Capitolo 11 - Sensi di colpa
«Quando potrò uscire?» chiese Melany al dottore, non appena entrò nella sua stanza.
«Le analisi sono buone e la TAC non ha mostrato nulla di rilevante. Direi che domani la possiamo dimettere» le rispose l'uomo robusto dal camice bianco.
«Domani? Ma se sto bene, non potrei uscire oggi? Magari adesso» incalzò la ragazza, stufa di essere rinchiusa lì dentro.
«Se proprio vuole possiamo cercare di farla uscire questo pomeriggio, ma io le consiglio un altro giorno di riposo» le disse il medico, aggiornando la sua cartella digitale sul tablet personale di lavoro.
«Va benissimo» ribatté lei, scendendo dal letto e iniziando a ordinare la roba da portar via.
«Tesoro, ascolta il medico. Si tratta solo di un altro giorno» le disse la madre, sottovoce, avvicinandosi a lei.
«Mamma, sono già due giorni che sono confinata qui. Mi riposerò a casa» concluse, guardando il medico con decisione.
«D'accordo, allora preparo i documenti per la dimissione» concluse l'uomo uscendo dalla stanza.
Melany non voleva rimanere in quel posto un momento di più. Odiava gli ospedali sin da quando, da piccola, venne ricoverata d'urgenza per una sospetta appendicite. Sfortunatamente, incappò in un infermiere poco pratico con i bambini, il quale le mise più paura del dolore lancinante che le provocava l'infiammazione. Alla fine, non fu più operata perché, per fortuna, bastarono antinfiammatori e terapia del ghiaccio ad alleviare i sintomi, ma ne uscì così sconvolta da cercare in tutti i modi di evitare ogni dottore o struttura ospedaliera.
«Allora torniamo a casa» disse la madre, felice di riavere la sua bambina con sé.
«Sì, mamma. Torniamo a casa» mormorò Melany, rilassandosi.
Fu dimessa in serata e, non appena arrivò a casa, si buttò sul suo soffice letto. In ospedale stava troppo scomoda e non vedeva l'ora di fare una bella dormita, e anche una doccia. Il silenzio di casa le avrebbe conciliato un lungo e riposante sonno. Peccato che, in quel momento, la troppa calma fungesse da arma a doppio taglio. Non era facile dimenticare quanto successo e durante le scorse notti si era svegliata più volte in preda al panico, con la paura che Alex potesse essere lì per strangolarla e vendicarsi.
Il suo istinto le sussurrava di rimanere qualche altro giorno in casa, di isolarsi ancora un po' dal resto del mondo. Ma poi si alzò dal letto, decisa, e andò in cucina.
«Mi domando come hai fatto a sopravvivere due giorni senza di me» disse rivolta alla madre, aprendo il frigo ed esaminando la desolazione dei ripiani.
«Ma se sono stata quasi tutto il tempo con te. Solo la sera ero... fuori» le rispose stizzita, mentre riordinava alcune cose portate dall'ospedale.
«Ah, già. Fuori con il tuo fidanzato» ribatté Melany, cercando qualcosa da mangiare nella dispensa.
«Ma... ma... Io non ho nessun fidanzato!» le rispose sua madre, imbarazzata, distogliendo lo sguardo dalla figlia.
«Certo. Dovremmo parlarne, un giorno. C'è qualcosa che posso utilizzare per la cena? Vorrei andare a letto presto» chiese Melany, stanca di cercare per tutta la cucina.
«Ho ordinato le pizze, prima di venire qui. Sei stanca, tesoro?» domandò lei, avvicinandosi alla ragazza e accarezzandole una guancia.
«Non è per quello. Voglio riposarmi per andare a scuola, domani» ribatté, accomodandosi al tavolo della cucina, desiderosa di mangiare la pizza dopo due giorni di brodino e finocchi gratinati.
«A scuola? Il medico ha detto di riposare e che per questa settimana puoi saltarla tranquillamente» replicò Claudia preoccupata. Sua figlia era sempre stata un'ottima studentessa, tuttavia la salute veniva prima di ogni cosa.
«Hai ragione, ma preferisco non rimanere troppo indietro» disse Melany chiudendo il discorso, determinata a non cambiare idea.
Quella del "non rimanere indietro" era un'autentica balla. In realtà, il suo unico pensiero era rivedere Ren. Dopo quei pochi messaggi scambiati qualche giorno prima, il ragazzo era completamente sparito, ignorando ogni suo tentativo di comunicazione. Se fosse andata a scuola avrebbe potuto, ancora una volta, ringraziarlo e chiedergli se quel pezzente di Alex avesse ritirato la sua assurda denuncia. Sperando che ,adesso, lui non la odiasse proprio per quel motivo.
Tutto, intorno a me, è fermo, immobile. Ho freddo, eppure le sue braccia che mi stringono forti a sé riescono a scaldare il mio cuore, confortandolo.
«Ti prego, Ren, portami via!» grido disperata, ma non so perché. Non è questo che vorrei dirgli. Ciò che ho bisogno di confessargli è...
«Melany, siamo al pronto soccorso. Hai bisogno di essere controllata da un medico» sussurra dolcemente e i suoi occhi sono pieni di dolore; riesco a vedere la sofferenza velargli quell'incantevole chiarore di luna che ho sempre adorato nelle sue iridi. Perché sei triste, Ren?
«Ma io voglio andare via... Portami con te» sì, Ren, portami con te, per favore. Non importa dove, purché tu non sciolga questo abbraccio.
«Resterò qui con te finché non sarai stata visitata e poi ti porterò via. Ovunque vorrai. Va bene?» le sue dolci parole appaiono come una calda proposta d'amore, in cui vorrei perdermi per il resto della vita.
Ancora una volta, Melany si svegliò di soprassalto, ma questa volta il cuore non batteva a causa della paura. Non sapeva se quella conversazione fosse realmente accaduta o se fosse solo frutto della sua fantasia, tuttavia avvertiva un intenso calore nel petto mai sentito prima che, lentamente, la cullò ancora una volta nel sonno.
«... ti porterò via. Ovunque vorrai»
La mattina dopo, in classe, si vociferava ancora di quell'aggressione avvenuta giorni prima, chiacchierata sui giornali locali che avevano fortunatamente omesso il nome della vittima. Quando Melany entrò in aula, fu subito raggiunta da Risa, alla quale, per ovvie ragioni, non aveva raccontato nulla.
«Ehi, ma che fine hai fatto?» esclamò l'amica, fermandola sulla soglia.
«Sono stata poco bene. Scusami se non mi sono fatta sentire» le rispose Melany, camminando verso il suo banco. Nessuno sapeva che ci fosse lei al centro della questione, eppure sentiva numerosi sguardi addosso. Troppi.
«Non mi servono delle scuse. Ho passato questi giorni in tranquillità, senza il tuo chiacchiericcio, e mi chiedevo se non volessi ancora assentarti da scuola» le disse lei, accomodandosi al suo posto.
«Sono felice anch'io di rivederti, Risa» rispose la ragazza sarcastica, accennando un sorriso.
Intorno a lei il vociare sulla disavventura della giovane s'interruppe solo con l'ingresso del professore, ma riprese nel cambio dell'ora successiva. A quanto pareva, pur essendo una città di media grandezza, era molto sicura e completamente estranea a fatti di cronaca del genere. Per questo, la notizia destò tanto scalpore e Melany si augurò che non si scoprissero i nomi dei protagonisti. Non aveva nulla di cui vergognarsi, tuttavia desiderava dimenticare quanto prima ogni singolo frammento di quella sera, di Alex.
Quando suonò la campanella della ricreazione, la ragazza sgattaiolò via alla velocità della luce, diretta nell'aula di scienze, poiché sapeva che Ren sarebbe stato sicuramente lì. Si fermò poco prima della soglia, indecisa sul da farsi. "Cosa dovrei dirgli? E se avesse deciso di non rispondere ai miei messaggi perché non vuole avere più nulla a che fare con me?" si domandò in preda all'ansia, tuttavia desiderava almeno scusarsi e chiedergli di aiutarla a colmare i vuoti di quella notte. Continuava a tornarle in mente una conversazione, uno scambio di dolci promesse, ma le sembrava troppo inverosimile per essere realmente accaduto.
Scosse la testa scacciando via i pensieri e aprì di scatto la porta, rimanendo subito delusa quando vide solo i soliti tre scansafatiche.
«Ohh... la mia principessa e torn...» tentò di dire Bruno, muovendo qualche passo verso di lei a braccia aperte.
«Dov'è Ren? Non c'è oggi?» lo interruppe Melany, per nulla interessata alle sue solite sviolinate.
«Come, non lo sai? È stato sospeso. Pare abbia picchiato un tipo. È grande il nostro capo, eh?» rispose il teppistello, sorridendo sadicamente.
Melany sbiancò, rimanendo a bocca aperta. Se mai ci fosse stata una speranza per la quale Ren non si sarebbe arrabbiato con lei a causa della denuncia, ora invece era sicura che la odiasse a morte. Ecco perché non le rispondeva.
I sensi di colpa scavarono prepotenti nella sua pelle. Ren era stato sospeso a causa sua e non ci sarebbero state scuse sufficienti affinché la perdonasse. Presa da una forte agitazione, si diresse velocemente verso l'uscita d'emergenza del piano e l'aprì per correre via, nella speranza che nessuno la notasse. Doveva fare qualcosa, non poteva lasciare che il rapporto fra loro, se pur indefinito, finisse così. Non l'avrebbe permesso.
Quando arrivò davanti al portone della casa di Ren, era affannata, stanca e con la nuca dolorante. Prese un profondo respiro, si fece coraggio e suonò il citofono. Attese più di cinque minuti, in cui provò a suonare ancora una volta, ma non ricevette risposta. Possibile che lui l'avesse vista arrivare e che, per questo, non volesse aprirle? Ostinata a non arrendersi, tentò di aprire il portone, ma fu subito richiamata da una voce familiare.
«Signorina! Così mi rompe il portone» esclamò la signora Teresa, di rientro dalla spesa.
«S-Signora Teresa, mi scusi, ma ho bisogno di... cioè...» farfugliò la ragazza in difficoltà. Doveva confessare alla donna di essere lì per implorare il perdono di Ren? Era imbarazzata, ma se fosse stato necessario l'avrebbe anche fatto.
«Ah, ma sei tu! Come stai, cara ragazza? Ho pregato tanto per te» replicò la tenera vecchina, avvicinandosi a Melany.
«Bene, grazie, ma...» le rispose, pur non ricordando di averla vista, quella sera.
Volse il capo verso il portone e, per un attimo, la frenesia che l'aveva condotta lì sembrò sparire, lasciando spazio alla delusione e al pensiero di dover andar via. Se Ren non voleva più vederla forse non avrebbe dovuto insistere, se lui aveva deciso di chiudere con lei doveva accettarlo, ma il solo pensiero la rendeva immensamente triste.
«Tranquilla, tranquilla. Ti faccio entrare io. Sono giorni che il tuo fidanzato non esce di casa, sai?» le disse Teresa, estraendo le chiavi del portone e aprendolo. La ragazza avvampò.
«F-Fidanzato? Oh, no! Noi non... cioè, è sicura che non l'ha visto uscire?» le chiese, cercando inizialmente di giustificarsi, ma non aveva voglia di sottolineare cosa non ci fosse fra loro.
«Certo, cara. Secondo te, chi ha dato da mangiare al gatto in questi giorni? Su, va' e digli che ancora mi deve restituire le chiavi della macchina» aggiunse la signora, avviandosi verso la porta d'ingresso della propria abitazione.
Melany non se lo fece ripetere due volte e si precipitò su per le scale, fermandosi a pochi passi dalla soglia. Visibilmente a disagio, deglutì ansia, poi prese un profondo respiro e bussò.
Nessuna risposta.
Bussò ancora. Niente.
Una vena le pulsò prepotentemente sulla tempia quando capì che la stava palesemente evitando. Qualunque decisione avesse preso in merito al loro rapporto avrebbe dovuto aver il coraggio di dirglielo in faccia! La terza volta batté molto forte, carica di disappunto. Altro che scuse, adesso era lei che pretendeva un chiarimento. Oltre l'uscio sentì un profondo sospiro.
«Non ci sono. Va' via» disse Ren, dall'altra parte della porta. Adesso erano due le vene a pulsare cariche di nervosismo.
«Andiamo, sono io. Aprimi!» esclamò la ragazza. «Per favore...» sussurrò poi pentendosi del tono eccessivamente arrogante che aveva usato.
Ci fu un momento di silenzio, poi ancora un lungo sospiro dall'interno dell'abitazione e, infine, il rumore della serratura.
La porta si aprì lentamente mostrando, in penombra, un ragazzo diverso dal solito: Ren non indossava la sua classica felpa, ma una camicia bianca, leggermente sbottonata in alto, un paio di pantaloni sportivi, mentre i lunghi capelli ricadevano arruffati sul viso pallido, incorniciando perfettamente i suoi splendidi occhi, unico punto di luce in tutta la figura. Anche se un po' trasandato, la ragazza lo trovò incredibilmente affascinante e deglutì, sentendo scemare tutta la sua carica energetica.
«Che ci fai qui?» domandò seccato, tenendo la porta leggermente aperta. Melany si sentì a disagio. Ancora una volta si domandò cosa avrebbe dovuto dirgli.
«Ho saputo che ti hanno sospeso...» mormorò avvilita, abbassando lo sguardo sulle sue Converse rosse e infilando le mani nelle tasche dei jeans.
Ren la fissò in silenzio, si passò una mano fra i capelli e spalancò la porta, facendole segno di entrare. Melany superò la soglia, avanzando con passo velato nell'appartamento. Nella sua mente comparvero alcuni flash di quella sera: il disinfettante, il racconto di Ren, le sue lacrime. Aveva pianto davanti a lui. Che vergogna! Sentì il viso arroventarsi.
«Cosa vuoi?» chiese Ren, dirigendosi verso il soggiorno. Melany scosse la testa e fissò le sue spalle.
«Ehm, io non ricordo nulla di quella notte. Vorrei che mi aiutassi a riempire i vuoti» gli rispose, pur non essendo quello il reale motivo per cui si trovava lì.
«Cosa c'è di tanto bello da voler ricordare? Se non sai cos'è successo, è meglio così» replicò lui, senza voltarsi a guardarla.
«Certo che so cos'è successo! Ma dopo, quand'ero qui, cosa...?» cercò di spiegargli, ma la sua eccessiva freddezza la stava ferendo più di ogni altra cosa. Che la odiasse davvero?
«Sono andato a prendere i cerotti e quando sono tornato eri a terra, svenuta. Così ti ho portato in ospedale. Tutto qui» le raccontò, rigirando con la mano destra una bottiglietta d'acqua sul tavolo accanto, e la sinistra in tasca. Melany osservò il suo profilo, ma non riuscì a decifrare la sua espressione.
«E quando hai incontrato Alex?» domandò, scomoda di quella situazione in cui lui non la degnava di uno sguardo.
Si chiese quanto fosse arrabbiato con lei, se avesse potuto porvi rimedio, stringendo un braccio con la mano per mitigare il dolore che sentiva nel petto, ma poi lui si voltò verso di lei, fissando gli occhi nei suoi.
«Volevo recuperare le tue cose. Avevi detto di voler chiamare tua madre» sussurrò sinceramente e alle sue parole si susseguirono attimi di silenzio. Completamente catturata dal suo sguardo, Melany avrebbe voluto dirgli tante cose, ma una prima di tutte.
«Ti volevo chiedere scusa. Tu mi hai aiutato e...» mormorò abbassando lo sguardo, rammaricata.
«Non sei tu a dover chiedere scusa. Sono responsabile delle mie azioni» affermò Ren, appoggiandosi con la schiena al muro e incrociando le braccia al petto. La ragazza alzò gli occhi su di lui accorgendosi che non la stava guardando. Dentro di sé sentì una terribile fitta al cuore. Doveva chiederglielo. Subito, o non si sarebbe data pace.
«Mi odi?» bisbigliò con voce rotta, nel tentativo di disciplinare le lacrime.
Ren si voltò a guardarla, osservandola sussultare quando i suoi occhi si posarono su di lei. Melany era sinceramente dispiaciuta e probabilmente si sentiva in colpa per la sua sospensione, pur non avendo alcuna responsabilità dell'accaduto. A quel pensiero, sbuffò pesantemente, poi alzò gli occhi al cielo, avvinto dal suo sguardo, e tornò a guardarla.
«Sei una ragazza irritante, ma non ti odio. Stai tranquilla» le disse, un po' imbarazzato. No, non la odiava certamente. E allora cosa provava per lei? Se l'era chiesto più volte in quei giorni, ma la risposta sembravano non piacergli.
Melany s'illuminò d'immenso, con le lacrime pronte a sgorgare, ma si controllò e al loro posto fece un grande sorriso.
«Allora posso continuare a venire a trovarti?» gli disse, approfittando di quell'atmosfera così dolce fra loro. Osava troppo sperare che lui gradisse la sua compagnia?
Ren la fissò pronto a risponderle, ma un attimo dopo il suo volto si scurì. Si portò le mani al viso, come per nascondersi, facendole scivolare sulla testa fin dietro alla nuca, poi incrociò ancora una volta le braccia, fissando un punto della casa davanti a sé.
«La devi smettere di venire qui. Chi ti credi di essere?» sbottò nervoso, con tono duro.
Gli occhi di Melany si spalancarono e il respiro le si bloccò in gola. «Ma, perché fai cos...» tentò di replicare, portandosi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio per distrarsi e non dare a vedere la sua profonda delusione.
«Adesso vattene e non tornare più!» la interruppe, non intenzionato ad ascoltare un'altra parola.
Melany avvertì lo stomaco bruciarle, il viso scaldarsi e gli occhi carichi di lacrime, pronte a sgorgare, ma questa volta non per la gioia. In quel momento era troppo fragile ed emotiva e lui la stava palesemente rifiutando, ancor prima che avesse potuto confessargli i suoi sentimenti. Con il dolore dipinto sul volto, si girò dirigendosi verso l'entrata a passo veloce: voleva andar via, subito, correre a casa e sfogare tutta la sua frustrazione. Tuttavia, prima che potesse aprire la porta, Ren la fermò sbattendo una mano contro affinché non ci riuscisse. La ragazza continuò a stringere la maniglia, tremante, avvertendo il calore del suo petto a pochi centimetri dalla sua schiena.
«Mi dispiace. Io... non volevo» sussurrò, angosciato.
Melany chiuse gli occhi, lasciando cadere una lacrima che subito raccolse con le dita. «V-Volevo solo sapere come fossero andate le cose. Dirò alla polizia che sei andato a recuperare i miei zaini e lui ti ha aggredito, costringendoti a reagire» bisbigliò rimanendogli di spalle, mentre lui allontanava la mano dalla porta, senza scostarsi.
«No, io ho picchiato volutamente quel bastardo. Non ho intenzione di mentire» ammise senza vergogna e Melany si voltò a guardarlo. «Teresa mi ha informato di quest'uomo riverso nel vicolo vicino e sono corso lì, trovandolo per terra. Era cosciente, il tuo colpo l'aveva reso confuso, ma aveva ancora il coraggio di parlare. Quello che ho fatto è sbagliato e non dovevo farlo, ma...» raccontò Ren, ancora carico di rabbia, come se stesse rivivendo l'accaduto in quel momento.
Senza rendersene conto, Melany alzò una mano accarezzandogli una guancia, osservandolo con sguardo addolorato. «Ed è così che ti sei ferito?» sussurrò, sfiorando i graffi lividi sul suo viso.
Ren spalancò gli occhi per quel contatto inaspettato, ma non lo rifiutò, non voleva farlo. Le prese la mano e ne portò il palmo verso l'alto.
«Non è nulla rispetto a questi tagli e a quanto ti è successo» disse con voce bassa e roca.
Melany osservò la sua mano, avvolta dalle bende fino al giorno prima, ma in realtà la sua attenzione era concentrata su quel tenero tocco fra loro. Avrebbe voluto intrecciare le dita con le sue e confessargli cosa sentiva per lui. Imbarazzata, non sapeva come comportarsi: lui l'aveva cacciata per poi impedire che se ne andasse. Cosa voleva dire? Lentamente alzò il viso, nella speranza di potersi perdere nei suoi occhi, quando Ren, inaspettatamente, la strinse forte a sé e la baciò.
Le loro labbra si sfiorarono e, non appena Melany schiuse le sue, si unirono, calde e passionali. Spingendola contro la porta e incastrando una mano fra i suoi capelli, Ren la baciò intensamente, trasmettendole inequivocabili sensazioni, desideri e sentimenti difficili da spiegare a parole. Fu un attimo, un istante così intenso che sembrò i loro cuori non riuscissero a reggere, pervasi da un'incalzante battito carico d'emozione. Melany riaprì gli occhi fissandoli nelle gelide acque cristalline che trovò davanti a sé, estasiata da quell'incredibile momento che, tuttavia, un attimo dopo terminò bruscamente.
Ren si scostò da lei rivolgendole uno sguardo confuso e tormentato, poi la prese per un braccio allontanandola dalla porta, che subito aprì.
«Si è fatto tardi. Devi andare» disse frettolosamente, per poi spingerla oltre la soglia e chiudere la porta.
Melany rimase immobile, sconcertata, sbattendo più volte le palpebre. Non aveva ben chiaro cosa fosse successo. Forse era stato tutto frutto della sua fantasia, forse il suo crescente desiderio di stare con Ren le aveva fatto immaginare qualcosa di altamente improbabile. Eppure, di una cosa era sicura.
«Ma se sono ancora le dodici di mattina...» commentò fra sé e sé.
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