione. Irvine, per la prima volta, la guardò in silenzio, sorridendo malinconicamente, e la ragazza si sentì subito in colpa, «Scusami, non volevo chiederti fatti personali. Non sei tenuto a rispondere» rettificò, dispiaciuta per la sua reazione.

«No, no. È solo che ancora non riesco a credere di essere fuori di lì» rispose il ragazzo, scuotendo la testa.

«Di lì dove?» chiese d'istinto, seriamente interessata

«Dall'ospedale» ammise candidamente, rivolgendole un gran sorriso. Melany si zittì, capendo di aver toccato un tasto dolente. Subito si domandò se il suo carattere tanto espansivo in realtà non fosse una maschera costruita per celare i suoi reali sentimenti. Era brava in questo genere di ragionamenti e dovette rivalutare l'opinione sul suo interlocutore.

«Capisco. Hai passato qualche brutto giorno».

«Quattro mesi e ventitré giorni, per l'esattezza. I miei compagni erano al corrente del ricovero, ma non sapevano quando sarei tornato. Se...» mormorò malinconico.

Melany si mostrò visibilmente curiosa di conoscere la motivazione per la quale era stato ricoverato tutto quel tempo in ospedale, tuttavia voleva evitargli il disagio di quel triste racconto e cambiò argomento.

«Beh, allora dobbiamo festeggiare!» esclamò lei alzando la tazza con la tisana.

«Giusto! Ecco il nostro pranzo» disse Irvine sorridendo alla cameriera, che per l'imbarazzo stava quasi per rovesciare il vassoio a terra.

Melany non era certo né stupida né cieca. Sapeva benissimo che Irvine era un bel ragazzo e non s'interessava agli sguardi lascivi che lo vedevano protagonista, perché per lei era solo uno fra tanti.

«Sei sicura che ti basti quello?» domandò Irvine indicando il piatto della ragazza: spaghetti di soia saltati e verdure grigliate. «Non ti preoccupare del conto. Prendi pure una bella bistecca!» aggiunse, mimando la dimensione di una Fiorentina.

«Oh, no. Mi hai invitata a cena e non mi farò problemi sul prezzo. Sono semplicemente vegetariana e mi va benissimo ciò che ho preso» rispose Melany, assaggiando una forchettata di spaghetti.

«Ah... Mi dispiace» ribatté lui rammaricato.

La ragazza socchiuse gli occhi dedicandogli uno sguardo infastidito. «Ma perché "mi dispiace"? Mai nessuno che dica "rispetto le tue scelte, cara"» replicò lei stizzita, imitando un ipotetico "nessuno" con voce grossa, scatenando una risata nel commensale.

«Ma la carne è così... buona!» esclamò teatrale Irvine, punzecchiando con la forchetta la sua grigliata mista, con aggiunta di patatine fritte.

«Esatto!» esclamò puntandogli la forchetta contro. «Qualcuno, finalmente, l'ha ammesso! Si tratta solo di questo: il gusto! Non è neanche più una questione di necessità... Assurdo. Comunque... meglio mangiare» concluse Melany, quando vide lo sguardo sconvolto del ragazzo a causa del fervore che aveva usato per esprimersi.

«Agli ordini!» enfatizzò Irvine, con la mano sulla tempia a mo' di saluto militare.

"È proprio scemo..." pensò Melany lasciandosi andare a una risata.

«Ahh! Allora anche tu ridi!» strepitò lui, ancor prima di finire il boccone. 

La ragazza inarcò un sopracciglio, confusa. «Perché, non dovrei?» rispose, continuando a sorridere per quanto le apparisse buffo.

«Non so, è il primo sorriso che ti vedo fare. Sei carina quando sorridi» disse Irvine candidamente.

Melany rimase di stucco per quel complimento inaspettato e arrossì involontariamente, per nulla abituata a riceverne. "Questo ragazzo dovrebbe dare più peso alle parole" si disse e riprese a mangiare sperando di finire il prima possibile. Quella situazione era durata fin troppo.

Quando terminarono la cena, Irvine si offrì di accompagnare Melany a casa, ma lei rifiutò prima che il ragazzo potesse finire la frase. Lo salutò e si avviò per la sua strada. Ritrovarsi in compagnia di un altro ragazzo quando il suo non le rispondeva a telefono le sembrò tanto un tradimento, nonostante non fosse successo nulla fra loro. E se Ren si trovasse in una delle sue fasi in cui non voleva vederla? Sperava che, diventando la sua ragazza, questi momenti da psicopatico sparissero, ma forse il problema era più grande di quel che pensava.

"Becca ha ragione. Forse dovrei parlargli" rifletté.



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