Capitolo 12 - Non siamo bambini

Melany rientrò a casa nera di rabbia. "Cosa siamo, bambini delle elementari?!" sbraitò nella sua mente. Dopo quel bacio così coinvolgente che le aveva toccato l'anima, aveva bussato più volte alla porta di Ren nella speranza di ricevere spiegazioni che chiarissero il suo comportamento, tuttavia lui l'aveva completamente ignorata, lasciandola lì, sul pianerottolo. 

Entrò nella sua stanza sbattendo la porta e subito cercò lo zaino da cui prendere il cellulare, cosicché potesse tempestarlo di messaggi carichi d'insulti, ma, non appena riacquistò un attimo di lucidità, si accorse di non averlo con sé. "Ehi, un momento, ma dov'è lo zaino?" pensò confusa, grattandosi la testa e, all'improvviso, si rese conto di quel che aveva fatto: si era completamente dimenticata di essere scappata da scuola lasciando tutte le sue cose in classe. Per fortuna, sua madre non era in casa, altrimenti avrebbe dovuto spiegarle come mai fosse rientrata a quell'ora.

Nel panico, si domandò cosa fare. Non poteva di certo tornare a scuola, e allora come avrebbe potuto recuperare la cartella? Con le mani sulle guance e gli occhi spalancati per la confusione, ritornò in sé quando sentì suonare alla porta.

Davanti a lei Risa reggeva il suo zaino. «Non sai quanto sono felice di vederti in questo momento!» esclamò abbracciandola. Caspita, che fortuna!

«Sì, ok, ma allontanati subito» rispose la compagna spingendola via, quasi con ribrezzo.

Melany, ormai, non ci faceva più caso al suo strano modo di fare e continuò a sorridere, felice di vederla, ma soprattutto felice di vedere il suo zaino.

«Ti ringrazio per avermi riportato le mie cose, ma potevi aspettare la fine delle lezioni» disse la ragazza, facendole strada verso la cucina.

«Naa. Adesso c'erano due noiosissime ore con la Mazzavigni. Quando ho visto che non rientravi, ho colto la palla al balzo» spiegò Risa, poggiando zaino e giubbotto a terra per poi sedersi su una sedia.

«Oddio, la Mazzavigni... Per sdebitarmi sei invitata a pranzo. Spero ti piacciano i risotti con le verdure» propose Melany guardando nella dispensa.

«Non credere che basti un pranzo. A base di erbe, poi...» borbottò l'amica.

«Ah, no?» domandò confusa, mentre si apprestava a preparare un preparato ai carciofi.

Per quanto odiasse le cose già pronte, non potendo contare su sua madre era costretta a tenerne una scorta per quando non aveva tempo o altro cibo in casa. L'alternativa sarebbe stata quella di saltare il pasto, ma era già abbastanza magra di costituzione e non voleva rischiare un ricovero per malnutrizione.

«Quando ci siamo conosciute mi sembravi una ragazza tanto carina, troppo carina per i miei gusti, ma subito dopo ti sei rivelata una lunatica musona. Un giorno sei felice e l'altro depressa. Ora, non che m'interessi, ma credo che una spiegazione mi sia dovuta» dichiarò Risa, avvicinandosi a lei e sedendosi sul mobile della cucina.

«Cioè, non t'interessa ma dovrei dirtelo. Strana 'sta cosa...» commentò Melany, ridacchiando.

«Oh, andiamo. Forza, sputa il rospo!» incalzò stizzita.

Melany ci pensò un po'. Anche se Risa era alquanto eccentrica, alla fine, si era rivelata una brava ragazza. E poi, aveva proprio bisogno di sfogare la rabbia e parlare con qualcuno di quanto le era appena capitato.

«Beh... c'è un ragazzo che...» iniziò a raccontare vagamente.

«Vuoi dire Ren. Il capo degli Skinners» affermò lei con sicurezza.

«E-E chi ti dice che stia parlando di lui?» strepitò Melany, imbarazzata.

«Ma è ovvio, no? E gira quel risotto, che si attacca» disse indicando la padella e lei sbuffò, rassegnata.

«Vabbè, insomma...»

[...]

«Che cosa?! Ti ha baciato?» strillò Risa, quasi cadendo dal mobile su cui era seduta.

«Shh! Ma perché urli?! Cosa c'è di strano? Cioè, è strano che lui l'abbia fatto, ma non è strano che qualcuno mi baci, perché non c'è nulla di male se si dà un bacio, anche se lo si fa quando due stanno insieme e noi non stiamo insieme...» farfugliò senza controllo. Più ci ragionava e più non capiva. Eppure detestava quegli Anime in cui la protagonista si chiedeva "Ma perché mi ha baciata?". Beh, di certo non avevano un Ren come co-protagonista.

«Melany, stai straparlando. Datti una calmata» la interruppe l'amica.

La ragazza si zitti continuando a mescolare il preparato, che si stava decisamente attaccando al fondo della padella. Il solo pensiero di quel bacio, delle sue labbra, delle sue mani... la mandava fuori di testa. Mai le era capitato di sentirsi così coinvolta. Ma che le stava succedendo?

«Certo che non me lo sarei mai aspettato. Cos'è, un bambino per caso?» commentò Risa, aiutandola ad apparecchiare.

«Esatto! Ho pensato la stessa cosa. E poi non capisco perché a volte riusciamo a stare davvero bene insieme e improvvisamente si arrabbia e mi manda via. Così, dal niente, senza darmi modo di capire se abbia commesso un errore» ragionò Melany a voce alta, mentre serviva nei piatti un risotto dal colorito strano. Si era già chiesta più volte se il problema fosse lei, ma se Ren non le confessava cosa lo infastidiva come poteva rimediare?

«Magari anche gli uomini hanno il ciclo!» ridacchiò. «Tornando serie. Devi parlarci. Taglia la testa al toro e digli in faccia le stesse cose che hai detto a me» disse Risa assaggiando il riso.

«G-Già... Domani andrò da lui, sempre se si degnerà di aprirmi quella benedetta porta» rispose Melany, pregustando anche lei il preparato.

«Uhm, fa schifo» sentenziò Risa.

«Vero... Usciamo a farci un panino?» concluse Melany. Mai cucinare quando si è sovrappensiero.

Quella notte non chiuse occhio e la mattina successiva sembrava uno zombie: livide borse sotto gli occhi, pelle pallida e passo ciondolante. Aveva rimuginato tutto il tempo sull'accaduto: forse Ren non voleva davvero baciarla? È per questo che la stava evitando? Del resto, che cosa aveva lei di così speciale che potesse attirare un ragazzo come lui? Si sentì depressa, dubitando di ogni cosa, soprattutto di se stessa e di quanto fosse poco carina. "Magari dovrei truccarmi un po'. E passare la piastra sui capelli. Tanto per diventare più... accettabile" considerò. Si era infilata in un tunnel davvero molto buio.

Così, prima che iniziassero le lezioni, decise di recarsi alle macchinette per prendere un caffè, doppio e amaro, com'era il gusto del rifiuto che sentiva in bocca.

Mentre oscillava davanti al distributore, cercando di spingere il tasto giusto, si accorse di uno strano chiacchiericcio alle sue spalle, appositamente tenuto a volume alto.

«Eccola, è lei l'amichetta di Ren. Comodo far fare il lavoro sporco agli altri, così adesso lui è stato espulso e lei fa la parte della santarellina» commentò acida una ragazza dalla voce stridula e tagliente.

Melany si gelò. Come faceva quella ragazza a sapere certe cose? Possibile che avesse scoperto che era lei la ragazza aggredita alcuni giorni prima? L'idea che la notizia si fosse diffusa la spaventava. Prese il suo caffè e fece qualche passo verso l'aula. Non voleva fomentare altre dicerie, meglio andare via.

«Fai la finta tonta? Sappiamo benissimo che sei una poco di buono. In fondo, non poteva essere diversamente se frequenti feccia di quel genere» aggiunse la strega con fare saccente.

Non ci ho visto più dalla rabbia. Dopo essermi voltata le sono corsa incontro per tirarle un sonoro ceffone su quell'insulso viso da pornostar decaduta, facendole rivoltare la testa.

«Come ti permetti! Brutta stronza! Levati di mezzo, sparisci!» grido lanciando fuoco e fiamme dagli occhi.

Peccato che, in realtà, fosse solo un sogno a occhi aperti e lei si trovava ancora lì, ferma, vicino alla macchinetta. Una vena le pulsava nervosamente sulla tempia mentre cercava di trattenere il suo istinto omicida. Nei primi anni di liceo era stata una ragazza molto indisciplinata, a causa di una tardiva reazione per l'abbandono del padre, e si era ripromessa di comportarsi bene cambiando completamente atteggiamento. Tuttavia, sentir parlare di Ren a quel modo le mandò il sangue al cervello. Decise d'ignorare la provocazione e continuò a camminare, tentando di riprendere il controllo sui suoi nervi.

«E niente, va via. Non capisco cosa ci trovi un bel ragazzo come Ren in una come lei. Forse sarà brava a scop...»

Melany sì voltò di scatto e le tirò il caffè bollente sul giubbotto di pelle. La ragazza gridò, ma non per la scottatura.

«Brutta stronza! Sai quanto costa questo giubbotto di pelle?! Sai di che marca è?» starnazzò come un'oca, mentre le altre due al suo fianco osservavano la scena con occhi e bocca eccessivamente spalancati.

«E chi se ne frega? Dovresti spendere soldi per acquistare un cervello, invece di abiti senza gusto!» ironizzò Melany, ormai pronta alla rissa.

La ragazza-oca le si avvicinò intenzionata a schiaffeggiarla, ma un attimo prima che la sua mano potesse colpirla venne improvvisamente afferrata per il polso da qualcuno sbucato alle spalle di Melany, scostatasi per evitare di essere colpita.

«Ehi, calma, bellezza. Se fai così ti rovinerai queste magnifiche unghia» sussurrò con fascino un tipo alto, dai capelli rossi e sorriso smagliante.

Ammaliata dal complimento, e soprattutto dal suo bell'aspetto, la ragazza, per non far brutta figura, ritirò la mano e si allontanò fingendo di aver dimenticato l'accaduto.

«T-Ti ringrazio» disse Melany al giovane, ancora frastornata per l'accaduto, e spaventata dalle sue stesse intenzioni bellicose.

«Figurati. Aumentano a vista d'occhio in questa scuola... i bulli, intendo» rispose stringendosi nelle spalle.

La ragazza l'osservò: era vestito di tutto punto, con una camicia bianca, jeans e cintura in cuoio, capelli rosso fuoco, pelle chiara, leggermente lentigginosa, e occhi verdi, ma non come i suoi, più simili al Peridoto, una gemma dalle sfumature del grano acerbo. Sua madre le aveva infuso la passione per le pietre preziose e non aveva mai capito perché, per lei, avesse scelto il nome di una gemma tetra come il mare notturno. Pensò di non aver mai notato quello studente, soprattutto perché difficilmente sarebbe passato inosservato.

«Già. Ora è meglio andare. La campanella è suonata» ribatté lei incamminandosi.

Melany si tenne dietro di lui e non poté far a meno di notare che stavano facendo la stessa strada.

«Anche tu qui?» domandò lui, quando la ragazza cercò di entrare in classe.

«A quanto pare...» mormorò, facendogli capire con un cenno che se non si fosse spostato dalla soglia lei non sarebbe riuscita a passare.

«Oh, prego, prego!» esclamò teatrale, liberando la strada.

Non appena fu al suo banco, Melany si rivolse a Risa. «Ma chi è quello?» le chiese indicando il ragazzo, ancora fermo sull'uscio, ma Risa era intenta a scrivere sul suo diario, come al solito, e ignorò completamente la domanda della ragazza. «Non mi sembra di averlo mai visto. Voglio dire, un ragazzo così non si può non notare. Alto, capelli rossi, occhi verdi. Sembra un bel tipo» commentò, fissandolo mentre entrava in classe assieme alla professoressa. Peccato che, ormai, non avesse spazio per nessun altro nella testa.

«Cosa, che COSA?!» gridò Risa all'improvviso, destandosi dal suo mondo di fantasia e alzandosi di scatto dalla sedia. Quando vide il giovane vicino alla cattedra, la ragazza rimase a bocca aperta, ignorando la compagna che le chiedeva di sedersi. «Non ci posso credere... Te ne devi andare immediatamente da qu...» sbraitò agitata voltandosi verso Melany, ma venne interrotta dall'intervento della professoressa.

«Bene, ragazzi. Per la vostra felicità è tornato il nostro caro Irvine» annunciò la giovane prof di latino, un po' imbarazzata.

«Prof, la prego, mi chiami Irv» replicò lui facendole l'occhiolino e Melany strinse gli occhi disgustata dall'orribile scenetta.

«Ma no... cioè, se insisti... Ehm, prego, Irv, accomodati al tuo posto» rispose indicando il banco occupato da Melany. «Oh, ma tu che ci fai lì? Spostati, cara, e libera il posto» aggiunse la docente, ondeggiando la mano con fare civettuolo.

«Non c'è problema, prof. C'è un posto libero, lì dietro» disse Irvine, dirigendosi verso il banco, quello sistemato al centro delle due file, destinato in principio a Melany. Poi, con una spinta, lo attaccò a quello di quest'ultima. «Ci rivediamo. Piacere, io sono Irvine Graham e tu sei...?» le domandò con un gran sorriso, porgendole la mano.

«Melany Rose» rispose un po' titubante, ricambiando il saluto. Non provava una gran simpatia verso i ragazzi tanto espansivi e giocosi. Le davano l'impressione di essere poco seri e affidabili.

«Le presentazioni dopo, grazie. Aprite a pagina novantadue» intervenne la professoressa.

A fine lezione, Irvine si alzò per andare incontro a un compagno di classe, uno dei tanti che voleva salutarlo calorosamente, ma Melany lo fermò prima che potesse allontanarsi troppo.

«Ehm, Irvine!» chiamò drizzandosi in piedi.

«Oddio, no! Chiamami Irv, per favore» disse lui, voltandosi di scatto, mani al petto. Melany restò immobile, fra il disgusto e l'orrore.

Ma anche no.

Poi si riprese. «Preferisco Irvine. Dicevo, mi sembra giusto restituirti il tuo posto. Per cui, se potessi spostare le tue cose, mi metterò io nel banco singolo dov'era prima e...» ribatté la ragazza, subito interrotta da un altro gesto teatrale.

Irvine spalancò occhi e bocca, falsamente indispettito. «Ma come? Non vuoi essere la mia compagna di banco? Tranquilla, Melly, non c'è nessun problema» rispose ammiccando e si allontanò.

"M-Melly? Ma tutta 'sta confidenza?" sbraitò dentro di sé, sempre più sconcertata, tuttavia, non aveva tempo per le chiacchiere inutili.

L'insegnante dell'ora successiva era assente e pensò di approfittarne per sgattaiolare nel bagno e provare a contattare Ren. Non intendeva demordere e avrebbe tentato di mettersi in contatto con lui finché non le avesse risposto, anche solo per mandarla a quel paese, come temeva accadesse. Mosse qualche passo verso l'uscita, ma venne subito fermata dalla mano di Risa.

«Di che cosa avete parlato?» le chiese con sguardo duro.

Melany non capì subito, ossessionata dai suoi pensieri, poi collegò il cervello. «Ehm... gli ho detto che mi sembrava giusto restituirgli il suo posto» mormorò intimorita dall'ancor più strano comportamento dell'amica.

«E lui... cosa ti ha detto?» sussurrò con voce stridula e inquietante.

«Ha-Ha detto che va bene così...» replicò Melany con tono remissivo, quasi si stesse scusando senza sapere per quale motivo.

«Dovevi essere più convincente! Impegnati di più!» gridò furente la giovane, per poi uscire dall'aula con passo pesante e pugni stretti per la rabbia.

Melany rimase immobile, sbattendo più volte le palpebre, incredula. Non aveva ben capito quale tipo di demone si fosse impossessato del corpo di Risa, ma, rimuginando sul suo comportamento, credette di aver trovato una ragione più verosimile.

«Mi sa che ha una cotta per pel di carota...» sentenziò a voce bassa.

«E chi non ce l'ha!» intervenne una compagna che le stava passando di fianco. Non aveva fatto granché amicizia con il resto della classe, per cui non ricordava neanche il suo nome, ma il discorso la incuriosì.

«Cioè? Mi vuoi dire che qui tutte sono innamorate di Irvine?» domandò Melany, inarcando un sopracciglio, sconcertata.

«Ma certo! Quando mi guarda con i suoi occhi scintillanti potrei sciogliermi! E ha un sorriso stupendo... Tu non lo trovi affascinante?» chiese la ragazza mora, della quale proprio non le veniva in mente il nome.

«Non particolarmente» rispose lei, con sincerità.

«Ottima risposta» ribatté la sconosciuta, con sorriso compiaciuto.

Per il resto della mattinata, le ragazze della classe non fecero altro che rivolgere sguardi languidi e frasi sdolcinate a Irvine, il quale ricambiava animatamente, troppo per i gusti di Melany, nauseata da tanta falsità. E poi, non aveva tempo da perdere con quelle sciocchezze, aveva ben altro per la testa.

Alla fine, non era riuscita a tartassare Ren di telefonate, così, volente o nolente, sarebbe dovuta tornare a casa sua e questa volta non avrebbe accettato di essere ignorata.

Finite le lezioni, si precipitò fuori dalla scuola, decisa a risolvere la questione. Aveva preparato mentalmente un discorso molto articolato da fargli, così da non trovarsi impreparata, tuttavia le servì a ben poco perché, oltrepassate le mura della struttura, lo trovò lì, a braccia conserte ad aspettarla, incurante degli sguardi degli altri studenti.

«Parliamo?» disse. 

Si sedettero su una panchina nel parco vicino casa di Ren. Melany, per quanto pensasse di partire alla carica con le sue domande, si sentiva molto imbarazzata, presa alla sprovvista, e non disse nulla per tutto il tragitto. Poi, però, non riuscì più a trattenersi e si fece coraggio.

«Dunque... allora?»

«Allora cosa?» rispose lui.

La vena tornò a pulsarle prepotente sulla tempia. «Come cosa?! Mi prendi in giro?» sbottò spazientita.

«Vuoi forse scusarti per avermi scaricato la batteria del cellulare con le tue telefonate?» domandò lui ridacchiando.

Melany diventò rossa di rabbia. Si alzò di scatto spostandosi di fronte a lui, incrociando le braccia al petto. La sua abilità nel farla imbestialire andava oltre ogni immaginazione.

«Non so a che gioco stai giocando, ma io odio chi scherza con i sentimenti altrui, hai capito? Se baciarmi è stato solo un brutto scherzo, dimmelo subito, così posso andarmene via maledicendoti!» sbraitò in preda alla collera. Scherzare in quel momento la ferì ancor più di essere ignorata, come se quel che era successo fra loro non valesse la pena di un discorso serio.

Ren, che aveva lo sguardo fisso altrove, mosse il capo incontrando i suoi occhi di smeraldo oscurati dalla rabbia; la guardò per qualche secondo, poi sbuffò infastidito, distogliendo nuovamente lo sguardo.

«Baciarti è stato un errore che non dovevo fare...» ammise gelido e la furia di Melany svanì in un attimo, lasciando posto alla tristezza e a una strana sensazione di vuoto.

Ci aveva sperato. Nonostante sapesse che tipo lui fosse, ci aveva sperato sul serio. Perché le piaceva e anche tanto. Le lacrime si fecero strada, pronte a sgorgare come un fiume in piena, mentre lo fissava, incapace di fare altro. Gli occhi di Ren, ora freddi come il ghiaccio, incontrarono il mare in tempesta di Melany e il ragazzo si lasciò andare a un sospiro, rassegnato, cambiando completamente atteggiamento.

«... ma questo non significa che non desiderassi farlo» aggiunse sottovoce.

La ragazza si sentì davvero confusa. Riacquistando il controllo sulle sue lacrime, si risedette sulla panchina, accanto a lui, fissando un punto indefinito nel terreno.

«Ma, esattamente, che vuol dire?» chiese titubante, voltando il capo nella sua direzione.

Ren sospirò e ricambiò il suo sguardo, volgendole un sorriso di superiorità.

«So bene quello che provi per me. Pensi sia stupido?» le disse osservando divertito il volto di Melany farsi scarlatto, più del sole al tramonto.

La ragazza si drizzò subito in piedi, avvertendo un imbarazzante calore opprimerle il petto. «C-Cosa? Chi?» farfugliò nel panico. Non era così che dovevano andare le cose.

Ren sbuffò, posando con stizza la schiena sulla spalliera della panchina. «Perché pensi che ti abbia permesso di stressarmi la vita tutti i santi giorni, eh? Non ci hai mai pensato? In realtà, all'inizio, volevo solo conoscerti un po', mi incuriosivi» ammise, poi il suo sguardo si fece serio. «Non immaginavo che le cose mi sarebbero sfuggite di mano» aggiunse, come se le stesse confessando qualcosa di sbagliato.

Melany sbatté più volte le palpebre, incredula, convinta di non aver ben inteso le sue parole. «F-Fammi capire... mi stai dicendo che tu sei... di me...?» borbottò in difficoltà acutizzando la voce, completamente nel pallone, con una mano premuta sul petto per fermare il cuore pronto a schizzar via.

«Io non sono un bel niente!» esclamò Ren, alzandosi improvvisamente dalla panchina. «Come ti ho detto, è stato un errore che non si ripeterà. Stop. Fine» aggiunse deciso, dandole le spalle, pronto ad andar via.

«Tu vuoi scherzare?» gridò Melany afferrandogli un braccio. «Come puoi solo pensare che, dopo un'affermazione del genere, io possa accettare questa... stronzata che hai appena detto!» sbraitò spalancando gli occhi e fissandolo come se intendesse incenerirlo sul posto.

Ren la guardò sorpreso dalla sua furia e dalla veemenza con cui gli aveva parlato. Melany aveva il suo bel caratterino, non poteva negarlo, ma non si era mai rivolta a quel modo, non con lui, perlomeno.

«Perché dici che è stato un errore? Se anche tu hai desiderato baciarmi, perché devi considerarlo uno sbaglio? Io non lo accetto! Mi oppongo fermamente!» continuò imperterrita, senza riuscire a fermare il suo impeto di rabbia.

Ren scoppiò improvvisamente in una sincera risata e le volse un timido sorriso. «E cosa dovremmo fare, allora?» le chiese, sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio, gesto per cui Melany sentì il volto avvampare.

«Ehm... Beh, se tu e io... cioè, insomma, se noi... potremmo...» farfugliò, sorpresa ed estasiata da quel dolce contatto inaspettato, nonché spiazzata dal suo splendido sorriso.

«Vorresti essere la mia ragazza? È questo che mi stai chiedendo?» domandò con un sorriso sprezzante, divertito dall'espressione imbarazzata di Melany.

«Oddio, magari! Cioè...» schiamazzò senza controllo, per ritrovarsi ancor più a disagio, abbassando lo sguardo sulle sue Converse.

Ancora una volta Ren rise, deliziato e affascinato. Probabilmente, uno degli aspetti che gli piacevano di lei, era proprio questo suo essere spontanea e divertente, passionale e coraggiosa. Sì, la sua ragazza coraggiosa. Piombata in quell'aula non si sa bene a fare cosa. Sorrise e le alzò il viso ponendo una mano sotto il mento per poi posarle un bacio sulla fronte.

«Non so come fai a mandarmi sempre in confusione... Da quando ci sei tu, è tutto un casino» sussurrò stringendola fra le sue braccia. «Va bene, vediamo come va, ma so già che ce ne pentiremo» aggiunse e la baciò, godendosi quel contatto il più a lungo possibile.

Melany non prestò particolare attenzione alle sue parole, era troppo fra le nuvole, troppo fuori di sé per partorire un semplice pensiero razionale. E poi, perché mai avrebbero dovuto pentirsene? Per lei, non aveva alcun senso.



Se questo capitolo ti è piaciuto, lasciami un commento :)

Seguimi su Instagram: trovi il link nella colonna a sinistra del profilo!


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top